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Autore: Harriet    13/03/2020    0 recensioni
Il Santuario dell'Intuizione è noto per i suoi sacerdoti guerrieri, per i suoi maghi sapienti e... Per i giochi in scatola. Essere il ragazzo di uno dei più dotati sacerdoti del Santuario è una grande gioia, ma se suddetto sacerdote perde completamente ogni freno e si lancia a capofitto nella competizione spietata, quando si gioca, le cose possono essere complicate.
Soprattutto se a te certi giochi fanno schifo.
Soprattutto se è in corso un'invasione di creature extradimensionali.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Partecipa al COW-T di Landedifandom. Missione 1 "The threads of fate", prompt "Connect to heart".
Wordcount: 6016
GRAZIE a Kinnara per alcuni dei nomi parodici dei giochi che troverete nella storia. Se siete appassionati di giochi in scatola, vi invito a provare a capire di quali si tratta.
Grazie di essere qui!


 
Gli Ersar attaccano di mercoledì
 

 Quadratini di legno colorati. Monete di cartoncino. Carte piccole. Carte medie. Carte grandi. Segnalini lunghi e stretti. Segnalini corti e larghi. Omini. Omini più grandi. Cerchietti rosso scuro. Quadratini arancioni. Tabelle piccole. Tabelle medie. Tabella lunga laterale. Ruota suddivisa in dodici spicchi con quattro lancette di colori e lunghezze differenti. Tabellone.
 Il processo di svuotamento della scatola era terminato. Ci avevano impiegato circa ventuno minuti, più sette perché ogni giocatore scegliesse il colore del proprio segnalino. No: quasi otto, visto che Rin aveva cambiato idea tre volte. Ora veniva il momento della disposizione.
 Trentasette minuti dopo l’enorme tavolo della Sala della Fratellanza era completamente occupato dal tabellone e da tutte le tabelline, carichi di segnalini, carte e tutto il resto. Mancava solo una rapida rilettura delle regole di base. Ci vollero diciannove minuti, al termine dei quali la Maestra Lidia si alzò per andare in bagno, Rin sparì in cucina per preparare il tè e Neyra si addormentò sul tavolo, con la testa su una delle tabelline (spostando tutti i segnalini e le carte che vi erano stati piazzati sopra.)
 L’orologio del santuario suonò le dieci e mezzo.
 «Stasera siamo piuttosto in anticipo, rispetto al solito» commentò Benam. Pescò un biscotto dalla ciotola posata su una sedia e si immerse di nuovo nella lettura della sezione Regole Avanzate del manuale del gioco Landa Cryptica. Innyl guardò il tavolo, la faccia assorta di Benam e la notte fuori dalla finestra, e sbadigliò.
            Finalmente i giocatori erano di nuovo tutti radunati attorno al tavolo. Erano prontissimi per cominciare, quando accadde una serie di cose, in rapida successione: Neyra rovesciò una parte del suo tè sulla propria tunica turchese e sul pavimento. Rin ebbe bisogno di un ripasso intensivo di alcune regole. Lidia prese in mano la situazione e iniziò a giocare, ma si accorse a fine turno di aver sbagliato qualcosa e quindi propose di ricominciare da capo, fortemente sostenuta da Benam, che non avrebbe mai permesso a simili irregolarità di passare impunite.
 La partita cominciò effettivamente alle dieci e cinquantasette minuti.
 Innyl si domandava spesso come mai quel gruppo di sacerdoti, maghi e guerrieri, che vivevano in un santuario dedito allo studio della magia e del viaggio dimensionale e si spostavano tra i mondi, soccorrendo i bisognosi e sfidando i prepotenti, avesse un tale amore per dei giochi in scatola nei quali impersonavano sacerdoti, maghi e guerrieri che facevano la loro stessa vita, ma per finta. Una volta aveva chiesto lumi in merito a Benam.
 «Così possiamo fare quello che ci piace, ma senza rischiare di essere uccisi da un mostro o di perderci in qualche interstizio dimensionale» gli aveva risposto. E siccome Innyl era davvero molto innamorato di Benam, non aveva ribattuto e aveva accettato quella spiegazione abbastanza sensata. E sempre per lo stesso motivo Innyl non si sottraeva, quando Benam gli chiedeva di unirsi a lui e ai suoi confratelli, qualche volta, durante i loro mercoledì sera dedicati ai giochi in scatola.
 Neanche l’amore per Benam però rendeva quei giochi più tollerabili per Innyl.
 La mania per i giochi in scatola era iniziata al Santuario dell’Intuizione circa sei anni prima, quindi ben prima che Benam incontrasse Innyl. Era stata Lidia, di ritorno da una missione su una delle molte versioni della Terra, a portare al gruppo il primo di quei giochi: Gli Occupanti di Takan. Da allora Lidia, Benam, Rin e Neyra si ritrovavano ogni settimana per giocare o per scambiarsi i nuovi giochi che avevano riportato dalle loro missioni. Occasionalmente si univano altre persone – altri sacerdoti, di solito, e una volta persino la Madre Superiora del santuario si era accostata al sacro tavolo dei giocatori.
 Innyl aveva cominciato a frequentare la serata speciale dei quattro sacerdoti dopo un anno dall’inizio della sua storia con Benam. E l’aveva fatto ben volentieri, perché riteneva importante condividere le esperienze e le passioni delle persone care. Insomma, Benam lo accompagnava alle fiere degli artisti di strada e qualche volta lo aiutava a vestirsi e truccarsi per le sue performance. Era solo giusto che anche lui concedesse un po’ di tempo a ciò che piaceva a Benam, no?
 «Innyl, prima di girare la Carta del Sole devi spostare il segnalino sulla Tabella della Notte, passare una Carta della Luna a Rin e rimettere in gioco la tua quantità di oro e argento.»
 «Non l’ho fatto prima?»
 «No, prima hai spostato la Carta del Fiume e hai chiuso il percorso di collegamento tra le diverse mappe.»
 «E di questo cosa ne devo fare?»
 «Devi sceglier se usarlo per compiere una magia, un sacrificio, scambiarlo con dei soldi oppure offrirlo alla divinità.»
 Innyl guardò il quadratino arancione, come per chiedergli come avrebbe dovuto impiegarlo. Era certo che, qualunque scelta avesse fatto, sarebbe stata pessima.
 «Lo offrirò alla divinità» disse, e immediatamente lesse la propria fallimentare idiozia negli sguardi perplessi degli altri giocatori.
 «Non è proprio una giocata convenzionale» commentò Neyra, il diplomatico.
 «Forse…» borbottò Rin, che in fondo era contenta se gli altri giocavano peggio di lei.
 «Io ci ripenserei» disse Lidia, che non sapeva fare a meno di essere maestra anche nel gioco.
 «Ma anche no!» esclamò Benam. «Così ti rovini tutta la partita.»
 «Onestamente, Ben: sono già disperatamente ultimo, e stiamo giocando da appena un quarto d’ora. Pensi davvero che io abbia qualche speranza di miglioramento?»
 «Sì! Ma devi fare delle scelte equilibrate!»
 Innyl sospirò e continuò a soppesare sul palmo il quadratino arancione.
 Gli Occupanti di Takan era insopportabile, Fortifications lo metteva alla prova, Daimyo gli poneva dei dubbi di natura matematica e logica, e talvolta perfino etica e morale, ma Landa Cryptica era veramente devastante, per la sua testa poco portata per i calcoli, le strategie e la capacità di pensare in anticipo. Lui funzionava bene solo se c’era da improvvisare, oppure nelle attività che necessitavano di intuito, capacità di fare collegamenti, svelamento di simbologie o interazione emotiva con gli altri. C’erano giochi che richiedevano alcune di quelle capacità, ma non erano tra i più quotati nel gruppo di Benam, e quindi Innyl si era rassegnato ai gusti della maggioranza. Ma anche la sua pazienza e la sua mitezza, solitamente decantate da molti, avevano dei limiti, e lui era consapevole che qualche volta ci arrivava molto vicino. E qualche volta era proprio Benam a farcelo arrivare.
 «Non so come si fanno le scelte equilibrate, quando devo ragionare in termini di quadratini arancioni!» rispose, stizzito.
 «Perché non hai seguito la partita fin dall’inizio!»
 «L’ho seguita ma non la capisco.»
 «Se non fossi così convinto di essere incapace e ti impegnassi un pochino di più, forse –»
 «Se tu mi credessi, quando ti dico che non sono portato per questo genere di cosa e che non riuscirò mai a essere al vostro pari, forse –»
 «Ragazzi» li interruppe Lidia. «Cerchiamo di giocare serenamente. Ognuno secondo le sue capacità.
 «Innyl, se vuoi fare un’offerta alla divinità, falla pure» disse Rin.
 «Glielo dici solo perché se lo facesse, creerebbe una condizione favorevole per te» le disse Benam.
 «Come puoi pensare che io sia così spregevole?»
 «Basta!» Innyl prese il quadratino della discordia e lo posizionò nella tabella delle divinità. «Ecco qui la mia offerta. Rin, tocca a te.»
 «Grazie, Innyl» disse la donna, spostando in rapida successione una serie di segnalini e quadratini. Era evidente che la mossa di Innyl in effetti l’aveva favorita.
 «Menomale che dovremmo essere un esempio di onestà e virtù» brontolò Benam.
 «In amore e nei giochi in scatola non ci sono regole.»
 La partita proseguì. Innyl vedeva lo stacco sempre maggiore della sua pedina rosa rispetto a tutte le altre, che avanzavano fiere lungo la strada che conduceva al traguardo. Il suo omino invece arrancava, così come la sua parte di territorio sulla mappa del gioco rimaneva sgombra di costruzioni, mentre quelle degli altri prosperavano come città in pieno sviluppo economico.
 «Tocca a te» gli disse Nayra, dopo un turno nel quale aveva guadagnato un numero spropositato di risorse e aveva eretto un palazzo.
 «Va bene. Allora, penso che costruirò un tempio.»
 «Ma perché?» sbottò Benam. «Devi costruire un negozio o una casa, perché l’azione ti porti qualche beneficio!»
 «Ma la regina del mio regno ha deciso di ingraziarsi gli dei con un tempio.»
 «Lo sai che questo non è un gioco di ruolo, vero?» gli chiese Rin.
 «Non puoi giocare come se ci fosse una storia!» disse Benam.
 «E chi lo dice?»
 «Ma non ha senso! Non progredisci con la partita, non ottieni niente!»
 «Magari mi diverto di più.»
 «Se un gioco ha delle regole, vanno seguite!»
 «Primo: non sto infrangendo nessuna regola. Secondo: quindi tutto, alla fine, dipende dalle regole? Non posso essere libero? Mi devo lasciare imbrigliare dalle regole?»
 «Ragazzi, i vostri dibattiti sulla libertà riservateli per l’aula di filosofia!» disse Lidia.
 «O per la camera da letto» bisbigliò Rin, anche se la sentirono tutti.
 «Scusate» disse Benam. «Riprendiamo a giocare. Nel modo opportuno, magari.»
 «Certo» disse Innyl. «Io costruisco un tempio.»
 Benam posò la mano contro la fronte e imprecò sotto voce.
 
 C’era qualcosa di strano, quella sera, nell’aria. Saraline lo avvertiva chiaramente. Forse era in virtù dei suoi poteri, o forse era qualcosa di così forte da esigere la sua attenzione per forza. La Madre Superiora del Santuario dell’Intuizione camminava lungo i corridoi che attraversavano l’enorme, splendido corpo in pietra bianca e grigia di quel luogo magico e accogliente, e cercava di carpire l’essenza del messaggio arcano che galleggiava nell’atmosfera.
 A un tratto si fermò. Un soffio gelido le passò accanto, sfiorandole i capelli neri e increspando la stoffa turchese della sua tunica. Quello non era un presagio o un’impressione magica: era stato qualcosa di concreto, di materiale. Sollevò una mano, cercando di cogliere la direzione di quella brezza strana, ma quella si era improvvisamente calmata.
 «Tutto bene, Galassia?» le domandò Herit, comparendole alle spalle. La Madre si voltò verso la giovane sacerdotessa e le fece cenno di tacere. Rimase ancora qualche istante in ascolto, poi sospirò e scosse la testa.
 «C’è qualche magia in azione, ma non riesco a capire di cosa si tratti.»
 «Ed è pericolosa? È un chiaro segno di aggressione? C’è qualche presagio negativo in azione?»
 «Non lo so, ma non mi piace. Hai notato qualcosa di strano in giro?»
 «Sì, ed è per questo che ero venuta a cercarti. Le Vene sono in piena attività.»
 «È normale. Dovresti sapere come funzionano, no?»
            La sacerdotessa annuì e un guizzo di luce passò negli occhi preoccupati, trasformandoli nello sguardo di una persona molto esaltata.
            «Certo. Sono connesse ai cuori degli occupanti del Santuario. Raccolgono tutti i sentimenti utili e ne fanno scorta. Gran parte della magia del Santuario è…»
            «Herit.»
            «… basata proprio sull’impiego dei sentimenti che…»
            «Herit, non è un’interrogazione.»
            «Ah. Sì. Perdonami, Galassia. Quando mi viene chiesto di spiegare gli elementi costitutivi del Santuario non riesco proprio a non parlare: è uno dei miei argomenti di studio preferiti, e c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, e…»
            «Herit. Parlavamo delle Vene.»
            «Oh, sì, giusto. È che mi sembrano molto più attive del solito.»
 «Sono le undici e mezzo di notte, Herit. Sai quante coppie ci sono, in questo Santuario? Non c’è da stupirsi dell’attività delle Vene.»
 «Lo so benissimo» rispose la ragazza, mentre un’ondata di rossore invadeva le sue guance bianchissime, «ma giuro che questa volta è diverso. I segnali di attività rilevano un carico di sentimenti fortemente oppositivi e ribelli.»
            «Herit…»
            «No, no, Galassia, non mi dire che anche questo potrebbe dipendere dalle coppie. Sono molto scrupolosa con le Vene, e le conosco bene, essendo state il mio argomento di tesi. Te lo ricordi? Ero novizia al Santuario sul mondo di Kleyaru, e venni qui per studiare il sistema, e tu mi facesti parlare con il sacerdote che se ne occupava all’epoca, il caro Ryessa, che purtroppo non è più con noi, e…»
            «Credi che potremmo arrivare al punto, Herit?»
            «Sì, certo. Insomma, conosco bene come reagiscono le Vene ai vari tipi di sentimenti. Un cuore appassionato, per esempio, le riempie di una propulsione particolare, potente e costante, come se un grosso flusso d’acqua venisse pompato nelle Vene, ma un’acqua petrosa e ricca di minerali preziosi, come l’acqua di un fiume pulito. Invece un litigio produce qualcos’altro, che mi permetto di definire bruciante e quasi alcolico, non trovando un termine più adatto per rendere l’idea, ovvero esattamente il tipo di sostanza che, se ingerita, provocherebbe una considerevole quantità di reflusso gastroesofageo, anzi, laringofaringeo, che è anche più infido perché è asintomatico. Ma quello che sento stasera è… Una strana mistura di entrambe le cose, con l’aggiunta di un tocco di competitività, una zaffata di orgoglio, un pizzico di aggressività, una cucchiaiata di tensione sessuale, un…»
            «Va bene, Herit: verrò con te a controllare le Vene.»
            «Grazie, Galassia! Mi dispiace di doverti disturbare, ma non posso permettere che le Vene abbiano un collasso, o che la connessione ai cuori venga danneggiata da qualche malfunzionamento.»
            «Nessun disturbo. Hai fatto bene a chiamarmi. Non dobbiamo sottovalutare la cosa. Magari la strana impressione che avevo prima dipende proprio da ciò che hai notato tu.»
            «Se solo tu riuscissi a descrivere questa strana impressione, Galassia, forse potrei aiutarti a capire di cosa si tratta.»
            «Credimi, Herit, ci proverei, ma dubito che riuscirei a trovare delle metafore colorite come le tue.»
            Camminarono verso il centro di funzionamento delle Vene, che si trovava nel cuore del Santuario, il luogo più protetto e schermato dell’immenso complesso. A pochi passi dal portone di legno coperto di simboli che proteggeva il sistema, Edyn venne loro incontro correndo.
 «Galassia, siamo sotto attacco!» gridò il sacerdote.
 «Che dici?» chiese Saraline.
 «Ci stanno aggredendo dalla dimensione Elfaa.»
            Immediatamente quell’allarme fece scattare qualcosa nella sua testa: aveva capito cos’era, quella strana impressione di magia ostile dispersa nell’aria. Era la traccia di un attacco particolare, che il Santuario aveva già subito anni prima.
 «Gli Ersar!» esclamò. «Ma certo! Avrei dovuto capirlo subito! Siamo sotto l’attacco degli Ersar.»
            «Gli Ersar?» chiese Herit, con la voce mutata in uno squittio spaventato che Saraline le aveva sentito emettere solo prima di un esame particolarmente difficile per cui pensava di non essere preparata. «Non dovremmo avere delle barriere speciali contro di loro?»
            «Sì, ma richiedono un immenso dispendio energetico: non possiamo tenerle sempre attive. Presto: chiamate altre cinque persone e andiamo nella Stanza Argento: da lì convoglieremo tutta l’energia raccolta dalle Vene nel sistema difensivo e innalzeremo la barriera speciale contro gli Ersar.»
            «Basteremo, in otto contro un attacco del genere?» domandò Edyn.
            «Per il momento sì. Non voglio allarmare cinquanta persone per una cosa che ipoteticamente siamo in grado di gestire rapidamente. Nel caso non ci riuscissimo, chiameremo tutti.»
 «Galassia, la stranezza che ho notato nelle Vene…» disse Herit. «Non creerà problemi? »
 «Speriamo di no. Non abbiamo tempo per occuparcene adesso.»
 
 L’atmosfera nella stanza del gioco era elettrica. L’omino rosa di Innyl era sempre più distante dagli altri, mentre quello rosso di Benam e quello blu di Lidia avevano staccato il resto ed erano i più vicini al traguardo, e continuavano a darsi battaglia, superandosi a vicenda di una casella o due a ogni turno. Il giallo di Rin si avvicinava, anche se non riusciva a insidiare le prime due posizioni, mentre il verde di Nayra stazionava (ma era comunque ben lontano dal rosa.) Mancava l’ultima fase di gioco, poi si sarebbero dovuti contare i punti ottenuti con le costruzioni, con le risorse, con la religione e con la gestione delle popolazioni. Solo allora si sarebbe saputo chi aveva trionfato (Lidia o Benam, con ogni probabilità.)
 «Ti ostini a costruire templi? Ma perché?»
 «Benam, piantala: se vuole costruire templi, affari suoi. Pensa al tuo gioco, che tra poco ti riprendo!»
 «È che non riesco a sopportare quando una persona intelligente fa una stupidaggine senza alcun motivo!»
 «Forse non sono così intelligente.»
 «Senti Innyl, non dire stronzate, per favore. Spiegami che senso ha costruire il quinto tempio!»
 «La regina ha davvero bisogno del favore degli dei, ma il suo carattere focoso la porta spesso a compiere infrazioni alla legge divina, e così per riparare al danno fatto, erige templi, sperando di evitare che l’ira degli dei si abbatta su tutta la popolazione.»
 «Non puoi giocare così! Non c’è una storia da inventare!»
            «Questo lo dici tu.»
            «No, lo dicono le regole! Qui c’è una strategia da elaborare, se vuoi arrivare da qualche parte!»
 «La mia strategia è quella di inventare una storia.»
 «O di far arrabbiare me?»
 «Perché pensi una cosa del genere?»
            «Perché quando ti ostini a fare cose stupide e hai quel sorriso…»
            «Non ho nessun sorriso.»
            «Certo, come no.»
 «Se non smettete di discutere, chiudiamo la partita» disse Rin.
 «Oppure la diamo vinta a me» ribatté Lidia.
 «Va bene, Innyl, fai quel che vuoi! Non ti dico più nulla.»
 «L’hai detto almeno cinque volte, e hai continuato a parlare ogni volta.»
            «Questa è la volta buona che me ne sto zitto per davvero e non commento più.»
            «Benissimo. Io costruisco un tempio.»
            «Non ci credo!»
 
 La Stanza d’Argento si attivò sotto le dita di Saraline. I disegni scavati sul grande tavolo di pietra presero vita e iniziarono a brillare. Uno dopo l’altro, i sette sacerdoti intorno a lei posarono le mani ciascuno su un disegno diverso e presero possesso del sistema difensivo del Santuario. Quella era davvero una delle molte meraviglie di quel posto. Saraline era stata novizia in un piccolo santuario sul suo mondo d’origine e poi in uno più grande su Ezheya, ma nessuno di essi era bello e carico di meraviglie quanto il Santuario dell’Intuizione di Teari.
            Quando le barriere furono attivate, Saraline guardò Herit e le fece un cenno con la testa. La ragazza capì immediatamente e il suo viso rotondo si accese di gioia. Anche in mezzo a un attacco da parte di una delle specie più infide del Multiverso, Herit era felice, se le veniva permesso di avere a che fare con le Vene. Quella ragazza era una risorsa. Ed era anche un po’ inquietante. Saraline avrebbe dovuto suggerirle gentilmente di fare una chiacchierata con Aredna, la sacerdotessa che si occupava della salute mentale e del benessere degli abitanti del Santuario. Magari avrebbe potuto suggerire a Herit qualche altro hobby, oltre che lo studio ossessivo e la fissazione con le Vene.
            Herit si diresse verso uno dei tavoli di pietra più piccoli e cominciò a tracciare simboli con le dita su di esso, accendendo così le linee dell’incisione che vi campeggiava sopra: un grande albero dai rami intricatissimi, che cominciarono a rilucere di colori diversi. Da quel simulacro magico si poteva convogliare nel sistema difensivo tutta l’energia delle Vene, che tramite la loro connessione ai cuori dei figli del Santuario raccoglieva ogni tipo di sentimento ed emozione. Una volta assorbito quel materiale palpitante, il meccanismo delle Vene lo trasformava in energia magica che poteva essere utilizzata per molti scopi, tutti utili per mantenere il perfetto funzionamento del Santuario. Herit non aveva tutti i torti, a essere affascinata da quel sistema, in realtà: era una rarità, un intreccio di incantamenti difficile da creare e da mantenere in equilibrio. La Galassia di ogni Santuario di Eini aveva sempre compiti complessi da portare sulle spalle, e a lei era toccata la protezione di una simile opera d’arte magica.
            Il potere attivato da Herit si connetté a quello che gli altri avevano risvegliato. Il serbatoio energetico delle Vene immise una grossa quantità di propellente nel sistema difensivo, in modo da creare una barriera intorno al Santuario. In seguito la barriera si sarebbe allargata e avrebbe serrato ogni passaggio dimensionale presente sul mondo di Teari, finché la minaccia degli Ersar non si fosse ritratta. Erano creature infide, gli Ersar, fatte di spirito e di aggressività. Non avevano un corpo né un nome o una coscienza: erano rimasugli di conflitti e spargimenti di sangue nei luoghi più sacri del Multiverso. Ciascun evento catastrofico o doloroso lasciava delle tracce, delle cicatrici nel tessuto del reale, e talvolta queste si condensavano in delle essenze fluide e inafferrabili, gli Ersar. Quando queste diventavano molte e si univano, era come trovarsi davanti a un esercito senza capo né scopo, guidato solo da un istinto distruttivo e motivato da una furia insensata e feroce. Si diceva che avessero distrutto intere dimensioni. Tenerli lontani non era difficile: il difficile era accorgersi che stavano arrivando.
 «Speriamo di avere abbastanza energia» disse Edyn. «Questa barriera ne risucchia tantissima.»
            «Il propellente delle Vene è…» iniziò Saraline, ma non riuscì a finire la frase, perché furono travolti da qualcosa di prodigioso.
 
            «Ci siamo quasi!» Lidia era carica ed entusiasta: non riusciva più a stare seduta e saltellava attorno al tavolo. «Ti ho quasi ripreso!»
            «Sì, certo, speraci» rispose Benam.
            «Ti devo ricordare di quella volta in cui giocavano agli Occupanti di Takan e…»
            «Smetti di ripetere quell’aneddoto.»
            «Ma è divertente.»
            «Solo perché tu hai vinto.»
            «No, non solo per quello: anche perché tu hai perso.»
            «Basta, Lidia, lasciami stare.»
            «Ooooh, che succede? Non sai che azione fare? Eh, ti capisco, quando sei in una simile situazione…»
            «Smetti di parlare: lo fai apposta per farmi confondere.»
            «Io? Ma come ti viene in mente?»
            Benam era concentratissimo, gli occhi azzurri fissi sul tabellone stracarico di segnalini e carte. Innyl lo guardava con un briciolo di timore: della sua abituale gentilezza non restava niente, quando giocava, né della sua proverbiale misericordia, né della sua rinomata cura di sé. I capelli blu erano raccolti in una crocchia spettinata, il che era quasi un sacrilegio, per lui. Si era sfregato gli occhi, un gesto istintivo fatto durante i momenti in cui meditava le sue strategie, danneggiandosi il complesso trucco attorno agli occhi e sulle guance: ora aveva il kajal sbavato e il sole sulla guancia sinistra era diventato una macchia confusa sulla pelle marrone e imperlata di sudore. E per completare alla grande il disastro, si era toccato la tunica turchese con la mano sporca di trucco, macchiandosi. Per fortuna non se n’era ancora accorto. Avrebbe dato di matto in camera, quando finalmente se ne fosse reso conto. Solo che non avrebbe avuto nessuno da incolpare, se non se stesso.
            «Secondo me ti supera» commentò Rin, cacciando la mano nella ciotola della frutta secca. Nayra la imitò e cercò di rubarle l’ultima noce: visto che nessuno dei due avrebbe vinto il gioco, cercavano di competere in un altro campo. Rin tentò di strappargliela dalle dita e il risultato fu una tempesta di arachidi che si abbatté sul tavolo, andando a mischiarsi ai segnalini già tolti dal tabellone.
            «Manca ancora un turno. Tutto può succedere.»
            «Sì, va bene: sogna pure, Lidia.»
            «Guarda che l’eccessiva sicurezza di sé può essere molto dannosa.»
            «La smetti di camminare? Siediti e tira il dado.»
            «Sei agitato, eh?»
            Innyl sospirò. La noia era salita a livelli leggendari. La storia che aveva inventato per rimanere sveglio durante gli estenuanti turni di gioco era già levitata, raggiungendo la dimensione di una saga in sette volumi. Era stanchissimo. Quell’ultimo turno stava durando un secolo. Forse a un certo punto si sarebbe addormentato, crollando sul tavolo, e quando avrebbe riaperto gli occhi, all’alba, la partita sarebbe stata ancora in corso.
 
            Il collegamento tra le Vene e il sistema difensivo era a piena potenza. Un’ondata soverchiante di sentimenti irrorò la Stanza d’Argento. Ce n’erano di ogni genere, come sempre, ma quella sera c’era davevro qualcosa di particolare: una mistura potente e spaventosa fatta di rabbia, carica irruente, competizione, conflitti irrisolti, desiderio di sfida, sentimenti agitati, affetto che cercava forme insolite per esprimersi. Un getto furioso e arroventato si disperse per tutta la Stanza, caricando il luogo di un’enorme forza vitale.
 «Altroché, se abbiamo abbastanza energia!» esclamò Edyn.
            «È questo!» strillò Herit. «Galassia, è quello, ciò di cui parlavo! Non sentite tutti il suo battito acquatico, misto a un nonsoché di alcolico e pericoloso, con un’aggiunta di…»
            «Certo, Herit» le rispose Edyn. «Qualunque cosa sia, potrebbe averci salvati.»
 Gli otto sacerdoti attivarono una serie di incantesimi a catena. Il centro difensivo del Santuario  si accese e prese a ribollire di magia. La barriera difensiva fu lanciata e abbracciò tutto Teari, ma l’energia era così tanta che Saraline fu in grado persino di creare una seconda barriera, con un potere anche offensivo. Fece ricorso alle sue immense risorse mentali e direzionò quella nuova arma contro le presenze che li minacciavano. Quando fu certa di averli raggiunti, la schiantò contro gli Ersar con tutte le sue forze.
            Avvertì chiaramente il colpo che li raggiungeva, il calore della barriera arroventata che disperdeva le loro essenze spirituali corrotte, il fuoco magico che purificava il Multiverso da quelle tracce di un male passato.
            Mai una simile minaccia era stata sconfitta in così poco tempo.
 
            «Ah! Chi è che era troppo sicuro di sé, eh?»
            «Va bene, va bene, hai vinto.»
            «Certo che ho vinto! E alla grande, anche. Guarda qui: primo praticamente in tutto!»
            «È stata una bella partita.» Lidia cominciò a togliere segnalini, mattoncini, quadratini, pedine e carte dal tabellone. Quando arrivò a togliere l’omino rosso di Benam lo strinse per un secondo tra le dita, come a volerlo polverizzare. Era evidentemente seccata per essere arrivata seconda, ma come al solito, il lungo e noioso compito di riporre il gioco le avrebbe fatto passare l’irritazione.
            «Ragazzi, però la prossima volta facciamo un’altra cosa» disse Rin, e poi sbadigliò sonoramente. «Ormai pensare di vincere a Landa Cryptica è impossibile. Siete sempre voi due, i primi.»
            «Perché non vi impegnate abbastanza» commentò Benam. «Siete troppo impegnati a rubarvi il cibo o a fare il tè e vi perdete pezzi importanti di gioco.»
            «Sì, vabbè, deve anche essere divertente. Non è mica una verifica con il voto» rispose Nayra, alzandosi e stirandosi. «La scuola l’ho finita da un pezzo. Beh, buonanotte, gente. Domattina ho il turno dell’alba. Vorrei dormire almeno quelle quattro o cinque ore.»
            «Hai il turno dell’alba e sei rimasto sveglio fino a ora?» Lidia lo guardò, accigliata, e lui rise.
            «E dai. Una volta ogni tanto posso fare anche una cavolata, no? Ora però scappo per davvero. Bella giocata, comunque.»
            «Vado anch’io» disse Rin. «Neisi si starà chiedendo che fine io abbia fatto.»
            «Tuo marito lo sa benissimo, cosa fai quando sparisci per ore» rispose Lidia, ridendo.
            «Buonanotte. La prossima volta facciamo Fortifications.» Si fermò e passò una mano tra i capelli neri a caschetto. «O magari facciamo un gioco in cui si diverte anche Innyl, eh?» 
            Innyl aprì gli occhi che si stavano gentilmente chiudendo.
            «Ma no» disse. «Va bene tutto. Basta stare tutti insieme.»
            «Se dobbiamo stare tutti insieme, allora andiamo in paese a bere qualcosa.» disse Benam, brusco. «Giocare richiede un minimo di impegno.»
            «Sì, lo so. Non è quello che volevo dire. Scusami, ho sonno. Buonanotte a tutti.»
            «Ti fermi qui o torni a casa?» gli domandò Lidia, seria.
            «Torno di là.»
            «Vuoi fare un passaggio dimensionale a quest’ora?»
            Innyl fece un’alzata di spalle.
            «I passaggi dimensionale sono uguali a tutte le ore, no? E poi lo sai com’è, di là. Giorni e notti tutti uguali. È un postaccio in qualunque momento uno ci arrivi. Ci vediamo alla prossima.»
            Si alzò e lasciò la stanza, sbadigliando e preparandosi ad attivare il suo potere, che lo avrebbe ricondotto nel mondo in cui passava la maggior parte del suo tempo, quando non era in giro per le dimensioni.
            Era sul punto di lasciare Teari quando sentì una mano che si appoggiava ferma sulla sua spalla.
            «Ma dove vai?»
            Si voltò e si trovò davanti il viso stanco e serio di Benam.
            «A casa.»
            «Quand’è che ti deciderai a vivere qui?»
            «Io… Ora non mi sembra proprio il momento giusto per parlarne.»
            «Sai che io non aspetto altro.»
            Benissimo. Il suo ragazzo gli chiedeva di nuovo di vivere insieme dopo un’allucinante serata di giochi in scatola e discussioni stupide. Gli dicevano spesso che lui non era proprio il massimo, in quanto a tempismo, ma Benam lo aveva ampiamente superato.
            Innyl si stropicciò gli occhi e sospirò.
            «Domani torno e ne parliamo per bene.»
            «Davvero te ne vuoi andare? Stai morendo di sonno.»
            «Sono un adulto. Posso resistere a un po’ di sonno.»
            «Perché non resti?»
 «Non lo so. Vuoi che resti?»
 «Che domande sono? Certo che sì.»
            «Mi sembravi un po’… Insomma, non ero sicuro che avessi voglia di stare con me, in questo momento.»
            «Seriamente, pensi che io sia arrabbiato per un gioco?»
 «Beh, lo sembravi.»
 «Perché tu sembravi intento a giocare male apposta per darmi contro!»
            «No: io giocavo male perché non sono capace di giocare bene!»
            «Ecco, questa è la cosa che odio di te!»
            «… che non sono bravo a giocare?»
            «Ma no! Odio il fatto che tu pensi sempre di valere molto meno di quello che vali. Continui a sminuirti, a dire di non essere in grado di fare le cose, quando sei uno dei maghi più dotati che io abbia mai conosciuto e uno degli uomini più coraggiosi che il Multiverso abbia visto da svariati anni!»
            «Ben, senti, ma tutta questa energia per farmi discorsi del genere in questo momento, dove la trovi?»
            «Non mi credi? Pensi che ti dica queste cose tanto per dire qualcosa? Pensi che mentirei all’uomo con cui intendo passare la vita?»
            Ecco, perfetto: ora anche una velata proposta di matrimonio. Decisamente i giochi in scatola toglievano le briglie alle emozioni di Benam come nient’altro.
            «Ti credo. È che non so più come siamo passati a parlare di questo, mentre prima discutevamo del gioco.»
 Si fronteggiarono in silenzio per qualche secondo. Innyl era ben deciso a fargli scontare la sua eccessiva sicurezza di sé, ma il suo proposito durò poco: si rese conto di quanto stupida fosse tutta la faccenda. Veramente stupida. E poi non aveva davvero le forze di portare avanti la discussione. Sorrise, e finalmente vide Benam che rilassava i muscoli tesi e rispondeva al suo sorriso.
            «Dovrei davvero imparare a prendere le cose con più tranquillità.»
            «Ben, non è vero che mi sminuisco. Forse lo facevo, prima, ma da quando studio qui, credo di essere migliorato. È che la mia testa è fatta in un altro modo. Un modo che non funziona, con quei giochi. Tutto qui.»
 «Ti annoi così tanto, a giocare?»
 «Solo ai giochi pieni di calcoli e strategia. Ma gioco volentieri, perché ci siete voi. Mi fa piacere condividere con te, e con gli altri, questa cosa. È solo che ho bisogno di divertirmi a modo mio.»
 «Fatico a capire come tu possa divertirti in quel modo.»
 «È perché a volte fatichi a capire chi fa le cose in maniera diversa da come le fai tu.»
 Benam sospirò e incassò la critica con dignità.
 «Lo so, e hai ragione. Tu però prima stavi cercando di irritarmi.»
 «Sì, un po’ ti punzecchiavo. Scusami, è stata una cosa stupida e immatura.»
 «Non che io abbia fatto meglio. Me la sono presa eccessivamente.»
 «Giuro che la prossima volta giocherò al massimo delle mie capacità. Che non sono molte, ma almeno farò del mio meglio.»
            «Andiamo in camera. Più ripenso alla serata e più mi sento un idiota.»
 Benam gli tese la mano e Innyl la prese e lo seguì attraverso i corridoi del santuario, fino alle sue stanze.
 
 Saraline sentiva le loro voci, ma non capiva le parole. Però il tono era sufficiente a farle sospettare quel che era successo. Benam e Innyl avevano discusso appassionatamente, questo era chiaro, e alla fine si erano riconciliati. Di sicuro molti dei potentissimi sentimenti raccolti dalle Vene derivavano da quei due. Benam aveva un carattere forte e Innyl aveva la tendenza a vivere tutte le emozioni alla loro massima potenza: bastava poco per farli scattare, nel bene e nel male, e una discussione tra loro due fruttava molto nutrimento per la riserva energetica del santuario. Saraline era felice che si fossero riconciliati (le Vene si sarebbero ricolmate del loro reciproco perdono, della loro armonia ristabilita e, molto probabilmente, anche della carica della loro passione.)
 Sarebbe stata curiosa di sapere per cosa avevano litigato. Doveva essere stato qualcosa di molto serio, di sicuro, a giudicare dalla quantità di sentimenti emessi. Le dispiaceva per i due, ma al tempo stesso era certa che respingere gli Ersar sarebbe stato molto più complesso, senza il loro scontro, che così tanta energia aveva fornito alle Vene.
            Non per la prima volta si sentì grata del fatto che Benam, Prima Stella del Santuario dell’Intuizione, si fosse trovato un compagno di vita così incline ai sentimenti forti (addirittura esagerati), sempre preda di un trasporto ardente per tutte le cose che riteneva importanti. Gente di teatro: era fatta così, un mondo che Saraline non avrebbe mai compreso a pieno e del quale diffidava un po’, ma dal quale era affascinata. Il giovane Innyl serviva a temperare la sicurezza di Benam e lo aiutava, talvolta, a riequilibrare la sua assoluta razionalità, riportandolo a contatto con la sua fragilità nascosta. E riforniva costantemente di sentimenti le Vene del santuario.
 
            Benam uscì dal bagno e rientrò in camera. Innyl aveva gli occhi chiusi. Sembrava ancora più giovane, quando dormiva, nonostante fosse altissimo e robusto. Il potere intimidatorio della sua stazza spariva, quando il sonno o qualche emozione forte prendevano il possesso di lui. Ora respirava regolarmente, i capelli ricci sparsi sul cuscino, la pelle nerissima che spiccava contro il candore immacolato del lenzuolo.
            Di nuovo si sentì uno stupido per come avevano trascorso la serata. Innyl aveva ragione, quando gli diceva che faceva fatica a concepire le teste diverse dalla sua. La cosa gli faceva male, perché sapeva quando sbagliato fosse quell’atteggiamento, e perché finiva sempre per ferire la persona fondamentale della sua vita. Che aveva una testa davvero tanto diversa dalla sua.
            Benam si infilò a letto cercando di fare meno rumore possibile, ma l’altro spalancò gli occhi.
            «Scusa, non ti volevo svegliare.»
            «Non stavo dormendo.»
            Come spesso succedeva, il momento da cucciolo assonnato di Innyl svaniva non appena toccava il letto. Non che a Benam la cosa dispiacesse. Si sporse per baciarlo e l’altro rispose entusiasticamente. Lo sentì avvicinarsi e capì che la nottata non era ancora finita.
            Fece scivolare una mano tra i capelli di Innyl, mentre l’altra mano scendeva lungo la sua schiena nuda – una delle cose che non finivano mai di sorprendere Benam era come quella creatura timida e pudica dormisse senza alcun indumento addosso. Una delle molte cose che apprezzava di Innyl. Era stato interessante vedere come il suo pudore tossico era caduto un velo alla volta, via via che Innyl viaggiava, studiava magia al Santuario, scopriva i mondi e le dimensioni, e soprattutto scopriva i mondi dentro di sé. Benam era diviso tra la gioia nel vederlo diventare sempre più libero, sempre più se stesso, e l’odio per tutti quelli che in passato avevano collaborato a rinchiudere dentro di lui quell’animo totalmente affamato di libertà.
            Ecco, ora il sonno era proprio passato. Innyl gli si strinse contro e cominciò ad armeggiare con la tunica leggera che Benam indossava per dormire, nel tentativo di farla sparire. Ne sentiva il respiro rapido e desideroso contro il collo. Lo aiutò a togliersi l’indumento e godette della sensazione del tocco dell’altro che gli percorreva la pelle nuda.
            E pensare che per qualche stupidissimo momento, un’ora prima, era stato deciso a volerlo mandare via, quella sera…
            Un pensiero gli attraversò la mente. Una cosa che gli aveva detto Saraline. Ed era piuttosto strano e anche un po’ imbarazzante, pensare alla Galassia del Santuario un attimo prima di fare sesso con il suo compagno, però non poté fare a meno di soffermarsi su quelle parole almeno per un istante.
            Eini ti ha fatto il dono di farti incontrare un compagno che riesce a staccarti dal tuo organizzato mondo mentale e a farti riconnettere con il tuo cuore.
           
 Chiusi nelle loro scatole colorate, i giochi dormivano, in attesa del mercoledì successivo, che sarebbe giunto con le sue gioie e i suoi tormenti, i suoi entusiasmi e i suoi scontri. Come creature amabili e infide al tempo stesso, riposavano nell’ombra, certi che presto altri giocatori sarebbero venuti a loro, per abbeverarsi al loro flusso di energia, portatore di immensa concordia e guerra furiosa, nelle lunghe notti piene di segnalini, quadratini, carte, tabelle, dadi, numeri, calcoli, strategia, sfida e magia.




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