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Autore: Violet Sparks    14/03/2020    39 recensioni
Ben Solo incontra per la prima volta Poe Dameron all'età di sei anni, in occasione dei funerali della madre di quest'ultimo, Shara Bey.
Poe sembra essere l'esatto opposto di Ben -bambino timido, solitario, spaventato dai suoi stessi poteri- eppure i tra i due si instaura un'amicizia profonda.
Un'amicizia che li accompagnerà per tutta l'infanzia, riempiendola di luce, prima che le ombre del Lato Oscuro si abbattano irrimediabilmente sulla vita di tutti loro.
[Darkpilot!]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Ben Solo/Kylo Ren, Kylo Ren, Poe Dameron
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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WARNING: La storia che segue prende avvio da uno spunto, nato esclusivamente tra i fan della saga di Star Wars, secondo cui Ben Solo e Poe Dameron si sarebbero potuti plausibilmente essere conosciuti durante l’infanzia. Partendo da ciò, tutto quel che leggerete rappresenta una mia rivisitazione personale della storia di Ben Solo/Kylo Ren, di cui rivendico pienamente i diritti (alias, non prendete niente, che vi spezzo le gambine)!
Anche gli eventi e la loro successione cronologica, seguirà solo in parte quella delineata dai vari spin-off e dalla Saga stessa! Buona lettura!
 


Capitolo 1
 
 
 
You know how the time flies
Only yesterday was the time of our lives
We were born and raised in a summer haze
Bound by the surprise of our glory days
(Adele, Someone like you)
 
 
 

La prima volta che Ben Solo incontrò Poe Dameron, aveva sei anni.
Sua madre lo aveva costretto ad alzarsi presto quel mattino, quando il cielo cominciava appena a striarsi di arancione, portando su di sé ancora i segni della notte trascorsa. Gli aveva fatto indossare degli abiti molto preziosi, di un tessuto nero, leggero come la carezza di un’ombra e alla sua domanda sulla loro destinazione, aveva semplicemente risposto: “andiamo a salutare una vecchia amica.”
Ben si era addormentato in braccio a Chewbecca quasi subito e una volta ridestato si era ritrovato su un pianeta pieno di verde, dove l’aria profumava di frutti e il calore del sole premeva gentilmente sulla pelle.
A quanto pareva, l’amica della mamma si trovava ad una cerimonia bellissima, bellissima perché diversa dalle feste opulente e chiassose a cui di solito Ben veniva costretto a partecipare.
Ovunque vi erano fiori dai colori pastello che gli pizzicavano le narici e gli solleticavano le manine ogni qualvolta, dall’alto delle spalle di zio Chewbe, lui cercava di afferrarli. In un angolo, un quartetto di giovani donne era intento ad intonare una melodia dolce come una ninna nanna, mentre una piccola folla di persone mormorava sommessamente, quasi a volersi scambiare un indicibile segreto.
Non appena si accorsero della loro presenza, molti si fecero più vicino, ma non con quella curiosità morbosa e quell’euforia che Ben trovava sempre un po' fasulla, piuttosto con una gentilezza pacata fatta di piccoli gesti. Una gentilezza che gli faceva venir voglia di sorridere e, soprattutto, non accendeva in lui il solito istinto di nascondersi dietro le gambe della mamma.
Fu lì, che Ben lo vide.
Ad un certo punto, accanto a due uomini che si erano soffermati a salutarli e a parlare di cose bislacche, successe prima che lui fosse nato, comparve un bambino poco più grande di lui, coi capelli ondulati nerissimi e la pelle ambrata, scottata dal sole.
“Papà, siamo pronti per cominciare.” disse con modi da adulto, rivolgendosi al signore più giovane davanti.
“Certo, figliolo.” rispose l’interpellato, poi però si volse di nuovo verso loro tre e “Leia, ti presento mio figlio, Poe Dameron.” affermò “Poe, loro sono Chewbecca, il generale Leia Organa e suo figlio, il piccolo Ben.”
“È davvero un piacere conoscerti, Poe!” proruppe subito sua madre, gioviale, allungandosi verso il bambino per scompigliargli i capelli “Mi dicono già grandi cose sulle tue capacità di pilota!”
“E intendo ancora migliorare, generale!” ribatté quello, Poe, con un gran sorriso.
“Sai, tu e mio figlio Ben siete quasi coetanei, potreste diventare amici.”
Ad un cenno della donna, Chewbecca lo posò a terra, così che si ritrovasse finalmente faccia a faccia col nuovo arrivato.
“Ciao! Io sono Poe!” ribadì subito l’altro, guardandolo attraverso una corolla di ciglia fittissime e scrollando la mano, in segno di saluto.
Ben lo osservò con più attenzione.
Poe era poco più alto di lui e magro sotto la camicia nera.
I suoi occhi erano di un caldo color nocciola, grandi e lievemente curvati verso il basso, incastrati ad arte in un visetto proporzionato, dai lineamenti morbidi.
Sembrava più maturo della sua età, disinvolto.
A suo agio tra la gente, anche quando non la conosceva.
Ben provò una punta di invidia del tutto istintiva verso di lui, eppure non poté soffermarcisi a lungo, perché all’improvviso un’altra cosa lo colpì di quello strano bambino, una cosa che non riuscì proprio a comprendere e alla fine lo lasciò alquanto disorientato.
Poe era triste.
No, non soltanto triste.
Poe era distrutto, dilaniato.
Spezzato.
Eppure, il suo sorriso era il più luminoso di tutta la sala.
Eppure, la sua voce era salda, senza alcun cenno di tremore.
Eppure, se ne stava lì, dritto innanzi a loro, cortese e spigliato nonostante il suo cuore stesse gridando per l’agonia.
“Ben, avanti, non essere maleducato.” lo incalzò la voce della mamma, in un punto imprecisato dietro di lui.
La verità era che non riusciva a distogliere l’attenzione dal viso di Poe, dal temporale di emozioni che scorgeva al di là della sua pelle di bronzo.
Era come guardare nelle profondità di un oceano, lasciandosi ammaliare dalla pacata tranquillità della superficie celeste, appena increspata dalle onde, per poi immergersi e scoprire un universo intero di creature e di vegetazione, di vita brulicante, prepotentemente ancorata a quei fondali nascosti.
Ben era abituato a scovare la menzogna nell’animo umano.
Non lo faceva di proposito, come la mamma e lo zio Luke gli rimproveravano spesso.
Per lui si trattava di un gesto del tutto naturale, quasi quanto respirare: semplicemente, posava gli occhi su qualcuno e vedeva, così come chiunque altro avrebbe visto un’insegna al neon, un vestito sgargiante, la luce del sole.
Col tempo, a contatto con le persone che di solito circondavano la mamma – politici, li chiamava suo padre, senza disturbarsi a celare il disprezzo- aveva imparato che di rado gli uomini si mostravano per quel che erano davvero, preferendo belle bugie al posto di scomode verità.
Tuttavia, Poe non apparteneva affatto a quella categoria, pur mentendo.
Perché lui non stava fingendo per ottenere qualcosa, per ostentare di fronte ad altri, sedicenti qualità degne di lode.
Poe stava nascondendo il proprio dolore per nient’altro che… amore.
Semplicemente.
Unicamente.
Amore.  
Era la prima volta che Ben sentiva una cosa del genere.
“Piacere.” snocciolò infine, in modo tanto meccanico da sussultare al suono della sua stessa voce.
L’altro bambino inclinò un poco il volto e lo fissò di rimando, incuriosito, finché l’uomo che doveva essere suo padre non gli toccò gentilmente la spalla e “Andiamo, figliolo.” gli disse all’orecchio, guidandolo con sé, verso il fondo della navata.
Lui, zio Chewbe e la mamma invece rimasero indietro, prendendo posto su una panca bianca, imitati da altre persone.
D’un tratto, un uomo con una grossa tunica scarlatta cominciò a parlare in tono solenne, davanti ad una cassa di legno lucido, coperta di fiori, allora un senso soffocante di malinconia cadde su tutti i presenti, avvolgendoli come una coltre di nebbia.
A quanto pareva, l’amica della mamma, Shara Bey, era crollata in un sonno talmente profondo da non riuscire più destarsi e adesso doveva essere riaffidata alla Terra, madre di tutti gli uomini, così che potesse riposare insieme a lei, confondersi con le altre essenze dell’Universo ed entrare a far parte della Forza.
Ben si strinse nelle proprie spalle, a disagio, cercando di tenere lontano da sé quella sgradevole sensazione di angoscia che ormai sembrava permeare l’aria circostante.
Si concentrò sul suo stesso respiro, sul ritmo del cuore che avvertiva martellare freneticamente contro lo sterno, ma non appena i suoi occhi incontrarono di nuovo l’esile figura di Poe, attraverso la folla, la sofferenza dell’altro bambino lo investì con una ferocia indescrivibile, lasciandolo inerme e stordito come uno schiaffo in pieno volto.
Quando la cerimonia finì e la scatola di legno venne sotterrata alle radici di un albero dalla chioma rigogliosa, Ben non ci pensò sopra due volte, prima di lasciare la mano della mamma e correre a cercare Poe.
Lo trovò seduto su un prato poco distante, da solo, che osservava l’azzurro terso del cielo.
Non gli disse niente, neanche lo salutò nemmeno.
Solo si mise a fianco a lui, in perfetto silenzio, lo circondò con le proprie braccia e lo strinse fortissimo, poggiando la testa contro il suo petto.
L’altro sussultò appena, ma non lo scansò.
“Ben?” chiese, evidentemente confuso “Ti chiami Ben, vero?”
“Sì.”
“Cosa… cosa stai facendo, Ben?”
“Ti abbraccio!” rispose lui, secco, quasi fosse la cosa più banale del mondo.
Poe emise una lieve risata e “Questo lo vedo,” disse, il suo fiato caldo che gli sfiorava la fronte “solo che non capisco perché...”
Ben allora sollevò il capo di scatto, immergendo i propri occhi in quelli scuri del coetaneo.
Da quella distanza, pensò che sembravano ancora più profondi, più espressivi e forse sarebbe stato divertente provare a riprodurre tutte quelle sfumature di marrone, utilizzando i pastelli a cera che papà gli aveva regalato per il suo compleanno, “Perché sei triste.” spiegò infine, con una serietà estrema “E mamma dice sempre che quando le persone sono tristi, se le abbracci guariscono.”
Per la prima volta da quando lo aveva incontrato, il viso di Poe si adombrò.
Emise un sospiro tremulo, mordendosi il labbro talmente forte da fare imbiancare la sua pelle di bronzo e subito si affrettò a distogliere lo sguardo, improvvisamente lucido, volgendolo verso un punto imprecisato dell’erba alta intorno a loro.
“Ti sbagli,” mormorò lento, come se parlare gli costasse una immensa fatica “io non sono triste. Ho promesso alla mia mamma che non lo sarei stato.”
A quel punto, Ben sbuffò.
“Non è vero, sei talmente triste che mi stai facendo venire mal di testa!” affermò con tutta la semplicità dell’universo, dopodiché rinsaldò la presa sull’altro bambino e tornò a posare l’orecchio sulle sue clavicole sporgenti.
Poe esitò un istante.
“Cosa dovrebbe significare…” mormorò dubbioso, ma quando non ricevette alcun segno risposta, si limitò a scrollare le spalle.
Ben avvertì una goccia minuscola bagnargli la nuca, prima che la testa di Poe si poggiasse sopra alla sua.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE AUTORE
 Ebbene, signori e signore, è arrivata!
È da quando ho conosciuto la Darkpilot che sto lavorando a questo progetto e cominciare finalmente a dargli la luce, è un traguardo non da poco. Ci ho messo settimane a raccogliere le idee, a calibrare le situazioni, i tempi e gli eventi e alla fine, eccoci qua!
Preludio (che, secondo i calcoli, sarà una minilong in tre capitoli) rappresenta il primo tassello di una serie che cercherà di ripercorrere le tappe fondamentali della storia di Ben e Poe. Racconterà quella che è la mia personale visione dello sviluppo di questa coppia, partendo dagli inizi, come avete potuto vedere, fino ad arrivare all’adolescenza.
Che dire?
Per me sarebbe un onore e un piacere, avervi con me in questo viaggio e cercare di mostrarvi al meglio il meraviglioso potenziale che potrebbero avere insieme questi due improbabili personaggi.
Vi ringrazio anticipatamente!
STAY TUNED!
 
Violet Sparks

 
   
 
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