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Autore: MaxB    12/03/2020    10 recensioni
Ossessionata dalla saga de La Passe-Miroir, non riesco a pensare ad altro da settimane.
E ho bisogno di approfondire alcune scene dei primi tre (e spoiler del quarto) volumi.
Ci saranno missing moments, scene descrittive relative a Thorn, soprattutto alla sua infanzia, e immersioni nei dialoghi tra Ofelia e Thorn, per come me li immagino io. Ed eventuali scene mancanti che ci starebbero bene.
Per possibili spoiler sul quarto volume verranno dati avvisi in cima alla pagina.
Aggiornamento irregolare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Scena che ho riletto qualcosa come 12 volte, ultimissime pagine del libro terzo, La Memoria di Babel.
Ecco come mi sono immaginata la prima volta di Ofelia e Thorn.
Il mondo smise di essere parola per farsi pelle. Fedele a questa meravigliosa citazione, che trovo stupenda per descrivere un rapporto amoroso, non ci sono parole nel capitolo, se non due frasi che mi sono sentita in dovere di aggiungere.
 

1. Peau
 
 
- Fammele vedere.
Erano bastate quelle due parole pronunciate con sicurezza per scacciare via dallo sguardo di Thorn tutta l’insicurezza e l’intimidazione, accendendovi un altro tipo di luce. Con le mani che ancora gli circondavano il viso, pronta come non lo era mai stata, Ofelia sentì i muscoli di Thorn rilassarsi e la tensione emanata dai suoi artigli alleggerirsi, lasciandola ancora più libera.
Spronato dalle sue chiare e certe intenzioni, e dalla sua mancanza di tentennamenti, Thorn si portò le mani verso il colletto della camicia, che cominciò a sbottonare con gesti rapidi e metodici, precisi. Ofelia non abbandonava il contatto visivo nemmeno per un secondo, e per una volta fu Thorn a rischiare di sentirsi schiacciato dal suo sguardo intenso, che non era freddo e tagliente come il suo, ma dolce e caldo come il cioccolato dei suoi occhi. Giunto all’altezza dell’addome, continuò a sbottonarsi la camicia con una mano sola, mentre l’altra saliva verso la nuca di Ofelia. Lei subodorò solo un leggero sentore dell’alcol farmaceutico con cui si disinfettava con meticolosità le mani ogni volta, e ringraziò che non se le fosse pulite pochi istanti prima. La situazione era già abbastanza conturbante, non le servivano odori penetranti che le facessero girare ulteriormente la testa.
Thorn la tirò a sé e la baciò per non doverla più guardare in viso, per calmare quell’impulso che si faceva sempre più divorante ogni secondo che passava, cercando di essere calmo e lento per una volta nella sua vita.
Ofelia si godette quel contatto come se fosse il primo vero bacio che si scambiavano. Quando erano sulla muraglia di Sabbie d’Opale, era stato Thorn a baciarla, cogliendola di sorpresa e attivando un meccanismo di difesa che si era concretizzato in uno schiaffo non voluto. Non un ottimo inizio. Dopo tre anni era stato sempre lui a tirarla a sé, quando erano mezzo crollati sul pavimento della stanza dell’Ordinatore, nel Secretarium. Thorn non aveva voluto lasciarla andare quando lei aveva provato a tirarsi indietro, conscia solo dello stivale che aveva piantato nella gamba; l’aveva tirata ancora di più a sé, muovendo la bocca sulla sua in maniera un po’ meno maldestra della prima volta, lasciandoli entrambi a corto di fiato.
Ma questo bacio era puro calore, che si irradiava nelle vene e andava ad alimentare quello che sentiva già nelle profondità di se stessa, un luogo inaccessibile che non credeva nemmeno esistesse. Che solo Thorn le aveva e le avrebbe fatto scoprire. Le loro bocche non erano più timide e impacciate mentre si esploravano in quel bacio lento e profondo, sicuro e appassionato che fece accelerare i loro respiri nel giro di pochi secondi.
Quando Thorn tolse la mano dai suoi capelli, non prima di averli stretti più forte, come restio a lasciare andare i suoi boccoli scomposti, Ofelia capì che aveva finito di sbottonarsi la camicia con una sola mano. In pochi secondi aveva compiuto un’operazione che a lei avrebbe richiesto due minuti buoni con l’ausilio di entrambe le mani, figuriamoci una sola. Fortunatamente l’affettazione e la sicurezza dei gesti di Thorn bilanciavano i suoi, maldestri e poco pratici. Tanto più che senza guanti non avrebbe potuto toccare nulla che non fosse pelle umana.
Del resto, l’intento era stato quello fin dall’inizio…
Ofelia fece scivolare le mani giù dalle sue guance rasate, verso il suo collo, per poi posargliele sulle spalle, sotto la camicia, mentre Thorn si levava del tutto l’indumento e lo lasciava cadere per terra, senza mai staccare gli occhi ardenti dai suoi, il respiro corto e il battito accelerato. Ofelia sentiva la sua pelle bruciare sotto le dita, e si costrinse ad abbassare lo sguardo per fissare il corpo nudo di Thorn. Se si escludeva il suo fratellino Hector e l’imprevisto incidente con Renard, era la prima volta che vedeva un uomo a petto nudo. Mentre quello di Renard era coperto da una folta peluria rossa come i suoi capelli di fuoco, quello di Thorn era glabro, liscio come quello di Hector. Ma le somiglianze finivano lì.
Thorn non era magro quanto pensava. Per lo meno, non era scheletrico. La muscolatura era appena abbozzata, di sicuro non accentuata, ma Ofelia vedeva chiaramente la linea che ne delineava i pettorali e gli addominali. Anche le braccia, per quanto lunghe, non erano sottili quanto aveva immaginato, sebbene fossero asciutte e affilate come spade. Nel complesso quella visione era una piacevole sorpresa, cui Ofelia dedicò una minima parte della sua attenzione.
La gran parte d’essa era invece concentrata sulle innumerevoli cicatrici che solcavano la pelle di braccia, avambracci, addome, petto e spalle. Ne sentiva una particolarmente pronunciata sotto la mano destra, che fece scivolare sul suo braccio per poter osservare cosa ci fosse sotto.
La spalla era attraversata da una cicatrice larga e netta, dritta come un fuso, che gli arrivava sotto la clavicola. Sul braccio destro ne aveva una che i suoi parenti dovevano essersi parecchio divertiti a procurargli: era una spirale che partiva dal gomito e risaliva come una scala a chiocciola sul bicipite e terminava sotto l’ascella. O forse partiva da lì e terminava sul gomito, Ofelia non avrebbe saputo dirlo. Sull’avambraccio relativo ne aveva una trasversale, e poco più in alto due che si intersecavano a croce, come il mirino di un bersaglio, o l’indicatore di un tesoro. Erano tutte bianche, macchie ben definite sulla pelle chiara, alcune spesse e robuste, altre sottili e incavate.
Ofelia gli prese la mano destra e se la portò alla bocca, baciandogli prima le nocche scorticate, cercando di non inspirare troppo l’odore di disinfettante, poi risalendo sul polso magro, baciandogli le ossa sporgenti, e infine lasciandogli una scia di baci su tutta la lunghezza delle cicatrici. Gli baciò le curve di quella a spirale e alzò gli occhi su di lui quando stava per passare a quella sulla sua spalla. Thorn era immobile, una statua, gli occhi chiusi e la bocca semiaperta. Quando capì che si era fermata aprì gli occhi di scatto e li incatenò a quelli di Ofelia, facendole perdere un battito e facendola arrossire. La stava divorando con lo sguardo, come un cacciatore con la sua preda, o un Drago con la sua Bestia. Ma quella che stavano inscenando era un altro tipo di caccia.
Distogliendo lo sguardo, Ofelia si allungò per baciargli anche quella sulla spalla, spessa sotto le sue labbra. Con la coda dell’occhio ne vide una sul collo, una mezzaluna che non aveva mai notato per via degli indumenti che portava abbottonati fin quasi al mento. Sentiva l’acciaio dello sguardo di Thorn su di sé, ma lo ignorò e lo baciò dolcemente sul collo, facendolo irrigidire nuovamente. Quando si staccò lo vide più rigido e nervoso che mai, e il suo corpo emanava ondate di un sentimento represso che si stava facendo violenza per trattenere. Stava adeguando il ritmo a lei, cosa che non gli era mai capitato di fare con nessun altro.
Ofelia proseguì con l’esplorazione verso il suo braccio sinistro, lentamente, come chi ha a disposizione tutto il tempo del mondo. E loro, per una volta, ce l’avevano. Chiusi in quella camera, circondati dalla pioggia e dal silenzio, erano in una bolla fuori dal mondo, una piccola arca tutta loro, un interstizio tra gli specchi.
Thorn trasalì di nuovo quando Ofelia si inginocchiò tra le sue gambe e gli fece scivolare le mani sull’addome, guardandolo di sottecchi, leggermente intimidita. Ma lui stava bevendo ogni suo gesto, in attesa, un rapace pronto a spiccare il volo, un orso pronto a balzare. Prendendo coraggio, Ofelia gli accarezzò la pelle calda, liscia lì dove non c’erano cicatrici che gli ricoprivano il corpo come tatuaggi sbiaditi. Thorn aveva un clan tutto suo, e quei segni ne dimostravano l’appartenenza. Ofelia, anche se in misura minore, gli teneva compagnia, tra le artigliate di Freya, le cadute da bambina, i vetri dei compagni precorritori e le percosse subite nei panni di Mime. Erano un gruppo a parte, loro due. E si appartenevano.
Un taglio sul fianco, uno squarcio sul pettorale, una linea frastagliata che girava e finiva sulla schiena… Ofelia glieli baciò tutti, finché Thorn non si chinò per reclamare la sua bocca affinché baciasse anche le sue labbra, non solo la sua pelle. Le circondò il viso prima di far scendere le mani e attirarla a sé. Curvo com’era, sembrava uno strano contorsionista, un mobiletto ripiegato su se stesso. Ofelia gli fece il favore di alzarsi per essere quasi alla sua altezza, e ricambiò con forza la stretta con la quale Thorn la stringeva, quasi a volerla spezzare, come se ancora non fosse abbastanza vicina. Per essere uno che teneva all’igiene e alla pulizia in maniera maniacale, quei baci umidi e profondi dovevano essere un affronto per lui. Eppure cercava contatti maggiori, non voleva lasciarla andare. O l’istinto primordiale che si era impossessato di Thorn era più forte delle remore che si faceva, oppure il suo desiderio di stare con lei era così grande da far passare in secondo piano le sue manie. Quando le sue mani scesero verso la sua vita e afferrarono la stoffa della sua vestaglia nel pugno, Ofelia capì che la risposta si trovava nella seconda opzione.
Thorn aveva bisogno di lei, in tutti i sensi. Dopo una vita di privazione affettiva, passata a ricevere solo disprezzo, disgusto e cattive opinioni, gli serviva qualcuno che lo amasse davvero, per ciò che era, per com’era, per quello che diceva e faceva. Per i suoi modi bruschi e poco cordiali, asociali, per le manie, per la mancanza di senso dell’umorismo, per la pignoleria, lo stakanovismo e la poca loquacità. Ma anche, e soprattutto, per la generosità, la lealtà, la coerenza, la devozione assoluta, l’attenzione, la premura. L’amore incondizionato.
Thorn fece risalire le mani dalla sua vita alle sue braccia, fino alle sue spalle, da cui fece scivolare per terra la vestaglia che Ofelia non si era nemmeno accorta le avesse slacciato. Lei però non aveva ancora finito con le sue cicatrici. Si scostò e salì sul letto, attenta a non inciampare, ma non prima di aver notato sul volto di Thorn uno sguardo quasi ferito, di bramosia, una specie di capriccio non accontentato. Si inginocchiò alle sue spalle mentre lui teneva lo sguardo fisso di fronte a sé. E lei capì come mai rimanesse così immobile, perché non si fosse girato con lei, seguendone i movimenti sul materasso.
Ofelia era disgustata.
Non disgustata dalla schiena del marito, ma dalla cattiveria, dall’invidia, da qualunque fosse il sentimento che aveva spinto degli esseri umani, dei familiari¸ a ridurre in quello stato la schiena, la pelle, il corpo di un uomo. Un uomo buono. Perché Thorn era un uomo buono.
La sua enorme schiena dalle spalle larghe e la vita stretta sembrava essere stata presa a frustate. Le cicatrici erano larghe e lisce, non ispessite. La pelle era guarita bene, ma questo non cancellava l’abominio di cui era stata oggetto. Tre grosse artigliate parallele correvano obliquamente dalla spalla al fianco, interrotte qua e là da altri squarci di diverse dimensioni. Ne aveva anche una verticale che andava dal collo fin sotto la cintura, perdendosi chissà dove, come una seconda spina dorsale impressa sulla pelle.
Thorn espirò lentamente, incapace di rimanere ancora in apnea, e si incurvò un po’. Ofelia sapeva di dover dire qualcosa, o forse di non dover dire nulla. Nessuna parola sarebbe stata adeguata, né una domanda, né una formula di conforto. Il silenzio diceva già tutto. Le veniva da piangere, ma aveva paura che Thorn fraintendesse la causa di eventuali lacrime. Spinta da una forza irresistibile, quella che guidava già da diversi minuti i suoi gesti, si alzò sulle ginocchia e buttò le braccia al collo di Thorn, premendosi contro la sua schiena, abbracciandolo da dietro.
Lo sentì sussultare nuovamente. Non aveva previsto quello slancio, né che il busto di Ofelia avrebbe aderito così perfettamente a sé. Sentiva spingere il corpo della moglie contro il suo, consapevole di tutte quelle curve che non aveva mai potuto distinguere, tantomeno toccare, ma che in quel momento erano premute contro di lui come se fossero un solo corpo, loro due. E forse era proprio così.
Ofelia si chinò a baciargli il collo lentamente, inspirando il profumo leggero della sua pelle, sempre così pulita nonostante il sudore e l’alta temperatura. Lo annusò seppellendo il naso contro la sua clavicola, ringraziando che almeno il resto del corpo non sapesse di disinfettante. Non come le mani. Thorn allungò le braccia e prese le sue minuscole dita tra le sue, lunghissime, stringendole dolcemente. Ofelia lo interpretò come un muto ringraziamento, che contraccambiò con un bacio sulla spalla, quella dove svettava la cicatrice. Fece scivolare le mani via dalle sue, passandogliele sulle spalle in una lunga carezza, forse la prima che Thorn avesse mai ricevuto. Gliele fece passare lungo la schiena, sopra le cicatrici, e lo vide rabbrividire nonostante la temperatura fosse parecchio elevata in quel periodo. Alla fine gliele passò sui fianchi magri e gliele allacciò sullo stomaco, posando la testa sulla pronunciata colonna vertebrale. Sorrise quando sentì il suo cuore rimbombargli come un tamburo contro l’orecchio, ad un ritmo forsennato, seguendo le note di un’antica danza persa nel tempo.
Thorn le afferrò nuovamente le mani e si chinò per baciargliele, dito dopo dito. Ofelia sentì la sua guancia morbida sotto le dita, e si rese conto che Thorn si era preparato per quel momento. Sbarbato, pettinato, con l’armatura ben solida sulla gamba… ci teneva a fare bella figura, a rendersi presentabile. Oltre a non nutrire una gran stima per gli altri, non ce l’aveva nemmeno per sé, visto quanto le aveva riferito poco prima, cioè che era consapevole di non essere attraente. Aveva però cercato di rendersi al meglio per lei, cosa di cui si sentì oltremodo lusingata, visto che non teneva in considerazione nessuna opinione altrui; le aveva fatto capire che quella sua gli importava enormemente. Arrossì quando si rese conto che forse Thorn aveva desiderato quel momento, per quanto lei gli avesse detto che non avrebbe mai condiviso il letto con lui. La sua confessione doveva avergli dato l’impressione che ci sarebbe stata una smentita anche di quella vecchia dichiarazione infelice, spingendolo a rendersi adatto alla situazione in caso di un cambio di opinione. Del resto, erano sposati da tre anni…
Con i capelli spettinati per via dell’automa asciugacapelli e il pigiama troppo grande e informe di Ambroise, però, più che Thorn, era lei quella molto poco attraente. Grazie al cielo lui non aveva mai badato a quelle cose, nemmeno quando si erano visti e lei aveva avuto il viso pesto, le ossa rotte, il sangue che le colava dal naso. Non gli importava del suo aspetto, ma teneva così tanto a lei da essersi preparato di tutto punto.
Sentì un tale moto di affetto per quell’uomo, che ai suoi occhi era attraente, ammaliante e sapeva farle girare la testa con uno sguardo, che dovette staccarsi da lui per ritrovare il respiro. Thorn si alzò velocemente e si voltò verso di lei, facendo scricchiolare leggermente l’armatura. A petto nudo di fronte a lei, la osservava con uno sguardo allo stesso tempo vulnerabile e duro come l’acciaio delle sue iridi chiare. La prese per mano e l’aiutò ad alzarsi in piedi sul letto, per essere allo stesso livello. Ofelia odiava doverlo sempre guardare dal basso, ma era così strano essere alta come lui! Certo, in piedi sopra un letto, ma quelli erano solo dettagli…
Si accorse solo in quel momento che le piaceva la loro differenza d’altezza. Thorn era una torre di guardia che vegliava su di lei, sempre pronto a proteggerla e schermarla. E le piaceva anche, cosa che aveva scoperto da qualche minuto, quando Thorn si impossessava della sua bocca senza permessi o richieste, agendo e basta. Per essere uno che pensava fino allo sfinimento, non gli mancavano certo i gesti per concretizzare quei pensieri. Circondandogli il collo con le braccia, Ofelia si sentì andare a fuoco quando la lingua di Thorn, lenta ma sicura, come in cerca di un permesso, cercò la sua. Quasi le cedettero le gambe rispondendo a quel bacio così profondo, fatto di labbra, saliva, lingue, ansiti e respiri strozzati. E calore. Thorn le afferrò la vita e, quasi sostenendosi a lei per paura di cadere, fece passare le dita sotto alla stoffa della maglia del pigiama, sfiorandole la pelle nuda.
Fu il turno di Ofelia di rabbrividire. Le mani di Thorn erano calde, ma il suo tocco contro il suo corpo era incandescente. Non ottenendo un rifiuto, si spinsero un po' più oltre nell’esplorazione sotto la maglia, infilandosi del tutto sotto l’indumento, fino a stringerle i fianchi nudi, pelle contro pelle. Essendo in casa, ed essendo la temperatura esterna particolarmente alta in quel periodo, Ofelia indossava solo e unicamente il pigiama. E la vestaglia, per apparire più decorosa. In sostanza, aveva reso la vita facile a Thorn, le cui mani toccavano solo pelle ovunque andassero. Si mossero verso la sua schiena, salendo poi verso l’alto, fino alle scapole. Ofelia era tanto morbida quanto Thorn spigoloso, e lui si beò di quel contatto caldo e confortante.
La sua bocca scese a baciarle il collo, lasciandola libera di respirare. Quando sentì le mani del marito tornare indietro verso i fianchi e risalire, per nulla intimidita dalla loro lenta ascesa, sollevò le braccia per facilitargli il compito. Ofelia non poteva toccare i loro indumenti, essendo senza guanti, per questo Thorn le stava mutamente chiedendo il permesso. Lei non poteva spogliarsi, ma lui poteva farlo per lei. Quando capì che aveva il via libera, non esitò più. Le tolse la maglia con un movimento fluido delle mani, così agili e svelte da essere infallibili. Così calme e misurate quanto le sue erano nervose e goffe. La maglia venne depositata a terra, vicino alla vestaglia, senza tante cerimonie, ma Thorn non la guardò. Continuò a baciarle collo, spalle e clavicole finché Ofelia non reclamò la sua bocca, stringendosi a lui, cuore contro cuore ad un ritmo impossibile da sostenere. Il fuocherello che avevano dentro era divampato e tutto sembrava diventato urgente, indispensabile e insufficiente.
Thorn gemette quando sentì il seno di Ofelia premere contro il suo petto, piacevole al contatto. Mai nella sua vita aveva indugiato in simili fantasie, pensando che una situazione del genere non sarebbe mai potuta avverarsi, con nessuna donna. Invece in quel momento era lì, mezzo nudo, con colei che amava e che non poteva più tollerare di sentire distante. Voleva farla sua, voleva che pensasse solo a lui, che appartenesse solo a lui, che guardasse solo lui. E che lo desiderasse.
Capì finalmente che tutto quello che voleva si era già avverato quando avvicinò le mani al bordo dei suoi pantaloni del pigiama e, infilando leggermente le dita sotto l’elastico, non incontrò resistenza. Ofelia seppellì il viso nella sua spalla, emozionata e nervosa, e attese di scoprire dove sarebbero andate le mani di Thorn. Quelle mani che l’avevano sempre fatta impazzire senza comprenderne il motivo, specialmente quando si disinfettava. Ora capiva: voleva che toccassero lei, le attendeva sulla pelle, ma non erano mai arrivate fino a quel momento.
Thorn le fece scivolare i pantaloni sulle gambe e arrischiò una sbirciatina verso il basso. Vide parzialmente il seno della moglie, ancora schiacciato contro di lui, e le sue gambe che calciavano via i pantaloni da sotto i piedi. Ofelia era magra, ma non eccessivamente. Aveva le curve giuste al posto giusto, e Thorn ringraziò che non avesse la sua stessa costituzione allampanata.
Cogliendolo di sorpresa, Ofelia si allontanò da lui con due passi indietro, rossa in viso. Se per vergogna, imbarazzo, trepidazione o aspettativa, non avrebbe saputo dirlo. Si lasciò sbranare in silenzio dallo sguardo famelico di Thorn, che la squadrava da sopra a sotto senza il minimo disagio, come aveva fatto tante volte in passato, in procinto di valutare la situazione e trarre conclusioni. L’unica conclusione, in quel caso, fu un chinarsi per rimuovere l’armatura, depositandola di lato con cura, e accingersi a sbottonare i suoi, di pantaloni. Operazione che, per la prima volta da quando Ofelia gli si era avvicinata per baciargli le cicatrici sul viso, sembrò paventare. Quando se li fece calare giù dalle lunghe gambe, distogliendo lo sguardo e arrossendo fino alle orecchie, Ofelia gli si avvicinò per rassicurarlo e attirarlo a sé.
Fedele come al solito, la sua intrinseca goffaggine la fece inciampare. Thorn si avvicinò per evitarle la caduta, ma la gamba malata lo tradì, facendo cadere entrambi in avanti, uno sopra l’altra, sul letto. Ofelia lo guardò con gli occhiali storti sul naso, e Thorn si affrettò a raddrizzarglieli. Ofelia scoppiò a ridere, facendogli increspare la fronte in un moto di frustrazione. Sconsolato, chinò la testa scuotendola in rassegnazione, scontrandosi con il suo seno, e ponendo fine in modo brusco alla risata della moglie, che lo guardò sorpresa. Temendo di averlo fatto allontanare, gli sorrise dolcemente e gli diede un leggero bacio sulle labbra, circondandogli il volto con le mani per poi scendere sul collo e sulle spalle. Voleva che continuasse, e con Thorn i gesti valevano sempre più delle parole. Da sopra di lei, cercava di non pesarle addosso, anche se Ofelia avrebbe tanto voluto sentirlo più vicino.
A poco a poco i loro respiri spezzati divennero l’unico suono che erano in grado di percepire, il tocco delle loro mani l’unica cosa di cui fossero consapevoli. Sarebbero potute crollare le Arche e non se ne sarebbero accorti. Thorn si faceva di secondo in secondo più audace, abbandonando la bocca di Ofelia per scendere in basso, verso quel seno che lo stava mandando fuori di testa. E lui pensò bene di far impazzire pure lei, ripagandola per tutte le carezze che gli stava facendo. Senza nemmeno rendersene conto erano rimasti completamente nudi, senza alcun ulteriore pezzo di stoffa a separarli.
Erano pelle contro pelle, cuore contro cuore, bocca contro bocca e, quando Thorn si separò da lei bruscamente, Ofelia capì che era giunto il momento di unirsi definitivamente a lui.
Lo sguardo di Thorn era così intenso che Ofelia temette di non poterlo sostenere. Si rese conto in quel momento di amarlo così tanto da provare un dolore fisico alla bocca dello stomaco alla vista dei suoi occhi, dentro i quali scorgeva un trasporto sconfinato e un bisogno di abbandonarsi a lei che le fecero venire le vertigini. Oppure era paura? Probabilmente solo desiderio. Thorn le baciò dolcemente la fronte, respirando contro la sua pelle accaldata e i capelli che ormai erano più indomabili del suo spirito combattivo. Ofelia capì che sarebbe riuscita ad ammorbidirlo, perché lo amava visceralmente, perché con lui era completa e perché in lei avrebbe trovato una casa, un rifugio e una persona fedele, su cui contare sempre.
Non sarebbe più stato solo. Non lo avrebbe mai ferito. E non avrebbe permesso che lo fosse mai più, né solo, né ferito.
- Ti amo – gli sussurrò all’orecchio, facendogli irrigidire contemporaneamente ossa, muscoli e tendini; persino il sangue sembrò fermarsi sotto le vene.
A volte Thorn sembrava proprio un automa, come se il nome affibbiatogli per scherno in realtà fosse consono, ma quando Ofelia alzò lo sguardo e vide un lampo di consapevolezza attraversargli il metallo delle iridi come un riflesso, ebbe la certezza che Thorn non era affatto un automa. Aveva in sé più sentimenti ed emozioni di qualsiasi altro essere umano, era solo bravo a nasconderli sotto una finta patina di freddezza e indifferenza.
Thorn posò la fronte sulla sua, dolcemente, e si mosse per unirsi a lei, senza impaccio, sicuro di sé come se lo avesse fatto migliaia di altre volte. Ma Thorn era sempre efficiente, non sbagliava mai un colpo. E Ofelia ringraziò che i loro ruoli fossero proprio quelli, ognuno con il proprio compito, a completarsi a vicenda. Lui arrivava sempre dove lei non era in grado.
Concentrata su ciò che stava accadendo più in basso, Ofelia chiuse gli occhi, cosa che indusse Thorn a fermarsi nonostante non avesse guadagnato nemmeno terreno. Temendo che avesse paura, che si fosse irrigidita o che ci stesse ripensando, le baciò la guancia con una tenerezza di cui non si riteneva nemmeno capace, in un bacio casto che si davano due fratelli, ma che valeva quanto un discorso chiaro e diretto.
Le baciò anche l’altra, e ad un soffio dalla sua bocca le sussurrò: - Ti amo -. Poi le sfiorò le labbra. – Anche qualcosa di più.
Ofelia sorrise e rilassò i muscoli che non si era nemmeno accorta di aver contratto. Aprì timidamente le gambe e si sistemò meglio sotto di lui, cercando di garantirgli un miglior accesso, che Thorn non esitò a varcare. Fu infinitamente lento e paziente, pronto a cogliere ogni minima reazione di Ofelia, ogni suo pensiero inespresso o cambio di intenzione. Ma lei non lasciò trasparire nulla, non mollò il contatto con i suoi occhi nemmeno per un secondo, e Thorn seppe che stavano facendo la cosa più giusta del mondo. Forse la cosa più giusta, vera e bella della sua vita. Con l’unica persona con cui avrebbe potuto farla, visto il disgusto che gli procuravano le altre persone. Parenti inclusi.
Ofelia gemette quando Thorn arrivò fino in fondo, cercando di ritrovare il respiro perduto e di non concentrarsi sul leggero bruciore che sentiva dove i loro corpi si univano. Ancora incredula, cercò di pensare al fatto che lei e Thorn erano una cosa sola in quel momento, un'unica pelle, un nucleo, marito e moglie, consacrati l’uno all’altra. Gli accarezzò il viso, teso per lo sforzo di mantenere quella posizione e di darle il tempo di adattarsi, di restare fermo e non spingersi in lei con foga brutale. Aveva sempre tenuto lei il coltello dalla parte del manico, e lui non aveva mai fatto nulla per impedirlo. Era giusto che fosse così. Ofelia si aggrappò a lui e si mosse leggermente per abituarsi alla presenza estranea nel suo corpo. Fece gemere Thorn, che si affrettò a chiudere la bocca, vergognandosi. Ma lei sorrise e gli grattò piano la schiena con le unghie, rendendogli impossibile stare zitto. Thorn perse completamente il controllo e iniziò ad ansimare come se fosse nel bel mezzo della corsa che Ofelia era costretta a sostenere ogni mattina alla Buona Famiglia.
Il dolore scemò fino a diventare una piacevole sensazione di pienezza, di completezza. Non pensava che il suo sentirsi vuota, il sentirsi incompleta, potesse essere una sensazione reale, fisica. Eppure lo era. In quel momento non le mancava nulla, finalmente aveva riempito quel buco che l’assenza di Thorn aveva scavato in lei.
Si mosse contro di lui, cogliendolo di sorpresa, dandogli il ritmo, lento e costante. Si abbandonò del tutto ai cuscini e passò le mani dalla sua schiena alle sue braccia, a cui si aggrappò come ad un’àncora. Chiuse gli occhi, incapace di sostenere ancora lo sguardo di Thorn che si beava di lei, e inarcò la schiena in un riflesso involontario, consentendogli un accesso ancora più profondo, maggiore di quanto credesse possibile. Gemettero entrambi, contemporaneamente, e in un muto consenso Thorn accelerò il ritmo, seppellendo il viso nel suo collo.
Ofelia perse la cognizione del tempo e dello spazio, conscia solo della pelle calda di Thorn, della cicatrice sulla sua tempia, del fuoco che le ardeva dentro e del fatto che qualcosa di indefinibile stava crescendo in lei, qualcosa che la sconvolse e che si trovò a desiderare, inducendola a spingersi d’istinto ancora di più verso Thorn.
Era tutto così corretto, così bello e piacevole. Ofelia non lo avrebbe mai immaginato. E Thorn ringraziò che Ofelia avesse cambiato idea riguardo a quella parte del loro matrimonio, perché ora che aveva scoperto cosa si provasse ad essere così uniti, non avrebbe più potuto farne a meno.
Dopo poco tempo ad Ofelia si mozzò il respiro; strinse con forza le braccia di Thorn prima di lasciar ricadere le sue ai lati del viso, gli occhi che si chiudevano lentamente, la bocca spalancata in un muto urlo. Ogni fibra del suo corpo si contrasse con uno spasmo, mentre Thorn la guardava inquieto, ma senza fermarsi, e l’istante successivo la sentì sospirare, rilassandosi come una gelatina sotto di lui. E più in basso, dove si ritrovò stretto all’improvviso, capì cos’era successo, e fu il suo turno di scoprire cosa stesse provando Ofelia.
Crollò sopra di lei, sommergendola, appoggiando la testa sul suo petto, sentendo il suo cuore battere all’impazzata contro il suo orecchio. Non udiva nemmeno i loro respiri spezzati e ansimanti, ed era lontanamente consapevole di tutti i punti in cui i loro corpi aderivano. Era conscio solo del battito cardiaco di Ofelia, e poi delle sue braccia, che lo strinsero e lo abbracciarono, per tenerlo stretto a sé. Una mano gli tracciò con leggerezza la colonna vertebrale, dal collo alla zona lombare, sentendo le costole sotto le dita, mentre l’altra si infilò tra i suoi capelli chiari scompigliati e sudati, accarezzandolo dolcemente.
Si sentiva bagnata ovunque, in un misto di caldo, fatica, sudore ed emozione, ma per nulla al mondo avrebbe chiesto a Thorn di spostarsi da lì, da sopra e da dentro di lei. Le pesava addosso in modo piacevole, era al sicuro, protetta e amata, e quando sentì Thorn sospirare sommessamente capì che per lui era lo stesso. Sorrise leggermente e portò le mani verso il suo viso, per sollevarlo dal suo petto. Lo baciò dolcemente prima di staccarsi per guardarlo negli occhi, vivi e attenti come non lo erano mai stati, per una volta non duri come al solito. Sembrava che l’acciaio che sovente fulminava gli interlocutori si fosse sciolto, pronto per essere riplasmato. Thorn le diede un altro bacio leggero, dandosi poi lo slancio per girarsi sul fianco, trascinandola con sé, e sfilandosi da lei nel mentre.
Uno di fianco all’altra, con i visi alla stessa altezza, si guardavano comunicandosi silenziosamente mille cose, mentre Thorn le accarezzava il braccio e la schiena, e Ofelia il viso, passandogli il pollice sulla guancia con la cicatrice.
Thorn si schiarì la voce e si preparò a parlare, ma Ofelia gli chiuse la bocca con un altro bacio, per poi staccarsi e scuotere la testa. Percepiva che avrebbe avuto difficoltà a parlare in quel momento, nonostante la sua forbita eloquenza facesse invidia ai dizionari, e non voleva che si rovinasse l’atmosfera. Si sentiva intontita e assonnata, così non poté fare altro che avvicinarsi a lui e chiudere gli occhi, mentre le mani di Thorn la accarezzavano.
Si addormentò nel giro di pochi istanti, con grande sorpresa di Thorn, che capì quanto dovesse essere stato pesante per lei quel periodo. Lo aveva notato sul suo corpo, sui muscoli del suo viso, sui sorrisi sempre più rari e sulla tensione che emanava, che gli aveva ricordato leggermente la sua. Per non parlare delle cicatrici, che aveva visto subito e su cui voleva chiederle ragguagli.
Le tolse gentilmente gli occhiali e approfittò del suo sonno per staccarsi da lei ed esaminarle le braccia e le gambe più da vicino, dove svettavano le piccole cicatrici bianche. Doveva essersele procurate alla Buona Famiglia, perché si intuiva che fossero fresche. Ripensò ai loro stentati dialoghi di quel periodo, di come gli avesse proposto più di una volta di smettere i panni da precorritrice. Avrebbe dovuto ascoltarla, darle modo di spiegarsi, indagare. Invece l’aveva lasciata in balia delle cattiverie e delle lotte di potere, della competitività di giovani uomini e donne senza morale. Tutto perché voleva egoisticamente mantenere le distanze: l’amava come non aveva mai amato nessuno, ma il non essere ricambiato gliela faceva quasi odiare. Era stato un marito scadente, per quanto si fosse dato da fare per essere esattamente il contrario. Nel meccanismo del matrimonio c’erano degli ingranaggi di cui gli sfuggiva il funzionamento. Aveva ancora molto da imparare.
Quando osservò l’espressione serena di Ofelia, però, così rilassata dopo molto tempo, non poté fare a meno di pensare che non fosse una causa persa. Non aveva praticità con le questioni fisiche, ma a giudicare dalle reazioni che lei aveva avuto durante la loro unione, avrebbe potuto asserire di non essersela cavata male. Ofelia si era davvero innamorata di lui, che era sempre rimasto fedele a se stesso e non aveva fatto nulla per corromperla o comprarla, se non essere asociale come suo solito. Il fatto che lei lo amasse per com’era, pacchetto completo, gli faceva provare una strana sensazione allo stomaco e al petto, come se gli mancasse il terreno sotto ai piedi. Si allungò per scostarle dolcemente i capelli dalla fronte e osservarla dormire. Sentì le labbra fremergli nel bisogno, per la prima volta nella sua vita, di sorridere.
Alla fine si alzò, coprì delicatamente Ofelia con un lenzuolo leggero e spense la radio, che stava disturbando la quiete con un sottofondo di voci esagitate e confusionarie. Nudo, si aggirò per la stanza raccattando i vestiti che avevano sparso nella foga, zoppicando sulla gamba storpia, e ringraziando che Ofelia non potesse vederlo in quello stato. Si chiuse poi in bagno per farsi una doccia, e quando ne uscì nessuno avrebbe mai potuto immaginare cos’era successo poco prima in quella stanza: pettinato e vestito di tutto punto, Thorn sembrava pronto per incontrare i genealogisti, i lord di Lux e il consiglio dei ministri del Polo, tutti insieme. Prese l’orologio da taschino per verificare l’ora, e quando questi si aprì e richiuse per permettergli di leggerlo, si meravigliò di scoprire che l’ora di pranzo era già passata da un pezzo. Con Ofelia aveva perso la cognizione del tempo.
Dopo essersi rimesso l’armatura sulla gamba, uscì senza far rumore per andarle a prendere qualcosa da mangiare, ma nel tragitto verso la cucina, in quell’enorme palazzo in cui era certo che Ofelia si sarebbe persa, si scontrò con Ambroise, trafelato e sconvolto.
- Mister, sono tornato subito appena ho appreso la notizia, e invidio il vostro sangue freddo e la vostra prontezza di spirito. Posso chiedervi come sta miss Of…
Thorn increspò le sopracciglia, innervosito. Non sapeva cosa pensare di quello strano individuo, ma il fatto che girasse sempre intorno a sua moglie e fosse così in confidenza con lei non glielo rendeva certo gradito. – Quale notizia?
La voce fredda di Thorn attraversò il salone vuoto come un fulmine a ciel sereno, interrompendo il discorso raffazzonato di Ambroise.
- Non avete udito? Ciò che è appena successo alle arche…
Thorn lo squadrò con perplessità, spronandolo a parlare, ma Ambroise non era ricettivo come Ofelia, che sapeva interpretare ogni suo sguardo. Per farsi capire fu costretto a porgli domande precise, con suo sommo fastidio.
Sconvolto dalle rivelazioni, le sopracciglia gli schizzarono così in alto che le cicatrici non finirono più di allungarsi. Fece marcia indietro e si ridiresse verso la camera da letto di Ofelia, anche se quando ci arrivò aveva già ripreso il controllo delle sue emozioni. Quando si accorse che Ambroise lo stava seguendo con la sua sedia a rotelle accelerò il passo. Prima di congedarlo gli lanciò un’occhiata ammonitrice da sopra la spalla, accertandosi di coprire l’intero vano della porta perché non potesse vedere la figura addormentata di Ofelia sul letto.
- Incontriamoci nel salone tra mezz’ora – lo istruì perentorio, abituato come sempre a dare ordini. – Anche qualcosa di più – aggiunse, sibillino, quando si rese conto che Ofelia era nuda e doveva prepararsi da zero.
Gli chiuse la porta in faccia prima di rischiare di arrossire di fronte a lui, e si girò verso il letto solo quando fu sicuro di aver riottenuto il controllo del suo volto. Afferrò gli occhiali di Ofelia dal comodino dove li aveva lasciati e si sporse su di lei, allungando una mano per scuoterla dolcemente fino a svegliarla. Si bloccò a mezz’aria. Da addormentata aveva un’aria così serena e rilassata che Thorn reputò un crimine doverla svegliare. In mezzo secondo si chiese se non fosse il caso di lasciarla lì e andare ad indagare per conto suo, intanto, rendendosi immediatamente conto che non glielo avrebbe mai perdonato.
Le toccò la spalla e lei rabbrividì subito al contatto con la sua pelle, che era diventata fredda.
Alcuni mugolii e miopi battiti di palpebre dopo, Ofelia mise a fuoco i contorni del viso di Thorn. Gli sembrava accigliato, ma forse era solo perché le mancavano gli occhiali, che lui le stava prontamente porgendo. Se li infilò e si rese conto che effettivamente Thorn era inquieto; sul viso gli era completamente scomparsa l’espressione che aveva avuto poco prima, quando…
Ofelia si alzò a sedere, coprendosi con il lenzuolo, sotto lo sguardo attento del marito. Aveva un brutto presentimento.
- Le arche stanno crollando. Sembra che Anima sia completamente sparita.
Diretto, conciso, senza fronzoli e abbellimenti lì dove le notizie peggiori lo avrebbero richiesto. Thorn era fatto così, e Ofelia lo accettava. Balzò giù dal letto e inciampò sulle coperte. Sarebbe caduta lunga distesa se Thorn, i cui riflessi ormai lavoravano più per Ofelia che per se stesso, non l’avessero afferrata per la vita. Nuda tra le sue braccia, lei arrossì e si diresse verso il bagno senza guardarlo, vergognandosi della propria goffaggine per la prima vera volta nella vita. Per fortuna non aveva dovuto sedurre Thorn con il fascino e l’eleganza, altrimenti non sarebbe mai riuscita a farlo innamorare.
Quando uscì dalla doccia trovò Thorn seduto ad aspettarla, il mento appoggiato sulle mani giunte, con i gomiti sulle gambe. Aveva impeccabilmente sistemato la stanza. La stava aspettando. Quella consapevolezza la colpì all’interno dello stomaco: lui che non aspettava mai nessuno, che non adeguava il passo e l’altezza a nessuno, che faceva sempre tutto di testa propria senza consultare nessuno, aveva aspettato lei.
L’aveva aspettata in tutti i sensi.
- Grazie – mormorò lei, avvicinandoglisi. Sapeva che avrebbe capito a cosa si riferiva.
Thorn scattò in piedi come una molla facendo stridere l’armatura, e con una smorfia di disappunto si diresse verso la porta tallonato da Ofelia. Con una mano sulla maniglia, esitò. Si voltò e si chinò a baciarla, un contatto leggero ma prolungato, un piccolo discorso muto. Presa alla sprovvista, come sempre, Ofelia non ebbe il tempo di ricambiare.
Thorn si raddrizzò e la guardò negli occhi. – Insieme.
Poi aprì la porta e la fece uscire per prima dalla stanza.
  
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