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Autore: Enchalott    10/03/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Scontro nel deserto
 
“Le galere non fanno differenze” mormorò Haffgan, inginocchiato difronte al reggente e privo di qualsiasi connotato emotivo “Il prigioniero non era sufficientemente forte per affrontarle, altezza”.
Lo sguardo freddo e spietato di Anthos indugiò sul corpo di Aska Rei, che giaceva inerte, composto sul tavolaccio di legno consunto posto all’entrata delle carceri. Aggrottò la fronte visibilmente infastidito: che il capitano della Guardia di Elestorya restituisse anzitempo l’anima a Reshkigal non era uno dei suoi intenti primari.
“Ha detto qualcosa prima di morire?” domandò secco.
“Non che io sappia, maestà” rispose il demone guardiano con indifferente rispetto.
L’espressione del sovrano del Nord si fece più cupa e penetrante.
Osservò ancora una volta il viso di Adara, pallido come l’inverno e segnato dal dispiacere. Stringeva nella mano quella ormai inanimata e gelida del suo migliore amico, dell’unico vero fratello che avesse mai avuto nella cruda realtà dei fatti. Ritrovato e nuovamente scomparso. Per sempre. Incapace persino di piangere davanti a quella perdita sconvolgente.
Accanto a lei, Dare Yoon manteneva un contegno decoroso, ma i suoi reali pensieri erano deducibili dalla tensione che gli percorreva le spalle e dalla posizione rigida che aveva assunto. Anche per lui quella fine era evidentemente inaccettabile, come lo era il non poter sfogare liberamente la propria collera repressa.
“Quando mia moglie e i suoi compagni avranno terminato di rendergli omaggio” ordinò perentorio “Bruciatelo secondo i costumi di Iomhar”.
Il soldato trasalì leggermente, ma non obiettò, arroccato nella propria afona dignità.
La principessa sollevò il viso e i suoi occhi scuri luccicarono d’ira.
“Questo non te lo permetto” asserì, tanto calma quanto furiosa “Rei tornerà nella sua terra natale accompagnato da Dare Yoon e riposerà laggiù, dove i suoi cari potranno piangerlo. Dove mia sorella potrà almeno dirgli addio”.
“Intraprendere un viaggio quasi impossibile per seppellire un cadavere nel deserto è una risoluzione quantomai azzardata” commentò il principe con distacco.
“Non è un tuo problema!” sibilò Adara, irremovibile “Non te n’è importato nulla quando era vivo e sarà così anche ora è morto. Inoltre, Dare Yoon è libero di rientrare a Erinna come stabilito prima delle nostre nozze. Mantieni la tua parola!”.
“Quindi sei decisa a privarti della tua guardia del corpo a favore di un’inutile cerimonia funebre dall’altra parte del mare? Non stai ragionando con lucidità!” esclamò lui, irritato per la sua ostinazione e per l’aperta resistenza che gli stava mostrando.
La ragazza tornò a guardarlo, tenace e risoluta, ignorando l’obiezione.
“Resterai tu con me, Anthos” disse con fermezza “Alla fine saremo noi due soli, secondo la promessa che ci siamo scambiati”.
“Se è questo il capriccio che vuoi che io avvalli…” sogghignò il reggente alzando le spalle con sufficienza.
“Sì” disse lei, tornando a fissare il volto cereo e spento del giovane capitano “Lascia che io sfoghi tutta la mia frivolezza per la dipartita di un uomo che ho amato come se fosse del mio stesso sangue. In cambio non pretenderò che tu capisca”.
Il principe incassò la bruciante stoccata e strinse i pugni, spazientito.
“Così avvenga” ringhiò duro “Fai partire anche il tuo Aethalas, se meglio credi!”.
“Narsas non è in grado di affrontare il tragitto. Ma se anche lo fosse, resterebbe qui con me. Ciò che ci lega è una promessa diversa, non fatta di mere parole”.
Una vivida sfumatura di furia transitò per le iridi ambrate del reggente, che tuttavia si limitò a lanciare un’ultima occhiata sprezzante agli astanti.
“Prendi due cavalli, vice comandante” mormorò rivolto all’ufficiale elestoryano “E le scorte di cibo che ti occorrono. Ti lascio alla volontà dell’inverno”.
Poi si voltò e abbandonò il vestibolo nel fruscio serico del mantello scuro.
 
Dare Yoon alzò gli occhi al cielo ed esalò il fiato, sollevato dall’uscita di scena del reggente.
“Per un attimo ho temuto il peggio” affermò, passandosi la mano nei lucidi capelli neri “Ci mancava solo più il rogo funerario…”.
A sua volta, Adara riprese a respirare con regolarità, senza staccarsi dal catafalco improvvisato su cui giaceva l’amico. Gli passò le dita sul volto gelido, angosciata.
“Già…” sospirò, tremando.
Kesthar si alzò, torreggiando su di loro in tutta la sua altezza, cupo e pensieroso nei suoi abiti bruni di inflessibile carceriere.
“Il mio compito termina qui, mia signora” asserì con cortesia “Non posso trattenermi ancora o la mia assenza insospettirebbe chi di dovere”.
“Saprò sdebitarmi con voi, Haffgan” sorrise la ragazza “Senza il vostro inestimabile aiuto, Rei sarebbe stato realmente nella situazione che stiamo simulando”.
“Non ditelo, altezza. La mia parte di rischio è minima. Potrei sempre spergiurare di essere stato ingannato in caso di problemi. Invece voi, maestà, e voi, comandante Dare Yoon, state mettendo a repentaglio la vostra vita per offrire una speranza a Iomhar e a noi tutti. Perciò vi prego, affrettatevi… non c’è molto tempo, il vostro compagno deve uscire dalle mura della capitale quanto prima”.
“E prendere l’antidoto in meno di dieci ore” sottolineò il soldato, incrociando le braccia sul petto “Più siamo lontani da Jarlath, meno incapperemo in possibili delatori”.
Kesthar annuì, deciso, allungando il braccio nerboruto.
I due uomini si strinsero la mano con reciproca stima, poi il guardiano sparì nel groviglio dei corridoi oltre il portone d’accesso, nel suo regno di patimenti e pene.
Adara posò un bacio leggero sulla fronte di Aska Rei e sollevò su di lui la coperta destinata ad avvolgerlo e a occultarlo durante il trasporto.
“Non potrebbe essere in mani migliori delle tue” sussurrò commossa “Mi mancherai infinitamente, Dare Yoon”.
“Ehm…” borbottò lui, imbarazzato dal commiato cui era costretto “Se sapete recitare come avete fatto prima, potrei non credervi…”.
 “Rassicurati, non stavo affatto recitando” sorrise la principessa, scacciando le lacrime “Sono davvero arrabbiata con mio marito. Non ha mostrato un minimo di compassione o di rimorso per aver gettato Rei nelle segrete per tutto questo tempo! Inoltre, tu e lui non siete affatto fuori pericolo…”.
Gli occhi blu notte dell’ufficiale scintillarono, colmi di sicurezza.
“Non temete” assicurò “Come io non temo ciò che avverrà, perché ho fiducia in voi”.
“Allora…” mormorò lei, con la voce che vibrava di commozione “È giunto davvero il momento di dirci addio… non voglio rubare altri minuti preziosi”.
“Preferisco un arrivederci, mia signora” ribatté l’uomo con un inchino.
Adara scosse la testa e gli gettò le braccia al collo.
 
 
Stelio sollevò la spada e vibrò il fendente mortale, falciando l’avversario con maestria e poi subito girandosi ad affrontare quello successivo.
Gli occhi verde chiaro, ribollenti di collera sotto la fronte aggrottata, inquadrarono un punto particolarmente critico della battaglia cruenta che stava infuriando sulla sabbia sfumata di gialli e di bruni, nel cuore di Elestorya. Vi si diresse a passo sostenuto, senza esitare, asciugandosi il sudore.
Le macchie rosse di sangue si confondevano ormai con la tinta scarlatta della sua casacca e gli imbrattavano le mani, il volto e i riccioli ramati.
Una delle frecce fatali degli Aethalas sibilò a un centimetro dalla sua spalla, respingendo uno degli assalitori, che gli si era avvicinato troppo imprudentemente.
Il reggente ringraziò mentalmente Varsya, che aveva schierato gli arcieri migliori ai margini dello scontro, certo della loro mira infallibile, risparmiando loro un corpo a corpo nel quale non avrebbero potuto prevalere.
Poco lontano da lui, Niyla ingaggiava un duello fatto di mosse agili ed esperte contro uno degli Anskelisia, falciando l’aria immobile con quella sorta di alabarda ricurva che solo i guerrieri Thaisa riuscivano a maneggiare con tanta destrezza sulle dune.
Gli Angeli erano apparsi d’improvviso all’orizzonte, avanzando compatti e silenziosi sui cavalli, avvolti da una nuvola di polvere che era stata avvistata all’ultimo. Come se l’argilla ocra li avesse rigurgitati dal ventre della terra in quell’esatto momento.
Le sentinelle dei Guardiani del Mare non si erano lasciate cogliere impreparate e i combattenti delle quattro tribù accampate all’oasi di Zerf erano subito scattate in piedi per respingere gli aggressori.
Come previsto da Zheule, l’assalto era arrivato: solo molto più in forze di quanto si sarebbero aspettati. In quel massacro erano in svantaggio di almeno cinque a uno e pareva che le forze dei reietti fossero in qualche misura inesauribili.
Stelio strinse l’elsa con entrambe le mani, ponendosi di schiena al cognato, e imponendo alle proprie braccia ormai esauste di non cedere.
I nemici sciamavano come corvi, in ondate inarrestabili e prive di qualunque esitazione, indirizzate a distanza da un paio di loschi individui che erano rimasti in sella in disparte a osservare la battaglia.
Il sovrano avrebbe voluto aggirare i dossi friabili per arrivare alle loro spalle e sopraffarli, concedendo un attimo di respiro ai suoi, ma gli avversari soverchianti non gli avevano permesso di sganciarsi. Inoltre, non era affatto certo che i due possibili comandanti fossero esseri umani.
Un altro dardo inchiodò a terra il nemico più vicino, consentendogli di rifiatare. Il re gettò un’occhiata all’uomo che esalava l’anima, contorcendosi tra gli spasmi atroci dovuti al veleno e pensò che l’umanità fosse scomparsa già da prima di quella guerra fratricida, della quale gli Anskelisia non erano che l’ultima manifestazione.
“Maestà!” chiamò una voce alla sua sinistra.
Anshar avanzò attraverso la mischia, affiancato da alcuni dei suoi: i Rhevia non erano guerrieri, ma tutti i superstiti in grado di impugnare un’arma non si erano certo sottratti a quello che giudicavano un loro preciso dovere verso Elestorya.
Gli occhi striati di giada del ragazzo erano lucidi a causa della polvere, ma duri come stiletti d’acciaio.
“Autorizzatemi a tentare una sortita per stanare quei due lassù!” disse, ansimando per la fatica e indicando i leader Anskelisia con un cenno del capo “Non sono molto abile né con la spada né con il pugnale, non sottrarrei energie indispensabili alle nostre difese, mentre privare quest’orda di animali della sua testa potrebbe risultare vantaggioso… o perlomeno creare un diversivo!”.
“Ci ho pensato anch’io” ammise il reggente “Ma non credo sia impresa da poco. Sembrano maledettamente organizzati per essere solo una masnada di predoni dediti alle ruberie. Potrebbe trattarsi di una trappola escogitata ad hoc”.
“Possibile” replicò il giovane bailye “Un’esca per voi, altezza. Prendendovi prigioniero non ci sarebbe più scontro e di questo siamo tutti consapevoli. Tuttavia, i Rhevia possono passare inosservati meglio di quanto non siano capaci di combattere. Inoltre, hanno un conto aperto con gli Angeli…”.
“Questo è ciò che temo maggiormente, Anshar. Che il desiderio di vendetta vi faccia perdere la volontà di autoconservazione. Sei fondamentale per la tua tribù”.
“Comprendo le vostre perplessità, altezza” concesse il portavoce “Ma sono conscio del fatto che non sia questo il momento delle rivalse personali, ve lo assicuro. Vi prego, lasciate che possa esservi utile nell’unico modo che mi è congeniale”.
“Mi stai chiedendo molto, ragazzo…” sospirò con affetto Stelio, che non avrebbe voluto sacrificare quella vita per nessuna ragione al mondo.
“Nessun altro può farlo” considerò sbrigativamente Anshar “Gli Aethalas non possono lasciare le posizioni, la loro mira è la nostra unica garanzia per ora… Niyla non può spostare i Thaisa, che sono al centro dello scontro e stanno facendo da barriera primaria contro gli assalti dei nemici. Quanto agli yafandi dei Melayr, se abbandonano la salvaguardia del campo, tutte le persone lì riunite risulterebbero definitivamente inermi e destinate a una fine orrenda”.
“Già… maledizione!” ringhiò il reggente, che avrebbe dato qualsiasi cosa per avere con sé Kendeas in quel frangente “Il quadro è quello che hai descritto. Stiamo retrocedendo, prima o poi riusciranno a sfondare le nostre fragili linee”.
“Una ragione in più per tentare!” insistette il ragazzo.
Stelio inalò l’aria, fissando la nuova ondata di Anskelisia avanzare attraverso la polvere, priva di qualsiasi esitazione.
“Agisci con saggezza, Anshar” disse, rassegnato all’evidenza “Torna da me… vivo”.
“Agli ordini!” replicò il giovane con un sorriso pago.
Il sovrano del Sud lo osservò allontanarsi, poi rivolse l’attenzione altrove.
 
Anshar retrocedette fino al punto riparato ove due giovanissimi Rhevia lo attendevano, seminascosti dal pulviscolo dorato che si sollevava dal suolo e dai teli mimetici dai toni gialli maculati che avevano alzato sopra le loro teste.
Fece loro un cenno affermativo e iniziò a spogliarsi della lunga casacca che indossava; i compagni lo imitarono, poi tutti e tre iniziarono a colorarsi la pelle abbronzata del viso, del petto e delle braccia con una sostanza terrosa, che in breve conferì loro una tinta identica a quelle calde del deserto. La lunga chioma castana chiara del bailye non ebbe bisogno di ulteriori camuffamenti, mentre i capelli scuri degli altri due vennero accuratamente avvolti in sciarpe della stessa tonalità.
“Togli i bracciali, Daara” si raccomandò poi, esaminando uno dei compagni e posando la spada “Riflettono il sole e tintinnano, non possiamo permetterci sviste”.
Il giovane nomade obbedì, liberandosi anche degli ornamenti tipici della sua tribù, per poi accosciarsi accanto ai compagni.
“Propongo di aggirare lo scontro in questa direzione” indicò il secondo, tracciando alcuni segni nella sabbia “Non conviene avere il sole alle spalle, le ombre potrebbero tradirci. Inoltre, la direzione del vento gioca a nostro vantaggio. Non siamo certi che quelle creature non siano in grado di percepire il nostro odore”.
Anshar approvò, rifinendo gli altri particolari della complicata iniziativa.
“Vorrei riuscire a catturarne uno vivo, Neyosh” si raccomandò “Tuttavia, in caso di emergenza, non lesinate i pugnali”.
Si strinsero reciprocamente le mani in segno di buon auspicio e abbandonarono il rifugio, confondendosi con i colori sfumati della loro terra, avanzando con passo felino e strisciando come ghali nei punti maggiormente esposti.
Lo scontro infuriava con rinnovata violenza e le energie degli Anskelisia parevano eterne rispetto agli assaliti, che ormai stentavano visibilmente a mantenere il ritmo. Le frecce degli Aethalas piovevano regolarmente dal cielo senza fallire, ma il numero dei tiratori si era drasticamente ridotto.
I tre ragazzi continuarono a inoltrarsi tra le dune con pazienza costante, finché non giunsero alle spalle dei due nemici a cavallo.
Non si erano mossi. Se gli animali che montavano non avessero talora scosso le code con fare nervoso, sarebbero parsi due statue d’argilla bruna. Nulla di essi era distinguibile sotto i mantelli marroni dotati di lunghe maniche, che li avvolgevano interamente. Portavano una stola calata sul capo e l’ombra che produceva infossava loro gli occhi, rendendoli sfuggenti.
Anshar sentì il sudore colargli lungo la schiena e il fremito dell’adrenalina. Fece segno ai compagni di aprirsi a ventaglio e indicò loro quello più vicino. Se ne sarebbe occupato personalmente, mentre Daara e Neyosh avrebbero tentato di sopraffare l’altro possibilmente senza ucciderlo.
Il neo eletto bailye scacciò tutti i pensieri, attendendo il momento propizio.
In quel momento la strenua difesa dei Thaisa cedette da un lato e gli Angeli iniziarono a dilagare attraverso l’apertura, trovandosi nell’intralcio dei lunghi bastoni dei Melayr, ultimo baluardo prima del cuore dell’oasi e degli innocenti che custodiva.
Gli yafandi si lanciarono all’attacco con un grido, attirando l’attenzione dei due comandanti nemici, che si scambiarono alcuni rapidi gesti in silenzio.
Anshar diede il segnale.
I tre Rhevia balzarono fuori dal loro nascondiglio come furie, lanciandosi contro gli avversari e disarcionandoli. I due non emisero alcun suono e rotolarono nella sabbia, incalzati dall’improvvisata inaspettata.
Anshar sfoderò il pugnale e mancò di un soffio la gola del suo avversario, che ebbe il tempo di riprendersi e reagì prontamente all’attacco, pareggiando la situazione.
Neyosh e Daara, in perfetta coordinazione, ebbero la meglio sul secondo Angelo: lo inchiodarono al suolo, torcendogli le braccia e minacciandolo con le lame ricurve. Nonostante la forza congiunta dei due ragazzi, questi riuscì a divincolarsi e quasi a liberarsi dalla loro stretta combinata.
Neyosh lo ferì ad un braccio, ma dovette comunque fare appello a tutte le proprie energie per non farsi respingere, incitando il compagno a dargli man forte.
Daara sganciò dalla vita il laccio che aveva appositamente portato e serrò i polsi del riottoso reietto in una morsa, impedendogli ulteriori mosse.
Il nemico grugnì e ringhiò come una belva, contorcendosi e tentando di sciogliere le funi. La sciarpa di tela spessa che portava annodata alla testa gli scivolò sulle spalle, scoprendogli il volto contratto e furibondo.
“Per le sacre dune!” esclamò Daara, sconvolto, osservando l’aspetto ferino e crudele del prigioniero e scorgendo il baluginare agghiacciante delle sue iridi color sangue.
“Un… un Daimar!” gridò Neyosh con voce strozzata, cogliendo velocemente lo sguardo animalesco e il tatuaggio bluastro a forma di triangolo rovesciato sul mento dell’Anskelisia “Non guardarlo negli occhi!!”.
Per tutta risposta, il compagno stracciò un brandello di stoffa dalla cappa della creatura e la bendò all’istante, impedendole qualsiasi incanto maligno. Nonostante la precauzione, l’essere oscuro continuò a soffiare come una serpe e a ribellarsi.
“Tienilo fermo! Se si libera siamo finiti!” lo esortò ulteriormente il primo, accorrendo.
“Anshar!” urlò Daara, impossibilitato ad aiutare il suo capotribù.
Il giovane bailye duellava nella sabbia con il suo avversario in un corpo a corpo che li aveva allontanati dai compagni e si svolgeva senza esclusione di colpi, in un contorcersi di membra che miravano a prevalere. Lanciò un’occhiata agli amici e notò con sollievo che avevano avuto ragione dell’altro nemico, sebbene fossero impegnati a contenerlo con estrema difficoltà.
Raccolse le proprie forze e fece leva sulle gambe, riuscendo ad allontanare la lama letale che continuava a mirare con furia ai suoi punti vitali.
Calò nuovamente il pugnale, che scivolò con clangore metallico sul copri avambraccio dell’altro, avendone deviata la traiettoria fatale.
Anshar udiva le esclamazioni animate dei suoi, che non riuscivano a correre in suo aiuto; osservò con crescente preoccupazione la calma innaturale del rivale, che non sembrava né turbato né sfiatato dalla dinamica colluttazione. Aveva sentito con chiarezza il termine Daimar, ma quello che gli stava difronte era un uomo, sebbene il suo sguardo fosse spento come la cenere del focolare al mattino e portasse un segno triangolare livido impresso sotto la bocca.
L’Anskelisia sciolse la frusta che portava al fianco e si rimise in piedi, bilanciandosi per non sprofondare nella sabbia della duna, che stava scorrendo verso il basso.
La scudisciata partì quasi senza essere visibile e sfiorò con un anelito sibilante la spalla del bailye Rhevia: il non indossare altro che la propria pelle lo rendeva un bersaglio facile e desiderabile per quel reietto senza scrupoli.
Ragionò febbrilmente in cerca di una strategia che pareggiasse lo sbilanciamento evidente di un duello sostenuto tra un pugnale e una sferza.
Anshar non era un guerriero e non possedeva altre armi se non il coraggio indomito del suo sangue nomade. Quello che gli avevano trasmesso i suoi genitori, lo stesso che aveva indotto le sue sorelle maggiori a darsi in pasto agli Angeli del deserto la notte dell’attacco alla loro tribù, pur di saperlo sano e salvo altrove.
Anche lui avrebbe fatto la stessa cosa: si sarebbe offerto per una giusta causa. Attese la staffilata successiva, che fischiò troppo veloce, troppo impercettibile per essere identificata e fermata. La mossa che aveva prefigurato non gli riuscì e il nerbo lo colpì in pieno petto, scaraventandolo all’indietro.
Gli mancò il fiato e la vista gli si annebbiò. Udì le grida disperate dei suoi compagni e per un istante si dette per perso. Ma le sue dita stringevano ancora il manico del coltello ricurvo, quello che era appartenuto a suo padre, mentre l’ultima espressione che sua madre gli aveva lanciato prima di spingerlo fuori dalla tenda gli comparve dinnanzi, marchiata a fuoco nell’anima insieme con la sofferenza per la sua morte e lo spinse a non rassegnarsi.
Boccheggiò in cerca d’aria e si raddrizzò sulle ginocchia, squadrando il riso di scherno sulle labbra crudeli del rivale. Se non fosse riuscito ad avere ragione di un semplice tirapiedi di quart’ordine, non avrebbe mai potuto ambire a sfidare Laras in persona. Tantomeno il nemico fatto di oscurità e male che aveva steso la sua fredda ombra sulla rena del deserto, che per lui era casa.
La piaga sul torace descriveva un arco obliquo sui suoi muscoli scoperti e bruciava come le fiamme eterne. Ogni respiro era liquido ardente e spossante.
Si mise in piedi e attese il nuovo guizzo della frusta, fissando lo sfidante senza paura.
L’offensiva non si fece attendere: lo scudiscio scattò in avanti, colpendogli il braccio sinistro, seppure di striscio, e riempiendogli gli occhi di punti bianchi vorticanti.
Eppure era andato più vicino a realizzare le proprie intenzioni. Inalò l’ossigeno che gli serviva e ricominciò a ignorare l’atroce pulsare delle due ferite. Si concentrò sul ricordo delle sue sorelle, che erano le danzatrici tyala più belle che avesse mai conosciuto e rivide i loro movimenti agili e sinuosi, frutto di un esercizio paziente e costante. Un allenamento cui talvolta aveva partecipato per gioco, poiché a nessun maschio dei Rhevia era vietato svolgere un’attività prevalentemente femminile.
Aspettò la sua occasione e fu premiato: la sferza si allungò nuovamente nella sua direzione, ma Anshar era pronto. Lasciò che gli si avvolgesse intorno al polso sinistro, ignorando la nuova fitta spasmodica sull’epidermide lacerata, e la trattenne saldamente. La frusta si tese come la corda di uno strumento musicale e l’Anskelisia tentò inutilmente di tirarla dalla sua parte.
Il ragazzo fece in modo che girasse intorno al proprio braccio e si avvicinò lentamente, mentre l’avversario fremeva di disappunto, facendo forza sull’impugnatura. Un rumore intenso nell’aria contribuì a spezzare ulteriormente l’attenzione del nemico, deconcentrandolo.
Il bailye prese la rincorsa e saltò come un acrobata, come aveva fatto tante volte per imitare Ishat e Lilah, girandosi a mezz’aria come se fosse dotato di ali. Atterrò alle spalle del nemico, sbilanciandolo e trascinandolo a terra in un grugnito ringhiante di sorpresa. Non esitò ulteriormente e approfittò del momentaneo vantaggio, raggiungendolo con la velocità del vento.  Abbassò il pugnale e gli squarciò la gola.
L’uomo si immobilizzò e poi si rilassò definitivamente senza emettere alcun gemito, mentre il sangue zampillava dalla ferita colorando la sabbia di scarlatto.
Anshar cedette e crollò a terra, ansimando per lo sforzo e per l’orrore, poiché non aveva mai ucciso e mai si sarebbe aspettato di essere costretto a spezzare una vita per salvaguardare la propria. Fu invaso da un’ondata di nausea.
Daara e Neyosh gridarono il suo nome, trascinando a forza il loro prigioniero ribelle nella sua direzione.
“Sei ferito, Anshar?”.
“Niente di irrecuperabile”.
“Cielo, guarda che segno profondo ti ha lasciato, stai sanguinando!”.
“Lo vedo. Ragione in più per rientrare velocemente al campo”.
“Riesci a camminare?”.
“Sì… voi andate pure avanti”.
“Noi non ti lasciamo, bailye… e poi il nostro ospite non collabora come vedi”.
“Cos’è successo mentre combattevo? Ho sentito un clamore più intenso, gli Anskelisia non ci avranno…” domandò faticosamente il giovane capotribù.
“No” lo rassicurò Daara “No. Sono giunti gli Iohro. Abbiamo vinto”.
I giovani Rhevia osservarono dalla cima sopraelevata della duna la rapida e disordinata ritirata degli Angeli del deserto, privi dei loro capi e incalzati dai guerrieri Iohro, arrivati appena in tempo per scongiurare il peggio.
“Siano ringraziati gli dei” mormorò Anshar, tirando un sospiro sollevato “Possiamo ancora sperare”.
La creatura bendata si contorse, gorgogliando quasi senza muovere le labbra parole spaventose, che congelarono il sangue nelle vene ai tre compagni.
“Sperate di morire” soffiò maligna “Speratelo, prima che il nostro signore si mostri”.
Il manico decorato del pugnale di Neyosh si abbatté pesantemente sulla sua tempia, interrompendo lo sfoggio eccessivamente gioioso e carico di oscuri presagi. Il Daimar dalla forma umana si accasciò a terra.
“E stai un po’ zitto!” abbaiò il ragazzo “Mi hai proprio stancato!”.
“Il reggente vorrà interrogarlo” disse Anshar.
“Si riprenderà” concluse Daara con un sogghigno “Appoggiati a me, bailye…”.
“Non chiamarmi così, ci conosciamo da quando gattonavamo nella sabbia!”.
“Ciò non toglie che tu sia la nostra guida, ora” ribatté l’amico, sorreggendolo.
Si diressero verso l’oasi trascinando di peso il nemico sconfitto.
 
Stelio lasciò che uno dei guaritori Aethalas si occupasse della lacerazione che gli insanguinava la gamba, invero più un fastidio che una vera ferita, e sorrise al portavoce degli Iohro, prostrato rispettosamente a terra.
“Alzati immediatamente, Eisen. Ti trascinerei in piedi io stesso, ma al momento mi stanno intrattenendo, come potrai notare quando ti deciderai a guardarmi”.
L’uomo sollevò il capo, pur rimanendo in ginocchio: i suoi occhi bruni dalle sfumature color dattero, evidenziati dalla lunga riga nera dipinta sulla palpebra inferiore, scintillarono d’orgoglio.
“Mi dolgo per non essere giunto prima, maestà” pronunciò con voce chiara “Quando abbiamo ricevuto il vostro strik, eravamo accampati sul confine nord”.
“Hai fatto in un lampo, invece!” obiettò il re, sorpreso “Gli Iohro avranno corso come dannati per raggiungere Zerf! Di questo ti sono sinceramente grato, Eisen, senza i tuoi formidabili guerrieri adesso saremmo tutti cibo per predatori”.
Il bailye sorrise, scuotendo la testa: gli orecchini di pietre bianche tintinnarono allegri tra le corte ciocche castane, trattenute dalla fascia rossa e oro.
“Il resto della tribù sopraggiungerà al più tardi dopodomani” affermò “Ho ordinato la mobilitazione generale, non mi è sembrato il caso di lasciare anziani e bambini laggiù, privi di sostegno”.
“Una decisione accorta. Gli Anskelisia hanno attaccato anche voi?”.
“No, maestà. La distanza ci ha salvaguardati, ma essi sono un’inammissibile minaccia per il Regno, dunque intendo combatterli con tutte le forze disponibili e sono ai vostri ordini. Purtroppo, mi duole riferire che gli Angeli non sono l’unico problema”.
Stelio aggrottò la fronte. Al suo fianco, Varsya e Zheule si guardarono, impensieriti.
“Il Pelopi” precisò Eisen “La sua risacca è avanzata. Seppur impercettibilmente al momento, il fenomeno è molto evidente durante la marea. E poiché qui non piove troppo abbondantemente, suppongo che l’origine dell’evento sia da ricercare al Nord”.
“Così come la piena inconsueta del Fiume Rosso” interloquì Ayonira dei Melayr.
“Allora non esiste più il minimo dubbio” sospirò il reggente, allontanando con un cenno gli efficientissimi guaritori Aethalas e alzandosi senza mostrare fatica “L’apocalisse non solo è iniziata, ma ci sta tallonando a velocità forsennata. Le mani che stanno guidando la Profezia non sono umane, così come mia figlia Dionissa ci ha indicato l’ultima volta. Possiamo soltanto combattere e sperare”.
“La principessa Adara ha dato sue notizie? Se Iomhar viene invasa dal mare, Anthos sarà costretto a intervenire almeno a proprio favore!” esclamò Varsya, irato.
“Non di recente” rispose il reggente, in pena “Suppongo che non abbia ancora trovato traccia di Irkalla… e che il problema primario del principe del Nord sia proprio il Distruttore”.
“Ho fiducia in mia nipote” asserì Zheule, serio “Ma che una giovane donna riesca a contrastare le decisioni di un dio, addirittura priva del sostegno del signore del Nord, è fuori questione. Ci servirà un miracolo!”.
“Alle volte i prodigi consistono nelle cose più semplici, bailye…” sorrise Ayonira, risollevando di un pizzico il morale ai presenti con il suo ottimismo “Oppure in un solo evento fuori da ogni logica, invisibile agli occhi dei più. Non diamoci per vinti a priori”.
“Inoltre, non è detto che Irkalla abbia deciso di sterminarci tutti” convenne Zheule “La sua collera potrebbe rivolgersi unicamente all’usurpatore che regge il Medaglione”.
“O al traditore del sangue” suppose Varsya “Scommetterei più su di lui e sulla sua doppiezza, che su Anthos come signore dei Daimar che ci stanno attaccando…”.
“Non ci resta che far confessare questa ignobile esistenza per sciogliere ogni sospetto!” disse una voce sicura alle loro spalle.
Anshar avanzò con nobiltà sotto il padiglione bianco destinato ai capi delle tribù lì riuniti, trascinando con scarsa cortesia il suo prigioniero.
Era ancora sporco di terra e la lesione sul suo torace nudo spiccava violenta sulla polvere con cui si era mimetizzato. I morbidi pantaloni nocciola erano stracciati e la lunga coda di cavallo castana era scompigliata, ma gli occhi sfumati di giada brillavano di fierezza. Aveva compiuto quanto promesso.
“Dei!” enfatizzò Varsya, fissando sconvolto la creatura nera ancora tramortita.
Eisen si levò di scatto, ponendo la mano sul balato affilato che portava in vita.
“I suoi occhi hanno il colore dell’odio” affermò il portavoce Rhevia “Dobbiamo usare la massima cautela”.
Stelio gli pose una mano sulla spalla, esibendo un’espressione ammirata.
“Onore a te, Anshar, e al sangue che ti scorre nelle vene” affermò solennemente “L’occasione che hai creato a rischio di te stesso non andrà sprecata. Convocate immediatamente le sacerdotesse Kalah. E un guaritore… le ferite si portano con orgoglio, ma solo da vivi!”.
   
 
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