Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Roxanne Potter    14/03/2020    3 recensioni
[Minerva McGranitt/Aberforth Silente] [Storia partecipante al contest "Who put crack in my amortentia?" indetto da GiuniaPalma / LadyPalma sul forum di EFP]
[Questa storia partecipa al contest "Hold my Angst (Flash contest - Edite ed inedite) - Seconda edizione" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Minerva trattiene il fiato. Le parole di Aberforth lasciano intendere di più di quello che dicono e il suo sguardo indugia su di lei come una carezza; lo stesso sguardo che le rivolgeva Elphinstone quando cenavano insieme o quando passeggiavano lungo le sponde del Lago Nero.
Il silenzio alleggia nella stanza per qualche istante. Poi Aberforth guarda il ritratto di Ariana e i suoi occhi si velano di una profonda tristezza.
-So come ti senti in questo momento. Nello stesso modo in cui mi sono sentito io quando morì Ariana. Perdere le persone che amiamo è sempre una tragedia. Ci fa perdere il controllo, ci fa andare fuori di testa. Ci sembra impossibile pensare che un giorno tutto questo dolore andrà via, che continueremo ad andare avanti. Ma alla fine si va avanti. Sempre.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aberforth Silente, Minerva McGranitt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Le strade di Hogsmeade sono ricoperte da un sottile strato di neve candida, che sembra brillare sotto i pallidi raggi del sole di dicembre. Minerva si stringe nel mantello mentre cammina a passi lenti e cadenzati lungo High Street, gli occhi vacui che scorrono sulle vetrine colorate dei negozi e sulle ghirlande appese alle porte delle case senza vedere nulla di tutto questo.
Quasi non sente il chiacchiericcio dei maghi e delle streghe che affollano la strada; le sembra di galleggiare sott'acqua, che quelle voci allegre giungano da un luogo remoto e indefinito, un luogo di luce contrapposto al buio che la circonda.
Presto scenderà la sera. Presto sarà ora di tornare a casa, di affrontare gli occhi colmi di lacrime e i volti contorti dal dolore dei suoi nipoti e dei suoi fratelli. Presto arriverà il Natale e, quando si sveglierà al mattino, troverà solo un letto vuoto ad accoglierla.
Minerva sente le lacrime pungerle gli occhi ma le ricaccia indietro; ha già pianto abbastanza quella mattina, nei corridoi del San Mungo, quando una Medimaga dal viso tondo e gentile le ha annunciato con voce sommessa che Elphinstone non è riuscito a sopravvivere al morso della Tentacula.
Ora Minerva non piange ma il dolore è come un mostro che le affonda gli artigli nello stomaco, nelle viscere, nell'intestino. Artigli che non lasciano la presa e di cui forse non riuscirà mai più a liberarsi.
Un'improvvisa folata di vento le scuote i capelli. Il chiacchiericcio intorno a lei si sta facendo sempre più intenso e chiassoso e Minerva si accorge di non riuscire a sopportare quelle voci, quelle risate, quei canti di festa che sembrano scorrerle sulla pelle, graffiandola a sangue e riaprendo le ferite ancora troppo fresche.
Svolta un angolo e imbocca una stradina che si snoda tra due file di case di legno. Ha bisogno di continuare a camminare fino a sentire le gambe doloranti, di fuggire dal rumore che si sta lasciando alle spalle così come dal rumore dentro la sua testa. Eppure non ha nessun posto dove andare, nessun posto che possa assicurarle quel briciolo di pace e serenità che sta cercando invano di inseguire. Continuerà a vagare a vuoto per le strade del villaggio finché non giungerà la sera e non sarà costretta a tornare a casa, a far fronte alla sofferenza devastante che ha colpito non solo lei ma anche il resto della famiglia. Una sofferenza che, tuttavia, lei sente di non poter condividere con nessuno.
Si ferma di colpo davanti a un edificio in fondo alla strada. Ad attirare la sua attenzione è la porta d'ingresso, sulla quale capeggia la testa imbalsamata di un maiale dai grandi occhi tondi e la bocca spalancata su una fila di denti anneriti.
È da un bel po' che non entra alla Testa di Porco – che, nel corso degli anni, è diventato un posto sempre più sporco e meno raccomandabile – e neanche ricorda di aver mai visto quell'orribile testa imbalsamata appesa alla porta. Normalmente, Minerva arriccerebbe il naso e se ne andrebbe via, ma oggi non è un giorno normale; di colpo, si sente investire dal disperato bisogno di cercare la sua pace e la sua serenità in un liquore che le bruci la gola.
Spinge la porta e, non appena entra nel pub, un odore aspro le pizzica le narici. La sala è appena illuminata da una debole luce che filtra dai vetri macchiati e opachi dalle finestre, il pavimento di legno è coperto di polvere. Ci sono almeno una decina di tavoli ma solo uno è occupato; una coppia di maghi, con i volti quasi nascosti dai cappucci neri, che tengono la testa china e confabulano tra di loro.
La porta si richiude alle sue spalle. Minerva prende posto al tavolo più vicino, incrocia le mani e tira un lungo sospiro che sembra svuotarla di qualsiasi energia. Non dovrebbe fare altro che richiamare l'attenzione di Aberforth e ordinare qualcosa da bere; eppure si sente talmente sfiancata che le mancano le forze persino per compiere un'azione così semplice.
Rimane così per almeno un minuto, lo sguardo fisso sui granelli di polvere che ricoprono la superficie del tavolo. Un rumore di passi pesanti che si fanno sempre più vicini le fa alzare di colpo la testa; Aberforth è davanti a lei, il volto sempre più rugoso circondato da una lunga chioma di capelli grigi. I suoi occhi azzurri sono identici a quelli di Albus eppure a differenza del fratello, il cui sguardo è quasi sempre velato da una sottile ironia e una calma benevola, quello di Aberforth è spesso oscurato da un'espressione diffidente, quasi burbera, in linea con quel suo strambo carattere che lo ha portato ad attirarsi le antipatie di almeno metà degli abitanti di Hogsmeade.
Eppure Minerva non pensa che Aberforth sia così male. Ricorda di aver riso di gusto quando, durante la sua prima serata alla Testa di Porco, lo ha visto insultare e cacciare fuori dal locale un mago che aveva cercato di pagarlo con delle monete false. Forse è proprio la natura scontrosa e polemica di Aberforth a renderlo, in un certo qual modo, una persona divertente. Non che Aberforth sia sempre scontroso e polemico; Minerva pensa di essere una delle poche persone a cui, di tanto in tanto, quell'uomo abbia mai rivolto un sorriso gentile.
-Cosa le porto, professoressa?- dice Aberforth; la voce calda, bassa e roca è totalmente diversa da quella limpida e rassicurante di Albus.
Minerva si concede qualche istante di silenzio per decidere. Quando parla, la sua voce è piatta e inespressiva, priva della sua solita verve.
-Un boccale di Whisky Incendiario, grazie.
Aberforth annuisce, si volta e torna verso il bancone. Minerva riporta l'attenzione sui granelli di polvere, ignorando l'aspetto spettrale del pub e l'odore nauseabondo che alleggia nell'aria.
Sono ancora una volta i passi di Aberforth a riportarla alla realtà. Minerva tira fuori un falce dalla tasca del mantello e lo porge ad Aberforth, che ha appena poggiato sul tavolo un boccale traboccante di Whisky Incendiario.
-Grazie.- mormora.
Afferra il manico del boccale e inizia a bere. Di solito Minerva non beve spesso e, quando lo fa, predilige la Burrobirra o un bicchiere di Vinaccia Bianca ai liquori più pesanti. Le è sempre piaciuto mantenere un certo contegno. Ma ora del contegno non può importarle di meno; non nel momento in cui la sua vita è stata completamente sconvolta e il terreno solido su cui ha camminato negli ultimi anni le è stato strappato di colpo da sotto i piedi.
Il Whisky ha un odore talmente pungente che i suoi occhi si inumidiscono. Il liquore le brucia davvero la gola. Il sapore è insopportabile ma Minerva continua a bere, lascia che il dolore – finalmente un dolore fisico – le esploda nel petto, insieme alla nausea che la fa deglutire e le fa trattenere il fiato.
Beve, beve finché i pensieri nella sua testa non iniziano finalmente a tacere. Gli artigli sono ancora lì, non hanno mollato la presa, ma in qualche modo fanno meno male di prima.
Quando Minerva posa sul tavolo il boccale vuoto, nota che il pub è sempre più immerso nella penombra. La luce del giorno si sta dileguando e presto i suoi nipoti e i suoi fratelli inizieranno a chiedersi perché non è ancora tornata a casa. Ma Minerva non se la sente di tornare a casa adesso, pur sapendo che lei e la sua famiglia hanno bisogno di stare più vicine che mai.
Alza la mano per attirare l'attenzione di Aberforth, che molla una pezza sudicia sul bancone e le si avvicina a passi svelti.
-Un altro Whisky, per favore.
Per alcuni secondi, Aberforth rimane lì in piedi senza dire niente. Si limita a fissarla con uno sguardo indagatore e Minerva non può dargli torto. Sa di essere pallida, di avere delle borse spaventose sotto gli occhi dopo la notte insonne passata al San Mungo e di non aver pettinato i capelli, che le ricadono sciolti e scarmigliati sulle spalle.
Finalmente Aberforth annuisce e le volta le spalle per tornare al bancone. Quando torna con il Whisky Incendiario, le sue labbra sono piegate in quel sorriso – un sorriso sincero, gentile, per quanto accennato – che rende il suo volto così simile a quello del fratello.
Minerva gli mette in mano un altro falce. Aberforth richiude il pugno intorno alla moneta e ancora una volta rimane lì, continuando a guardarla.
-Non l'ho mai vista bere così, Minerva.- commenta con una punta di ironia amara nella voce.
Minerva si sforza di sorridergli ma gli angoli della sua bocca non ne vogliono proprio sapere di sollevarsi. Si limita a scuotere la testa e risponde; -A volte se ne sente il bisogno.
Persino parlare, persino articolare la voce per pronunciare quelle poche parole sembra costarle uno sforzo terribile. Aberforth si stringe nelle spalle, si allontana di nuovo e Minerva rimane sola in compagnia del Whisky; il sapore, adesso, le sembra appena meno forte, meno bruciante di prima.
Il liquore va giù come se fosse acqua e le scalda le vene, le ottenebra la mente finché il mondo intorno a lei non inizia a perdere di consistenza, finché gli artigli non lasciano finalmente la loro presa.
Eppure il vuoto e la tristezza continuano ad avvolgerla come una cappa di nebbia. La solitudine è disarmante e gelida come questo inverno in cui Elphinstone se n'è andato per sempre.
Così Minerva continua a bere, ad annegare se stessa negli effluvi di quel liquore che adesso è il suo unico compagno; perché bere è l'unico modo che ha per tenere a bada il dolore.

La sera dopo, la Testa di Porco la accoglie con lo stesso odore aspro che impregna l'aria e lo stesso strato di polvere accumulato sul pavimento. Lì fuori è già buio e il locale è illuminato dalle luci calde delle lanterne appese alle pareti. Un mago solitario sorseggia una Burrobirra dal suo tavolino accanto alla finestra e un gruppetto di maghi e streghe avvolti in ampi mantelli neri occupa un altro tavolo vicino all'ingresso.
Minerva prende posto su uno sgabello davanti al bancone e guarda Aberforth, che sta trafficando in un armadietto ricolmo di bottiglie, bicchieri e piatti sbeccati; quando l'uomo si volta, con una bottiglia di Burrobirra in mano, le fa un cenno di saluto con la testa.
-Whisky Incendiario, Minerva?
Lei annuisce.
-Dammi solo un minuto, porto questa all'idiota lì in fondo e poi sono da te...
Minerva rimane sconvolta quando si rende conto che, per un fugace attimo, le sue labbra si sono piegate in un debole sorriso. Aberforth torna, si intasca il falce che Minerva gli ha lasciato sul bancone e inizia a riempirle un boccale di Whisky. Glielo porge, scrutandola con la stessa aria indagatrice che lei gli ha visto negli occhi la sera prima.
-Ho saputo di tuo marito. Mi dispiace.
Minerva deglutisce e si trattiene dall'emettere un sospiro stanco. Le voci nel villaggio devono essere girate in fretta.
-Grazie, Aberforth. Lo apprezzo molto.
Aberforth le sorride, poi afferra uno straccio e inizia a strofinarlo sul bancone, senza più aggiungere una parola. Minerva sorseggia il suo Whisky e la sua mente vaga lontana, lontana da quel pub, da quel villaggio, persino da quell'angolo di mondo.
Ricorda la prima volta che ha visto Elphinstone, a Londra, nell'atrio del Ministero della Magia. Ricorda la sua stretta di mano calorosa accompagnata da un sorriso gentile e il suo viso magro circondato dai capelli castani, già striati di grigio. Ricorda quello stesso volto quando l'ha visto l'ultima volta; la carnagione cinerea, le labbra sottili e pallide, gli occhi...
In un solo sorso, Minerva ha mandato giù tutto il Whisky. Non vuole ricordare. Non può ricordare. Ricordare fa quasi più male che fronteggiare la morte, l'orrore e il vuoto che portano con sé quei terribili istanti in cui ti rendi conto che non rivedrai mai più il viso di una persona che ami.
-Un altro.- dice con voce spezzata, senza neanche guardare in faccia Aberforth.
Manda giù in fretta anche il secondo Whisky a cui forse, pensa amaramente, ne seguiranno un terzo e addirittura un quarto.
Robert e Malcolm, che hanno passato tutta la giornata con lei, sono a casa ad aspettarla e si preoccuperanno se non la vedranno tornare a breve. Ma Minerva non ce la fa a rientrare in quella casa, in quella stanza, e ad abbandonarsi su quel letto così freddo. Ha paura che gli incubi verranno a cercarla, che si sveglierà nel cuore della notte con la fronte sudata e il battito cardiaco a mille, come succedeva quando era bambina. Perché forse il lutto, almeno per un po', ci rende tutti bambini.
Poggia sul bancone il boccale di Whisky, ancora pieno a metà. Le tremano leggermente le mani, un senso di nausea le stringe la gola e il dolore, sia fisico che mentale, non ha ancora abbandonato il suo corpo. Eppure sa che non può andare avanti così. Sa che la sua vita non può finire con quella di Elphinstone, così come non è finita il giorno in cui ha detto addio a Dougal.
Presto dovrà alzare la testa e continuare ad andare avanti come ha sempre fatto.
-Posso fare qualcosa?
Minerva alza lo sguardo e incontra gli occhi azzurri di Aberforth, che la guarda con un'aria sinceramente preoccupata. Occhi che brillano di profondità, di calore, di qualcosa che le ricorda la premura e l'affetto.
-No. Non...- Minerva dà un colpo di tosse e un sorriso amaro le tende le labbra. -Non puoi fare niente. Sto... sto bene così.
Aberforth rimane in silenzio, con aria un po' imbarazzata, l'aria di chi non sa cosa dire in un momento così delicato. Poi abbassa lo sguardo e riprende a passare lo strofinaccio sul bancone. Minerva si sofferma a osservarlo per un po' prima di ricominciare a bere: la mattina dopo la aspetta il funerale di Elphistone. La sua famiglia sarà lì con lei ma questo non basterà, non basterà a tirarla fuori dal baratro.
Nessuno può fare qualcosa per lei. Niente e nessuno.

La neve volteggia piano nell'aria, posandosi sui suoi capelli. Minerva tiene il capo leggermente sollevato mentre cammina nelle strade silenziose del villaggio; la luna piena splende in un cielo adorno di stelle luminose ma, per quanto si sforzi, lei non riesce a cogliere la bellezza di quello spettacolo che le riempie gli occhi.
Forse è tardi, troppo tardi per andare alla Testa di Porco, ma Minerva spera di trovare il pub ancora aperto e di potersi godere quelli che saranno i suoi ultimi sorsi di Whisky Incendiario.
Vede le finestre del pub ancora illuminate e accelera il passo, stringendosi nel mantello e battendo i denti per il freddo. La testa imbalsamata del maiale ormai le sembra familiare come un vecchio amico; Minerva spalanca la porta e si ritrova in una sala vuota, eccetto per Aberforth che è seduto dietro il bancone, gli occhi fissi sulla lunga pergamena che tiene tra le mani.
-Scusami.- dice Minerva. -Pensavo fossi ancora aperto. Tolgo il disturbo...
Aberforth alza gli occhi dalla pergamena.
-Non ti preoccupare. Tra poco devo chiudere il pub ma tu puoi restare se vuoi. Penso che ne avresti bisogno.
Minerva si avvicina al bancone, rivolgendo ad Aberforth un sorriso di gratitudine. Qualcosa, dentro di lei, sta lentamente tornando al suo posto; riesce di nuovo a parlare e sorridere, pur sapendo che i suoi sorrisi sono solo una pallida imitazione di quelli passati.
-Grazie.- mormora, sedendosi su uno sgabello. -Allora... il solito.
Aberforth mette via la pergamena, si alza in piedi e scuote la testa.
-Saliamo di sopra, Minerva. Tu non hai bisogno di Whisky Incendiario. Hai bisogno di una bella tazza di tè.

Minerva segue Aberforth lungo le scale che conducono al piano superiore del pub e poi oltre una porta di legno sgualcito; si ritrova in una stanza ampia, con spesse tende nere tirate davanti alle finestre e un lampadario che getta una luce fioca e tremolante sul pavimento. Il fuoco scoppietta nel camino e riempie l'aria di un piacevole calore. Davanti al camino, c'è un basso tavolino di legno scuro con due poltroncine ai lati.
-Accomodati pure.- Aberforth scuote la bacchetta e sul tavolo si materializzano due tazze bianche ricolme di tè fumante.
Minerva si siede su una poltroncina, si toglie i guanti e si lascia scivolare il mantello dalle spalle.
-Ti ringrazio.- Gli sorride – è così strano sorridere quando, quella stessa mattina, ha visto la bara di Elphinstone che veniva calata sottoterra – e prende in mano la tazza.
-E di che.- borbotta Aberforth, sedendosi sulla poltrona di fronte alla sua. -Non è bene bere troppo in momenti come questi. Se inizi a prenderci la mano, non smetti più.
-Non ho mai bevuto in vita mia. Né ho intenzione di iniziare adesso. Era solo... una scappatoia temporanea.
Minerva soffia sulla bevanda bollente, riflettendo su quanto sia strano parlare in quel modo a qualcuno che, in fondo, non può considerare più di un semplice conoscente. Fino a poco tempo prima non avrebbe mai immaginato che un giorno si sarebbe ritrovata lì, alla Testa di Porco, a bere un tè con lo strambo fratello di Albus. Né avrebbe immaginato che Aberforth Silente potesse rivelarsi così attento e premuroso proprio nei suoi confronti.
Bevono il té in silenzio, accompagnati solo dal crepitio del fuoco nel camino. Dopo aver bevuto Whisky Incendiario per due sere di fila, Minerva trova strano mandare giù quella bevanda che non le dà alcuna nausea e le riscalda la gola invece di bruciarla.
I muscoli tesi del suo corpo si distendono e l'ultimo sorso di tè ha il sapore di qualcosa che somiglia a un istante effimero di pace.
Minerva poggia la tazza sul tavolo e avvicina le mani al fuoco per riscaldarle. Sa che dovrebbe ringraziare ancora Aberforth per il tè, prendere guanti e mantello e tornare a casa. Ma una parte di lei non vuole abbandonare quel posto che si è inaspettatamente rivelato il rifugio che stava tanto cercando. Forse è il bisogno di parlare con qualcuno che la sta spingendo a rimanere, il bisogno di lasciar fluire il dolore che le infuria dentro.
Minerva solleva lo sguardo e nota un ritratto appeso sopra il caminetto; una ragazza di non più di quattordici anni, vestita di blu, con i capelli biondi che ricadono intorno al viso dall'espressione dolce. I suoi occhi sono azzurri, della stessa sfumatura di quelli di Albus e Aberforth, e leggermente vacui.
-Quella deve essere Ariana. Tua sorella.
Le parole le sono sfuggite dalle labbra senza che se ne rendesse conto. Minerva guarda Aberforth, aspettandosi di trovarlo infastidito o sconcertato da quell'osservazione. Invece lui sembra tranquillo; solleva la bacchetta, fa sparire le due tazze di tè e annuisce. I suoi occhi sono due specchi distanti e indecifrabili.
-Già. Mia sorella. Quindi Albus ti ha parlato di lei.
-Sì. Parecchio tempo fa. Mi ha raccontato... la storia della vostra famiglia.
Aberforth arriccia le labbra in una smorfia.
-Non sapevo che mio fratello avesse preso l'abitudine di spiattellare in giro faccende che dovrebbero rimanere private. Ma non importa, ormai è passato tanto di quel tempo...
-Non le ha spiattellate in giro.- ribatte Minerva, stupendosi nel sentire la sua voce risuonare forte e decisa. -Non credo le abbia mai raccontate a nessuno, oltre me.
L'espressione burbera di Aberforth svanisce, sostituita da un sorriso mite.
-Allora forse Albus ha trovato qualcosa in te che non ha trovato in nessun altro. Il che non mi stupirebbe.
Minerva trattiene il fiato. Le parole di Aberforth lasciano intendere di più di quello che dicono e il suo sguardo indugia su di lei come una carezza; lo stesso sguardo che le rivolgeva Elphinstone quando cenavano insieme o quando passeggiavano lungo le sponde del Lago Nero.
Il silenzio alleggia nella stanza per qualche istante. Poi Aberforth guarda il ritratto di Ariana e i suoi occhi si velano di una profonda tristezza.
-So come ti senti in questo momento. Nello stesso modo in cui mi sono sentito io quando morì Ariana. Perdere le persone che amiamo è sempre una tragedia. Ci fa perdere il controllo, ci fa andare fuori di testa. Ci sembra impossibile pensare che un giorno tutto questo dolore andrà via, che continueremo ad andare avanti. Ma alla fine si va avanti. Sempre.
È forse in quel momento che Minerva vede finalmente Aberforth per quello che è; tutto tranne che un vecchio matto, lunatico e illitterato che non si cura di nulla e nessuno, se non delle sue capre.
Aberforth è un uomo, un essere umano come lei, che si è strappato la maschera e ha messo a nudo una parte della sua anima. Un uomo che, per quanto appaia grezzo in superficie, porta dentro di sé quello stesso miscuglio di sensibilità e saggezza che contraddistinguono il fratello.
-Sì, è vero.- dice Minerva. -Si va sempre avanti. Ma il dolore non si può cancellare. Non si può dimenticare ciò che è stato.
-Anche questo è vero. Puoi solo imparare a convivere con il dolore. A volte riesci persino a far finta che non esista, finché non torna a galla. Ma nei momenti in cui riesci a conviverci...- Aberforth punta su di lei i suoi occhi azzurri e penetranti. -Sono quelli i momenti in cui la vita continua.
Minerva annuisce e un briciolo di calore si accende nel suo cuore. Per la prima volta in tre giorni si sente ascoltata e compresa da qualcuno che ha vissuto la sua stessa tragedia. In fondo, perdere una sorella e una madre durante l'adolescenza deve essere doloroso quanto perdere un marito, se non di più.
-La mia vita andrà avanti. Domani mattina tornerò ad abitare a Hogwarts.
Aberforth sembra irrigidirsi sulla poltrona.
-Spero di rivederti.- dice, iniziando a torcersi nervosamente le mani. -Se mai avessi voglia di fare due chiacchiere con qualcuno, io sono qui.
-Perché no? Se ne avrò il tempo. Ora non penso di potermi trattenere a lungo...
L'orologio a pendolo in fondo alla stanza segna mezzanotte e venti. Minerva si alza, si infila frettolosamente i guanti e si riallaccia il mantello.
-È meglio che vada. Domani devo alzarmi presto e preparare le valige. Grazie ancora per il tè, Aberforth. È stato un piacere.
-Figurati. Buonanotte, Minerva.
È lieta di vedere che Aberforth, a differenza di come farebbero molti altri uomini, non si perde in stupide smancerie come baciarle la mano o offrirsi di accompagnarla a casa. Si scambiano un ultimo sorriso, un sorriso stanco ma in qualche modo sincero. E sarà il ricordo di quel sorriso che la accompagnerà nel suo ritorno a casa, mentre si allontana da quel rifugio di silenzio, di pace e comprensione. Un ricordo che, anche se per poco, lenirà le ferite e le farà rammentare quanto il mondo abbia sempre bisogno dell'amore, in qualsiasi forma questo si presenti.

La guarda allontanarsi lungo la strada, avvolta nel suo mantello, i lunghi capelli neri ricoperti di neve candida. Aberforth sospira e tira le tende alla finestra. È rimasto solo, di nuovo solo con se stesso, in quella vecchia stanza piena di polvere e ricordi.
Torna a sedersi davanti al fuoco, tira fuori la bacchetta dalla tasca dei pantaloni e fa materializzare una bottiglia di Idromele sul tavolo. La stappa, ridacchiando senza allegria. Ha appena detto a Minerva che bere troppo non è un bene e adesso è lì che si attacca al collo della bottiglia, cercando di scolare l'Idromele tutto d'un fiato.
Mette via la bottiglia e scruta le fiamme che danzano nel camino. Come ha potuto essere così stupido da credere che Minerva sarebbe rimasta a Hogsmeade, dopo la morte di Elphinstone? Come ha potuto sperare, anche solo per un attimo, che lei avrebbe potuto guardarlo con occhi diversi? Come ha potuto non avere nessun riguardo per la sua sofferenza?
Si va avanti, sempre. Così le ha detto. E Aberforth ci crede davvero, che si possa sempre andare avanti. Così come crede che il dolore non passi mai davvero; non c'è nulla che possa cancellarlo del tutto, nessun incantesimo, nessuna bottiglia di Whisky Incendiario o di Idromele.
Ci sono però alcune cose che gli permettono di dimenticare per un po' il peso della sua solitudine e Minerva è tra queste. Aberforth sorride nel ricordare la prima volta che l'ha vista entrare alla Testa di Porco, insieme a suo fratello Malcolm, in un lontano pomeriggio di aprile.
Pensa alle tante cose di lei che lo hanno attratto nel corso degli anni, nelle sempre più rare occasioni in cui Minerva si è presentata nel suo pub o in cui si sono incontrati per le strade di Hogsmeade, fermandosi per scambiare qualche parola; l'enfasi nella sua voce quando la sentiva discutere animatamente con i suoi fratelli o con gli altri professori di Hogwarts, l'argutezza delle sue parole, la sua risata, il viso leggermente spigoloso ma attraente, gli occhi brillanti di intelligenza, la fierezza nello sguardo.
Quella fierezza che non l'ha mai abbandonata, neanche adesso che il suo mondo deve essere andato in pezzi. C'è sempre una luce nei suoi occhi, una vitalità e una forza che possono vacillare ma non andare in frantumi.
Aberforth ne è sicuro; Minerva ha tutte le carte in regola per poter imparare a convivere con il suo dolore. Così come è sicuro che le loro strade non si incroceranno più.
Un'onda di tristezza lo investe mentre guarda il ritratto di Ariana. Lei sbatte le palpebre e gli sorride, bella e candida com'è stata in vita. Ma i suoi veri occhi non ricambieranno mai più il suo sguardo e lui non udirà mai più il suono dolce della sua voce.
Aberforth ha imparato ben presto quanto l'amore può fare male. Lo ha imparato quando suo padre è stato imprigionato ad Azkaban. Quando sua madre è morta. Quando Albus gli ha voltato le spalle e ha preferito Gellert Grindelwald alle responsabilità verso la sua famiglia, verso quella sorella così fragile che aveva disperatamente bisogno di lui.
Lo ha imparato quando ha visto il corpo di Ariana riverso a terra, privo di vita, e si è reso conto di aver perduto per sempre non solo lei ma tutte le persone che lo hanno amato – o che avrebbero dovuto amarlo.
È stato l'amore a farlo soffrire, a spezzargli il respiro per il dolore, a portarlo a rinchiudersi lontano dal resto del mondo. È stata Minerva a ricordargli che l'amore porta con sé anche la luce e non solo il buio; il volto in fiore di una giovane donna e non solo lacrime, rabbia e solitudine.
Ma Aberforth ha solo imparato a convivere con delle ferite che non guariranno mai. Così si è limitato, per anni, ad osservare Minerva da lontano, ad accontentarsi di qualche sguardo rubato e di qualche chiacchiera di convenzione strappata nelle botteghe di Hogsmeade. La ama come si ama una fantasia, un'utopia. Come amava le fiabe che sua madre gli leggeva quando era piccolo per farlo addormentare, pur sapendo che mai avrebbe visto quei mondi incantati con i suoi stessi occhi.
Aberforth non sa come sia possibile provare un sentimento così intenso per una persona che non ha mai davvero conosciuto. Forse ama il modo in cui Minerva viene a fargli visita nei suoi sogni, forse ama le possibilità che lei rappresenta; le possibilità di una vita dove lui non ha paura di lasciarsi andare all'amore, dove può avere al suo fianco una donna così bella e così intelligente che colmi la voragine della sua solitudine.
Possibilità che non si realizzeranno mai.
Aberforth manda giù gli ultimi sorsi di Idromele e guarda la porta, come aspettandosi che da un momento all'altro Minerva comparirà lì sulla soglia e gli chiederà se può rimanere con lui a bere un'ultima tazza di tè prima della sua partenza per Hogwarts.
Ma Aberforth sa di non potersi illudere. Sa che lei non verrà, che le loro vite non potranno mai intrecciarsi più di quanto si siano intrecciate quel giorno. Perché tutte le persone che sono state al suo fianco hanno finito per abbandonarlo e non c'è motivo per cui lei dovrebbe rappresentare un'eccezione.
L'amore dà quanto toglie e non viceversa; questo è il mantra che ha ripetuto a se stesso per anni, finendo suo malgrado per crederci veramente. Sa che se dovesse iniziare ad amare la vera Minerva, e non solo l'idea di lei, anche lei se ne andrebbe e lo lascerebbe lì, spezzato e solo, a costruire un altro pezzo della corazza dentro la quale ha rinchiuso il suo cuore. Come hanno fatto tutte le persone che Aberforth ha amato, che lo hanno amato o che avrebbero dovuto amarlo.
Forse è meglio chiudersi nel suo dolore, in quella stanza piena di polvere e ricordi, con una bottiglia di Idromele in mano, e continuare ad amare Minerva così; disperatamente, visceralmente, ma da lontano.
Sempre da lontano.

Note

Per scrivere questa fanfiction mi sono ispirata alla biografia di Minerva McGranitt pubblicata dalla Rowling su Pottermore; Minerva avrebbe vissuto per qualche anno a Hogsmeade insieme al marito Elphinstone (continuando ovviamente a lavorare a Hogwarts) fino alla morte di lui a causa del morso di una pianta velenosa. Appena tre giorni dopo la sua morte, Minerva fa le valigie e torna ad abitare a Hogwarts.
La storia è stata scritta per un contest e non appena mi sono trovata davanti questo pairing ho pensato che sarebbe stato perfetto ambientarla in questo breve lasso temporale. Ho inserito dei riferimenti a personaggi come Robert e Malcolm, i fratelli di Minerva, e Dougals, un ragazzo Babbano di cui lei era perdutamente innamorata ma che rifiutò di sposare, perché un matrimonio con Babbano avrebbe comportato vivere senza poter più usare la magia.
Niente da aggiungere, è sempre bello tornare a scrivere fanfiction su Harry Potter dopo anni e spero di essere riuscita a rendere bene i caratteri di entrambi i personaggi in questo contesto molto "crack" :)




 

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Roxanne Potter