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Autore: PassioneScrittrice97    09/03/2020    0 recensioni
Audrey è una ragazza di 18 anni, abita a Notting Hill, un quartiere di Londra insieme ai suoi genitori. La sua vita non è stata semplice sin dal primo giorno della sua nascita. La sua unica colpa è stata nascere con gli occhi rossi e i capelli neri.
È sempre stata la pecora nera della famiglia, a scuola le hanno sempre affidato il nome “figlia del diavolo”, ma alle superiori è riuscita a farsi un’unica amica, che è diventata la sua migliore amica, ovvero Connie. È stata l’unica persona ad andare oltre le apparenze, volendo conoscere Audrey.
La sua vita procede bene nonostante le difficoltà, finché in una sera fredda di Londra, Audrey è costretta a uccidere suo padre, per legittima difesa.
Da quel momento è costretta a cambiare identità. Scappando da una città all’altra quando viene scoperta, con l’aiuta di Connie.
Si stabilisce ad Astoria un quartiere di Mahnattan, decisa a provare ad avere una vita normale mentre costruisce la sua innocenza. Inizierà a frequentare la scuola, conoscerà nuove persone, stringerà nuove amicizie che la porteranno ad essere più determinare di essersi solo difesa, e quando inizierà a riaprire il suo cuore all’amore, la sua permanenza ad Astoria sarà messa a rischio.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jade Thirlwall, Jesy Nelson, Leigh-Anne Pinnock, Nuovo personaggio, Perrie Edwards
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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AUDREY

Mi alzo dal corpo che ha appena smesso di vivere per mano mia. Lascio cadere il coltello con ancora le mani che tremano. Guardo il corpo di mio padre inerme, che non respira, ricoperto di sangue.
Guardo le mie mani. Sono sporche del suo sangue. Che ho fatto? Come ho potuto fare una cosa del genere.
Guardo i miei vestiti, sporchi di schizzi di sangue. Sento la nausea salirmi piano piano. Se prima ero fredda, determinata a fare il gesto appena compiuto, adesso mi sta venendo lo schifo e i sensi di colpa che mi stanno divorando.
Non mi sento in colpa per aver ucciso lui, ma per aver appena firmato la mia condanna a morte. Sento che la mia testa sta per scoppiare per i troppi pensieri che stanno scorrendo. Inizio ad andare all’indietro con tutto il corpo che trema, finché non cado a la mia schiena sbatte contro lo schienale del divano.
L’ansia si insinua in me, e inizio a piangere disperata. La disperazione mi ha portato a commettere un crimine, mi ha portato a rovinarmi la vita a soli 18 anni. Come faccio a dimostrare che è stata semplice difesa? Non ho nessun testimone.
Mi passo le mani tra i capelli, sporcandoli ancora di più per poi appoggiare la testa sulle ginocchia. Me le stringo e mi lascio andare in un pianto liberatorio. Se da una parte mi sono liberata di un peso, dall’altra me ne sono procurata un altro.
Devo uscire immediatamente da questa casa. Le mie impronte digitali saranno ovunque. Sul coltello, sui miei vestiti che sto indossando adesso, sul pavimento, sul corpo di mio padre, ovunque. Mi sono scavata la fossa da sola.
Decido di calmarmi. Se mi agito non riuscirò mai a trovare il modo di andarmene. Prima di tutto devo liberarmi da questi vestiti e dal sangue presente sul mio corpo.
Mi alzo e prendo un respiro profondo. Salgo le scale senza toccare niente. Per fortuna ho un mini bagno in camera mia.
Qualcuno avrà già chiamato la polizia per via degli spari che ci sono stati prima. Entro in camera, per fortuna avevo lasciato la porta aperta.
Ormai è successo, troveranno le mie impronte ovunque, non ho tempo di preoccuparmi di non lasciarle anche qui.
Non ho tempo di cambiarmi. Vado dritta in bagno e mi lavo le mani e la faccia. Mi faccio una coda ai miei capelli neri. Decido di mettermi un capello. Per fortuna ne trovo uno sulla scrivania.
Prendo dall’armadio un borsone e ci metto dentro le mie maglie,felpe, pantaloni e scarpe. Per fortuna non ho molti vestiti.
Mi prendo la giacca che tengo sempre sulla sedia e mi metto gli occhiali da sole. Guardo il mio pc sulla scrivania. Devo prenderlo, non posso lasciarlo qui. Prendo uno zaino di grandezza media e ci metto dentro il pc con caricabatterie. Voglio portarmi via più delle cose possibili, non voglio che trovano cose che potrebbero rendermi la situazione ancora più complicata.
Per mia fortuna su quaderni, block notes non ho nulla di importante, sono solo appunti della scuola. Prendo le mie amate cuffiette e me le metto in tasca. Metto la giacca, zaino in spalla, borsone in una spalla e mi guardo allo specchio. Mi asciugo le lacrime e prendo un respiro profondo. Prendo il telefono dal letto e me lo metto nella tasca della giacca.
Esco dalla camera, ma mentre sto scendendo le scale sento le sirene della polizia. Sono qua. Non posso uscire dalla porta principale. Guardo per l’ultima volta il corpo di mio padre.
Non posso nemmeno uscire dalla finestra di camera mia. Pensa Audrey, pensa. Vedo che dalla tasca dei jeans di mio padre fuoriescono le chiavi delle auto.
Scendo di corsa le scale e le prendo. Esco dalla porta di retro che si trova in cucina. Una volta uscita, mi avvicino all’angolo del muro.
Mi guardo intorno e cerco di trovare la macchina di mio padre. Riesco a trovarla. Non so come mai, ma non è parcheggiata vicino alla soglia di casa come sempre.
L’ha parcheggiata vicino alla sua tabaccheria di fiducia. Ormai i poliziotti sono entrati in casa, ma alcuni sono di pattuglia fuori. Decido di non correre, sennò sarei troppo sospettosa. Inizio a camminare veloce verso l’auto con la testa abbassata.
Sblocco la macchina. Iniziano a tremarmi le mani, ma non posso mollare adesso. Entro, e chiudo la portiera. Metto in moto la macchina e butto il telefono sul sedile del passeggero. Ho solo un posto dove andare. Butto zaino e borsone nei sedili posteriori. Conosco più o meno la strada della mia destinazione. Per fortuna nessun poliziotto mi ferma e posso andare tranquillamente verso la mia destinazione. Una volta arrivata, parcheggio un po’ più distante, per poi farmela a piedi. Entro nel cancello e vado dritta verso la porta. Busso, guardandomi intorno sperando che nessuno mi veda.
Non ricevendo risposta, busso più volte. Sento dei passi accompagnati dalla voce di qualcuno che si è appena svegliato.
Quando la porta si apre, lascio cadere il borsone e l’abbraccio.

<< Santo Dio, sono quasi le tre del mattino. Che ti salta in mente? >> Connie ricambia l’abbraccio. << Entra. >> Una volta sciolto l’abbraccio, prende le mie cose e mi fa entrare.

<< Connie. Mi dispiace di disturbarti a quest’ora. >> Chiudo la porta e accendo la luce.

Gli occhi di Connie si sgranano davanti alla vista di me stessa con i pantaloni e la maglia ricoperta di sangue. La giacca la porto sempre aperta, e anche se stavolta l’ho chiusa, non copre tutto il sangue che ho addosso.
Non so che fare, non so che dire, non so se sia giusto coinvolgere Connie, nonché mia migliore amica in questo casino che ho combinato. Ho paura che possa sbattermi fuori casa, che non voglia vedermi mai più.
Invece la sua reazione mi stupisce. Va in cucina e ritorna con un bicchiere d’acqua. Me lo porge e mi vado a sedere sul bracciolo del divano. Connie vive da sola. Ha un lavoro che le permette di pagare le bollette e di farsi la spesa. Questa casa gliel’hanno comprata i suoi genitori, ma da lei si aspettavano che si trovasse un lavoro per provvedere alle bollette e alla spesa, frequentando contemporaneamente l’ultimo anno di scuola.
Non voglio rovinarle la vita che si è creata con tanto impegno. Tengo il bicchiere tra le mani, sento che inizieranno a tremare, e per impedirlo, decido di lasciare che sia la gamba a tremare. Appoggio il bicchiere d’acqua sul tavolino che si trova di fronte al divano in salotto.

<< Mi spieghi che cosa cazzo succede? Perché sei coperta di sangue? >> Connie inizia a fare avanti e indietro per la stanza. << Audrey, che cos’hai fatto? >> Mi guarda dritto negli occhi.

<< Connie...ho fatto una cosa orribile. Non so che fare. Mi sono messa nei casini da sola. >> Mi alzo e mi passo una mano tra i capelli. << Ho ucciso mio padre. >> Decido di dirlo direttamente senza giri di parole. << C’era qualcuno in casa. È iniziato tutto perché mia madre è andata in biblioteca come suo solito, ma era passato troppo tempo da quando era andata via. Volevo chiedere a mio padre se sapesse qualcosa, ma mi sono ritrovata una persona a me sconosciuta che ha cercato di farmi del male, ma quando ha sentito il colpo di pistola che ho sparato verso mio padre, è scappato. Non volevo arrivare a tanto, ma mio padre si è lanciato contro di me, anche quando sono scesa con la pistola puntata contro di lui. Mi ha aggredita, e alla fine l’ho accoltellato. Ecco cos’è successo. >> Sento le lacrime che vogliono scendere, ma le ricaccio dentro.

<< Audrey...non so cosa dirti. Ti sei difesa, ma scappando, dimostri altro. Voglio aiutarti, ora vai a farti una doccia, io mi occuperò dei tuoi documenti. Conosco qualcuno che può aiutarmi, ma non adesso. Spero solo che tu non abbia lasciato tracce che possano portare a me. >> Nella sua voce sento un tono di paura, e non posso biasimarla. << Se venissero a cercarmi per il legame che ho con te, sarà difficile organizzare la fuga. >> Ha ragione, ma in questo momento non mi viene in mente se abbia lasciato qualche traccia di lei.

Non rispondo, prendo il mio borsone e salgo le scale. So che Connie non prenderà questo silenzio come un’offesa, sa che in questo momento ho solo bisogno di tranquillizzarmi un attimo. Entro in bagno e appoggio il borsone a terra. Lo apro e prendo il pigiama. Una semplice canottiera bianca e dei pantaloncini corti che arrivano fino a metà coscia neri, almeno domani potrò cambiarmi velocemente. Appoggio il pigiama sul lavandino, e apro l’acqua della doccia. Lascio che si riscaldi mentre mi spoglio. Butto i vestiti sporchi sul pavimento e sospiro.
Sento bussare. Connie entra dopo che le ho dato il permesso.

<< Ti ho portato delle asciugamani pulite. Erano in camera mia, mi sono dimenticata di dirtelo. >> Le appoggia sulla lavatrice. << Questi vestiti è meglio se li butto. Anche se non ti ha visto nessuno, non si sa mai che possano contenere traccie del tuo dna una volta lavate. >> Prende i vestiti. << O preferisci che li brucio? >> La guardo. Non è da Connie, ma capisco perché lo fa.

Annuisco. Mi dà una stretta alla spalla per poi uscire chiudendosi la porta dietro di sé. Sospiro e mi tolgo l’intimo. Non so come farà a bruciarli senza che nessuno se ne accorga, con la confusione che ho in testa, mi sono dimenticata di chiederglielo. Mi guardo allo specchio. Faccio schifo. Ho gli occhi gonfi e rossi, il naso tutto rosso e quel poco di trucco che ho messo, si è rovinato tutto.
Entro in doccia e lascio che il getto di acqua calda m’invada tutto il corpo. I muscoli si rilassano e per dieci minuti mi lascio bagnare dall’acqua senza passarmi nulla. Mi prendo i miei minuti e mi lavo facendo attenzione a eliminare tutto il sangue presente sul mio corpo. Guardo l’acqua rimuovere il sangue. Come vorrei che fosse l’eliminazione di questo incubo, ma per quanto le prove stiano lasciando il mio corpo, i sensi di colpa continuano a mangiarmi.
Niente potrà eliminare ciò che ho fatto, nemmeno l’acqua. Finché non dimostrerò di essere innocente, non mi sentirò libera. Esco dalla doccia e mi metto un asciugamano intorno al corpo, mentre con l’altra mi asciugo i capelli per eliminare le gocce che scendono da essi. Prendo il phon di Connie e mi asciugo i miei lunghi capelli neri che mi arrivano fino a metà schiena. Mi guardo allo specchio e mi rendo conto che dovrò cambiare il mio aspetto. Sicuramente troveranno mie foto in giro per la casa, per quanto non avessi un bel rapporto con i miei genitori, mia madre teneva sulla sua parte del comodino una mia foto fatta con lei di recente.
Non ho avuto tempo di poter andare a rimuoverla. Andrà su tutti i giornali e su tutte le tv. Dovrò cambiare. Colore, taglio, tutto. Mi guardo allo specchio ed osservo per l’ultima volta l’Audrey che mi ha accompagnata in questi 18 anni. Sospiro e metto l’intimo nella lavatrice. Piego le asciugamano e le appoggio sopra la lavatrice. Metto il phon da dove l’ho preso. Metto le ciabatte ed esco dal bagno. Scendo di sotto e vedo Connie sul divano. Le sorrido e mi vado a sedere vicino a lei per parlare al meglio del mio piano adesso che sono più tranquilla.

 

   
 
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