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Autore: Spoocky    12/03/2020    4 recensioni
[Apocalypse Now ]
[Apocalypse Now ]Il capitano Willard è ostaggio del Colonnello Kurtz, che attraverso un viaggio onirico nella sua mente cerca di impartirgli i suoi insegnamenti.
Genere: Guerra, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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Disclaimer: stesso del capitolo prima. 
Qui faccio un uso maggiore dei dialoghi del film, ripeto di non accamparne i diritti, come per la canzone citata. I frammenti della leggenda di Cao Bien sono presi dal libro "Il dramma del Viet-Nam" di Roberto Ricci, Edizioni di Crémille,1971.

Un sentito grazie ad Old Fashioned che si è gentilmente prestato come vittima sacrificale beta reader e si è sorbito tutto questo polpettone in anticipo.
A lui e ad i suoi neuroni un sentito ringraziamento.

A tutti, buona lettura ^^


Il sole nascente tinse la giungla di rosso.
Gli alberi, le piante, la terra ed i suoi abitanti. Anche il fiume si tinse di rosso, come a voler emulare il suo omonimo nel nord del Paese.
I profani, gli estranei, avrebbero pensato che fossero i depositi di basalto nel terreno a tingere le acque di quel colore, ma i nativi sanno che è il sangue del drago guardiano del fiume, ferito dal re e stregone Cao Bien. Egli aveva tentato di rimuovere con esorcismi le rocce sul letto del fiume ma aveva esercitato troppa forza ed aveva ferito il sacro guardiano: è quindi il suo sangue a tingere l’acqua del fiume.
Per me era chiaro a quel punto che la giungla mi avesse scelto come erede di Cao Bien: anche io, nella notte, avevo ferito a morte il guardiano del fiume ed il suo sangue aveva tinto le acque di rosso. Lo avevo colpito prima che potesse invocare l’Onnipotente. Perché ciò che doveva compiersi si sarebbe compiuto, ma solo a tempo debito.
Ed il momento non era ancora giunto.
“Questa terra appartiene ad un genio potente e non mi riuscirà di restarci per molto tempo.” Affermai osservando la distesa della giungla che si tingeva del rosso dell’aurora.
Il rosso del sole è come quello del sangue: entrambi possono significare vita o morte per chi ha il privilegio di vederli.

Mi chinai ad osservare il volto pallido del mio erede, che dopo una notte di tormenti riposava stremato nel suo giaciglio. Spostai la pezzuola bagnata dalla sua fronte e vi stesi sopra il palmo.
Mi rasserenai sentendo la sua pelle un poco più fresca: Willard era ancora giovane e forte e presto si sarebbe ripreso abbastanza da assolvere il suo compito.
Intinsi di nuovo la pezza nella bacinella e la strofinai con le foglie di aloe prima di posarla di nuovo sui suoi occhi chiusi. La accolse con un sospiro di sollievo e mi trattenni a stento dall’accarezzargli i capelli. Meglio lasciarlo dormire: lo aspettava un compito difficile, per cui doveva essere in forze.
Mi ritirai nella mia alcova a leggere.
Ride the snake
He's old
And his skin is cold

Ero avvolto da una coltre di buio e, per la prima volta dopo giorni, mi sentivo tranquillo.
Le mie membra erano doloranti e pesanti, pur incosciente avevo un senso di vertigine.
Ovunque, intorno a me, riverberava una voce che avrebbe dovuto essermi famigliare ma che per qualche motivo a me sconosciuto non ero in grado di riconoscere.
Non so quanto tempo trascorsi in quello stato, se fossero ore o giorni.
Quando finalmente trovai le forze di aprire gli occhi scoprii di trovarmi ancora nell’antro di Kurtz, ma lui non era nel mio campo visivo. Sicuramente era nei paraggi: sentivo la sua presenza incombere su di me, pur non vedendolo.
Fu allora che capii: la voce che sentivo era la sua.
Ciò che tuttavia sfuggì alla mia comprensione fu il fatto che mi sembrasse assurdamente rassicurante e, in un certo senso, affascinante.
Sembrava che le sue parole mi riguardassero personalmente ma non riuscivo a capirne il motivo.
Trovai un pacchetto di sigarette accanto al mio giaciglio e ne accesi una: la fumai silenziosamente, guardando la giungla.
In quei momenti ebbi l’impressione che tutto combaciasse: la giungla, i tamburi, le statue e la voce di Kurtz.
Tutto era esattamente come avrebbe dovuto essere.

La febbre non era ancora passata: sentivo i dolori ed il disagio che essa comportava rodermi nel profondo.
Mi avevano lasciato una bacinella ed uno straccio e mi tamponai la fronte per avere un po’ di sollievo.
Fu allora che le parole di Kurtz cominciarono ad avere un senso logico.
Con uno sforzo immane mi tirai a sedere, per ascoltare meglio: “Noi siamo gli uomini cavi. Noi siamo gli uomini impagliati, appoggiati l’uno all’altro. La testa piena di paglia, ahimè! Le nostre voci disseccate che bisbigliano tra loro. Sono sorde e prive di significato come il vento sull’erba rinsecchita. O sangue di topi sotto frammenti di vetro.”
Ero talmente rapito nell’ascolto da non accorgermi che quel disgraziato di un giornalista mi si era avvicinato di soppiatto.
 

Il Capo era assorto nella lettura e, forse a sua insaputa, molti indigeni si erano radunati nel palazzo e lo ascoltavano affascinati.
La magia del suo dire aveva catturato anche la mente del giovane capitano Willard, che era in qualche modo riuscito a sedersi e appoggiarsi ad una colonna, il volto madido rivolto verso la voce del Capo.
Poiché gli sembrava confuso, il fotoreporter decise di accovacciarsi al suo fianco e spiegargli la situazione: “Adesso lui è lontano: molto lontano.”
“Volume senza forme, ombre senza colore. Forza paralizzata, gesto senza movimento.”
Allora il fotoreporter si ricordò di un qualche esame che doveva aver sostenuto nel primo anno della scuola di giornalismo: “Sai che sta dicendo? Lo sai? Questa è... questa è dialettica! Semplicissima dialettica!” Poi gli sovvenne un articolo sulle recenti esplorazioni spaziali “Conti da uno a nove e… nessun forse, nessuna supposizione, nessuna frazione. Non ci vai nello spazio senza… senza qualche frazione. Su che cosa atterrerai ? Un quarto e tre ottavi? E che cosa farai quando andrai… da qui a Venere. Insomma, questa è dialettica! Fisica, ok? La logica della dialettica è che c’è solo amore e odio, o hai amore per qualcuno o lo odi.”

“Stupido!” proruppe Kurtz, evidentemente infastidito dalla sua interpretazione, e gli scagliò addosso un sasso che rovesciò la bacinella di Willard “Brutto stupido!”
Allora il fotoreporter ebbe un’epifania e si rese conto di non essere particolarmente benvoluto in quel momento: “Questo è il modo in cui finisce questo mondo del cazzo! Guarda in che merda del cazzo ci troviamo!” Strillò agitando le braccia, per poi sussurrare con un dito premuto sulle labbra “Non con un boom ma con un gemito. E con un gemito io mi tolgo dalle palle, ragazzo!”
In un batter d’occhio raccolse i suoi ammennicoli e corse verso l’esterno, dove si sarebbe fatto una canna per distendere i nervi e permettere ai suoi neuroni di assaporare meglio la conoscenza appena acquisita.
Lo sguardo intenso, forse anche un poco divertito, che Kurtz rivolse a Willard passò del tutto fuori dal suo radar.
 
The end
Of our elaborate plans
The end
Of everything that stands
The end


Sul fiume pensavo che appena lo avrei visto avrei saputo che cosa fare.
Ma non fu così.
Rimasi giorni là dentro con lui, senza sorveglianza: ero libero. Ma lui sapeva che non sarei andato in nessun posto.
Sapeva più lui di quello che avrei fatto di quanto ne sapessi io.

Osservai la sua divisa e presi in mano la custodia con le sue medaglie e l’anello: un tempo per lui dovevano essere stati i possedimenti più preziosi, ma ora erano abbandonati a sé stessi. Consumati dal tempo e dalla polvere, perché le priorità del loro proprietario erano altre.
Se i generali laggiù a Natrang avessero potuto vedere quello che vedevo io, avrebbero ancora voluto che lo uccidessi?
Più che mai, probabilmente.
E che cosa avrebbero mai voluto i suoi, a casa, se avessero mai saputo quanto si era allontanato da loro?
Si era staccato da loro e poi da sé stesso. Non avevo mai visto un uomo così distrutto, così a pezzi.
Quella fu la mia impressione in quel momento, non potevo sapere quanto mi stessi sbagliando.
 

Vidi il mio erede trafficare con le mie cianfrusaglie e, sapendo il valore che quei vuoti vessilli ancora avevano per lui, mi avvicinai in silenzio.
Percepii tutti i suoi dubbi, le sue domande. Come un bambino che apra la porta della stanza da letto e vi trovi sua madre con uno sconosciuto.
Capii che doveva sentirsi smarrito, confuso, forse anche spaventato. E compresi che era giunto il momento di confidargli i miei segreti perché sapevo che quanto stavo per dirgli lo avrebbe sospinto sulla strada giusta.
“Io ho visto degli orrori. “ Iniziai, avvicinandomi a lui “Orrori che ha visto anche lei, ma non ha il diritto di chiamarmi ‘assassino’. Ha il diritto di uccidermi, ha il diritto di far questo. Ma non ha il diritto di giudicarmi.”
Mi allontanai dall’alcova e dietro di me avvertii i suoi passi incerti. Non ne avrei avuto bisogno: sapevo che mi avrebbe seguito.

“E’ impossibile trovare le parole,” proseguii “per descrivere ciò che… è necessario a coloro che non sanno ciò che significa l’orrore. L’orrore ha un volto e bisogna farsi amico l’orrore. Orrore, terrore morale e dolore sono i tuoi amici, ma se non lo sono essi sono nemici da temere: sono dei veri nemici!” sapevo che mi stava ascoltando, e che capiva quanto gli stavo dicendo ma decisi di raccontargli qualche aneddoto per fargli meglio comprendere il messaggio “Ricordo quando ero nei corpi speciali… sembra migliaia di secoli fa. Andammo in un campo per vaccinare dei bambini. Lasciammo il campo dopo aver vaccinato i bambini contro la polio. Più tardi venne un vecchio correndo, a richiamarci: piangeva, era cieco. Tornammo al campo: erano venuti i Vietcong ed avevano tagliato ogni braccio vaccinato. Erano là, in un mucchio: un mucchio di piccole braccia.”
A quel punto non vedevo più Willard, o il palazzo, o la giungla vedevo solo l’orrore: l’orrore puro. E le parole mi vennero meno: “E… e mi ricordo che… ho… ho… ho pianto… pianto…  come… come… come una madre. Volevo strapparmi i denti di bocca: non sapevo più che volevo fare. E voglio ricordarlo, non voglio mai dimenticarlo. Non voglio mai dimenticarlo.” Gli spiegai come fu proprio in quel momento che raggiunsi l’illuminazione “Poi mi sono resi conto come fossi stato colpito… colpito da un diamante: una pallottola di diamante in piena fronte. E pensai: ‘Mio Dio! Che genio! Che genio c’è in questo. Che volontà per far questo! Perfetto, genuino, completo, cristallino. Puro!” E così mi resi conto che loro erano più forti di noi. Perché loro la sopportavano. Questi non erano mostri: erano uomini, q che combattevano con il cuore, che avevano famiglia, che fanno figli, che sono pieni d’amore. Ma che avevano la forza… la forza di far questo. Se io avessi dieci divisioni di questi uomini i nostri problemi qui si risolverebbero molto rapidamente. Bisogna avere uomini con un senso morale e che allo stesso tempo siano capaci di utilizzare i loro primordiali istinti di uccidere senza emozioni, senza passione, senza… discernimento! Senza discernimento. Perché è il voler giudicare che ci sconfigge.”
Mi persi per un momento con lo sguardo nel volto di Willard e come lui nella notte ricordò suo padre, io in quel momento ricordai mio figlio: “Mi preoccupa che mio figlio possa non capire ciò che ho cercato di essere. E se dovessi essere ucciso, Willard, vorrei che qualcuno andasse a casa mia e dicesse a mio figlio… tutto. Tutto quello che ho fatto, tutto quello che ha visto. Perché non c’è niente che io detesti di più del fetore delle menzogne. E se lei mi capisce, Willard, lei farà questo per me.”
Tutto era compiuto.

Sapevo che lui avrebbe compreso il mio messaggio e raccolto la mia eredità. Anche se la sua coscienza ancora rifiutava di accettarlo, sapevo che avrebbe agito di puro istinto ed avrebbe portato a termine la sua missione. 
Poco dopo lo osservai avviarsi lungo un sentiero che lui pensava fosse celato alla vista e dirigersi verso il fiume. Il genio potente che domina queste terre aveva sottomesso il mio predecessore Cao Bien, e presto avrebbe sottomesso anche me.
Non mi restava che attendere.
 
The killer awoke before dawn, he put his boots on
 

Sulla barca trovai ad attendere quello che rimaneva del cadavere di Chef, e quel buffo cucciolo che Lance aveva recuperato dal cesto della vietnamita.
In nostra assenza il piccoletto aveva scovato le nostre razioni e ne aveva fatto incetta. Lo trovai che dormiva tranquillo, rannicchiato al calduccio su una cuccetta.
Per un momento, invidiai la sua innocenza.
Onnipotente continuava ad inviare trasmissioni ma io avevo altro a cui pensare. Rimasi disteso nella penombra osservando un coltello, la lama splendeva alla luce della luna come la pallottola di diamante che aveva trafitto la fronte di Kurtz.
Mi avrebbero promosso maggiore per questo, e non ero neanche più nel loro esercito del cazzo.
Tutti volevano che lo facessi: lui più di ogni altro.
Sentivo che lui era lassù, in attesa che io lo liberassi dal dolore. Voleva solo morire da soldato: in piedi. Non come un povero rinnegato, perso e stracciaculo.
Persino la giungla lo voleva morto. E comunque da essa, in verità, lui prendeva gli ordini.
 
He took a face from the ancient gallery
And he walked on down the hall

Mi coprii il volto con il fango del fiume ed emersi lentamente sulla riva.
Si era scatenato un temporale e gli adepti di Kurtz si erano scatenati in un qualche rito sacrificale: nessuno mi avrebbe visto arrivare.
Strisciai in silenzio lungo i corridoi, uccidendo le guardie che lo proteggevano, badando a non farmi scorgere da nessuno.
Nessun altro avrebbe capito.
And he came to a door...and he looked inside
"Father?"
 "Yes, son."
"I want to kill you."

Kurtz era lì, chino su una trasmittente, intento ad urlare il suo ultimo disperato richiamo: “Addestriamo i nostri ragazzi a scaricare napalm sulla gente ma i loro comandanti non gli permettono di scrivere ‘cazzo’ sulle pareti del loro aereo perché è osceno!”
Si voltò verso di me, ed io lo colpii.
 

 

Mentre attendevo l’arrivo del mio erede, rilessi la leggenda di Cao Bien, concentrandomi in particolare sul suo finale: “Quel giorno, guardando dal lato sud-est della città di La Thahn, Cao Bien scorse, emergente dalle acque del fiume Lo, un personaggio circondato da un’aureola splendente, che dominava con la sua gigantesca statura i flutti sconvolti. Cao Bien non osò ricorrere ai suoi poteri di stregone per scacciare l’apparizione. Quella notte, in sogno il personaggio gli apparve dicendo: “Io sono il genio di questa terra, cercherai invano di scacciarmi.”
All’indomani Cao Bien innalzò gli altari e pregò per tre giorni di seguito, per cercare di esorcizzare l’apparizione; ma un uragano si scatenò e polverizzò gli altari. Cao Bien sospirò: “Questa terra appartiene a un genio potente, non mi riuscirà di restarci per molto tempo.”

E quella era la sera perfetta: una tempesta sconvolgeva il firmamento ed il rito sacrificale sarebbe stato celebrato invano.
Ebbi appena il tempo di terminare le ultime disposizioni che Willard apparve, circondato da un’aura luminosa e con il volto nero del greto del fiume.
Tutto si compiva secondo la profezia.

Non tentai di difendermi ma non mi sarei arreso senza lottare.
Fuggii per la stanza, mentre lui imperterrito continuava a colpirmi. Finché non crollai a terra.
L’orrore.
L’orrore.
 

Mi accasciai a terra, sopraffatto dall’orrore per quanto avevo appena fatto.
Ero stravolto dalla sofferenza e dal senso di colpa: Kurtz non mi aveva mai fatto del male e non aveva fatto nulla per meritare di essere ucciso a tradimento dall’uomo che aveva accudito e curato.
Mi presi il volto tra le mani, tentando di reprimere le lacrime. Non sapevo più che fare.
Come inebetito mi risollevai e presi a vagare per quell’alcova maledetta.
Trovai un manoscritto che Kurtz aveva battuto a macchina. Su una facciata, in matita rossa, aveva scritto: “Gettate la bomba! Sterminateli tutti!”
Non sapevo più che fare.
Invocare l’Onnipotente e massacrare un qualche centinaio d’innocenti?
O tornare a Saigon e riferire che la mia missione era compiuta?

Qualcuno doveva aver dato l’allarme, perché quando uscii dal palazzo trovai gli adepti che mi fissavano attoniti.
Davvero non sapevo come avrebbero reagito, ma se avessero voluto linciarmi che facessero pure!
A quel punto non me ne sarebbe importato nulla.

Invece s’inginocchiarono, riconoscendomi come l’erede del loro Re-Sacerdote. Io però non ero Kurtz, e non sapevo che farmene di tanta venerazione.
Scesi le scale e gettai il machete. La folla si aprì al mio passaggio come le acque del Mar Rosso, e tutti deposero le armi ai miei piedi.
Tra i tanti volti sconcertati riconobbi quello di Lance e lo presi per mano, accompagnandolo come avrei fatto con un bambino, con un fratello piccolo.
Lui mi seguì docilmente, senza fare storie. Proprio come un bambino piccolo si affida al più grande.
L’Onnipotente continuava a trasmettere, ma io lo misi a tacere.
Non volevo sentire o vedere nulla: pensavo solo all’orrore.
L’orrore.
 


Il fiume torbido scorreva intorno al nostro natante, trasportandoci sempre più lontano dal covo di Kurtz e dai riti orgiastici che i sui adepti non avevano cessato di celebrare.
Mi chiesi, per un breve momento che cosa ne sarebbe stato di lui. Che avrebbero fatto del suo corpo?
Lo avrebbero dato alle fiamme, celebrando la sua dipartita con danze e sacrifici?
O lo avrebbero seppellito in una fossa, restituendolo alla giungla a cui apparteneva?

La giungla.
Per un istante mi pentii di non aver attivato l'Onnipotente. Di non aver a disposizione centinaia, migliaia di Onnipotenti, per dare alle fiamme quella maledetta giungla e gli orrori che conteneva.
Ma poi mi cadde lo sguardo su Lance che, ignaro di tutto, giocava con il suo cucciolo e lo vezzeggiava, lasciandosi addirittura mordere il naso.
Allora ricordai la cura che Kurtz aveva avuto per me: mi aveva asciugato il sudore dalla fronte, mi aveva dissetato e imboccato. Mi aveva dato tutto quello che aveva e io, in cambio, lo avevo morso.
Fu allora che capii.

Kurtz era morto perché voleva morire. Quando mi ero avventato su di lui non aveva tentato di difendersi né di fuggire. Eppure sarebbe bastato un suo grido perché i ribelli mi agguantassero e mi sgozzassero come il bue nella radura. E invece non aveva fatto nulla, se non consegnarmi quelle ultime parole: "L'orrore... l'orrore..." Il suo testamento.
Ricordai i giorni precedenti quando, debole e febbricitante, avevo ascoltato i suoi discorsi sul sacrificio ed il capro espiatorio.
Lui era stato il mio capro espiatorio. Lui, il Re-Sacerdote figlio della giungla, aveva accettato che mi rivoltassi contro di lui e lo tradissi. Aveva lasciato che lo abbandonassi e lo uccidersi.
Solo per liberarmi dal fantasma della giungla.
Ed in quel momento, alla guida di quell'imbarcazione disgraziata, con lo sguardo fisso verso l'orizzonte, mi sentii lucido come non lo ero stato da mesi.
Quel peso e quell'angoscia che mi avevano tormentato dal mio arrivo in Vietnam erano scomparsi.
Kurtz era morto e aveva portato la giungla con sé. A me non restava che tornare a Saigon.
Cazzo, ancora Saigon.
 
 
It hurts to set you free
But you’ll never follow me

The end of laughter and soft lies
The end of nights we tried to die

This is the end
  
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