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Autore: FreddyOllow    11/03/2020    1 recensioni
Una normale passeggiata nel bosco si trasforma in un turbolento incubo...
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I.

Tutto ebbe inizio mentre camminavo nel bosco.
Amavo fare lunghe passeggiate immerso nella natura, e sentire d'estate il canto degli uccelli e il frinire delle cicale. Avevo fatto quel tragitto così tante volte da perderne il conto. Era una stradina sterrata con un piccolo avvallamento a destra. Più avanti, questo avvallamento diventava un vero e proprio fosso. Si diceva che fosse lì dalla prima guerra mondiale. Una specie di trincea. So poco di storia, quindi non so se questo fatto sia vero.
Il cielo era coperta dalla volta degli alberi e, in alcuni punti, tra le fronde, filtravano i fasci del sole. Il sentiero raggiungeva un alta collina. Lì abitava un uomo anziano. Un vecchio dalla faccia rugosa, gli occhi scavati e le palpebre cadenti. Si diceva che vivesse lì da almeno quarant'anni, e nessuno sapeva chi fosse. In paese si vociferava spesso di quest'uomo. Dicevano che sapeva leggerti l'anima come noi sfogliamo una pagina di un libro. Ovviamente non credevo a queste sciocchezze.
Non avevo mai raggiunto la collina. Raggiungevo sempre un bivio che a destra portava alla capanna di tronchi dell'anziano, a sinistra in un parcheggio sorvegliato da un custode. Raggiungevo il bosco con la bici, lasciandola nella rimessa di legno del guardaboschi. Poi m'inoltravo per la mia solita passeggiata.

 

II.

Era un giorno qualunque. Un venerdì mattina di cui non ricordo l'ora. Faceva molto caldo e, per quel giorno, indossavo una larga canottiera bianca, un pantaloncino verde scuro e scarpe da ginnastica. Ascoltavo Rock anni '80/90 dalle cuffie. Il volume della musica era bassa, perciò sentivo i rumori attorno a me.
Camminavo già da un quarto d'ora, quando mi fermai sotto un albero. Misi a terra il mio zaino e presi una merendina. Una normale Brioche che era la mia colazione assieme a una spremuta d'arancia fatta in casa che tanto mi piaceva. Mi sedetti con la schiena poggiata alla base dell'albero. Cominciavo a fare colazione, quando avvistai qualcuno poco lontano. Pensavo fosse una persona come me in vena di una passeggiata mattutina, ma non era così. Mi spiava da dietro un tronco d'albero. Intravedevo una faccia senza volto più nero dell'ebano, e mi sembrò di guardare un abisso senza fondo. Qualcosa che se la guardavi a lungo, ti risucchiava come un buco nero.
Venni destato dallo scricchiolio di un ramo e, quando mi voltai, il guardaboschi Ottavio era dinanzi a me. Un uomo di bell'aspetto, sui cinquant'anni. Spalle larghe, viso asciutto e spigoloso. Un uomo affascinante, che piaceva alle donne, perché in paese era sempre in compagnia di qualche ragazza.
"Ehi, Antonio. Come va?" Mi disse con voce profonda.
Scossi la testa un po' confuso. "B-Bene."
"Hai visto un uomo dalla carnagione scura?"
"Chi?"
"Hai presente gli africani? Un tipo del genere."
"No, perché?" Risposi, anche se stavo rammentando lentamente quella cosa senza volto, e non mi era sembrato di quella etnia.
"La gente dice di aver visto un uomo aggirarsi nei boschi. Li seguiva, li spiava, insomma... Be', sai cosa fanno le coppie qui, no? La gente non vuole essere disturbata. Se sicuro di non averlo visto?"
"Sì, sicuro."
Ottavio lanciò un'occhiata attorno. Poi guardò la mia brioche. "Va bene. Non lasciare spazzatura in giro, intesi?"
Annuii.
S'inoltrò nel bosco alla mia sinistra ove gli alberi e i cespugli si facevano più fitti.

 

III.

Finita la colazione, lasciai la bottiglietta di vetro e la carta della brioche nel mio zaino, che rimisi sulle spalle. Mentre cominciai a camminare, avvertii una strana sensazione. Una negatività angosciante, opprimente. Mi sentivo osservato, seguito.
Non feci molto strada quando avvistai la stessa figura dietro un altro albero. Spiava timidamente, e solo la sua testa s'intravedeva tra le fronde degli alberi. Distolsi lo sguardo. Pensavo di essermelo immaginato. Così guardai di nuovo in quella direzione. Non lo vidi. Preso dal panico, mi guardai attorno. Non era da nessuna parte.
D'un tratto sentii come un vuoto allo stomaco, e una presenza alle mie spalle. Mi girai lentamente, ma niente. Non c'era nessuno. Così mi precipitai a correre.
Non tornavo indietro, bensì continuavo lungo la stradina sterrata. E una parte di me si domandò perché diavolo lo stessi facendo.
Mi fermai dopo un centinaio di metri, annaspando in cerca d'aria. Posai una mano sulla corteccia di un albero, quando qualcosa di caldo mi afferrò il polso. Ritrassi la mano, ma dinanzi a me non vidi nessuno. Le gambe cominciarono a tremarmi, il cuore mi martellava in petto, e una sensazione inquietante cinse le mia mente. Poi una folata di vento gelido mi sfiorò la nuca. Mi voltai.
La cosa era davanti alla mia faccia.
Sembrava un uomo o qualcosa di vagamente simile. Alto due metri, senza volto, esile, quasi scheletrico e una carnagione così scura che la luce ne veniva divorata. Piccoli tentacoli s'innalzavano dalla sue spalle, ondeggiando in aria come alghe sul fondo del mare. Sentivo addosso il suo sguardo, anche se non aveva occhi. Lo percepivo, ed era terrorizzante. Mentre indietreggiai lentamente, trasalii, nel vedere la sagoma dissolversi nel nulla. E ancora una volta, invece di tornare indietro, corsi lungo il sentiero sterrato. Forse era quell'essere a spingermi lì?
Arrivai davanti un bivio e scorsi Ottavio, chino alla base del cartellone di legno che indicava la direzione dei due sentieri.
"Ottavio!" Dissi quasi senza voce. I polmoni mi bruciavano dalla fatica, e sentivo il sapore metallico del sangue in gola.
Ottavio si voltò, guardandomi un po' turbato. "Eri stanco di camminare?" Disse con un vago sorriso divertito.
"Ho visto..." Respirai per recuperare fiato. "Ho visto quella cosa... Quell'uomo. L'uomo di cui parlavi."
Ottavio scattò in piedi. "Dici sul serio? Dove? Quando?"
"Sì. Era..."
L'essere si materializzò alle spalle di Ottavio.
"Era?" M'incalzò Ottavio.
Puntai un dito tremante dietro le sue spalle.
Nel girarsi, Ottavio si vide dinanzi l'orrenda mostruosità. L'essere senza volto spalancò due lunghe braccia, e tutt'attorno il paesaggio si oscurò di un nero ebano. Una sfera nera da cui fuoriuscivano bagliori violacei si formò davanti all'essere e, con una velocità sovrumana, colpì Ottavio che crollò al suolo.
Poi la cosa si proiettò dinanzi me e lanciò un urlo di dolore. Un suono metallico, acuto, quasi familiare. Si dissolse nell'aria in una densa nube nera e, volteggiando su sé stesso, penetrò nel terreno.

 

IV.

Qualcosa si posò sulla mia spalla. Mi girai e vidi un uomo anziano. Lo stesso anziano di cui si parlava male in paese. Mi fissava con uno sguardo ermetico. Poi raggiunse Ottavio, si chinò e bisbigliò qualcosa.
Il guardaboschi alzò di scatto il busto pur restando disteso a terra. "Cosa è successo?" Chiese, guardandosi intorno.
L'anziano si alzò e s'incamminò lungo il sentiero. Tornava a casa?
Ero così terrorizzato che sentivo un nodo soffocante in gola, mentre la sensazione di vuoto allo stomaco aveva lasciato il posto a una fitta pungente, stranamente non dolorosa.
"Aspetta!" Urlò Ottavio che sembrava stordito.
Il vecchio non si fermò.
"Lo... Lo hai visto?" Domandai a Ottavio.
Quello mi lanciò uno sguardo perplesso e si rimise in piedi.
"Allora?"
"Non lo so."
"Come non lo sai? Era di fronte a te. Ti ha... Ti ha fatto qualcosa. Sei caduto a terra. Poi quel vecchio ti ha detto qualcosa e tu ti sei svegliato. Non ricordi?"
"Vagamente..." Ottavio si guardò intorno. "La testa mi sta scoppiando."
"Cosa facciamo?"
Si limitò a guardarmi.
Rimanemmo silenti per un po', in quel punto del bosco ove i rami degli alti cespugli si aggrovigliano fino a formare un muro impenetrabile. Notai che gli uccelli e le cicale avevano smesso di cantare e frinire. Non me ne ero accorto. Come non mi ero accorto di aver perso le cuffie.
"Andiamo da quell'uomo." Disse Ottavio. "Magari ha visto qualcosa."
"No." Risposi, ansioso. "Meglio di no."
Ottavio mi fissò. "Perché? Hai detto che mi ha svegliato lui, no?"
"Chiamiamo la polizia."
"E pensi che ci crederanno?" Disse con un lieve scetticismo.
Non risposi. Come potevo dargli torto? Sicuramente ci avrebbero presi per pazzi. Avevo ancora davanti ai miei occhi lo sguardo ermetico di quel vecchio. Uno sguardo profondo come l'abisso.

 

V.

Seguimmo un largo sentiero per un paio di minuti, finché la fitta vegetazione si chiuse attorno a noi, costringendoci a proseguire in fila. Ottavio davanti, io dietro.
Quando arrivammo ai piedi della collina, i rami degli alberi raggiungevano abbondantemente il terreno. Alcuni di essi formavano pareti e corridoi naturali, e compresi che nessuno si era spinto fin quassù da molto tempo. L'anziano dimorava su un punto impreciso della collina e, tutto il paese, intimorito, se ne teneva alla larga. Me compreso.
Mentre ci facevamo strada fra i contorti rami, gettai diverse occhiate in giro. Sentivo addosso degli occhi malefici che mi scrutavano, e un'intensa sensazione opprimente che mi attanagliava la mente. Più volte credetti di avvistare quell'essere fra la vegetazione, e la mia paranoia non faceva che aumentare.
Superati alcuni rami che penzolavano dagli alberi, un sentiero serpeggiava sul fianco della collina. Lo seguimmo per una manciata di minuti, finché scorgemmo una capanna di tronchi attraverso i fitti cespugli.
Si trovava in mezzo a una radura, circondata da declivi rocciosi e rocce di varie dimensioni e forme. Un'ampia vallata si affacciava a oriente, ove le acque argentate del fiume si gettavano nel lago avvolto da una leggera foschia. Vicino all'abitazione, una quercia lugubre, spoglia e carbonizzata.
"EHI!" Urlò Ottavio, mentre ci avvicinavamo alla casa. "Sono Ottavio Porto, il guardaboschi."
Non gli rispose nessuno.
Ci fermammo a venti metri dalla capanna di tronchi. Non si udiva nulla. Mentre Ottavio si guardava intorno, fissai la quercia carbonizzata in mezzo a tutto quel verde. Era strano. Stonava con il paesaggio. Ai suoi piedi, poi, non c'era nessuna traccia di incendio. Forse era stata colpita da un fulmine? Qualcuno le aveva dato fuoco? Allora perché le fiamme non si erano propagate? Quando spostai lo sguardo alla base del tronco, l'erba era di uno strano colore tra il viola e il nero. Mi ricordò l'oscurità di quell'essere e, al suo pensiero, avvertii un senso di inquietudine. Un angoscia latente, opprimente.
D'un tratto udii un cigolio, e la porta si aprì.
Raggelai.
L'anziano si fermò sotto il portico. Era ricurvo su un robusto ramo che usava come bastone da passeggio o come supporto. Ci fissò da dietro le palpebre cadenti, e il suo sguardo era privo di emozioni. Una lastra di ghiaccio. Gettai uno sguardo a Ottavio, che fissava il vecchio.
Nessuno parlò per quasi un minuto.
"Entrate." Disse l'anziano. "Presto avverrà una battaglia."
"Una battaglia?" Domandò Ottavio. "C'è gente nei boschi. Devo..."
"Un'antica battaglia." Lo interruppe il vecchio tornando nella sua capanna di tronchi.
Ottavio mi guardò. Sembrava dubbioso.
Sinceramente non capivo più nulla. Una battaglia in un luogo del genere? Era scoppiata una guerra di cui ignoravo l'esistenza?
Poi vidi Ottavio andare verso la capanna di tronchi, e lo seguii.

 

VI.

Oltre la soglia, tutto era immerso nella penombra. E quando la superammo, fummo catapultati in un altra epoca. Il tempo, così come lo conoscevo, smise di essere tale. Il sole e la luna si sovrapposero in cielo in un ciclo rapidissimo per i miei occhi. Tavoli e sedie, divani e comodini, mobili e quadri, tappetti e armadi scomparvero dalla stanza, e altri oggetti più antichi ne presero il posto. Stavo recedendo nel tempo, nel passato. Lo percepivo. Era inspiegabile, magico e terrorizzante.
Poi tutto si fermò.
Ottavio mi lanciò uno sguardo. Era stravolto. Anch'io avevo la sua stessa impressione, e mi sentivo pietrificato. Pensai che stessi sognando. Così mi tirai un pizzicotto e mi resi conto che era tutto reale. Com'era possibile?
Un uomo di bell'aspetto ci comparve dinanzi. Aveva il viso liscio, pulito e uno sguardo vigile, attento. Aveva corti capelli neri portati in obliquo con una riga di lato. Indossava un pantalone e una giacca nera, sotto una camicia viola. E compresi, dopo averlo guardato a lungo, che era l'anziano da giovane. Non doveva avere più di trent'anni.
Si sedette a un tavolo rotondo e, picchiettando due dita su di esso, ci fissò.
Io e Ottavio ci scambiammo un'occhiata.
"Sedetevi." Disse piano il giovane con tono pacato, gentile.
Ottavio fu il primo a sedersi, mentre io esitai un poco prima di farlo.
Rimanemmo in silenzio per un manciata di secondi.
"Siete stati fortunati." Ci disse. "L'ignoto vi osserva da anni."
"L'ignoto?" Domandò Ottavio.
"E' così che chiamo quell'umanoide."
"Non è umano, quindi?" Domandai.
Ottavio si voltò verso di me. "Ma che domanda è? E' logico che non è umano." Poi si rivolse al giovane. "Cos'è? Un demone?"
"Non ha nomi." Rispose il giovane. "Ma io lo chiamo Ignoto. E' qui da molto tempo, da prima che si formasse la terra." Fece una breve pausa. "Un tempo vagava tra le stelle, tra i mondi, tra gli universi... Un tempo era il tutto e il niente."
"Perché parli in questo modo?" Disse Ottavio, che sembrava irritato.
"E' Dio?" Domandai.
"Ti sembra un Dio quel mostro?" Rispose Ottavio.
"E' più vecchio di Dio." Rispose lento il giovane.
"Allora chi è?" Lo incalzò Ottavio.
"L'ignoto." Disse semplicemente il giovane, come se quella parola potesse descriverlo in toto.
"Perché non ha un volto?" Chiesi.
Il giovane puntò i suoi occhi su di me. Uno sguardo carico d'interesse. "L'hai veduto in viso?"
"S-sì, ma... Non aveva un viso."
"L'ignoto non ha una faccia." Si voltò verso Ottavio. "Anche tu l'hai veduto in viso?"
Ottavio non rispose subito. Sembrò rifletterci. "Non lo so... Non credo."
"Ma ti ho visto guardarlo." Gli risposi. "Ho visto che lo fissavi prima di cadere a terra."
"Questo non vuol dire vedere." Disse il giovane. "Tu hai visto l'ignoto, l'oscurità impenetrabile, l'abisso infinito."
Non sapevo cosa dire.
"E' vero?" Mi chiese Ottavio.
Annuii.
D'un tratto sentimmo un forte boato, e della polvere cadde dal soffitto.
Ottavio scattò in piedi. "Cosa è stato?"
"I tedeschi." Rispose il giovane alzandosi a sua volta. "L'artiglieria."
"Cosa?"
Guardai sia Ottavio, che il giovane, totalmente confuso. Poi il giovane ci disse di alzarci con un cenno della mano e, raggiungendoci, sollevò le braccia in aria, i palmi delle mani rivolti verso l'alto. Bisbigliò qualcosa in una strana lingua. Un mantra ipnotico. La sua voce si fece via via più rauca, profonda, gutturale. Il pavimento e le pareti cominciarono a tremare intensamente, finché ogni cosa svanii sotto i miei occhi.
Mi ritrovai a vagare nell'universo senza tempo, tra lucenti stelle, bagliori spettacolari e nubi intergalattiche e molecolari. La mia mente scorse popoli ancestrali addormentati nell'apatia. Solcavano immonde tenebre, varcavano cancelli di fiamme e seguivano l'oblio atavico.
E fu oscurità.

 

VII.

Allungai le mani a tentoni e cercai disperatamente Ottavio, ma non lo trovai. Quando cercai di gridare, mi accorsi di non avere più la voce. Preso dal panico, fluttuai in quella vastità scura nella vana speranza di uscirci, finché scorsi una flebile luce. Un puntino piccolo quanto una palla da baseball. Il suo bagliore era intenso, e lottava contro l'oscurità che tentava di divorarla. Mi spinsi a gran bracciate verso di esso, come se nuotassi in un mare di nulla. Appena gli fui vicino, il puntino di luce si espanse velocemente attorno a me, costringendomi a chiudere gli occhi. Una sensazione di vuoto assalii la mia mente. Un'amnesia che cancellò tutto ciò che era appena successo. Dov'ero stato?
D'un tratto udii la lenta e pacata voce del giovane, sovrastata, in lontananza, da voci autoritarie. Distinguevo vagamente varie lingue o forse dialetti. I miei occhi lentamente si abituarono alla luce e, con mio gran conforto, vidi Ottavio e il giovane. Erano al mio fianco, e osservavano qualcosa.
Guardandomi intorno, compresi che ci trovavamo sempre sulla collina, a pochi passi dalla capanna di tronchi. L'albero carbonizzato, che avevo visto in precedenza, era di un verde spettacolare. Un imponente quercia dai rami nodosi e foglie che specchiavano la luce del sole. Forse era una quercia secolare?
Quando guardai nella direzione in cui guardavano Ottavio e il giovane, scorsi numerose trincee. Erano ovunque, e zigzagavano su un terreno ridotto a fanghiglia dai bombardamenti e dalle piogge. Numerosi soldati si muovevano freneticamente all'interno.
Arti e corpi dilaniati erano disseminati sul campo di battaglia, in mezzo ad alberi abbattuti, squarciati e carbonizzati. C'erano piccole fosse scavate dai mortai, e del filo spinato rotto dai bombardamenti puntellava la terra di nessuno su cui penzolavano soldati morti. Altri erano semisepolti sotto cumuli di terra.
Era un tetro paesaggio di morte. Un paesaggio stravolto dalla violenza, dal sangue, dall'odio. Un paesaggio che non apparteneva al silente e verdeggiante bosco che conoscevo.

 

VIII.

D'un tratto sentii un potente boato. Alcuni soldati vennero lanciati in aria dall'onda d'urto, e una densa nube di polvere si elevò dalla trincea verso il cielo plumbeo. Cominciai a udire le urla strazianti dei feriti, una cacofonia quasi assordante, finché vennero sovrastati da un lungo fischio acuto.
Dozzine di soldati dalle uniformi grigie e armati di fucili, si riversarono gridando fuori dalle trincee. Si misero a serpeggiare tra i cadaveri, le buche, il filo spinato. Inciampavano, si rialzavano e correvano disperati. Sentii altri boati, altre urla di dolore. Poi dalla parte opposta cominciarono a sparare.
Vidi zolle di terra sollevarsi dal terreno, e soldati falciati dalle mitragliatrici. I vivi si fecero scudo dietro ai morti, nascondendosi per evitare le pallottole vaganti. In una manciata di secondi, l'assalto si era trasformato in una carneficina. Nessuno raggiunse la trincea opposta. Nessuno sarebbe più tornato a casa.
Una coltre di polvere si espanse lentamente sulla terra di nessuno, e il silenzio tornò ad acquietare gli animi irrequieti nelle trincee, mentre nell'aria si levarono i gemiti e le urla dei soldati feriti.
Ero scioccato, e lo sembrava anche Ottavio.
Il giovane si girò verso di noi. "Questa è la battaglia." Disse lento. "Un'antica battaglia."
"Siamo nel passato?" Chiese Ottavio, anche se mi sembrava più un affermazione.
"Sì." Indicò con un dito il campo di battaglia. "Rivivono la morte da più di un secolo. Quando il sole si leva sul creato, lottano e periscono in un ciclo infinito."
"Devo avvisare la gente." Disse Ottavio. "Devono sapere del pericolo che corrono in questi boschi."
"L'ignoto si è palesato," rispose il giovane, "e non c'è nulla che tu possa fare." Fece una pausa. "Avete veduto il caos, poiché esso non dimora nelle vostre menti. La battaglia è invisibile ai molti, e pochi possiedono occhi per guardare. Il principio e la fine. La dilatazione di uno spazio-tempo lontano e vicino. In esso, popoli ancestrali giacciono addormentati nell'apatia."
E ricordai... Ricordai tutto quello che mi era capitato prima di essere qui. La stessa frase che la mia mente aveva ripetuto ossessivamente, e un altra che penetrava nella mia anima.
"Io non sono nessuno, ma posso essere chiunque."

 

IX.

Mi ritrovai a volteggiare nell'oscurità. Una strana sensazione di benessere mi pervase completamente, finché la capanna di tronchi si ricompose come un puzzle. L'antico aveva lasciato il posto al moderno, e il giovane era diventato anziano.
Ero tornato nel presente.
L'anziano batté due volte il bastone sul pavimento, e venni teletrasportato davanti all'albero carbonizzato, insieme a Ottavio. Dozzine di uomini dalle uniformi grigio-verde penzolavano dai rami con un cappio al collo, la lingua di fuori, gli occhi fuori dalle orbite. Ondeggiavano e ruotavano sospinti da un vento gelido.
D'un tratto una vampata di fuoco avvolse l'albero, e vidi l'essere senza volto tra le fiamme. Il vecchio si posizionò di fronte a noi e, sollevando il bastone con una mano, estinse il fuoco. L'essere si materializzò a due passi dall'anziano. Rimasero immobili, a fissarsi. E se anche non ne fossi certo, quella cosa lo stavo guardando.
D'un tratto avvertii una forte energia negativa. Proveniva dall'anziano. Una sensazione opprimente, angosciante. Sentivo la mente vacillare, indebolirsi, e una voce gutturale che ripeteva: "Popoli ancestrali giacciono dormienti nell'apatia." Seguita da: "Io non sono nessuno, ma posso essere chiunque."
Sentivo le gambe molli, le mani tremare e un intensa apatia che mi avviluppava. Non avevo più il controllo dei miei pensieri, che si sovrapponevano in una cacofonia di immagini. Un ciclo infinito di sequenze che sentivo perdersi nell'oblio.
Destandomi da quel torpore, rialzai la testa e gli impiccati scomparvero. Mentre la quercia carbonizzata cominciò ad assumere la tonalità dell'essere, nuvoloni neri si ammassarono nel firmamento.
L'essere volse la testa verso di me.

 

X.

L'oscurità mi avvolse per l'ennesima volta, e precipitai nel vuoto. Un abisso senza fondo. Non sapevo cosa mi stesse accadendo. La mia mente si era svuotata da ogni pensiero negativo, e ogni forma di paura era a me sconosciuta. Poi un intenso bagliore bianco mi accecò la vista, e i miei occhi cominciarono a lacrimare.
Quando il biancore scomparve, mi ritrovai dentro una trincea. Indossavo un'uniforme militare grigio-verde sporca di fango, e fissavo il mio fucile infangato. Ero terrorizzato, irrequieto e triste. Mi mancava la mia famiglia, la mia fidanzata, i miei amici. Le mie membra erano stanche, ed avevo iniziato ad avere attacchi di panico.
Dozzine di soldati erano tutti ammassati contro il parapetto della trincea. Spalla contro spalla. C'era un silenzio di tomba. Un silenzio così profondo da poter udire le folate di vento e i respiri dei miei commilitoni.
L'aria era pregna di disperazione, rabbia, odio e rimpianti. Sui visi dei soldati la tensione era palpabile. Respiravano appena. Alcuni, terrorizzati, stringevano il fucile contro il petto. Altri fissavano la fanghiglia, e altri ancora si vomitavano sui piedi. Sembravano tutti in un'attesa logorante, eterna.
Poi udii un fischio acuto, prolungato. Un coro di grida si levò dalla terra di nessuno. Poggiammo i fucili alla base del parapetto della trincea e, mentre le mani mi tremavano, premetti il grilletto. Sparavo alla cieca.
In lontananza, attraverso un campo di filo spinato e fosse scavate dai mortai, vidi una dozzina di soldati con le uniformi grigie attraversare di corsa la terra di nessuno. Avevano le baionette sotto la canna dei fucili e mazze o palette attaccate alle cinture. Alcuni di loro si fermarono per mirare e sparare, e altri corsero indemoniati verso la nostra trincea.
Mentre continuavo a sparare, qualcosa mi venne addosso e caddi a terra. Un soldato nemico cercò frettolosamente di infilzarmi con la baionetta, ma riuscii a bloccare la canna del suo fucile con entrambi le mani. Attimi dopo, mi crollò addosso. Alle sue spalle, un soldato mi allungò una mano. Mi rialzai, solo per essere buttato nuovamente a terra. Alzai lo sguardo e vidi una mazza ferrata colpire l'elmo del soldato che mi aveva aiutato. Cascò sulla fanghiglia e venne ripetutamente colpito alla testa. Mirai al soldato nemico, quando sentii il CLICK del fucile. Il caricatore era vuoto. Il soldato nemico si precipitò contro di me, e lo colpii con il calcio del fucile. Quello indietreggiò un poco, stordito. Poi qualcuno gli sparò un colpo alla schiena.
La trincea venne invasa dal nemico, e altri ne arrivavano a frotte dalle trincee vicine. Urlavano in preda all'ira, alla disperazione, all'odio. Era un combattimento violento, caotico, all'ultimo sangue. Un caos infernale.
Afferrai la mazza ferrata del soldato morto e mi preparai a combattere. Appena alzai lo sguardo oltre la trincea, vidi un ufficiale puntarmi una pistola. Per un attimo che mi sembrò eterno, i suoi occhi freddi, seri e privi di umanità incontrarono i miei.
E fu oscurità.
Mi ritrovai a volteggiare dapprincipio sulla trincea, poi sul campo di battaglia. Osservavo i soldati fracassarsi il cranio l'un l'altro con palette, mazze ferrate e con fucili usati come mazze. Altri soldati infilzavano il nemico con le baionette e, quando le ritraevano, quelle rimanevano incastrate tra la carne e le ossa, lasciandoli esposti a un contraccolpo.
In tutto quel caos, vidi dinanzi a me una luce. Una bagliore intenso, magnifico che mi cinse e mi attirò a sé. Una strana sensazione di pace avviluppò il mio corpo, la mia mente e la mia anima. Non avevo mai provato nulla di simile nei miei brevi diciassette anni di vita e, mentre nelle trincee i soldati continuavano a massacrarsi, io non era nessuno, ma potevo essere chiunque.

 

XI.

Venni catapultato nella capanna di tronchi dell'anziano. Ero di nuovo io, e sapevo che avevo vissuto la vita di un altro. Una vita che non mi apparteneva. Ma una voce distorta nei meandri della mia mente mi diceva che mi sbagliavo. Ero io, anche se non ero io.
Ottavio mi stava fissando. "Ma... Ma dove sei stato?"
"Io... Ero... " Balbettai, confuso.
L'essere senza volto si materializzò dinanzi al mio viso.
"FERMO!" Gridò il vecchio.
Venni risucchiato dentro il volto di quell'essere. Non percepivo più il mio corpo e la mia mente. Udivo le urla lontane e distorte di Ottavio, l'anziano mormorare qualcosa.
Poi le tenebre mi avvolsero, e mi ritrovai a guardare dietro il mirino di una pistola. La tenevo puntata contro un ragazzino impaurito. Un soldato con il viso ancora da bambino. Premetti il grilletto e la pallottola lo centrò sotto l'occhio destro, spappolandogli una parte del cranio.
Ero stato quel ragazzino impaurito.
Potevo sentirlo nel profondo della mia anima. Una sensazione intima e surreale. Stavo rivivendo la mia morte attraverso gli occhi dell'ufficiale?
"Tu non sei nessuno, ma puoi essere chiunque." Disse una voce metallica e imponente nella mia testa.
"Io non sono nessuno, ma posso essere chiunque." Bisbigliai ossessivamente.
Non riuscivo a controllare l'ufficiale. Era come se stessi osservando la sua vita attraverso i suoi occhi.
Balzò giù nella trincea con un mezzo sorriso soddisfatto. I soldati dalle uniformi grigie avevano vinto e ora stavano saccheggiando i cadaveri. I nemici feriti venivano uccisi con varie martellate in testa e, chi aveva pietà del vinto, lo finiva con una pugnalata al cuore. Ma era un gesto raro, mentre non lo era l'accanimento sul nemico inerme. Alcuni si divertivano, altri sfogavano così la loro rabbia.
L'ufficiale si guardò intorno, mise la pistola nella fondina e iniziò a setacciare con gli occhi i soldati morti. Camminò lungo la trincea, finché si fermò davanti a un ufficiale nemico morto. Si chinò e prese qualcosa dal suo taschino. Un foglio con parole e numeri codificati.
D'un tratto si udì un forte boato.
L'ufficiale alzò lo sguardo.
Mi ritrovai a volteggiare in cielo, mentre una densa nube di polvere si elevava dalla trincea. Un colpo di mortaio aveva fatto a pezzi l'ufficiale e una decina di soldati all'interno. Seguirono una cacofonia di boati ed esplosioni, uno scambio pesante di mortai che ridusse a pezzi ogni cosa. Continuarono per un lungo momento, finché tornò il silenzio.
"Sono tutti morti." Disse la stessa voce nella mia testa. "Vincitori e vinti."

 

XII.

D'un tratto mi ritrovai nella trincea in una notte senza né stelle, né luna.
Dinanzi a me stava l'essere senza volto, e tutt'attorno le facce cadaveriche dei soldati di entrambi gli schieramenti. I loro stanchi e sofferenti occhi vitrei mi fissavano come se aspettassero l'agognato riposo. E provai pietà per loro. Una grande pietà.
Poi la trincea si dissolse, e un verdeggiante bosco ne prese il posto. Lo stesso bosco ove mi piaceva immergermi per lunghe camminate. Mentre una piacevole brezza gelida mi accarezzava il viso, le facce cadaveriche mi tesero le argentee mani e si avvicinarono.
L'essere senza volto allargò le braccia e, prima che i soldati svanissero come cenere al vento, mi parve di vedere un sorriso di ringraziamento sui loro volti.
L'essere senza volto sprigionava un'energia arcaica, di pace, e in breve ne venni pervaso.
"Ricorda." Disse una voce profonda e melodiosa che proveniva dall'essere. La stessa voce che avevo sentito nella mia testa.
Crollai sulle ginocchia.
"Tu eri qui un secolo fa. Ami questi boschi perché ci sei morto, e provi a ritrovare te stesso perdendoti fra i suoi sentieri. Una parte di te giace nella terra. Una parte di te desidera appropriarsene. Una parte di te vuole lasciarsi tutto alle spalle."
Non capivo le sue parole. Si riferiva al soldato morto nella trincea? Quel soldato che sembrava essere me in una vita precedente?
L'anziano apparve tra gli alberi, seguito da Ottavio.
L'essere mi afferrò per una spalla, e sentii la sua calda mano acquietare la mia anima. Un senso di pace mai provato prima. La pace dei sensi.
"Lascialo!" Urlò il vecchio puntandogli il bastone.
"E tu lascia questa terra, anima immonda." Rispose l'essere senza volto. "Sei stato corrotto dal male, e adesso confondi il giusto con l'ingiusto, il male con il bene. Spargi malignità. Semini morte!"
Vidi il vecchio abbassare il bastone.
"Il tuo tempo è giunto." Continuò l'essere senza volto. "Hai cercato di ingannarli, di nutrirti della loro essenza vitale, così come hai fatto con i soldati un secolo fa. L'ignoto non è un perpetuo esistere, ma una destinazione. Un viaggio verso l'illuminazione interiore. Vieni con me. Accetta la tua redenzione. O sarà la luce di quest'uomo a distruggerti."
Non stavo più a capirci niente. Pensavo che fosse l'essere senza volto il nemico, il mostro. Perché mi sembrava tutto così confuso? L'ignoto era il nemico. L'anziano aveva detto così, o forse mi ero convinto da solo? Perché dovevo uccidere un innocuo vecchietto?
L'anziano gettò a terra il bastone e, raggiungendo l'essere senza volto, gli bisbigliò qualcosa in una lingua sconosciuta. L'essere lo accolse nelle sue braccia e svanirono in un fascio di luce nero-viola verso le stelle.
D'un tratto crollai a terra, insieme a Ottavio. Ero paralizzato, ma riuscivo a muovere gli occhi, a udire le fronde smosse dal vento. Cercai di parlare, ma mi uscii solo un rantolo soffocato.
Poi caddi in un sonno senza sogni.

 

XIII.

Mi svegliai in una piccola conca con le spalle poggiate a un tronco e un mal di testa infernale. Ero circondato da una fitta vegetazione. Alzandomi lentamente, mi massaggiai le tempie. Scorsi il mio zaino poco più avanti coperto da alcune foglie secche. Poi vidi una sagoma tra gli alberi.
"EHI!" Gridai, andandogli incontro.
Era Ottavio. Si voltò verso di me.
"Stai bene?" Gli dissi.
Ottavio mi squadrò, e mi sembrò confuso. "Certo. Tu invece?"
"Dov'è l'anziano?"
"Quale anziano?"
"Era con noi. Non ricordi?"
"Con noi? Ma che stai dicendo?"
"Eravamo..."
"Eravamo?"
"Davvero non ricordi nulla?"
Ottavio rimase in silenzio per un momento. "Cosa dovrei ricordare? Sono stato a perlustrare i boschi dalle sei di stamane."
Come poteva non ricordare nulla? Era stato solo un mio sogno? Un mio incubo? Tutto frutto della mia mente?
"Allora? Di che diavolo parli?" Mi chiese.
"Stavi cercando un uomo dalla carnagione scura, giusto?" Cercai di fargli tornare la memoria.
Mi fissò per un attimo, e sembrò ancora più confuso di prima. "Questi boschi ti stanno facendo impazzire, Antonio. O forse è il caldo?" E se ne andò ridacchiando fra sé.
Come poteva essersene dimenticato? Ricordavo perfettamente ogni cosa, anche se non capivo il senso di quello che avevo passato.
Decisi di lasciare il bosco, convincendomi che fosse stato solo un sogno o un incubo.
Mentre camminavo, scorsi qualcosa tra gli alberi. Mi feci largo tra la fitta vegetazione e raggiunsi alle spalle un uomo che fissava il tronco di un albero. Il suo aspetto mi era vagamente familiare.
Quando gli toccai una spalla, quello si voltò. Ero io.
Mi sorrise freddamente con uno sguardo apatico.
"Ma tu... Sei..." Balbettai.
"Popoli ancestrali giacciono addormentati nell'apatia." Disse con una voce gutturale, priva di emozioni. "Tu chi sei? Non sei nessuno, ma puoi essere chiunque."
Il suo volto scomparve e, insieme ad esso, il mondo.

   
 
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