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Autore: Carme93    14/03/2020    5 recensioni
Hogwarts, Scozia, 1939.
L'Europa è sull'orlo del precipizio: Hitler e l'ancor invitto Grindelwald seminano il terrore.
Filius Vitious, sensibile e intelligente, è inquieto per il destino delle persone a lui care, ma ha anche un desiderio profondo: essere accettato dai compagni di Casa.
Gli antichi sottolineavano quanto gli occhi possano essere fallaci e, poco tempo dopo questa storia, qualcuno affermerà che "l'essenziale è invisibile agli occhi". Filius ancora non ne ha piena coscienza, ma uno dei suoi professori glielo mostrerà.
[Questa storia si è classificata quinta al contest "Prof. Lei com'era da giovane" indetto da Marika Ciarrocchi sul forum di EFP].
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Filius Vitious, Minerva McGranitt
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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[Questa storia si è classificata quinta al contest "Prof. Lei com'era da giovane" indetto da Marika Ciarrocchi sul forum di EFP].


 

Gli occhi del cuore
 
 








 
“Il reciproco amore fra chi apprende e chi insegna è il primo e più importante gradino verso la conoscenza”.
(Erasmo da Rotterdam)
 
 






 
Spirali rossastre s’insinuavano tra le scure nubi che attraversavano il cielo. Filius, strabiliato, sollevò un dito per indicarlo alla compagna, ma lei lo tacitò all’istante:
«Non osare distrarmi». Gli occhi azzurri di lei percorrevano con attenzione la scacchiera, come a cogliere un spiraglio nella difesa dell’avversario.
«Hai perso, Minerva. Tanto vale che ti godi questo bellissimo tramonto» la provocò Filius, i cui occhi erano striati di rosso come le nuvole.
«Cavallo in b5» ordinò la ragazza e solo allora sollevò gli occhi sull’altro, ignorando il cavaliere fare a pezzi una pedina. «Se vuoi osservare il tramonto, dovresti farlo nel parco» suggerì.
«Sarebbe scomodo giocare lì. La prima e ultima volta che ci ho provato ho perso un alfiere» sbuffò Filius infastidito al pensiero. «Torre in a5».
Minerva si accigliò e spostò il suo cavallo in d4. «Infatti non intendevo che avresti dovuto portarti dietro la scacchiera».
Filius appoggiò una guancia sul palmo aperto della mano e sorrise, incurante delle parole dell’altra. «Alfiere in d2. Scacco al re».
Minerva strinse le labbra. «Tu mi distrai, Filius. Sei scorretto!» si lamentò. «Comunque, non avrai il mio re».
Il sorriso del ragazzo si accentuò nel vederle compiere l’arrocco, inutile estremo tentativo. «Torre in a1» ordinò, mentre Minerva apriva la bocca pronta per ribattere. «Non dovresti agitarti per così poco. Scacco matto» la zittì, osservando con soddisfazione la sua torre distruggere il re dell’amica.
«Voglio la rivincita» replicò Minerva, ordinando ai pezzi di ritornare al loro posto.
«Non avremmo dovuto giocare una sola partita e poi andare a ultimare la ricerca per Silente?» replicò Filius divertito, per poi girare la scacchiera. «E, comunque, voglio io i bianchi questa volta».
Minerva assunse un’aria colpevole, ma si riprese subito. «Era scontato, quando l’ho detto, che si sarebbe dovuta concedere la rivincita».
Filius ridacchiò. «Vorrei tanto vederti dire a Silente che non hai potuto ultimare i compiti assegnati perché eri presa dell’impossibile impresa di sconfiggere un Corvonero a Scacchi Magici».
«Non succederà» sbuffò Minerva che non sembrava minimamente divertita. «Inizia».
«Come desideri. Pedone in f3».
«E questa volta non parlarmi del soffitto, nemmeno se stessero piovendo diamanti!» lo ammonì Minerva spostando anche lei un pedone.
«Neanche se piovessero rubini per Grifondoro? Miller ne ha persi parecchi ieri».
Minerva lo fulminò con lo sguardo. «Nemmeno. Tocca a te».
Filius decise di non provocarla oltre e giocare seriamente: anche per lui era importante il silenzio per concentrarsi in quel genere di giochi, ma, alle volte, voleva soltanto rilassarsi con la sua amica, peccato che la Grifondoro fosse fin troppo competitiva.
Continuarono a giocare per una buona mezz’ora poiché nessuno dei due compiva mosse sbagliate che avrebbero finito per favorire l’altro.
«Oh, guarda un po’ chi c’è qui!» esclamò una voce.
«Com’è che non sei rintanato in biblioteca, goblin?».
Filius, imperterrito, dedicò la sua attenzione solo ai pezzi degli scacchi e l’unico segno evidente che avesse sentito fu un attacco particolarmente violento del suo alfiere che mise fuori gioco una torre di Minerva.
«Miller, dovresti smetterla di mostrare apertamente quanto tu sia stupido». Minerva, da buona Grifondoro, era certamente meno brava a far finta di nulla. «E lo stesso vale per voi» aggiunse rivolta ai ragazzi che accompagnavano il Grifondoro.
«Chi ti ha chiamata in causa, McGranitt, eh?» sbottò Miller.
Filius continuò a fissare la scacchiera nella speranza che l’amica decidesse di fare la propria mossa.
«Siete voi che ci state disturbando» replicò imperterrita la ragazzina.
«Beh, ma, fino a prova contraria, è questo essere a trovarsi al tavolo sbagliato o improvvisamente il Cappello Parlante ha deciso di aver sbagliato ed è stato trasferito a Grifondoro?».
Miller e i suoi due amici, Gabriel Ballard e Thomas Vaughan, risero sguaiatamente guadagnandosi più di un’occhiata dagli altri studenti presenti in Sala Grande.
«Basta Miller o…» sbottò Minerva alzandosi in piedi e fronteggiando il compagno di Casa.
«O cosa?» la interruppe lui. «Lo vai a dire a Silente?» la provocò.
«Potrei anche farlo» ribatté a denti stretti Minerva.
«Perderesti altri punti anche tu. Se non te lo ricordi, apparteniamo alla stessa Casa».
«Oh, fidati, cerco sempre di dimenticarlo».
Filius non aveva alcuna intenzione di star lì ad ascoltarli. La partita a scacchi era stata rovinata, così come ogni divertimento; così si alzò e recuperò lo zaino: tanto valeva andare a studiare Trasfigurazione e magari anche Pozioni, che rimandava da diversi giorni.
«Che fai, scappi?» esclamò Gabriel Ballard.
Filius lo ignorò ancora una volta e si avviò verso la Sala d’Ingresso. Quando era già sulla scalinata di marmo, che conduceva ai piani superiori, sentì un passo noto alle sue spalle e si fermò.
«Si può sapere perché li lasci sempre parlare e non li zittisci?» sbottò Minerva raggiungendolo e incrociando le braccia.
«Forse è per questo che alla fine il Cappello Parlante ha mandato me a Corvonero e te a Grifondoro» sospirò Filius. «Perché dovrei sprecare il mio tempo rispondendoli?».
Minerva, combattiva ma saggia, annuì. «Andiamo in biblioteca».
Filius riprese a camminare, stringendo le mani sulle cinghie dello zaino. Quelle battute lo ferivano, anche se tentava di non mostrarlo. Dopotutto a chi sarebbe piaciuto essere chiamato ‘goblin’ o ‘essere’ con quel tono che sembrava dire ‘indipendentemente da quello che sei, non vali nulli’. Eppure sapeva che non era vero, che lui valeva eccome e ogni giorno s’impegnava duramente per dimostrarlo. E, comunque, aveva promesso a suo padre che non si sarebbe mai fatto abbattere da stolti pregiudizi: chi era e chi sarebbe diventato l’avrebbe deciso lui e non le sue origini.
Giunti in biblioteca, i due ragazzi presero posto al solito tavolo, vicino a un’ampia finestra, per fortuna libero – probabilmente perché più lontano rispetto alle sezioni più visitate dagli studenti -, per quanto Minerva storcesse il naso ogni volta al pensiero che tanti maghi – si spera di talento – avessero sprecato il loro tempo a scrivere dell’ars divinatoria. Filius aveva scelto Divinazione come materia a scelta e, a differenza dell’amica, avrebbe atteso fino alla fine dell’anno prima di esprimere un giudizio in merito. Aprì svogliatamente il manuale di Pozioni, mentre Minerva andava a cercare dei libri che sarebbero stati loro utili per la ricerca di Trasfigurazione sugli Animagi.
Eppure Filius non riusciva a togliersi dalla mente le parole dei Grifondoro. Si passò una mano tra i capelli, fissando con ossessione la prima frase del capitolo sulla Pozione Restringente, ma il viso di suo padre si delineò nella sua mente.
 
 
«Sei tornato». Filius sorrise e avanzò nel piccolo studio. Era una delle stanze della casa che più amava. Non era molto ampia, anzi, ma le pareti di legno e il pavimento coperto da un tappetto scarlatto la rendevano simile a quelle dimore regali tutte drappeggiate di arazzi e tappeti preziosi che spesso osservava nei libri. Poco importava se il tappeto fosse tutto liso e se il legno non veniva lucidato spesso. Quella stanza comunque emanava un calore rassicurante. Ed era il calore di suo padre. Filius abbracciò l’uomo già seduto sulla sua poltrona preferita e sedette su quella di fronte. Sul tavolino che li separava era già preparata la scacchiera, dovevano solo dare il via alla partita.
«Temevo di trovarti già a letto» disse il più anziano.
«Oh, non avevo tanto sonno, ho messo il pigiama solo per accontentare mamma. Lo sai quanto ci tiene al rispetto del coprifuoco» sospirò Filius che odiava veder le sue letture serali interrotte dall’imperativo materno, specialmente da quando aveva iniziato a frequentare Hogwarts, dove la madre non poteva controllare a che ora spegnesse la luce.
«Oh, oh, hai ragione. È meglio che iniziamo, allora, oppure non riusciremo a finire neanche una partita prima che ci trascini a letto per un orecchio».
Filius sorrise leggermente ignorando il suo lato più Corvonero, come aveva preso l’abitudine di chiamarlo, che esultava per la solita prevedibile mossa compiuta dal padre e la vittoria già scontata.
«Com’è andata oggi a lavoro?» chiese muovendo senza particolare attenzione un pedone.
Suo padre fece una smorfia. «Il solito». Filius sapeva che non gli piaceva parlarne e quanto si sentisse quotidianamente umiliato. Il ragazzino, però, insisteva perché aveva paura che non parlandone il padre avrebbe potuto pensare che anche lui se ne vergognasse; insistendo voleva dimostrargli che per lui occuparsi della Manutenzione Magica non avesse nulla di diverso dal fare l’Auror o il membro del Wizengamot. Come suo padre stesso gli aveva insegnato: un lavoro purché onesto, era degno di rispetto.  Indipendente da quello che pensassero gli altri.  E, per quanto i suoi genitori avessero cercato di nasconderglielo per anni, ben presto Filius aveva compreso che suo padre a lavoro non fosse felice: quando tornava a casa era palesemente mogio ma nel vederlo sorrideva; da bambino non se ne rendeva conto, ma mano che cresceva aveva cominciato a notarlo e a sentirlo sfogarsi con la moglie, ma entrambi tacevano vedendolo. Alla fine aveva chiesto esplicitamente spiegazioni e, se le prime volte suo padre aveva negato, alla fine, all’arrivo della sua lettera di ammissione a Hogwarts, per la prima volta Filius aveva compreso quanto la verità potesse far male: i grandi purosangue, che con le loro vellutate e costose calzature calcavano giornalmente i corridoi del Ministero della Magia di Londra, si credevano superiori a suo padre perché aveva origini goblin e perché loro stavano dietro a una scrivania e vivevano dentro veri e propri castelli. Ma a Filius, che nemmeno li conosceva, suscitavano disgusto, tutto quello che da grande non avrebbe voluto essere: avrebbe studiato e avrebbe concesso alla sua famiglia una sicurezza economica che ora non aveva, ma non sarebbe mai diventato come quegli sbruffoni. Anzi avrebbe trovato un lavoro onesto che gli avrebbe dato soddisfazioni ben lontano dal Ministero!
«Niente di nuovo su Grindelwand?». A Filius piaceva sapere che cosa accadeva nel mondo magico, ma sua madre gli impediva di leggere il giornale affermando che fosse troppo piccolo. Il che non era vero, naturalmente, avrebbe compiuto quattordici anni a ottobre!
Suo padre si passò una mano sulla barba mal rasata e si mosse a disagio sulla sedia. «No, al Ministero non sanno che pesci prendere. Il Ministro si dice che scriva almeno una lettera al giorno per supplicare Albus Silente d’intervenire».
Filius non aveva dubbi che fossero tutti degli incapaci, d’altronde non avrebbero chiamato in continuazione in aiuto il suo professore di Trasfigurazione in caso contrario. «Speriamo bene. Anche i babbani sono in agitazione» commentò spostando il suo alfiere e mangiando un pedone.
«Nemmeno su questo c’è nulla di nuovo» replicò suo padre, che tutto sommato aveva piacere a disquisire con lui anche di argomenti più spinosi. «I più conservatori non vogliono sapere nulla, anzi pretendono un decreto del Ministro che vieti severamente ai maghi d’intromettersi nel caso scoppiasse veramente un’altra guerra».
«Quella precedente è stata veramente brutta?» non poté non chiedere Filius.
Suo padre s’incupì e annuì. «Terribile».
«Secondo te Hitler…».
«Ti prego, Filius, non pensiamo a queste cose» lo interruppe suo padre supplichevole.
Il ragazzino annuì, sebbene fosse deluso. Era veramente spaventato all’idea che il suo paese – anche solo la parte non magica – fosse coinvolto in un’altra guerra. Quella contro Grindelwald era già terribile e lo turbava più di quanto avrebbe ammesso per non far preoccupare i suoi genitori.
«Sei emozionato per il ritorno a Scuola?».
Filius si strinse nelle spalle – sua madre odiava quel linguaggio non verbale, in quanto lo considerava assolutamente irrispettoso, ma a suo padre interessava ben poco – e mosse la torre per prendere tempo. «Sì, abbastanza» buttò fuori alla fine, osservando l’alfiere paterno mentre veniva scagliato sul tappeto e si chinò a recuperarlo.
«Non mi sembri molto convinto».
Filius sospirò. «Lo sono. Lo sai che mi piace andare a Scuola, ma tu e la mamma mi mancate. Non è bello stare lontani per mesi».
Suo padre sorrise mestamente. «No, ma tu hai tredici anni, devi stare con i tuoi coetanei, non con me e tua madre che siamo vecchi».
Filius non replicò: aveva imparato che la realtà non fosse mai solo bianca o solo nera, ma che esistessero anche molti altri colori. Adorava la scuola perché gli permetteva di apprendere e ogni giorno aveva la possibilità di mettersi alla prova e superare i propri limiti, mentre a casa non gli sarebbe stato permesso visto che sua madre controllava ancora i libri che leggeva e stabiliva se fossero più o meno adatti alla sua età; a Hogwarts c’era anche Minerva McGranitt, una Grifondoro del suo anno che di certo era una giocatrice di scacchi di gran lunga migliore di suo padre; ma a scuola c’erano anche un’infinità di pregiudizi, che albergavano non solo nel cuore degli studenti, ma anche degli insegnanti e Filius doveva impegnarsi sempre tantissimo perché si accorgessero del valore celato dietro la sua bassa statura.
«C’è qualcuno che ti dà fastidio?» chiese con pacatezza suo padre, ma senza riuscire a nascondere la sua apprensione.
Filius ebbe l’istinto di mentirgli, ma non ci riuscì. «Certo, ma mi avevi avvertito, no?».
Suo padre sembrò deglutire qualcosa di molto amaro, ma annuì. «Sì, ma…».
«Sto bene» lo prevenne Filius. Non provava piacere quando i gemelli Ballard lo prendevano in giro insieme ai loro amici, ma a nessuno avrebbe fatto piacere, no? «Ho anche degli amici» soggiunse pensando a Minerva e a come non tutti i Corvonero seguissero i Ballard, e soprattutto c’era Silvia, con la quale non aveva mai parlato, ma che trovava molto carina e lei non aveva mai detto una sola parola contro di lui.
«Sei un bravo ragazzo, Filius» disse suo padre, lasciando perdere la partita e guardandolo negli occhi. «Sono molto orgoglioso di te… io riuscivo a malapena a prendere Accettabile a Scuola…» qui ridacchiò, ma Filius si accorse che era una risata forzata, che nascondeva la sua preoccupazione. «Promettimi di ignorare chi t’infastidisce: non vale proprio la pena che tu degni della tua attenzione o che ti metta nei guai per loro, promettimelo».
Filius che aveva ricambiato lo sguardo annuì. «Te lo prometto, me l’hai già spiegato che certa gente non vale il nostro tempo».
 
 
«Filius!».
La voce imperiosa di Minerva lo riportò alla realtà.
«Scusa, stavo pensando».
«Me ne sono accorta, ma dovresti sbrigarti o si farà tardi».
«Sì, hai ragione, grazie». Filius annuì e tentò di scacciare quei pensieri e concentrarsi sui compiti, ma diventava sempre più difficile non solo a causa della stupidità dei suoi compagni, alla quale avrebbe dovuto essere ormai abituato, ma anche perché effettivamente Hitler aveva invaso la Polonia e l’Europa era di nuovo in guerra: il 3 settembre la Gran Bretagna aveva dichiarato guerra alla Germania, ma il preside, Armando Dippet, non aveva trovato importante annunciarlo all’intera Scuola e la Gazzetta del Profeta aveva dedicato alla notizia solo qualche trafiletto e per lo più il tenore di quegli articoli era caratterizzato dall’appello dei maghi più conservatori a starne fuori. La miglior fonte di notizie che avevano gli studenti erano le lettere che i compagni di origine babbana ricevevano da casa. E, naturalmente, non erano sempre attendibili.
Eppure, in tutto quello, nonostante fosse sciocco, Filius non riusciva a non pensare che dopotutto avrebbe voluto avere degli amici maschi. Probabilmente non era così maturo e giudizioso come pensava suo padre.
 
 



 
*
 



Filius sorrise timidamente a Silente, felice di aver guadagnato ben quindici punti per la sua Casa. Percepì uno sguardo su di lui e si voltò: Robert Ballard gli rivolse una smorfia. Filius sospirò e tornò a concentrarsi sulla lezione: non valeva la pena di preoccuparsi per Ballard e i suoi amici. Lo sapeva che erano solo gelosi perché non riuscivano a essere bravi quanto lui, ma non era solo questo, no: per loro era un essere a metà, né uomo né folletto. Personalmente riteneva che fosse un ragionamento sciocco e poco consono a un Corvonero, in quanto era vero che avesse sangue di folletto nelle vene ˗ era una caratteristica della sua famiglia, da diverse generazioni ormai ˗, ma la genetica, che i maghi si ostinavano a non voler conoscere, spiegava come la sua bassa statura non dipendesse soltanto da quello ma anche dalla famiglia materna – né la madre né i suoi familiari erano alti. E sua mamma era una strega, sebbene avesse origini babbane. Già a quattordici anni, Filius comprendeva perfettamente come quella diversità fosse soltanto una profonda fonte di ricchezza. Non certo qualcosa da deridere, ma evidentemente – come affermava Minerva – i loro compagni non avevano raggiunto ancora la maturità necessaria per comprenderlo.
Colse la campanella con un sospiro: le lezioni si erano concluse e sarebbe potuto andare a cercare Minerva, in modo da distrarsi da quegli stupidi pensieri, che lo turbavano più di quanto avrebbe ammesso. E non gli interessava se non avevano concordato un incontro, avrebbe tollerato anche la presenza dell’amica di Minerva, Augusta, una Grifondoro che non gli stava particolarmente simpatica perché tendeva ad assumere i modi altezzosi propri di una purosangue, anche se era solo una ragazzina di tredici anni.
Raccolse i libri e le pergamene e li ripose ordinatamente nella borsa, senza far caso agli altri compagni. Probabilmente Minerva l’avrebbe rimproverato per questo, da buona Grifondoro riteneva di dover prestare molta attenzione a non voltare le spalle a chi non ti è amico – naturalmente lei si riferiva ai Serpeverde, che, nonostante tutto, non riusciva proprio a tollerare -, ma Filius conosceva pienamente le regole dei duelli, che tanto lo affascinavano, ma non riteneva che la classe di Trasfigurazione dovesse essere considerato luogo di scontro, né qualunque altra aula di Hogwarts.
«Vitious, anche se ti credi tanto intelligente, rimarrai sempre un mezz’elfo» sibilò Robert Ballard.  Come al solito era in compagnia di Charles Jones e Philippe Fox, entrambi Nati Babbani.
Filius sospirò ma non perse tempo a spiegar loro che gli elfi e i folletti fossero ben diversi tra loro: Robert lo sapeva benissimo – indipendentemente dal suo comportamento, era tutto tranne che stupido – e sperava che ciò valesse anche per i suoi due amici. Inoltre era ben consapevole che per Robert, abituato a essere servito e riverito dagli elfi domestici, fosse un’offesa ancora più grave: era palese che considerasse Filius alla stregua di un elfo domestico.
«Ballard» iniziò Filius imponendosi di esprimersi in modo razionale e non farsi trascinare dal fastidio che provava ogni qual volta affrontava quei tre. E naturalmente accadeva fin troppo spesso, in quanto condividevano la stessa camera. Il ragazzino, però, si bloccò: non aveva idea di come esprimere i propri pensieri e sentimenti senza risultare patetico. «Perché non diventiamo amici?». Le parole gli erano sfuggite prima che potesse riflettere adeguatamente. Forse quello era il suo lato Grifondoro che il Cappello Parlante aveva colto due anni prima.
Jones e Fox risero a quella richiesta più che patetica: come gli era saltato in mente? Chiedere l’amicizia a uno dei ragazzi più presuntuosi del suo anno, secondo solo al suo gemello e a Richard Miller?
Robert Ballard non nascose la sua meraviglia e lo scrutò con attenzione, come a valutarne la sincerità. Filius, per conto suo, non abbassò lo sguardo e lo affrontò a testa alta: ormai il guaio l’aveva combinato, ma non si sarebbe reso ulteriormente ridicolo scappando via o scusandosi.
«Vuoi veramente diventare nostro amico?» chiese infine Ballard.
Filius si umettò le labbra e rispose: «Sì, non vedo perché no. Siamo compagni di Casa, non ha senso contrastarci».
«Sì, può fare». Il cuore di Filius ebbe un tuffo. «Ma devi dimostrare di meritare la nostra amicizia».
Jones e Fox ghignarono, mentre Filius si pose sulla difensiva: «In che senso?».
«Senti, Vi-Filius, non sei come noi, anche se sei un Corvonero, quindi devi dimostrare il tuo valore» spiegò Ballard come se fosse ovvio.
«A meno che tu non abbia paura» intervenne Fox.
Filius li osservò e tentò di riflettere contemporaneamente: era la sua possibilità di diventare loro amico, come in fondo desiderava da anni, e loro tutto sommato non avevano torto a volerlo mettere alla prova. Una vocina, che molto tempo dopo avrebbe identificato come la sua coscienza e sarebbe stato meglio che l’avesse ascoltata, gli dicesse che non avesse nulla da dimostrare: l’unica studentessa del suo anno che poteva eguagliarlo e superarlo era Minerva e nessun altro.
«Non ho paura. Sono un Testurbante, ricordi? Il Cappello Parlante era indeciso tra Corvonero e Grifondoro» rispose Filius mantenendo la voce ferma, sebbene risultasse più stridula del solito, e non mostrandosi esitante, come invece era. «Che cosa volete che faccia?» aggiunse spavaldamente.
Il sorriso, dipintosi sul volto dei tre compagni, lo turbò, ma Filius scacciò le insicurezze e attese la risposta.
«Devi liberare uno snaso nell’ufficio di Silente».
Filius sgranò gli occhi. «Stai scherzando?».
Jones e Fox risero. «Non lo farà mai. È troppo fifone» commentò quest’ultimo.
«Non sei costretto, naturalmente» disse Ballard. «Se vuoi diventare nostro amico, però, questa è la condizione».
La vera amicizia non prevede condizioni. Filius ancora una volta ignorò la sua coscienza. «E dove dovrei trovare uno snaso?» domandò tentando di farli ragionare.
«Kettleburn ne ha tanti» rispose Ballard con un’alzata di spalle.
Filius impallidì: gli stavano chiedendo di compiere un furto, per giunta ai danni di un insegnante, e di metter a soqquadro l’ufficio di un altro docente – che tra l’altro era uno dei maghi più potenti del mondo.  «M-ma se mi beccano…».
«Lascia stare, Robert, non vedi come trema?» esclamò Fox con tono derisorio.
«Io non tremo» sbottò Filius. «Lo farò».
«Davvero?» replicò sorpreso Ballard.
«Sì».
«Magnifico! Allora andiamo?» disse Ballard.
«Adesso?» ribatté Filius.
«E quando?» rispose Ballard.
«Durante la cena, così nessuno farà caso alla mia assenza» decise Filius.
«Alla nostra assenza, vorrai dire. Noi assisteremo» lo corresse Ballard. «Va bene, allora ci vediamo nella Sala d’Ingresso all’ora di cena».
Filius ispirò profondamente e li lasciò andare avanti. Decisamente il suo lato Grifondoro aveva avuto un pessimo tempismo per venir fuori! Quella era una pessima idea.
Incapace di ragionare lucidamente, corse a cercare Minerva, che sicuramente avrebbe avuto un buon consiglio da dargli.
Fortunatamente trascorrevano abbastanza tempo insieme da sapere che di solito a quell’ora si recava in biblioteca con le sue compagne di Casa. Si avviò a passi svelti e non ebbe difficoltà a trovarla, anche grazie alla risata bonaria di Marie Walsh, un’irlandese simpatica con cui Minerva si sentiva a proprio agio.
«Buon pomeriggio» salutò il più educatamente possibile, nonostante la tensione e la fretta.
Ricambiarono tutte e tre, ma Minerva gli rivolse uno sguardo indagatore al quale lui non sfuggì. «Ti va di fare una partita a scacchi con me?» le chiese.
Augusta ridacchiò con lo scopo di deriderlo. «Il professor Rüf non ha assegnato una tema di due rotoli di pergamena a voi Corvonero?».
«L’ha segnato una settimana fa» replicò Filius con una punta di acidità, che portò Minerva ad accigliarsi maggiormente.
«Mi dispiace, Filius, non posso. Non ho ancora concluso il tema perché ieri ci sono stati gli allenamenti della nostra squadra di Quidditch» gli disse gentilmente l’amica non smettendo di scrutarlo attentamente.
Aveva veramente bisogno del suo aiuto, così, ignorando lo sguardo borioso di Augusta, insisté: «Ho bisogno di parlarti, prometto che non ti ruberò molto tempo».
Minerva assunse un’aria preoccupata e, scusandosi con le amiche, lo seguì fuori dalla biblioteca. «Che succede, Filius, non ti ho mai visto tanto agitato».
Filius si fece coraggio e le raccontò quanto accaduto alla fine della lezione di Trasfigurazione, turbandosi maggiormente man mano che vedeva le labbra dell’amica assottigliarsi in una linea severa.
«Vai da Ballard e comunicagli che non lo farai» sentenziò Minerva alla fine del racconto, fulminandolo con lo sguardo.
«Penseranno che ho paura» protestò Filius.
«Perché non ne hai?» sbottò Minerva. «Solo uno sciocco non ce l’avrebbe. E fino a un’ora fa tu eri un Corvonero intelligente e giudizioso».
«Sì, ho paura» concesse sbuffando. Non poteva nemmeno immaginare la vergogna se fosse stato beccato mentre compiva un furto! Come avrebbe potuto guardare ancora suo padre in volto? O il professor Silente, uno dei pochi che aveva creduto in lui fin da principio. «Però loro non saranno miei amici, se non lo faccio». E si sentì così piccolo e infantile, che distolse lo sguardo da quello dell’amica.
«Filius, non ci prederesti nulla. L’amicizia è un’altra cosa».
«Lo so» sospirò Filius.
«Perché per te è così importante?» gli chiese Minerva.
«Sono i miei compagni di Casa, vorrei sentirmi accolto da loro. Minerva, tu sei un’amica fantastica, ma vorrei anche degli amici maschi» mormorò continuando a fissare il pavimento di pietra.
«È una pessima idea, Filius. Non vale la pena finire nei guai per loro, ma se ci tieni tanto fallo».
Il ragazzino sorpreso tornò a fissarla. «Cosa?».
«Se per te è importante, fallo» ripeté Minerva. «Chiediti se è veramente importante, chiediti se l’amicizia di quei tre vale più di te stesso e della tua istruzione. Perché lo sai che provvedimenti prenderà il professor Dippet se vieni beccato, vero?».
Filius deglutì e annuì: non era un ricco purosangue e la sua famiglia non avrebbe potuto garantire per lui, avrebbe potuto essere la fine di tutto; al massimo l’essere stato un studente modello in quei due anni, avrebbe potuto salvarlo dall’espulsione, ma le conseguenze sarebbero comunque state severe.
«Lo farò e capiranno quanto valgo».
Minerva sospirò. «Non meritano la tua amicizia» commentò prima di tornare dalle sue compagne.
 
 



Quella sera, con il cuore pesante, Filius si presentò all’appuntamento e non fu affatto contento quando vide che insieme ai tre compagni di Casa vi fossero anche tre Grifondoro: Gabriel Ballard, Richard Miller e Thomas Vaughan. Minerva e la sua coscienza avevano ragione: volevano solo divertirsi con lui. Non si sarebbe tirato indietro, però, non a quel punto. Non gli avrebbero dato del fifone fino al diploma, benché si sarebbe sicuramente pentito di essersi intestardito in quel modo. Non aveva avuto nemmeno la possibilità di chiedere consiglio a Priscilla Corvonero.
«Oh, allora sei venuto!» strillò Miller. «Non ci credo!».
«Andiamo e facciamola finita» tagliò corto Filius, che non voleva perdere tempo con loro. Aveva calcolato che se fossero stati veloci, non sarebbero stati beccati e non sarebbe accaduto nulla: nessuno avrebbe potuto incolpare loro. La loro assenza in Sala Grande non sarebbe stata sufficiente come prova e, comunque, loro Corvonero non erano indisciplinati solitamente e di conseguenza i sospetti dei professori sarebbero ricaduti sui tre Grifondoro. Alla fine, in mancanza, di prove l’episodio sarebbe stato archiviato e in breve tempo dimenticato, anche perché lo snaso sarebbe tornato nelle mani del legittimo padrone.
Filius si era anche assicurato che i professori, Kettleburn e Silente, fossero a cena. Non si preoccupava troppo di un rientro anticipato di Silente, in quanto il professore si attardava spesso a chiacchierare con i colleghi e a gustare il dessert. Con un po’ di fortuna, Filius avrebbe dovuto fare i conti soltanto con la sua coscienza.
S’inoltrarono nel cortile ormai buio e procedettero verso una vecchia capanna, nella quale sapevano che il professore di Cura delle Creature Magiche tenesse le sue creature.
Filius si voltò solo una volta verso i suoi compagni e Robert Ballard lo sollecitò a procedere. Era chiaro: avrebbe dovuto fare tutto da solo e loro si sarebbero limitati a osservare, in modo da tirarsi facilmente fuori da guai in caso la situazione si fosse messa male. Non si lamentò, dopotutto non lo sorprendeva per nulla. Si era lasciato ammaliare dal miraggio dell’amicizia di chi lo disprezzava: non avrebbe mai avuto il coraggio di raccontarlo a suo padre. La conversazione avuta con lui quell’estate gli sovvenne all’improvviso proprio mentre raggiungevano la capanna. Probabilmente i suoi compagni pensarono che stesse riflettendo su come entrare.
Il pensiero e il cuore di Filius, però, erano molto distanti da lì: aveva spezzato la promessa che aveva fatto al padre. Aveva toccato il fondo. Prese un bel respiro e pronunciò: «Alohomora». Non sarebbe potuto tornare indietro a quel punto, alla promessa infranta ci avrebbe pensato appena possibile. Prese un bel respiro ed entrò, ignorando le lamentele degli altri per l’odore pungente: d’altronde si aspettavano che un luogo in cui erano stivate gabbie e animali della più disparate specie, profumasse di rose? Arricciò il naso infastidito anche lui, ma non diede la soddisfazione di lamentarsi, sebbene gli occhietti giallastri di alcune creature scintillassero minacciosi al buio.
«Lumos» formulò e la punta della sua bacchetta si accese all’istante. Non guardò neanche le gabbie più grandi, troppo spaventato per scoprirne l’inquilino. Osservò intorno a sé, alla ricerca di un possibile rifugio per uno snaso. Impiegò quasi dieci minuti. Decisamente il professor Kettleburn avrebbe dovuto imparare a essere più ordinato.  Si avvicinò a un grosso buco con delle sbarrette davanti. Sapeva che gli snasi, per quanto dolci, fossero delle creature molto invasive e non fosse un bene averle in giro per il castello, ma vedere una creatura rinchiusa in quel modo non gli piacque ugualmente e fu contento di liberarlo. Per fortuna il professore non aveva ritenuto di dover proteggere né la capanna né le gabbie con particolari incantesimi, così non ebbe difficoltà ad aprirla.
«Ehi, piccoletto, vuoi prendere un po’ d’aria, eh?» domandò alla creatura che gli era corsa tra le braccia. Gli accarezzò la testa e si rialzò.
«La smetti di toccarmi?» sbottò in quell’istante Richard Miller.
«Ma se non ti ho sfiorato» replicò Charles Jones.
«Smettila di giocare, Miller» intimò Robert Ballard.
«Io? Non ho fatto nulla» ribatté il Grifondoro.
«Lumos» pronunciò Gabriel Ballard proprio mentre Filius si voltava verso di loro.
Per un secondo, che sembrò infinito, si immobilizzarono tutti: vicino alle gambe di Miller, Jones e Robert Ballard c’era quello che a primo acchito sembrò un semplice pezzo di legno. Stupidamente Miller mosse la gamba per scacciarlo via, infastidito dal fatto di essersi spaventato per così poco, ma quello prese vita all’istante rivelando una dentatura particolarmente affilata. I presenti urlarono, ma solo Filius tentò di colpire la creatura con uno schiantesimo. Riuscì soltanto a spaventarla e attirare la sua attenzione, ma almeno non aveva morso Miller.
«Che cos’è?» si lamentò quest’ultimo.
«Credo un dugbog» mormorò Filius, che non avrebbe mai immaginato d’incontrarne uno.
«Sì, molto piacere» strillò Miller istericamente. «Io me ne vado».
Il Grifondoro corse fuori dalla porta, ma il dugbog, purtroppo per lui, si disinteressò di Filius e lo seguì.
«Ma Kettleburn è pazzo» sbottò Ballard inseguendo il compagno insieme agli altri.
Miller stava cercando vanamente di arrampicarsi su un albero, ma il dugbog tentava tenacemente di addentare le sue caviglie.
Filius deglutì e pronunciò il primo incantesimo che gli venne in mente. «Stupeficium!». L’incantesimo fu così potente che la creatura finì quasi sul muro della capanna.
«Cavoli» commentò ammirato Gabriel Ballard, prima di darsela a gambe insieme agli altri.
«Incarceramus» concluse Filius, perché l’animale non se ne andasse in giro per la Scuola a scatenare il panico. «Ehi» li richiamò, non credendo che fossero veramente scappati in quel modo. Che l’avessero lasciato solo, invece non avrebbe dovuto stupirlo. Adesso che cosa avrebbe dovuto fare? Qualcosa gli toccò e sobbalzò, ma per fortuna era solo lo snaso che trovò divertente arrampicarsi lungo la sua gamba. Lo lasciò fare, tentò di riprendere fiato e riflettere: il dugbog non poteva rimanere lì o Kettleburn avrebbe capito che era entrato qualcuno nella sua capanna, ma se avesse portato con sé lo snaso l’avrebbe scoperto ugualmente; inoltre non poteva mica liberarlo, era troppo pericoloso. A quel punto, però, non era sicuro che valesse la pena di portare a termine la sfida, dopotutto loro erano scappati e quanto accaduto era la prova che stava commettendo un grave errore e sarebbe stato meglio che si fermasse subito.
«Wirgandium Leviosa» formulò e trasportò la creatura all’interno della capanna, poi febbrilmente tentò di richiudere il lucchetto il più velocemente possibile. Ora doveva solo rientrare al castello prima che scattasse il coprifuoco e sarebbe stato solo un brutto ricordo. In quell’istante, però, lo snaso decise di fare una capriola sulla sua testa e rammentargli la sua presenza. «Mi sono dimenticato di te» sbuffò, trattenendosi dall’imprecare. Era stato uno stupido a farsi convincere a compiere un’impresa tanto sciocca e pericolosa. «Dai, ti riporto dentro, mi dispiace la passeggiata è finita».
Lo snaso sembrò comprendere le sue intenzioni e cominciò a divincolarsi tra le sue mani, tanto che Filius ebbe anche paura di stringerlo troppo.
«Lascia che si goda la libertà un altro po’».
Quella voce profonda e pacata spaventò terribilmente Filius, che si voltò incrociando gli occhi del professor Silente.
Il professore gli sorrise serenamente. «Hai visto che bella luna, Filius? Effettivamente, nonostante il freddo, è piacevole passeggiare a quest’ora. Non si può certo biasimare quel povero snaso». Il ragazzino lo fissò turbato tanto da dimenticarsi anche come si formulasse una frase di senso compiuto. «Ti va di farmi compagnia?».
Filius non ebbe nemmeno il tempo di assentire, che Silente si era già mosso verso il lago. Sempre più scioccato lo seguì, mantenendosi qualche passo indietro per rispetto.
«Mi devo complimentare con te, mio caro ragazzo» esordì Silente, cogliendo di sorpresa Filius. «Quello schiantesimo che hai utilizzato era molto potente. Mi capita di rado vederne uno così ben realizzato da uno studente del terzo anno».
«Grazie, signore» bisbigliò Filius, completamente spiazzato.
«Certo, è vero anche che non avresti dovuto averne bisogno, né tu nei i tuoi compagni» aggiunse il professore, fermandosi vicino al Lago Nero e fissandolo intensamente attraverso i suoi occhialetti a mezzaluna.
Filius deglutì e annuì. «Mi dispiace, signore». Ed era sincero, non si era mai vergognato tanto.
«Oh, non ho dubbi» sorrise Silente riprendendo a camminare. «Vuoi una caramella? È al limone».
Filius scrutò il dolce che l’insegnante gli stava porgendo, lo prese e ringraziò più che altro per educazione. Silente nel frattempo ne scartò una e se la mise in bocca. Il ragazzino, non avendo idea di come comportarsi e di che cosa fosse meglio dire, lo imitò.
«Davvero strabiliante, non c’è che dire» riprese Silente. «L’hai messo letteralmente fuori gioco, non era necessario nemmeno legarlo». Filius non replicò e il professore riprese a parlare. «Il dugbog non dovrebbe trovarsi dentro la Scuola, se il Preside lo sapesse metterebbe il professor Kettleburn in verifica per l’ennesima volta». Camminarono in silenzio per qualche minuto, poi Silente cominciò a muoversi verso il castello. «Penso che andrò a prendere un buon thè con il professor Kettleburn, gli amici servono anche questo non credi?».
Filius non comprendeva il senso di quel discorso, sarebbe stato più semplice se l’avesse subito rimproverato e punito. Molto più semplice.
«Impiegherò anche un’ora probabilmente. Sai il professor Kettleburn si perde spesso in aneddoti assurdi sulle creature più pericolose che ha incontrato. Ti basta un’ora? Penso sia più che sufficiente».
«Io… Non so di che parla, professore» ammise Filius confuso.
«Oh, quindi l’ultima parte della tua prova non comprende il far mettere a soqquadro il mio ufficio da questo simpaticone». Silente si chinò e accarezzò lo snaso ancora tra le mani di Filius.
Il ragazzino lo fissò con tanto d’occhi: sapeva tutto? Com’era possibile?
Silente sorrise. «Non è un bene che voi parliate di piani segreti nella mia aula, temo di aver un buon udito».
Filius lo fissò sconvolto. «M-ma l-lei era già uscito, professore».
«Filius, non vedere qualcosa non significa che non esista. Dopotutto nella capanna del professor Kettleburn c’eravate solo tu, Robert e Gabriel Ballard, Richard Miller, Charles Jones, Thomas Vaughan e Philippe Fox, lo snaso e il dugbog, no?».
«Era disilluso, professore?» mormorò Filius, che aveva solo sentito parlare di quegli incantesimi, ma bisognava essere veramente bravi per usarli.
«Allora, ti basta un’ora?».
«I-io io non voglio più farlo professore» sussurrò Filius sentendo gli occhi inumidirsi.
«Ti assicuro che per me non è un problema. Impiegherei solo qualche minuto a rimettere tutto in ordine». Filius lo fissò sorpreso per l’ennesima volta. «Credevo ci tenessi a superare questa prova» insisté Silente.
«Non voglio mancarle ulteriormente di rispetto, professore».
«Non è su queste bravate che si basa l’amicizia» riprese pacatamente Silente.
«Lo so, signore» si affrettò a rispondere Filius. «Speravo solo che gli altri capissero il mio valore».
«Oh, se è per questo, credo che, con quello schiantesimo, tu abbia raggiunto il tuo obbiettivo».
I due entrarono nel castello e Silente si fermò di nuovo all’ingresso della Sala Grande.
«Alle volte, Filius, permettiamo che gli altri ci condizionino con le loro parole, specialmente quando toccano i nostri punti deboli» disse Silente con gli occhi luccicanti e gli sorrise. «Questo perché ci affidiamo troppo alla vista e alla ragione, forse dovremmo affidarci maggiormente al nostro cuore. Il tuo che avrebbe fatto questa sera?».
«Sarebbe andato a cenare e forse a giocare a scacchi magici con la signorina McGranitt» mormorò sinceramente Filius.
Il sorriso di Silente si accentuò. «Noi uomini tendiamo a sottovalutare troppo l’amore, non dimenticarlo. Il tuo cuore ti avrebbe evitato di metterti in pericolo, sebbene tu abbia perfettamente dimostrato di sapertela cavare. Certo, questo snaso è sicuramente contento della tua visita e sono sicuro che il rischio di essere morso servirà a Miller da lezione. Non tutto il male viene per nuocere».
«La prego, professore, non mi faccia espellere. Sono veramente pentito» lo supplicò Filius sentendo vicino il congedo.
«Espellere?».
«Beh, ho rubato e… insomma, il professor Dippet…» non aveva idea di come continuare.
«Non ho motivo di disturbare il professor Dippet» disse Silente con la solita gentilezza, ma allo stesso tempo con fermezza. «Ora, ti consiglierei di affrettarti. Non è bello far attendere troppo gli altri, specialmente se si tratta di signorine».
Filius, basito, seguì il suo sguardo e notò Minerva intenta a giocare con Marie Walsh, con loro c’erano anche altri ragazzi del loro anno.
«Lo snaso lo consegnerò io al professor Kettleburn».
«Grazie, professore» disse Filius profondamente grato non solo per non averlo punito ma anche per le sue parole rincuoranti.
Silente sorrise e si allontanò.
Si riscosse e raggiunse rapidamente gli altri.
«Merlino, finalmente. È la seconda partita che perdo» sbottò Marie Walsh.
«Ti stavamo aspettando» gli disse Minerva con un lieve sorriso. «Stai bene?».
«Sì».
«Hai veramente accettato la sfida di Ballard?».
Filius non voleva più parlarne ma il suo interlocutore era l’ennesima sorpresa della serata: Ernest Raleigh, Corvonero come lui, era sempre molto riservato e la sua presenza al tavolo dei Grifondoro era veramente strana.
«Già, sono stato uno sciocco».
Ernest lo fissò ancora per qualche secondo, poi disse: «Ti abbiamo conservato un panino e una fetta di dolce».
«Grazie» disse sempre più basito, guardandoli uno a uno: Marie e Minerva gli sorridevano, Ernest lo esortava a cenare, Augusta lo fissava annoiata, ma anche lei sembrava più sopportabile quella sera. Silente aveva ragione: era stato uno sciocco a rischiare di farsi male e a mettersi nei guai per qualcosa che in fondo aveva già.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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