CAPITOLO
16
PER RIVENDICARE
IL POSTO CHE MI SPETTA
Fischiettando
una versione un po’ stonata di Omatsuri Mambo,
Meiko attraversò il
corridoio diretta alla stanza di Seiya-kun bilanciando tra le mani una
tazza di
tè e una pastiglia di antipiretico.
Il
corridoio era semi-illuminato, tutto era tranquillo e lei
già pregustava un
turno di notte pacifico, per una volta; giunta di fronte alla porta,
bussò una
volta prima di chiamare con voce bassa ma chiara il nome
dell’occupante:
“Seiya-kun, sono Meiko. Posso entrare?”
Ma
la giovane infermiera non ottenne alcuna risposta.
Riprovò,
questa volta con un tono di voce un po’ più alto:
“Seiya-kun, posso entrare?”
Il
silenzio avvolgeva corridoio e stanza.
Inquieta,
Meiko aprì la porta, venendo investita da una corrente di
aria gelida che, per
un attimo, le mozzò il respiro in gola mentre i suoi occhi
si abituavano
all’oscurità della stanza, ingentilita unicamente
dalla luce che proveniva
dall’esterno, dalla Luna nel cielo invernale glaciale.
Luna
che, illuminando il letto posizionato proprio sotto alla finestra, lo
mostrò
vuoto, come un nido da cui erano volati via tutti i pulcini.
La
tazza le cadde di mano e si infranse con un fragore quasi assordante
sul
pavimento, spargendo il liquido caldo sulla moquette.
“SEIYA-KUN!”
§§§
Saori
stava salendo le scale che portavano alla zona notte della villa dietro
a Jabu
quando la voce di Akiko-san la bloccò con il piede a
mezz’aria mentre la
cameriera, con il telefono in mano, entrava di corsa
nell’atrio da un corridoio
laterale.
“Ojou-sama!
È Meiko-san dalla clinica, è successo qualcosa a
Seiya-bocchan!”
I
capelli di Akiko, solitamente in perfetto ordine, erano spettinati e lo
sguardo, normalmente rassicurante, era ansioso; in piedi nel bel mezzo
dell’atrio,
fissava la padrona e i padroncini con espressione sconvolta.
Saori,
voltatasi di scatto, scese rapidamente i gradini con un lembo del
vestito in
mano per evitare di inciampare e, seguita dai ragazzi sui cui volti
passava
ogni sorta di sentimenti negativi - dalla paura alla preoccupazione -,
la
raggiunse e le prese di mano l’apparecchio.
“Meiko-san?
Che succede?” chiese Saori.
“Ojou-sama,
Seiya-kun è sparito dalla sua stanza! La finestra era aperta
e non lo troviamo
da nessuna parte…”
“Avete
controllato in mensa?”
“Jean-kun
ha chiesto anche al guardiano notturno e ai responsabili degli altri
piani,
nessuno l’ha visto.”
Nella
mente di Saori passarono mille idee, una più preoccupante
dell’altra, poi prese
un bel respiro, chiuse gli occhi per un attimo e poi li
riaprì, più calma:
“D’accordo. Torniamo subito, il tempo di arrivare.
Intanto voi continuate a
cercare, per favore.”
“Sarà
fatto, ojou-sama… Ma se fosse uscito dal cortile della
clinica e si fosse
diretto in città?”
“Non
appena lì, valuteremo cosa fare. Per ora, continuate a
cercarlo. Noi stiamo
arrivando.”
“Vi
aspettiamo.”
§§§
Sasagawa
Yoshiko aveva iniziato da poco a coprire i turni di notte in quella
piccola
clinica di periferia ma non aveva mai avuto esperienze negative, fino a
quel
momento.
Era
appena uscita dalla piccola sala ristoro con una tazza di tè
bollente in mano
quando sentì il fruscio delle porte scorrevoli che si
aprivano e, alla luce
asettica dell’ingresso, vide quel ragazzo collassare sul
pavimento, sanguinante,
mentre teneva tra le braccia un altro ragazzino, praticamente un
bambino, in
condizioni decisamente peggiori.
Agitata,
posò la tazza di carta sulla prima superficie piana
disponibile, dopodiché
corse loro accanto: era il medico di guardia e doveva fare del suo
meglio.
Con
delicatezza, aveva scosso la spalla del ragazzo più grande
nel tentativo di
rianimarlo: “Mi senti? Io sono Sasagawa, cerco di aiutarti.
Tu come ti chiami?”
chiese a voce bassa lei, esaminando al contempo quel poco che le era
permesso;
la sua attenzione venne quasi subito attirata dall’involto di
giacca e scialle
ormai irrecuperabili che lui teneva tra le braccia, e dalla voce quasi
inudibile del maggiore: “M-Mio
fratello…” sussurrò con voce strozzata,
Yoshiko
ancora non riusciva a vederlo in viso, “H-Ha
bisogno…”.
La
donna annuì e, seppur a fatica, riuscì a fargli
sciogliere la presa quel tanto
che bastava per vedere la blusa del pigiama del bambino zuppa di sangue
all’altezza del petto.
Manovrando
con attenzione, la donna riuscì infine a sollevare un lembo
di stoffa della
blusa, salvo poi sentire il respiro bloccarsi nella sua gola: qualcuno,
dall’aspetto avrebbe scommesso su un tirapugni, aveva
lesionato una parte di
tessuto cicatriziale piuttosto recente – era ancora roseo e
morbido al tatto –
e buttava fuori sangue.
Rischiava
una brutta infezione.
“Hiroshi-kun!
Porta una barella!” gridò la donna, rivolta in
direzione del corridoio buio.
Si
udì un tramestio di passi e metallo, poi un fruscio di ruote
e infine fece la
sua comparsa una barella lucida, spinta da un giovane infermiere dai
corti
capelli neri e con un paio di spessi occhiali sul naso che doveva avere
l’età
della dottoressa; lui la raggiunse e si chinò al suo fianco,
senza dire nulla,
in attesa di istruzioni.
“Portalo
in sala visite 1, prepara tutto l’occorrente per disinfettare
e suturare e
aspettami.” Disse lei indicando il ferito: “In
fretta, per favore.”
L’altro
annuì e, aiutato da lei, caricò il ragazzino
sulla barella prima di tornare da
dove era venuto.
Yoshiko
sospirò, dopodiché si voltò verso
l’altro ragazzo per assicurarsi che stesse
bene, che non avesse anche lui delle ferite, ma lo trovò
seduto per terra.
Con
le mani ancora grondanti di sangue.
Era
sotto shock.
La
donna gli posò con gentilezza e fermezza una mano sulla
spalla: “Ascolta, io
devo andare a occuparmi di tuo fratello…”
azzardò lei; lo vide trasalire, ma
non fece alcun verso o emise parola, rimase semplicemente immobile.
Titubante,
Yoshiko continuò senza però interrompere il
contatto: “Puoi aspettarci qui,
potresti sederti lì.” propose, indicandogli la
fila di divanetti poco distante,
“E puoi usare il bagno dietro quella porta, se vuoi darti una
ripulita.”
Il
ragazzo non disse nulla, non fece alcun movimento, eccetto che per
l’alzarsi in
piedi, e andò a posizionarsi nell’angolo
più estremo della stanza, puntando
quindi gli occhi sul corridoio deserto.
La
dottoressa sospirò ma si affrettò nella stessa
direzione del suo collega: aveva
un paziente di cui occuparsi e doveva fare presto.
§§§
Erano
quasi le tre del mattino quando lei e Hiroshi uscirono dalla sala
visite dopo
aver accompagnato il paziente in una stanza e averlo messo a letto.
Il
fratello non si era mosso, era ancora nella stessa posizione in cui
Sasagawa
l’aveva lasciato; e fu proprio lei che, seppur incerta, lo
avvicinò di nuovo e
gli si sedette accanto.
“Tuo
fratello ha perso sangue, ma abbiamo curato la ferita,
l’abbiamo disinfettata,
e abbiamo inserito una flebo di liquidi e glucosio, compresi degli
antibiotici
per la febbre che è salita. Gli abbiamo anche somministrato
un leggero calmante
perché era molto agitato, piangeva e chiamava un nome. Per
caso tu sei Ikki?”
Ikki
trasalì, ma dopo qualche secondo annuì piano.
“Posso
farti qualche domanda? Poi ti accompagnerò da lui.”
Lui
annuì ancora.
La
donna trasse di tasca un bracciale in plastica, sporco di sangue e
chissà
cos’altro, le scritte erano praticamente illeggibili, tranne
per uno o due
kanji: “Aveva questo al polso, era per caso ricoverato da
qualche parte? Avete
qualcuno da avvertire? Me ne occuperò io.”
Ikki,
davanti a lei, si passò una mano sul viso, il primo
movimento da essere umano
che lei gli aveva visto fare da quando erano arrivati lì:
“S-Sì, credo di sì…
Credo che fosse ancora ricoverato alla clinica della Fondazione Graude.
Loro
possono... Possono chiamare…”
La
voce del ragazzo davanti a lei era strana, roca, come se il
proprietario non la
usasse da molto tempo e come se l’utilizzarla gli causasse
dolore fisico.
Yoshiko
si appuntò mentalmente quelle informazioni, poi gli rivolse
un sorriso
amichevole: “Si rimetterà, ora farò una
telefonata e dirò loro che Ikki e…?”
“Seiya.”
“Che
Ikki e Seiya sono qui. Ora puoi andare da lui, Ikki-kun, è
nella stanza 106, in
fondo al corridoio.”
Quando
Hiroshi la raggiunse, la trovò al bancone
dell’accettazione intenta a frugare
in mezzo a una pila di fogli: “Non so cosa sia
successo.” esordì lei senza
neppure alzare lo sguardo, “Ma Seiya-kun deve essere scappato
dalla Clinica
Graude. Sto cercando il loro numero.”
Hiroshi
sgranò gli occhi: “Dalla Clinica Graude?! Come ha
fatto?” chiese lui, “Ma
soprattutto, come sono riusciti ad arrivare qui?!”
“Non
lo so,” rispose Yoshiko mentre appuntava un numero di
telefono su un foglietto:
“Ma viste le sue condizioni, è già
tanto che Seiya-kun sia arrivato fin qui vivo.”
Hiroshi
la osservò sollevare il cordless dalla sua base e digitare
il numero segnato
prima di avvicinare l’apparecchio al proprio orecchio;
Yoshiko, da parte sua,
sperava di trovare al più presto qualcuno: non osava pensare
alla
preoccupazione della loro famiglia in quel momento.
§§§
Il
telefono dell’accettazione della Clinica suonava
insistentemente da qualche
minuto, costringendo Meiko ad affrettarsi lungo il corridoio deserto e
abbandonare le ricerche di Seiya.
Stringendo
i denti per la frustrazione, la giovane donna ripensò con
preoccupazione agli
avvenimenti delle ultime ore, dalla sua scoperta della stanza vuota di
Seiya-kun alla telefonata a Kido Manor, con conseguente precipitarsi di
Saori-ojousama e dei signorini; ricordò con tristezza
l’espressione sconvolta
di Shiryu-kun e le sue mani tremanti, a malapena controllate mentre
Shun-kun e
Hyoga-kun gli stavano accanto per rassicurarlo.
Jabu-kun
e gli altri invece si erano subito messi alla ricerca del fratello
scomparso,
dividendosi tra la clinica, il giardino e i luoghi dove poteva essersi
diretto.
Erano
appena rientrati, ed erano nello studio di Makishima-sensei per fare il
punto
della situazione, mentre lei e i suoi due colleghi facevano un ultimo
giro
nella speranza che fosse ancora nell’edificio, anche se con
scarsa fiducia.
Meiko
raggiunse infine il bancone e sollevò il cordless con
stizza: “Clinica Graude,
come posso aiutarla?” rispose, cercando di controllare il
proprio umore e al
contempo mostrarsi professionale.
Fu
una voce femminile a risponderle, stanca e tesa: “Mi dispiace
per l’ora, qui è
la Clinica Hirameki, di Arakawa-ku. C’è qualcuno
con cui posso parlare? È urgente.”
Meiko
sospirò e si premette il ponte del naso per allontanare un
mal di testa in
arrivo: “Mi dispiace, abbiamo un’emergenza al
momento, potrebbe richiamare
domani, per favore?”
La
donna all’altro capo della linea la interruppe:
“Due ragazzi sono arrivati qui
da noi poche ore fa, uno dei due era in brutte condizioni ma
è stato soccorso e
adesso è stabile e riposa. L’altro ragazzo ha
detto di chiamarsi Ikki e ha
detto di essere il fratello del ferito, Seiya-kun. Vi risultano
pazienti con
questo nome? Ikki-kun non ha saputo darmi altre informazioni, tranne
che probabilmente
era ancora ricoverato lì da voi.”
Nel
sentire quei due nomi, Meiko ebbe un tuffo al cuore subito seguito da
una
sensazione di leggerezza e sollievo estreme; si aggrappò
all’apparecchio come
se fosse stato un’ancora e non si curò di
asciugare un paio di lacrime che le
caddero dagli occhi: “Grazie al cielo!”
esclamò con voce rotta lei mentre con
una mano andava a frugare sul bancone alla ricerca di un foglio di
carta per
appuntarsi le informazioni, “Sì, Seiya-kun
è nostro paziente e Ikki-kun è suo
fratello maggiore, sono scomparsi da ore e la loro famiglia
è davvero molto
preoccupata. Può darmi l’indirizzo preciso?
Manderò subito qualcuno a prenderli
per riportarli qui.”.
Dall’altro
capo della linea, Yoshiko sospirò di sollievo poi fece cenno
a Hiroshi di
avvicinarsi mentre Meiko le spiegava succintamente le condizioni
mediche di
Seiya-kun e a cosa fare attenzione intanto che lei organizzava il
trasporto.
L’infermiera
della clinica Graude era così immersa nella conversazione
che per poco non le
sfuggì il passaggio di Saori, seguita dai suoi ragazzi;
quando la notò, a capo
chino e con le labbra strette, fu veloce a interrompere la dottoressa
in linea:
“Aspetti, sono qui… Saori-ojousama!”
chiamò Meiko, coprendo con la mano il
microfono del telefono: “Saori-ojousama,
c’è una dottoressa di un’altra clinica
in linea, dice che Seiya-kun e Ikki-kun sono da loro, li hanno
soccorsi.”
Athena
attraversò il corridoio a larghi passi, seguita dal gruppo
di ragazzi che
parlottavano gli uni sopra gli altri concitati, ma fu la giovane tycoon
a
prendere il cordless e a portarselo all’orecchio:
“Kido Saori, chi parla?”
domandò con tono serio.
La
voce dall’altra parte era tesa ma professionale:
“Pronto, sono Sasagawa,
clinica Hirameki di Arakawa.”
“È
vero quello che mi è stato riferito?”
“Sì,
Kido-san. Seiya-kun e Ikki-kun sono qui da noi. Si sono presentati qui
poche
ore fa, Seiya-kun aveva una brutta ferita sul petto che abbiamo curato
e
fasciato, ma ha la febbre piuttosto alta. Lo ha portato qui Ikki-kun in
braccio
e ora è con lui in una stanza.”
Saori
sospirò di sollievo, lasciandosi sfuggire anche un piccolo
sorriso: “Arriverò
subito a prenderli. Seiya è scappato dalla clinica senza che
nessuno se ne
accorgesse.”
“Sospettavo
fosse qualcosa del genere… Era in pigiama e indosso aveva
soltanto un piccolo
scialle di lana, troppo poco per proteggersi dalla neve. Mi dispiace
aver
disturbato a quest’ora.”
“Non
si scusi, ha fatto la cosa giusta. Per favore, lo prepari per il
trasporto.
Saremo lì il più presto possibile.”
“Sarà
fatto. Vi aspettiamo.”
Quando
Saori riattaccò, il primo volto che vide fu quello
stralunato di Shiryu, i cui
grandi occhi verdi erano velati di lacrime: “Seiya sta
bene.” si affrettò a rassicurarlo
lei prima di posargli le mani sulle spalle, “Ikki
è con lui, no, non ci ho
parlato.” Saori rispose in fretta alla domanda inespressa
negli occhi di Shun,
“Ma partirò non appena Makishima-sensei
avrà fatto preparare un’ambulanza.”
“Dove
sono?” domandò Shun con voce bassa.
“Arakawa…
Non ho idea di come siano finiti lì ma chiederò
informazioni appena arriverò.”
“Possiamo
venire anche noi?” chiese Hyoga con tono irrequieto, subito
spalleggiato da
Jabu al suo fianco: “Esatto! Seiya ha bisogno di
noi!” esclamò Unicorn.
“Calmatevi,
ragazzi. Non voglio portarvi con me non per cattiveria, ma
perché prima vorrei
capirne di più” Saori scosse la testa e prese le
mani di Shiryu, ancora di
fronte a sé: “Non sappiamo cosa sia successo, se
Seiya è scappato senza dire
alcunché ci deve essere un motivo e credo che una folla
preoccupata possa
soltanto peggiorare la situazione. La presenza di Ikki è un
altro discorso,
comunque. Vorrei prima parlarci e capire, per poter aiutare anche lui e
non
lasciarlo solo. Ho fatto una volta questo errore, non voglio
ripeterlo.”
“Saori-ojousama
ha ragione.” disse Geki, a braccia conserte dietro Shiryu:
“Non vediamo Ikki da
settimane, nonostante l’abbiamo cercato in lungo e in largo.
Si comporta come
un animale ferito e non siamo in grado di aiutarlo, non da soli.
È meglio
essere prudenti e solo Athena può fare qualcosa per lui in
questo momento.”
Sconfitto,
Jabu fece un passo indietro: “D’accordo…
Però è frustrante.”
Ban
gli stinse la spalla con la mano: “Lasciamo che se ne occupi
Saori-ojousama.
Siamo troppo agitati e preoccupati, rischiamo di peggiorare soltanto le
cose e
allontanarlo ancora di più.”
Jabu
affossò le mani nella tasca unica della felpa e
incassò il collo nelle spalle:
non disse nulla, ma il suo atteggiamento parlava per lui, parlava di
preoccupazione, ansia e voglia di risposte che tuttavia dovevano
aspettare.
“Perché
non tornate a casa a riposare un po’? Chiedo a Tatsumi di
venirvi a prendere.”
propose Saori, venendo però accolta da sguardi nel panico e
saettanti da una
parte all’altra, quello di Shun era quasi supplice mentre si
aggrappava alla
spalla di Hyoga; nessuno dei ragazzi sembrava a proprio agio con quella
proposta.
“Noi
resteremmo qui, se non è un problema.” disse Ichi
con lo sguardo tenuto basso:
“Vorremmo aspettare il ritorno di Seiya e assicurarci che
stia bene.” aggiunse
Ban; gli altri annuirono, stringendosi gli uni agli altri come se le
rispettive
presenze fossero l’unica medicina a quella malattia che li
torturava, quella
dell’assenza e dell’incertezza.
Con
un sospiro, Saori annuì, consapevole che impedirglielo
sarebbe stato inutile e,
forse, anche deleterio perché avrebbero senza dubbio trovato
un modo per
tornare in clinica o, peggio, per seguirla: “Va bene. Ma
cercate di riposare un
po’, è stata una nottata difficile per
tutti.”
I
ragazzi annuirono e, senza allontanarsi troppo gli uni dagli altri,
andarono a
sedersi sulla panca contro la parete del corridoio che portava alla
stanza di
Seiya, parlando a bassa voce tra loro.
Fu
in quel momento che Satsuki entrò nell’atrio dalla
porta principale senza
neppure togliersi il cappotto e raggiunse ad ampi passi Saori:
“Ojousama,
l’ambulanza è pronta, ci aspetta fuori.
Makishima-sensei ha chiesto di
accompagnarla per assistere Seiya nel rientro.”.
La
giovane donna le rivolse un cenno con il capo poi, con un sorriso ai
ragazzi,
si congedò da loro e la seguì
all’esterno, nella notte buia e gelida.
§§§
“Seiya-kun
è davvero scappato dalla Clinica Graude, Hiroshi-kun. Al
telefono, ho parlato
con Kido Saori-san.”
“Kido
Saori? Quella Kido Saori?
“Credo
di sì, sta venendo a prenderli.”
“Di
persona?!”
“Sì.
Non vorrei sbagliarmi ma… da quel poco che sono riuscita a
decifrare del
braccialetto di Seiya-kun, ho intravisto quello che mi sembrava la
prima parte
del cognome Kido. Che siano parenti?”
“Forse
la Fondazione se ne sta occupando, in fondo sono famosi per la gestione
di
istituti e case-famiglia. E poi, non ho mai sentito di un altro membro
della
famiglia Kido, men che meno di altri due… Ikki-kun ha detto
di essere suo
fratello, no?
Appoggiata
al bancone, Yoshiko sospirò prima di scuotere la testa:
“Non ne ho idea…
Aspettiamo che arrivino e vedremo. Perché non vai a
stenderti un po’? Io
controllo i nostri ospiti.”
§§§
“Mamma…
Natassia-mama… Otou-san… Ikki-niisan mi
odia…”
Abbandonato
tra le braccia della madre sulla riva di quel fiume così
familiare, Seiya singhiozzò
disperato, con il corpo magro che sussultava per gli spasmi dovuti alle
lacrime
e alla disperazione che gli aveva attanagliato le membra, dolorosamente
consapevole dei sentimenti che bruciavano negli occhi del fratello
maggiore
quando si era parato dinanzi a lui dopo averne seguito il Cosmo rovente
attraverso tutta la città innevata e glaciale.
A
nulla, sembravano servire gli accorati appelli delle donne in forma di
spirito
che lo circondavano, avvolgendolo di amore e calore.
“Bambino
mio…” mormorò la madre, accarezzandogli
con dita quasi impalpabili i capelli
sudati per la febbre: “Ikki non può
odiarti…” sussurrò un’altra
voce, simile a
quella di Shun, che aveva aggiunto le proprie mani alle carezze delle
compagne,
“Siete fratelli, condividete lo stesso sangue e avete
condiviso lo stesso dolore,
ma è spaventato, tanto.” la madre dei suoi
fratelli aveva gli occhi lucidi che
le illuminavano il viso incorniciato da una cascata di capelli color
del rame e
contratto per la tristezza.
Lei
gli accarezzò la guancia e gli posò un bacio
sulla fronte: “Non sa affrontare
tutto questo, il mio bambino ha paura, più di quanta ne
abbia mai avuta in vita
sua. Ha avuto paura dei suoi sentimenti verso di voi, di perdere tutto,
di perdere
la sua famiglia dopo averla ritrovata, ha avuto paura perfino di
toccarvi,
temendo di essere lui la fonte della vostra distruzione, come
già pensa sia
stata sua responsabilità in passato… Non
biasimarlo, piccolo.”
“Ma
io sono qui!” singhiozzò Seiya con voce strozzata:
“Mi ha evitato per settimane…
ma io sono qui e sono vivo. Sono tornato per lui.”
“Non
odiarlo per la sua debolezza, bambino mio, perché lui ti
ama, ma non riesce a
liberarsi della propria oscurità.”
“Io
non lo odio!” la voce disperata di Seiya
riecheggiò sulle sponde del fiume,
sotto il cielo terso del mondo spirituale: “È mio
fratello, è la mia famiglia,
come faccio ad odiarlo?!” gridò, “Io
voglio rivederlo… Parlargli… Abbracciarlo
e rassicurarlo che andrà tutto bene… Che sono
ancora qui e che non me ne andrò…”
tra le braccia della madre, sembrava avesse le convulsioni.
“Papà…
Aiutami…”
Mitsumasa
Kido apparve nella corolla di visti apprensivi, il suo volto burbero
emanava
luce e calore.
“Combatti,
figlio mio.” disse soltanto: “Combatti ancora una
volta, per il posto che ti
spetta nel mondo terreno… Combatti anche per tuo fratello.
Devi essere forte
ancora una volta.”
Il
grido che eruttò dalla sua gola lacerò il
silenzio e il legame spirituale che lo
univa a loro, ne vide i visi preoccupati ancora per un attimo prima di
ripiombare
nell’oscurità di una stanza sconosciuta, mentre
Ikki, tenendolo tra le braccia,
ricalcava con la propria espressione ansiosa quella dei suoi cari
appena
scomparsi dalla sua vista.