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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    11/03/2020    1 recensioni
[Angst/HurtComfort/FamilyFluff][PostHades]
Versione riveduta e corretta, divisa opportunamente in capitoli, della mia fic con lo stesso nome.
Quando non si sa se le cose miglioreranno o meno, quando un certo numero di segreti sono talmente dolorosi da rischiare di distruggere una famiglia ancora prima che questa possa muovere i primi passi...
Quando la Guerra Santa porta ferite molto più profonde di quelle fisiche.
Genere: Drammatico, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Pegasus Seiya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nei Giardini Che Nessuno Sa'
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CAPITOLO 16

PER RIVENDICARE IL POSTO CHE MI SPETTA

Fischiettando una versione un po’ stonata di Omatsuri Mambo, Meiko attraversò il corridoio diretta alla stanza di Seiya-kun bilanciando tra le mani una tazza di tè e una pastiglia di antipiretico.

 

Il corridoio era semi-illuminato, tutto era tranquillo e lei già pregustava un turno di notte pacifico, per una volta; giunta di fronte alla porta, bussò una volta prima di chiamare con voce bassa ma chiara il nome dell’occupante: “Seiya-kun, sono Meiko. Posso entrare?”

 

Ma la giovane infermiera non ottenne alcuna risposta.

 

Riprovò, questa volta con un tono di voce un po’ più alto: “Seiya-kun, posso entrare?”

 

Il silenzio avvolgeva corridoio e stanza.

 

Inquieta, Meiko aprì la porta, venendo investita da una corrente di aria gelida che, per un attimo, le mozzò il respiro in gola mentre i suoi occhi si abituavano all’oscurità della stanza, ingentilita unicamente dalla luce che proveniva dall’esterno, dalla Luna nel cielo invernale glaciale.

Luna che, illuminando il letto posizionato proprio sotto alla finestra, lo mostrò vuoto, come un nido da cui erano volati via tutti i pulcini.

 

La tazza le cadde di mano e si infranse con un fragore quasi assordante sul pavimento, spargendo il liquido caldo sulla moquette.

 

“SEIYA-KUN!”

 

§§§

 

Saori stava salendo le scale che portavano alla zona notte della villa dietro a Jabu quando la voce di Akiko-san la bloccò con il piede a mezz’aria mentre la cameriera, con il telefono in mano, entrava di corsa nell’atrio da un corridoio laterale.

 

“Ojou-sama! È Meiko-san dalla clinica, è successo qualcosa a Seiya-bocchan!”

 

I capelli di Akiko, solitamente in perfetto ordine, erano spettinati e lo sguardo, normalmente rassicurante, era ansioso; in piedi nel bel mezzo dell’atrio, fissava la padrona e i padroncini con espressione sconvolta.

 

Saori, voltatasi di scatto, scese rapidamente i gradini con un lembo del vestito in mano per evitare di inciampare e, seguita dai ragazzi sui cui volti passava ogni sorta di sentimenti negativi - dalla paura alla preoccupazione -, la raggiunse e le prese di mano l’apparecchio.

 

“Meiko-san? Che succede?” chiese Saori.

 

“Ojou-sama, Seiya-kun è sparito dalla sua stanza! La finestra era aperta e non lo troviamo da nessuna parte…”

 

“Avete controllato in mensa?”

 

“Jean-kun ha chiesto anche al guardiano notturno e ai responsabili degli altri piani, nessuno l’ha visto.”

 

Nella mente di Saori passarono mille idee, una più preoccupante dell’altra, poi prese un bel respiro, chiuse gli occhi per un attimo e poi li riaprì, più calma: “D’accordo. Torniamo subito, il tempo di arrivare. Intanto voi continuate a cercare, per favore.”

 

“Sarà fatto, ojou-sama… Ma se fosse uscito dal cortile della clinica e si fosse diretto in città?”

 

“Non appena lì, valuteremo cosa fare. Per ora, continuate a cercarlo. Noi stiamo arrivando.”

 

“Vi aspettiamo.”

 

§§§

 

Sasagawa Yoshiko aveva iniziato da poco a coprire i turni di notte in quella piccola clinica di periferia ma non aveva mai avuto esperienze negative, fino a quel momento.

Era appena uscita dalla piccola sala ristoro con una tazza di tè bollente in mano quando sentì il fruscio delle porte scorrevoli che si aprivano e, alla luce asettica dell’ingresso, vide quel ragazzo collassare sul pavimento, sanguinante, mentre teneva tra le braccia un altro ragazzino, praticamente un bambino, in condizioni decisamente peggiori.

 

Agitata, posò la tazza di carta sulla prima superficie piana disponibile, dopodiché corse loro accanto: era il medico di guardia e doveva fare del suo meglio.

 

Con delicatezza, aveva scosso la spalla del ragazzo più grande nel tentativo di rianimarlo: “Mi senti? Io sono Sasagawa, cerco di aiutarti. Tu come ti chiami?” chiese a voce bassa lei, esaminando al contempo quel poco che le era permesso; la sua attenzione venne quasi subito attirata dall’involto di giacca e scialle ormai irrecuperabili che lui teneva tra le braccia, e dalla voce quasi inudibile del maggiore: “M-Mio fratello…” sussurrò con voce strozzata, Yoshiko ancora non riusciva a vederlo in viso, “H-Ha bisogno…”.

 

La donna annuì e, seppur a fatica, riuscì a fargli sciogliere la presa quel tanto che bastava per vedere la blusa del pigiama del bambino zuppa di sangue all’altezza del petto.

Manovrando con attenzione, la donna riuscì infine a sollevare un lembo di stoffa della blusa, salvo poi sentire il respiro bloccarsi nella sua gola: qualcuno, dall’aspetto avrebbe scommesso su un tirapugni, aveva lesionato una parte di tessuto cicatriziale piuttosto recente – era ancora roseo e morbido al tatto – e buttava fuori sangue.

Rischiava una brutta infezione.

 

“Hiroshi-kun! Porta una barella!” gridò la donna, rivolta in direzione del corridoio buio.

 

Si udì un tramestio di passi e metallo, poi un fruscio di ruote e infine fece la sua comparsa una barella lucida, spinta da un giovane infermiere dai corti capelli neri e con un paio di spessi occhiali sul naso che doveva avere l’età della dottoressa; lui la raggiunse e si chinò al suo fianco, senza dire nulla, in attesa di istruzioni.

 

“Portalo in sala visite 1, prepara tutto l’occorrente per disinfettare e suturare e aspettami.” Disse lei indicando il ferito: “In fretta, per favore.”

 

L’altro annuì e, aiutato da lei, caricò il ragazzino sulla barella prima di tornare da dove era venuto.

 

Yoshiko sospirò, dopodiché si voltò verso l’altro ragazzo per assicurarsi che stesse bene, che non avesse anche lui delle ferite, ma lo trovò seduto per terra.

Con le mani ancora grondanti di sangue.

 

Era sotto shock.

 

La donna gli posò con gentilezza e fermezza una mano sulla spalla: “Ascolta, io devo andare a occuparmi di tuo fratello…” azzardò lei; lo vide trasalire, ma non fece alcun verso o emise parola, rimase semplicemente immobile.

 

Titubante, Yoshiko continuò senza però interrompere il contatto: “Puoi aspettarci qui, potresti sederti lì.” propose, indicandogli la fila di divanetti poco distante, “E puoi usare il bagno dietro quella porta, se vuoi darti una ripulita.”

 

Il ragazzo non disse nulla, non fece alcun movimento, eccetto che per l’alzarsi in piedi, e andò a posizionarsi nell’angolo più estremo della stanza, puntando quindi gli occhi sul corridoio deserto.

La dottoressa sospirò ma si affrettò nella stessa direzione del suo collega: aveva un paziente di cui occuparsi e doveva fare presto.

 

§§§

 

Erano quasi le tre del mattino quando lei e Hiroshi uscirono dalla sala visite dopo aver accompagnato il paziente in una stanza e averlo messo a letto.

 

Il fratello non si era mosso, era ancora nella stessa posizione in cui Sasagawa l’aveva lasciato; e fu proprio lei che, seppur incerta, lo avvicinò di nuovo e gli si sedette accanto.

 

“Tuo fratello ha perso sangue, ma abbiamo curato la ferita, l’abbiamo disinfettata, e abbiamo inserito una flebo di liquidi e glucosio, compresi degli antibiotici per la febbre che è salita. Gli abbiamo anche somministrato un leggero calmante perché era molto agitato, piangeva e chiamava un nome. Per caso tu sei Ikki?”

 

Ikki trasalì, ma dopo qualche secondo annuì piano.

 

“Posso farti qualche domanda? Poi ti accompagnerò da lui.”

 

Lui annuì ancora.

 

La donna trasse di tasca un bracciale in plastica, sporco di sangue e chissà cos’altro, le scritte erano praticamente illeggibili, tranne per uno o due kanji: “Aveva questo al polso, era per caso ricoverato da qualche parte? Avete qualcuno da avvertire? Me ne occuperò io.”

 

Ikki, davanti a lei, si passò una mano sul viso, il primo movimento da essere umano che lei gli aveva visto fare da quando erano arrivati lì: “S-Sì, credo di sì… Credo che fosse ancora ricoverato alla clinica della Fondazione Graude. Loro possono... Possono chiamare…”

 

La voce del ragazzo davanti a lei era strana, roca, come se il proprietario non la usasse da molto tempo e come se l’utilizzarla gli causasse dolore fisico.

 

Yoshiko si appuntò mentalmente quelle informazioni, poi gli rivolse un sorriso amichevole: “Si rimetterà, ora farò una telefonata e dirò loro che Ikki e…?”

 

“Seiya.”

 

“Che Ikki e Seiya sono qui. Ora puoi andare da lui, Ikki-kun, è nella stanza 106, in fondo al corridoio.”

 

Quando Hiroshi la raggiunse, la trovò al bancone dell’accettazione intenta a frugare in mezzo a una pila di fogli: “Non so cosa sia successo.” esordì lei senza neppure alzare lo sguardo, “Ma Seiya-kun deve essere scappato dalla Clinica Graude. Sto cercando il loro numero.”

 

Hiroshi sgranò gli occhi: “Dalla Clinica Graude?! Come ha fatto?” chiese lui, “Ma soprattutto, come sono riusciti ad arrivare qui?!”

 

“Non lo so,” rispose Yoshiko mentre appuntava un numero di telefono su un foglietto: “Ma viste le sue condizioni, è già tanto che Seiya-kun sia arrivato fin qui vivo.”

 

Hiroshi la osservò sollevare il cordless dalla sua base e digitare il numero segnato prima di avvicinare l’apparecchio al proprio orecchio; Yoshiko, da parte sua, sperava di trovare al più presto qualcuno: non osava pensare alla preoccupazione della loro famiglia in quel momento.

 

§§§

 

Il telefono dell’accettazione della Clinica suonava insistentemente da qualche minuto, costringendo Meiko ad affrettarsi lungo il corridoio deserto e abbandonare le ricerche di Seiya.

 

Stringendo i denti per la frustrazione, la giovane donna ripensò con preoccupazione agli avvenimenti delle ultime ore, dalla sua scoperta della stanza vuota di Seiya-kun alla telefonata a Kido Manor, con conseguente precipitarsi di Saori-ojousama e dei signorini; ricordò con tristezza l’espressione sconvolta di Shiryu-kun e le sue mani tremanti, a malapena controllate mentre Shun-kun e Hyoga-kun gli stavano accanto per rassicurarlo.

 

Jabu-kun e gli altri invece si erano subito messi alla ricerca del fratello scomparso, dividendosi tra la clinica, il giardino e i luoghi dove poteva essersi diretto.

 

Erano appena rientrati, ed erano nello studio di Makishima-sensei per fare il punto della situazione, mentre lei e i suoi due colleghi facevano un ultimo giro nella speranza che fosse ancora nell’edificio, anche se con scarsa fiducia.

 

Meiko raggiunse infine il bancone e sollevò il cordless con stizza: “Clinica Graude, come posso aiutarla?” rispose, cercando di controllare il proprio umore e al contempo mostrarsi professionale.

 

Fu una voce femminile a risponderle, stanca e tesa: “Mi dispiace per l’ora, qui è la Clinica Hirameki, di Arakawa-ku. C’è qualcuno con cui posso parlare? È urgente.”

 

Meiko sospirò e si premette il ponte del naso per allontanare un mal di testa in arrivo: “Mi dispiace, abbiamo un’emergenza al momento, potrebbe richiamare domani, per favore?”

 

La donna all’altro capo della linea la interruppe: “Due ragazzi sono arrivati qui da noi poche ore fa, uno dei due era in brutte condizioni ma è stato soccorso e adesso è stabile e riposa. L’altro ragazzo ha detto di chiamarsi Ikki e ha detto di essere il fratello del ferito, Seiya-kun. Vi risultano pazienti con questo nome? Ikki-kun non ha saputo darmi altre informazioni, tranne che probabilmente era ancora ricoverato lì da voi.”

 

Nel sentire quei due nomi, Meiko ebbe un tuffo al cuore subito seguito da una sensazione di leggerezza e sollievo estreme; si aggrappò all’apparecchio come se fosse stato un’ancora e non si curò di asciugare un paio di lacrime che le caddero dagli occhi: “Grazie al cielo!” esclamò con voce rotta lei mentre con una mano andava a frugare sul bancone alla ricerca di un foglio di carta per appuntarsi le informazioni, “Sì, Seiya-kun è nostro paziente e Ikki-kun è suo fratello maggiore, sono scomparsi da ore e la loro famiglia è davvero molto preoccupata. Può darmi l’indirizzo preciso? Manderò subito qualcuno a prenderli per riportarli qui.”.

 

Dall’altro capo della linea, Yoshiko sospirò di sollievo poi fece cenno a Hiroshi di avvicinarsi mentre Meiko le spiegava succintamente le condizioni mediche di Seiya-kun e a cosa fare attenzione intanto che lei organizzava il trasporto.

 

L’infermiera della clinica Graude era così immersa nella conversazione che per poco non le sfuggì il passaggio di Saori, seguita dai suoi ragazzi; quando la notò, a capo chino e con le labbra strette, fu veloce a interrompere la dottoressa in linea: “Aspetti, sono qui… Saori-ojousama!” chiamò Meiko, coprendo con la mano il microfono del telefono: “Saori-ojousama, c’è una dottoressa di un’altra clinica in linea, dice che Seiya-kun e Ikki-kun sono da loro, li hanno soccorsi.”

 

Athena attraversò il corridoio a larghi passi, seguita dal gruppo di ragazzi che parlottavano gli uni sopra gli altri concitati, ma fu la giovane tycoon a prendere il cordless e a portarselo all’orecchio: “Kido Saori, chi parla?” domandò con tono serio.

 

La voce dall’altra parte era tesa ma professionale: “Pronto, sono Sasagawa, clinica Hirameki di Arakawa.”

 

“È vero quello che mi è stato riferito?”

 

“Sì, Kido-san. Seiya-kun e Ikki-kun sono qui da noi. Si sono presentati qui poche ore fa, Seiya-kun aveva una brutta ferita sul petto che abbiamo curato e fasciato, ma ha la febbre piuttosto alta. Lo ha portato qui Ikki-kun in braccio e ora è con lui in una stanza.”

 

Saori sospirò di sollievo, lasciandosi sfuggire anche un piccolo sorriso: “Arriverò subito a prenderli. Seiya è scappato dalla clinica senza che nessuno se ne accorgesse.”

 

“Sospettavo fosse qualcosa del genere… Era in pigiama e indosso aveva soltanto un piccolo scialle di lana, troppo poco per proteggersi dalla neve. Mi dispiace aver disturbato a quest’ora.”

 

“Non si scusi, ha fatto la cosa giusta. Per favore, lo prepari per il trasporto. Saremo lì il più presto possibile.”

 

“Sarà fatto. Vi aspettiamo.”

 

Quando Saori riattaccò, il primo volto che vide fu quello stralunato di Shiryu, i cui grandi occhi verdi erano velati di lacrime: “Seiya sta bene.” si affrettò a rassicurarlo lei prima di posargli le mani sulle spalle, “Ikki è con lui, no, non ci ho parlato.” Saori rispose in fretta alla domanda inespressa negli occhi di Shun, “Ma partirò non appena Makishima-sensei avrà fatto preparare un’ambulanza.”

 

“Dove sono?” domandò Shun con voce bassa.

 

“Arakawa… Non ho idea di come siano finiti lì ma chiederò informazioni appena arriverò.”

 

“Possiamo venire anche noi?” chiese Hyoga con tono irrequieto, subito spalleggiato da Jabu al suo fianco: “Esatto! Seiya ha bisogno di noi!” esclamò Unicorn.

 

“Calmatevi, ragazzi. Non voglio portarvi con me non per cattiveria, ma perché prima vorrei capirne di più” Saori scosse la testa e prese le mani di Shiryu, ancora di fronte a sé: “Non sappiamo cosa sia successo, se Seiya è scappato senza dire alcunché ci deve essere un motivo e credo che una folla preoccupata possa soltanto peggiorare la situazione. La presenza di Ikki è un altro discorso, comunque. Vorrei prima parlarci e capire, per poter aiutare anche lui e non lasciarlo solo. Ho fatto una volta questo errore, non voglio ripeterlo.”

 

“Saori-ojousama ha ragione.” disse Geki, a braccia conserte dietro Shiryu: “Non vediamo Ikki da settimane, nonostante l’abbiamo cercato in lungo e in largo. Si comporta come un animale ferito e non siamo in grado di aiutarlo, non da soli. È meglio essere prudenti e solo Athena può fare qualcosa per lui in questo momento.”

 

Sconfitto, Jabu fece un passo indietro: “D’accordo… Però è frustrante.”

 

Ban gli stinse la spalla con la mano: “Lasciamo che se ne occupi Saori-ojousama. Siamo troppo agitati e preoccupati, rischiamo di peggiorare soltanto le cose e allontanarlo ancora di più.”

 

Jabu affossò le mani nella tasca unica della felpa e incassò il collo nelle spalle: non disse nulla, ma il suo atteggiamento parlava per lui, parlava di preoccupazione, ansia e voglia di risposte che tuttavia dovevano aspettare.

 

“Perché non tornate a casa a riposare un po’? Chiedo a Tatsumi di venirvi a prendere.” propose Saori, venendo però accolta da sguardi nel panico e saettanti da una parte all’altra, quello di Shun era quasi supplice mentre si aggrappava alla spalla di Hyoga; nessuno dei ragazzi sembrava a proprio agio con quella proposta.

 

“Noi resteremmo qui, se non è un problema.” disse Ichi con lo sguardo tenuto basso: “Vorremmo aspettare il ritorno di Seiya e assicurarci che stia bene.” aggiunse Ban; gli altri annuirono, stringendosi gli uni agli altri come se le rispettive presenze fossero l’unica medicina a quella malattia che li torturava, quella dell’assenza e dell’incertezza.

 

Con un sospiro, Saori annuì, consapevole che impedirglielo sarebbe stato inutile e, forse, anche deleterio perché avrebbero senza dubbio trovato un modo per tornare in clinica o, peggio, per seguirla: “Va bene. Ma cercate di riposare un po’, è stata una nottata difficile per tutti.”

 

I ragazzi annuirono e, senza allontanarsi troppo gli uni dagli altri, andarono a sedersi sulla panca contro la parete del corridoio che portava alla stanza di Seiya, parlando a bassa voce tra loro.

 

Fu in quel momento che Satsuki entrò nell’atrio dalla porta principale senza neppure togliersi il cappotto e raggiunse ad ampi passi Saori: “Ojousama, l’ambulanza è pronta, ci aspetta fuori. Makishima-sensei ha chiesto di accompagnarla per assistere Seiya nel rientro.”.

 

La giovane donna le rivolse un cenno con il capo poi, con un sorriso ai ragazzi, si congedò da loro e la seguì all’esterno, nella notte buia e gelida.

 

§§§

 

“Seiya-kun è davvero scappato dalla Clinica Graude, Hiroshi-kun. Al telefono, ho parlato con Kido Saori-san.”

 

“Kido Saori? Quella Kido Saori?

 

“Credo di sì, sta venendo a prenderli.”

 

“Di persona?!”

 

“Sì. Non vorrei sbagliarmi ma… da quel poco che sono riuscita a decifrare del braccialetto di Seiya-kun, ho intravisto quello che mi sembrava la prima parte del cognome Kido. Che siano parenti?”

 

“Forse la Fondazione se ne sta occupando, in fondo sono famosi per la gestione di istituti e case-famiglia. E poi, non ho mai sentito di un altro membro della famiglia Kido, men che meno di altri due… Ikki-kun ha detto di essere suo fratello, no?

 

Appoggiata al bancone, Yoshiko sospirò prima di scuotere la testa: “Non ne ho idea… Aspettiamo che arrivino e vedremo. Perché non vai a stenderti un po’? Io controllo i nostri ospiti.”

 

§§§

 

“Mamma… Natassia-mama… Otou-san… Ikki-niisan mi odia…”

 

Abbandonato tra le braccia della madre sulla riva di quel fiume così familiare, Seiya singhiozzò disperato, con il corpo magro che sussultava per gli spasmi dovuti alle lacrime e alla disperazione che gli aveva attanagliato le membra, dolorosamente consapevole dei sentimenti che bruciavano negli occhi del fratello maggiore quando si era parato dinanzi a lui dopo averne seguito il Cosmo rovente attraverso tutta la città innevata e glaciale.

 

A nulla, sembravano servire gli accorati appelli delle donne in forma di spirito che lo circondavano, avvolgendolo di amore e calore.

 

“Bambino mio…” mormorò la madre, accarezzandogli con dita quasi impalpabili i capelli sudati per la febbre: “Ikki non può odiarti…” sussurrò un’altra voce, simile a quella di Shun, che aveva aggiunto le proprie mani alle carezze delle compagne, “Siete fratelli, condividete lo stesso sangue e avete condiviso lo stesso dolore, ma è spaventato, tanto.” la madre dei suoi fratelli aveva gli occhi lucidi che le illuminavano il viso incorniciato da una cascata di capelli color del rame e contratto per la tristezza.

 

Lei gli accarezzò la guancia e gli posò un bacio sulla fronte: “Non sa affrontare tutto questo, il mio bambino ha paura, più di quanta ne abbia mai avuta in vita sua. Ha avuto paura dei suoi sentimenti verso di voi, di perdere tutto, di perdere la sua famiglia dopo averla ritrovata, ha avuto paura perfino di toccarvi, temendo di essere lui la fonte della vostra distruzione, come già pensa sia stata sua responsabilità in passato… Non biasimarlo, piccolo.”

 

“Ma io sono qui!” singhiozzò Seiya con voce strozzata: “Mi ha evitato per settimane… ma io sono qui e sono vivo. Sono tornato per lui.”

 

“Non odiarlo per la sua debolezza, bambino mio, perché lui ti ama, ma non riesce a liberarsi della propria oscurità.”

 

“Io non lo odio!” la voce disperata di Seiya riecheggiò sulle sponde del fiume, sotto il cielo terso del mondo spirituale: “È mio fratello, è la mia famiglia, come faccio ad odiarlo?!” gridò, “Io voglio rivederlo… Parlargli… Abbracciarlo e rassicurarlo che andrà tutto bene… Che sono ancora qui e che non me ne andrò…” tra le braccia della madre, sembrava avesse le convulsioni.

 

“Papà… Aiutami…”

 

Mitsumasa Kido apparve nella corolla di visti apprensivi, il suo volto burbero emanava luce e calore.

 

“Combatti, figlio mio.” disse soltanto: “Combatti ancora una volta, per il posto che ti spetta nel mondo terreno… Combatti anche per tuo fratello. Devi essere forte ancora una volta.”

 

Il grido che eruttò dalla sua gola lacerò il silenzio e il legame spirituale che lo univa a loro, ne vide i visi preoccupati ancora per un attimo prima di ripiombare nell’oscurità di una stanza sconosciuta, mentre Ikki, tenendolo tra le braccia, ricalcava con la propria espressione ansiosa quella dei suoi cari appena scomparsi dalla sua vista.

   
 
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