Singing
is the answer
15 – Who’s who?
«La vuoi smettere?» La voce irritata di Aya aveva
riportato Josh coi piedi per terra: non s’era neppure reso conto di aver
stretto la mano al fianco di lei con possessività.
«Pensavo ti piacesse.» Finto tono di scuse ed una falsa innocenza nella voce.
Ci stava provando in maniera evidente, come suo solito: aveva compreso al volo
che non avrebbe avuto vita facile con la ragazza ma non ci avrebbe rinunciato
facilmente, anzi, sarebbe stato molto più intrigante conquistarla passo passo.
«Josh, molla.» Unghie perfettamente laccate piantate sul palmo avevano lasciato
il segno al passaggio.
«Come? Credevo di piacerti…»
Aya inciampò sui propri passi, le gote arrossate
sotto lo strato compatto di fondotinta: Josh non si sarebbe certo accorto del
cambiamento. Ne era convinta.
«Ti ho fatta arrossire? Guarda le tue orecchie!»
A quello non aveva pensato, s’era fregata da sola: non poteva certo nasconderle
ma si vergognava di mostrare apertamente sentimenti e sensazioni che le stavano
esplodendo nel petto. Solo con Raon solitamente
tendeva ad essere sincera e disattivare i filtri che ricostituiva poi per
tornare al mondo che la circondava, soffocandola. Josh però non era Raon, lui faceva parte di tutto il resto. Odiava il proprio
atteggiamento nei confronti degli altri ma tendeva a comportarsi così
dall’adolescenza, da quando aveva avuto modo di rendersi conto di quanto
potessero di fatto fare schifo gli uomini. Suo padre, il bastardo del ragazzino
che le aveva spezzato il cuore dopo essersela scopata qualche volta, quello che
le aveva mentito sfruttandola per la propria intelligenza dimenticandosi
dell’emotività e della sensibilità calpestate. Soltanto un volto le si era
focalizzato contraendole lo stomaco e bloccandole il ragionamento.
Han.
Lui era stato l’unico a trattarla con dolcezza e rispetto.
E non era riuscita a tenerselo stretto come avrebbe voluto.
«Ehi?» Josh la richiamò da quel piccolo mondo in cui s’era persa per un attimo,
«andiamo a berci qualcosa? Offro io.»
«Dovrei provare a contattare una mia am-»
«Lascia stare il telefono, avrai tempo dopo per scriverle.»
Certo, l’avrebbe fatto: tanto non era stata lei a darle buca ad un incontro di
studio intensivo pre esame, la sua coscienza era piacevolmente pulita. Se solo
si fosse ricordata d’aver silenziato il cellulare all’ingresso in biblioteca si
sarebbe resa conto degli insistenti messaggi spediti dall’amica nel tentativo
di contattarla e ricercare un aiuto fidato.
«Dai, ti porterò in un bel posticino, e non guardarmi così, prometto di non
fare nulla.»
“Difficile crederci…” pensò con una punta di diffidenza in contrasto con una
buona parte di lei, irrazionale e incontrollabile che tentava di dar credito a
parole simili; forse gli occhiali che contornavano gli occhi accesi e languidi,
o quei corti capelli chiari che avrebbe voluto accarezzare immergendoci le
dita. Probabilmente pure tutta la sfacciataggine palese faceva parte del suo
fascino. Sentì un nodo in gola ed uno allo stomaco contrarsi e contorcersi,
avvertendo il calore aumentare al bassoventre ed espandersi fino alla propria
intimità: inspirò con la bocca socchiudendo le palpebre per calmarsi, non era
certo quello il momento di farsi coinvolgere fisicamente in maniera tanto
profonda. Si bloccò per strada scuotendo la testa e cercando di eliminare quei
pensieri per nulla innocenti che la stavano portando a focalizzarsi su immagini
precise.
Troppo precise.
Josh le strinse la mano sorridendole ed un brivido le attraversò la schiena
salendo su ogni vertebra e fermandosi alla nuca; non poteva continuare così,
avrebbe dovuto fermarsi per tempo. Un pensiero fisso, il bisogno di doversi
allontanare, ma le dita calde e morbide di lui la stavano accompagnando sul
marciapiede fino a raggiungere la fumetteria in cui lei e Raon
erano solite fare acquisti: abbassò il capo distraendosi dal desiderio di
entrare, bloccata dalle tipiche reazioni passate tra i suoi conoscenti. Otaku,
immatura, fissata, bambina, tante volte se l’era sentito dire, a sufficienza
per portarla a diffidare dal giudizio di terzi, abbastanza a farle evitare di
entrare come d’istinto avrebbe invece fatto. Alzò le iridi accigliate solamente
per incontrare quelle curiose ed entusiaste del negoziante che aveva alzato una
mano nel salutarla.
Gesto che lei non ricambiò neppure, vergognandosene. Se ne sarebbe certo
pentita ma ci avrebbe pensato a casa: in quel momento era più importante
mantenere la propria reputazione di fronte al ragazzo che le interessava,
attuando un ragionamento egoista e forse stupido ma necessario. Qualcosa di
studiato che le permetteva di evitare frecciatine e commenti di cattivo gusto.
Josh aveva rallentato sussurrando qualcosa tra sé e sé attirando
l’attenzione di Aya. S’era fermato esattamente di
fronte alla vetrata del negozio e con sua grande sorpresa venne trascinata
all’interno, colpita dalla leggera tensione nell’uomo dietro al bancone;
un’espressione completamente in contrasto con quella del ragazzo che stava
curiosando alla ricerca di qualcosa di preciso. Osservava assiduamente la
vetrina espositiva contenente delle action figures,
passando in rassegna i vari modelli sigillati all’interno delle confezioni, con
fare speranzoso.
Aya si sentiva confusa, richiamata da un reparto di
cartacei ben definito: lo sguardo sondava le nuove copertine presenti nell’ala
yaoi-shonen ai, ala che non visitava da tanto, troppo
tempo per i propri gusti. Ancora non aveva aperto bocca, ma lo fece lui
esordendo con un gran sorriso. «Buongiorno, sono Josh, l’ho contattata via mail
per un ordine e vorrei sapere se per caso è già arrivato.»
Il commesso rispose cordiale salutando ancora la giovane in modo pacato, quasi
nascosto, come avesse dovuto cogliere qualche segnale implicito e reagire di
rimando. Mentre l’uomo stava cercando al computer il codice di spedizione
dell’ultimo carico, lei spiava l’eventuale presenza di volumi sigillati
all’interno dello scomparto alle spalle della cassa – dedicato ai clienti
abituali per gli acquisti internazionali e gli arrivi delle ultime
pubblicazioni.
C’era qualcosa.
Il volume che stava aspettando era finalmente arrivato, difficile
da reperire, lungo nell’attesa, ma c’era: una doujinshi
yaoi tra le più crude, complesse ed esplicite mai concepite nell’intero
panorama mondiale del fanmade. Inghiottì il boccone
amaro ricco di aspettative avvolto da rassegnazione. Avrebbe atteso, sarebbe
tornata con Raon in un secondo momento e si sarebbero
divertite ad osservare con occhio attento il tratto aggraziato e
particolareggiato dell’autrice, tra le preferite delle due.
Sì, ci sarebbe tornata. La sua passione per l’erotismo omosessuale maschile
esplicito doveva restare dentro di sé. Il rimuginare ormai era diventato
un’abitudine durante quella giornata, ma un sospiro aveva attirato la sua
attenzione in direzione dell’accompagnatore che stringeva soddisfatto la
confezione di una statuetta rappresentante uno dei personaggi femminili più
famosi – e provocanti – tra gli anime diffusi e
tradotti in Occidente. Le iridi chiare brillavano entusiaste, pareva un bimbo
la mattina di Natale. «La ringrazio, non ha idea di quanto l’abbia cercata.»
L’immagine ammiccante raffigurata sulla scatola lasciava intravedere lussuria e
divertimento, nudità ben disegnata e curve generose esposte. Si avvicinò ad Aya mostrando trionfante il proprio acquisto.
«L’ho trovato, visto? Possiamo andare, oppure devi fare qualcosa qui?»
Lei respirò profondamente, se la sarebbe giocata rischiando parecchio.
«A dir la verità, sì.»
«Sul serio ti vergognavi a comprare fumetti?»
«Manga e manhwa, si chiamano così a seconda della
provenienza.»
«Quello che sono, per me sono tutti fumetti, ma non è questo l’importante.
Perché dovresti vergognartene? Che cazzata.»
“Sono tutti fumetti…” Per un attimo il pensiero si fermò su quelle parole e su
tutto ciò che avrebbe potuto affermare per stroncare la sua tesi, intenzione
che morì nel momento stesso in cui si rese conto che per la prima volta il
ragazzo che le piaceva stava accettando senza riserve una delle sue passioni
più radicate. Il locale dove stavano sorseggiando un ottimo aperitivo era
piccolo e confortevole, un angolo privato e tranquillo dalle luci calde e
soffuse, la musica un gradevole sottofondo: un’oasi quieta nel trantran del
centro cittadino.
«Insomma, ti piacciono gli yaoi.» Nessun tono acido. «Non sono ferrato, io
leggo hentai anche se diciamo che non disdegno certo gli yuri.»
Un ammiccamento complice il suo. «Non posso farci niente, ho un debole per le tet-»
Josh venne interrotto repentinamente dall’arrivo del terzo bicchiere,
sorridendo lascivo alla barista che rossa in viso si congedò stringendo il
vassoio al petto.
«Ma lo vedi? Fornicheresti con tutto ciò che si muove e respira.»
«Lo ammetto, ma che c’è di male?» Alzò le spalle in un gesto di menefreghismo
completo, come se non suonasse affatto strano ciò che aveva appena rivelato;
sorseggiava dal calice di vino bianco dalle note d’erbe e spezie godendo d’un
aroma particolare e stuzzicante, osservando Aya
attraverso il bordo del cristallo.
«Nulla, d’altronde ognuno è libero di fare ciò che vuole.» Avrebbe voluto
aggiungere anche che lei faceva esattamente la stessa cosa, perciò non avrebbe
mai giudicato un comportamento simile. Si scrollò dalla testa il pensiero di
come si assomigliassero più di ciò che credeva, avvicinandosi al bancone in
marmo poggiandoci le braccia in attesa del bartender: avrebbe ordinato un altro
giro, aumentando la gradazione alcolica. Puntava a dare una svolta divertente
al pomeriggio anche solo per rimuovere lo smacco da parte di Raon, gliene avrebbe cantate quattro più tardi,
sicuramente.
«Han? Che ci fai qui?» Sorpresa si irrigidì ritta come ad aver paura di crollare
sul pavimento. Un attimo di stasi e stupore, un attimo solo in cui avrebbe
dovuto decidere se scappare o starsene lì e sorridere come un’ebete.
«Aya? Ehi, ciao! È un bel po’ che non ti vedo, dimmi
di te, come va?»
Scelse la seconda opzione.
Le stava costando una certa fatica, la salivazione aumentata le creava un
leggero gioco di liquido in bocca mentre tentava di parlare senza balbettare. “Stupida,
è solo lui”, si ripeteva cercando di calmarsi, “non guardarlo negli occhi, che
ci caschi di nuovo.”
Inspirò e cercò di concentrare altrove i neuroni. Ordinare, ringraziare, sedersi
di nuovo: semplice. Il programma però stava prendendo una piega diversa e s’erano
persi completamente, immersi nel chiacchiericcio casuale di chi non si sentiva più
a disagio nonostante il passato condiviso e gli anni di assenza di contatti;
certo la ragazza non avrebbe mai immaginato di incontrare proprio lui in un
posto qualsiasi, un pomeriggio qualunque. La conversazione si dilungò tanto da
attirare l’attenzione di Josh, fermo ad attendere il ritorno dell’altra
stringendo nervosamente tra le dita lo stelo di un calice ormai vuoto; si stava
chiedendo cosa potesse trattenerla, o chi. L’irritazione si muoveva rapida
dentro la gola scendendo fino allo stomaco e s’annodò nel momento in cui notò Aya in compagnia di un ragazzo con cui sorrideva cordiale.
La raggiunse stringendole il fianco con fare possessivo, fulminando
letteralmente Han con lo sguardo. Quest’ultimo lo osservava confuso celando una
leggera contrarietà attraverso le iridi scure.
Una sfida fatta di muti silenzi.
«Allora? Andiamo?»
Impaziente tentava di trascinarla via.
«Che ti prende adesso?» Lei si bloccò poco dopo essere usciti dal bar
staccandosi dalla mano che ancora le conteneva il fianco in maniera protettiva.
«Lasciami.»
Josh arretrò improvvisamente distogliendo le pupille e concentrando
l’attenzione sul tombino sotto ai propri piedi prima di affrontare l’ira di
lei.
«Chi era?»
Aya scoppiò a ridere con ironia palese: «adesso non
posso nemmeno parlare con qualcuno? Sei geloso per caso, geloso di una che non
è neanche la tua ragazza?»
Lo era eccome: vederla chiacchierare con uno sconosciuto dimostrando tanta
naturalezza lo aveva spaesato e colmato la sua mente ed i nervi di invidia.
Invidia per quelle risate sincere, invidia per lo scambio di sguardi.
Invidia.
Lei lo osservava tentando di captare le sensazioni che lo avevano bloccato di
fianco alla strada. «Si tratta solo del fratello maggiore di una mia amica.»
Muscoli meno tesi, un sospiro profondo e finalmente le labbra di lui s’erano
mosse in un lieve accenno di sorriso.
«Ed è il mio ex ragazzo.»