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Autore: absenthium    12/03/2020    0 recensioni
"Il Poeta era seduto su una panchina del parco, gli occhi persi nello spazio attorno a sé, rivolti ora alle fronde verdi e fitte degli alberi, ora al cielo che immacolato luceva, ora ai sentieri di piccole pietre bianche che si snodavano, ingarbugliati come una matassa di filo, e di nuovo alle genti che passavano davanti a lui, simili a macchie di colore sul paesaggio. Vi era una sorta di cruda bellezza, in tutto questo, ed egli si perse a contemplare quegli esseri, a scoprire le loro menti, i loro drammi, a vivere con essi e, quasi senza volerlo, si ritrovò a trasporre quella bellezza in poesia.
Quando fu il momento di tirare fuori un taccuino e una penna dallo zaino, però, decise che per quel giorno non era cosa da farsi, e rimandò al successivo."
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Poeta era seduto su una panchina del parco, gli occhi persi nello spazio attorno a sé, rivolti ora alle fronde verdi e fitte degli alberi, ora al cielo che immacolato luceva, ora ai sentieri di piccole pietre bianche che si snodavano, ingarbugliati come una matassa di filo, e di nuovo alle genti che passavano davanti a lui, simili a macchie di colore sul paesaggio. Ve ne erano d'ogni tipo. Vedeva anziani con sorrisi da bambini, e bambini con gli occhi tristi, donne e uomini dal passo pesante e altri che sul selciato si muovevano senza far rumore, giovani innamorati che si tenevano per mano e solitari che le mani le tenevano in tasca. Vi era una sorta di cruda bellezza, in tutto questo, e il Poeta si perse a contemplare quegli esseri, a scoprire le loro menti, i loro drammi, a vivere con essi. Cambiò volto più e più volte, cercando di scoprire una qualche verità su di loro e, quasi senza volerlo, si ritrovò a trasporre quella bellezza in poesia. Già immaginava la pagina macchiata d'inchiostro, piena di parole, piena di vite, e conosciute le parole, s'arrischiava a immaginare il foglio macchiato mutarsi in uno fresco di stampa e rilegato assieme a molti altri sotto un titolo unico portante il suo nome.
Sì, un giorno questa sarebbe stata la sua vita. Le frasi che quella giornata aveva fatto fiorire in lui erano così limpide nella sua mente, così perfette e vere.
Quando fu il momento di tirare fuori un taccuino e una penna dallo zaino, però, si rese conto che la sua mano appariva pesante come un macigno. Così , decise che per quel giorno non era cosa da farsi, e rimandò al successivo.

 

Mi sembra giusto, gentili amici, spendere qualche parola su questo Poeta, e illustrarvi di chi si trattasse, di quale indole fosse, e forse addirittura spiegare a cosa sia dovuta la peculiare pesantezza dei suoi arti.
Di lui dovete sapere che nacque a Roma e a Roma visse, ché l'affetto per la città natia era ben più forte del desiderio d'altre strade.
Quando ancora era fanciullo, s'era ritrovato a vergare brevi storie in grandi lettere irregolari, illustrandole poi con pastelli di colori sgargianti. Le aveva mostrate ai suoi compagni di classe, ai suoi insegnanti e infine, con una sorta di timore reverenziale, le aveva lette ai genitori, i quali, ben contenti della vena creativa del figlio, gli avevano scherzosamente predetto un futuro da grande scrittore. Lui doveva averli presi più che sul serio, perché crescendo si convinse che la sua vocazione non poteva essere che quella del poeta, e in nome di questa idea spese i suoi anni giovanili.
Come un disperato, fino ai dodici anni d'età scrisse un prologo per ogni storia del mondo, finendo però per abbandonare ognuno di essi. A tredici anni, continuò a tentare con tale approccio, ma fu solo il giorno del suo quattordicesimo compleanno che si rese conto di cosa era andato storto. Non aveva senso incominciare, e abbandonare, e poi riprendere e lasciare ancora, facendo tentativi con racconti ogni volta diversi. Aveva bisogno d'una singola storia, un'opera prima, quello che sarebbe stato poi il suo capolavoro. Sì, a questo doveva pensare. Gli era inutile mettere bianco su nero qualunque cosa gli venisse mai in mente. Avrebbe trovato quell'unica vicenda che fosse degna della sua narrazione, ed essa avrebbe curato, ad essa avrebbe dedicato la sua vita intera, proprio come i grandi poeti dell'antichità.
Così il nostro Poeta, ormai divenuto un giovane uomo, abbandonati gli studi, acquistò un monolocale nell'estrema periferia romana, e lì si stabilì, in modo d'avere un luogo nel quale lavorare alla sua opera. Per sostentarsi, prese a svolgere diversi mestieri, avendo così garantito almeno il denaro per comprarsi la carta e l'inchiostro [e c'è da dire che i parenti, impensieriti ma inteneriti dalla sua dedizione, erano alquanto propensi a offrirgli inviti a cena o lasciargli pasti già pronti e pieni d'apprensione].
Inoltre, di modo da non avere altra preoccupazione che il suo manoscritto, interruppe i contatti con gran parte di coloro che aveva definito amici, affinché le loro vicende non potessero in alcun modo intrecciarsi con la sua. Fece di sé una sorta d'eremita, escluse ovviamente le cene di cui ho parlato.
Egli era solito passare i suoi pomeriggi seduto in un parco, ogni volta sulla medesima panchina. Si trattava d'un luogo ameno, una sorta di parentesi verde tra i palazzi e il grigiore della bella Città Eterna, e il Poeta trovava che rinvigorisse alquanto la sua vena creativa, e che gli donasse quell'immensa ispirazione che solo un posto simile poteva dare. Lì, ogni giorno, osservava l'universo che era il parco, il cosmo di piante e viali e persone, e ogni giorno si sentiva più vicino alla sua agognata meta.
In questo modo passò due anni.
E per due anni, il Poeta non scrisse una singola lettera della sua grande opera.

 

Dopo aver saggiamente deciso che per scrivere ciò che stava fiorendo nel suo animo avrebbe avuto bisogno di guardarsi attorno ancora un poco, aveva ripreso a osservare il mondo con aria beata, quando gli si parò davanti un curioso duo.
Egli alzò lo sguardo e vide due donne che tenendosi a braccetto lo guardavano.
L'una, alta, dal volto spigoloso, vestita on un completo d'un blu profondo, lo fissava con sguardo severo, mentre l'altra, capelli d'oro cinti d'alloro e labbra rosse come un tramonto, gli stava rivolgendo un sorriso gentile.
Disse la prima: “Ti cercavamo, Poeta.”
“Chi siete?” domandò egli, e a rispondergli fu la giovane dai capelli dorati.
“I nostri nomi sono Fama e Conoscenza.” disse, rivolgendo un breve cenno del capo alla compagna.
“E, di grazia, come mai mi cercavate?”
Parlò la Conoscenza: “Il Fato ha in serbo per te qualcosa, mortale, un cammino lungo il quale ti sarò necessaria. Mi ha mandato a prenderti: se vorrai seguirmi ed ascoltarmi, potresti essere creatore di qualcosa.”
Il Poeta era sul punto di risponderle, ma non poté farlo, poiché la Fama prese la parola.
“Vedo grandezza in te, Poeta, vedo un futuro, ti vedo artefice di cose immense, costruttore di alte cattedrali di parole. Ti vedo, un giorno, raggiungermi, anche se solo per un attimo.” proferì, per poi essere interrotta dalla Conoscenza.
“Il sentiero che t'offriamo, uomo, è lungo, ripido, è un sentiero di lacrime e sangue. Ma se verrai con noi, ora, lungo questa strada, avrai la tua opera, avrai la tua gloria, avrai il mondo intero.”
Il Poeta rimuginò, sotto gli occhi impazienti delle due donne. Lacrime e sangue. L'idea non lo attirava. Perché cercare ciò, quando aveva le fronde degli alberi, e il cielo ceruleo, e i milioni di volti del suo parco?
Disse infine: “Mie signore, voi siete molto buone a offrirmi ciò, a me che non sono che un misero mortale, ma vedete, ora come ora non posso darvi una vera risposta. Certamente mi piacerebbe seguirvi lungo il cammino che dite -per carità, non immaginate quanto lo vorrei- ma al momento ammetto di avere altro per la testa. Vedete, stavo per l'appunto per incominciare a scrivere le primissime frasi del mio manoscritto, e quello sì che mi condurrà alla gloria. Capite? Non posso seguirvi. Devo lavorare. Stavo or ora prendendo carta e penna.”
“Ma se hai appena rimesso il quaderno nella borsa.” fece notare la Fama, la quale però fu costretta a seguire l'altra, che già s'allontanava.
La Conoscenza gettò un ultimo sguardo al Poeta e disse: “Spero tu sia certo della tua scelta, mortale.”
“Certissimo, signora, e grazie ancora.”
Quel curioso duo scomparve lungo uno dei sentieri bianchi.
Il Poeta stirò le braccia, e riprese la sua contemplazione.
Sì, il parco era sicuramente meglio di qualsiasi sentiero costellato di fluidi corporei.

 

Il sole stava tramontando, e il Poeta era ancora seduto sulla sua panchina. Non aveva molta voglia d'andarsene, poiché il ritorno a casa sarebbe stato lungo e tedioso, e l'unico piacere che poteva ricavarne era proprio ritardarlo il più possibile.
Anche quel giorno non una singola goccia d'inchiostro aveva toccato le sue pagine, ma non se ne crucciava. Bisognava solo attendere tempi migliori.
Perso in queste idee, a malapena notò la figura che, ritta di fronte a lui, lo osservava già da una manciata di secondi.
Mortale.”
A riscuoterlo fu una voce dallo strano timbro, profondo come un abisso, vago come un eco. Il Poeta alzò lo sguardo e vide.
Era una creatura peculiare, quella di fronte a lui. La veste nera ne copriva completamente il corpo, e i bordi della stessa apparivano fumosi, quasi come si fondessero con l'aria circostante. Si muoveva come si muove la pioggia: un unico corpo in accordo e in contrasto con sé stesso. V'era un unico elemento che appariva stabile, ed era quella che avrebbe potuto essere la testa della creatura così come una maschera. Un teschio, di chissà quale animale, dotato di alte corna che fuoriuscivano del cappuccio.
Il mondo s'era fatto freddo tutto all'improvviso. Il Poeta rabbrividì un poco, anche se a dirla tutta non aveva poi tanta voglia d'impressionarsi più di tanto.
“Tu chi saresti?” chiese.
Il mio nome è Morte.” affermò la creatura.
“Gran bel nome, poco ma sicuro.”
Devi venire con me.”
Ci volle qualche momento al Poeta per comprendere del tutto ciò che gli era stato detto. Non era esattamente come si sarebbe immaginato: di certo lo scenario non era quello della fine d'un grande eroe epico, del grande scrittore che avrebbe potuto essere. Era la morte d'un disgraziato, d'uno che era a malapena un uomo. Decise che non gli piaceva.
“Quindi, sto morendo? Non è un po' presto?”
La creatura restò immobile.
Hai speso una vita, misero, a rincorrere una fantasia senza mai davvero pensarla; ad amare un desiderio senza mai davvero agognarlo. Avrebbe potuto essere diverso, ma non lo è stato. È questa la tua fine, la fine ridicola di un umano che ha sprecato ogni sua possibilità.”
La Morte gli tese la mano scheletrica.
È ora di andare.” disse.
Al Poeta la situazione piaceva sempre meno, e gli parve giusto farlo notare, così, molto semplicemente, pronunciò un calmo “No”.
La Morte ritrasse la mano e restò immobile.
No?”
“No.”
Permettimi di chiederti perché, mortale.”
Il Poeta roteò gli occhi.
“Perché no. Non è lo scenario adatto. Peraltro, ho ancora da lavorare, non vede? Mi accingevo appunto a scrivere e, per quanto in molti siano convinti del contrario, quella dello scrittore è la più rispettabile delle professioni. Mi rattrista vedere come lei, che certamente è molto saggio e ha molto visto, sia concorde ai quei tanti che amano gettare fango sulla gioventù odierna e sul futuro della stessa. Mi lasci dire che è una posizione deludente.”
Cosa c'entra ora?” provò a dire la Morte, interrotta però dall'uomo.
“E mi creda, mi dispiace alquanto non poterla seguire. Sono certo sarebbe una compagnia interessante. Forse è qualcuno, lassù, che mi chiama, come un novello Dante, per testimoniare quanto avvenga oltre alle nostre vite effimere. Come rimpiango di dover declinare tale compito!”
Ma quale Dante e Dante!” sbottò la Morte. Era da molti secoli che non incontrava qualcuno di così ostinato, e la sua pazienza era fuori allenamento.
È molto semplice: la tua vita è terminata, stai morendo. Che tu lo voglia o no, devi seguirmi.”
Il Poeta aprì la propria borsa e, senza degnare la Morte d'uno sguardo, estrasse il taccuino. Lo aprì sulla prima pagina, ancora immacolata, tolse il cappuccio alla penna, e ne poggiò la punta sul foglio.
“Vede. Ho da fare. Se vuole, però, posso raggiungerla più tardi. Anzi, le do il mio numero di telefono, così può cercarmi quando vuole.” e prima che l'essere potesse aggiungere altro si ritrovò uno stralcio di pagina con su segnate alcune cifre.
La Morte emise un lungo ringhio mal trattenuto tra i denti e poi, con un sospiro, decise finalmente di allontanarsi. Non avrebbe preso quell'uomo, non oggi. Prima, avrebbe avuto bisogno di imparare come funzionasse la pazienza. Forse Conoscenza avrebbe potuto prestarle qualcuno dei suoi manuali.

Il Poeta rimase solo nel parco. Ormai era notte.
Ripose con cura i suoi strumenti, e si mise in cammino verso la sua dimora.

 

Non mi è dato di sapere, ahimè, cosa effettivamente accadde al Poeta.
Ne girano, di storie, sul suo conto.
In alcune di esse visse fino al novantaquattresimo anno d'età, in altre solo un altro giorno. C'è chi l'ha detto aver sfidato la Morte ben altre tre volte prima di cedere, chi parla di ben più sfide, altri ancora che affermano non sia mai morto e sia ancora possibile vederlo tra le vie del solito parco seduto sulla solita panchina.
Ciò che so, gentili amici, è che vi sono migliaia di versioni della sua storia.
E che in nessuna di essere il Poeta scrisse mai una parola.

 



Note:
Il giorno in cui è stata annunciata la chiusura delle scuole, un mio amico ed io ci siamo trovati a scherzare sull'ipotesi di creare un nuovo Decameron. Quando mi sono svegliata, la mattina successiva, ho trovato una chat da lui creata composta in tutto da circa sei persone, e una notizia: il Decameron 2020 era iniziato, e la prima a raccontare una storia sarei stata io.
Credo di non aver mai scritto così tanto in solo poche ore da mesi, forse anni. Sul serio, è stato qualcosa di fantastico.
Si ringraziano, per questo, quel genio malvagio di Luca, che ha ideato questo progetto, la mia condizione di scrittore pigro, ispiratrice di questa storia, e soprattutto il bar in cui mi sono rifugiata a scrivere che non mi ha cacciato a calci.
Hope y'all enjoyed it.
e.b
   
 
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