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Autore: Lady R Of Rage    15/03/2020    6 recensioni
"Ma lui non muore, non si ammazza. Non si colpisce il muco, quello si rigonfia e riprende la forma consueta come se niente fosse. Ha imparato ad amarlo, quel muco, ad essere come lui, a vestirsene con fierezza come fosse un’uniforme di marina.
Che succede! Non riesco a toglierli, per favore! Non respiro! Sto soffocando, aiuto!
Non muore, perché ha detto che non vuole. Al mondo che lo allontanava disgustato come una lumaca vera, ai Marines e ai governativi e a chiunque gli dicesse quello che non poteva fare. Non muore perché merita di vivere, immerso nel suo schifo, composto e plasmato nella sua melma prediletta. A farsi amare con il muco addosso, perché chi lo avesse rifiutato lo avrebbe fatto anche senza di esso
."
[Spoiler!Dovunque Lei Sarà, Cap. 4 | Deathfic | un regalo per Miryel, che gli vuole tanto bene]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Trébol
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Gli Alti E I Bassi Della Famiglia Donquixiote'
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Pensieri Di Un Uomo Che Muore 

No, io no, io no,
Io non dirò che muoio, no

[Achille Lauro – 1990]


-I’m Trebol y’all, I disturb my town…-
-Finiscila, o dovremo tirare fuori il morso di ferro.-
Tira in dentro la lingua. -Lo so. È Diamante la rockstar, tra noi due.-
Le porte dell’ascensore si chiudono alle sue spalle, il pungolo di agalmatolite preme contro la sua schiena. La sua uniforme a righe cade in maniera orribile, con quella schiena gobba che si ritrova. Gli manca, il suo cappotto mucoso. E i suoi occhiali da sole, poi… come brucia, quella neve.
Ma se si divertono a spogliarlo facciano pure. Come se basti così poco a spaventarlo. Sa essere più che inquietante, lui: sa essere schifoso.
E sa anche recitare. La sola idea di tornare in quella sala delle torture potrebbe far svenire un uomo meno temprato, ma lui sa nascondere per bene il tremore e il pallore. Il dolore non ha importanza, non se si tratta di sopravvivere. Doffy lo merita, perché Doffy merita tutto. Ma lo merita anche Diamante, il suo bellissimo Diamante, e lo merita Pica dopo quelle ore extra di tormento, come se fosse colpa sua se urla in modo buffo. Lo merita tutta la famiglia, persino Baby 5. Sposarsi il Don degli Otto Tesori, che sciocchezza. Che ne sa lei, di amore? Potrebbe spiegargliene tanto, se ne avesse la forza e la voglia.
Presto arriveranno al terzo piano, e la ragazza vestita di rosa farà di lui quello che le pare. Trebol tira di nuovo fuori la lingua, dà una gomitata alla guardia alle sue spalle.
-Behehe. L’ultima volta che sono stato in un ascensore così, io e l’amor mio ci abbiamo dato dentro.-
Gli fa l’occhiolino, forma un cerchio col pollice e indice e vi infila dentro le dita dell’altra mano, avanti e indietro. La guardia lo fissa con disgusto. -Sei un depravato. Sadi-chan-sama saprà metterti a posto, vedrai.-
-Puritano.-
Non è male, l’aria del livello tre. Respira molto meglio col caldo, dalle sue narici sempre colme di muco, e dalla bocca sempre aperta che a Diamante piace tanto baciare. Ha imparato a conviverci, in quarant’anni e passa passati a smoccolarsi addosso. Il calore del livello tre lo avvolge quasi dolcemente, gli riempie la bocca e carezza le penose vesti a righe. Premono un pungolo di agalmatolite contro le sue costole, lo spingono lungo un corridoio così basso che né Diamante né Pica ci passerebbero. Si lecca le labbra salate. Non sarebbe male un po’ di burro di cacao, ma figurarsi se glielo danno. Gli brontola lo stomaco. Prega che Diamante sia riuscito a mangiare. Povero Diamante, non è mai stato così stravolto. Starà pensando a lui, da quella cella ghiacciata? Si preoccupa forse di non vederlo più? Lui, Trebol l’Immortale? Che idiozia.
La guardia di fronte a lui apre una porta blindata di ferro e lo conduce sotto i mattoni, spingendogli l’agalmatolite nelle scapole.
-Mi farai vomitare.-
-Zitto. Lo abbiamo portato, Sadi-chan-sama.-
Bugia: Trebol non vomita, è un effetto secondario del suo Beta Beta. Essere immerso nello schifo in ogni momento desensibilizza dallo schifo stesso. O forse era così anche prima che trovasse quel frutto amaro? Scrolla le spalle, si accarezza i capelli unti e viscidi. Sadi-chan ha preparato tutto per bene: una fornace di braci bollenti, abbastanza da accendergli il volto a distanza, e le catene pendono sopra di essa pronte ad accoglierlo.
-Mmh, cosa gli arrostiamo per primo? I piedi? La barba? Il naso, che ne pensate?-
-Ne, ne. Non oserete fare del male a un così bel faccino?-
Trebol allontana la guardia con una gomitata e sale di sua spontanea volontà su per le scale di legno. Le catene già bruciano, quando le uniscono alle sue manette. Sobbalza appena, un “oh” inaudibile, mentre lo sollevano sopra le fiamme.
Paura. Quando mai si può avere paura, al suo posto? La paura l’hanno dimenticata tutti, quando hanno incontrato Donquixiote Doflamingo. Un bambino così piccolo, così magro, non aveva paura di chi voleva torturarlo. Non l’ha avuta nessuno, quando li hanno portati in quelle stanze, nemmeno il piccolo Dellinger. Doffy ha loro insegnato bene, e per lui sopravvivranno. Anche lui fu torturato con le fiamme, tanti anni prima. Era solo un bambino – ma quella gente non ci è finita, a Impel Down, perché aveva scelto la persona giusta con cui prendersela.
Stai tranquillo, non piangere. Noi siamo amici. Siediti qui, lasciati fasciare. Sei al sicuro. Non era disgustato dal suo muco, né spaventato dal ragazzo che gli teneva la mano mentre riapriva gli occhi da dietro gli occhiali da sole opportunamente recuperati. Le fiamme gli lambiscono lo stomaco, mordono e frantumano la pelle scoperta.
-Ugh!- Sputa un bolo di muco contro le fiamme, serra le labbra viscide. Anche le catene si stanno scaldando, e i suoi polsi si arrossano.
-Su, su. Un bell’urlo nasale. Aumentate.-
La guardia che si occupa della fornace sorride mentre esegue il suo compito. Forse non si è accorto che prima gli ha scritto “deficiente” con il moccio sulla schiena dell’uniforme. Deve serrare le labbra per non ridere, sai che figura, davanti a una torturatrice così giovane. Avrà vent’anni, e ha trovato nella tortura la sua vocazione. Potrebbero prenderla con loro, se lo volesse. Ma non lo vuole, mal gliene incoglierà. Una ciocca di capelli prende fuoco per un attimo: Trebol la spegne con uno sputo calibrato. Serra i denti dal dolore e sorride a Sadi-chan trionfante.
-Aumentate. Mmmh, facciamolo strillare un po’ questo lumacone.-
-Le lumache non strillano, cretinetta.-
Cazzo che male. Si contorce sulla schiena curva, piega le ginocchia qualche secondo prima di lasciarsi di nuovo andare. Ma ha una soglia del dolore alta, specie per il calore, e intende provarla. Per la miseria, Pica ha resistito per ore in quelle stanze senza nemmeno un urlo – lo so che sei stata tu, a frustarlo così tanto, e giuro sulle mie due narici che te la farò pagare.
Ha i polmoni in fiamme, e riconosce il sapore metallico sulla sua lingua. Impossibile che la sessione di tortura precedente gli abbia aperto ferite interne: gli hanno stirato gli arti, non i polmoni.  Chiude gli occhi, serrando le labbra. Deve solo resistere, e restare vivo. Geme, strilla, si torce come se una lumaca lo fosse davvero. Il tempo passerà, che la ragazzina si goda pure urla e pianti.
-Sadi-chan-sama…- Una guardia tira la torturatrice per un braccio. -C’è qualcosa che non va.-
-Si sarà morso la lingua. Fatemi vedere.-
La torturatrice sale le scale, si china sotto il suo volto. -No, non è successo. Ma questo sangue…-
Trebol tira fuori la lingua. -Ne, è perché sono tenero den…-
Il sangue gli chiude la bocca, gli tappa il naso, gli strappa la pelle da dentro la gola. Il fuoco si accende dentro di lui, furente come mille inferni. Ma è buio. Perché?

Quando riapre gli occhi non respira, e il suo stomaco fa un male che nemmeno le urla sfogano. Non che abbia la forza di urlare, con la gola così secca. A quel pensiero – secca? – realizza che c’è qualcosa che non va.
-ARGH!-
-Fermo, fermo.-
Si lascia cadere sul materasso, serrando gli occhi alla luce accecante. Un conato di sangue gli riempie la bocca. Qualcosa gli gocciola sul mento e non è muco.
-C-che mi hai fatto?-
Gliel’ha infilato in bocca, giù in gola e nello stomaco – il fuoco, che scorre dentro di lui caldo abbastanza da soffocare. Anche solo quella frasetta gli strappa la giugulare. Persino il muco nelle sue narici è caldo, e ha un sapore cattivo.
-Chi c-cazzo ti ha insegnato a torturare?- rantola. -Una scimmia?-
-Finiscila,- sibila Sadi-chan. -Cos’hai nella pancia, petrolio puro?-
Scuote la testa e piomba di nuovo contro il cuscino, assaporando le labbra salate e bollenti. -Muco. Sai, ne? Beta-beta, e c-così via?-
-Che razza di muco prende fuoco?-
Già, una bella osservazione. Il suo muco, come se fosse necessario chiarire come funziona. Nemmeno lui lo sa del tutto. Non lo voleva nemmeno avere dentro, sulle prime – eppure si vede che erano destinati, se alla fine ha imparato ad adattarvisi. Si adatterà anche a quello, qualunque cosa sia. Anche se gli toccherà vivere il resto dei suoi giorni con quel dolore dentro, senza respiro, senza fiato – come se già non respirasse a fatica con le narici sempre tappate.
Sadi-chan gli accarezza il petto, lo palpa su e giù. Trebol sputa un altro bolo, accecato dal dolore.
-AHIA, NE! Anche questo è parte del trattamento?-
Ma la ragazza non sorride, non si lecca le labbra, non mormora frasi goduriose. Che sta succedendo? -Ne? Hai perso la verve? Ti piaccio?-
E nemmeno le sue risposte suonano corrette. Porca miseria, è come se avesse brindato a detersivo e acido muriatico. Lo stomaco è in fiamme, ogni secondo più forte e profondo. Si sta sbavando sangue addosso, e quando si tocca le narici… no, il mio muco no. Brutta carogna, ci sono cose che non si toccano.
-Hai preso fuoco da dentro,- mormora Sadi-chan tormentandosi le mani. -Lo stomaco, l’intestino, i polmoni... tutto a fuoco.-
Una guardia tampona la sua fronte sudata con un panno bagnato, e Trebol esala di piacere. Una goccia nel deserto, paragonata al bruciore che lo piega in due. Sta bruciando, come un fantoccio, e non può spegnere nulla finché si trova là dentro.
-Mi sembra di star bruciando, ne.- Solleva la mano per pulirsi la bocca, ma ricade sulla lettiga dopo un attimo. -Non dovrei sputare anche della cenere, così?-
-C’è poco da ridere, signore.- Sadi-chan è seria, e non ha senso. La frangetta le copre il volto, ma quelle guance umide non lasciano spazio a equivoci. -Sei ferito molto gravemente. Non c’è nulla che possiamo fare. L’emorragia è troppo profonda, i tuoi organi sono praticamente arrosto.-
Sicuramente si sente, così. Stavolta Trebol solleva la mano fin quasi a toccarla. Si lecca i denti insanguinati, grugnendo.
-E allora?-
La torturatrice si guarda le mani, serra le labbra, allontana lo sguardo dal suo. Trebol serra i denti, per non far ricadere il braccio. Non ci sono medici, né infermieri. Non vogliono forse curarlo? Sadi-chan si copre il volto con la mano, abbassando gli occhi dietro le proprie dita.
-A-Allora, tra una manciata di minuti, sarai morto.-
La sua mano piomba sulla lettiga, e con essa un gemito.

Alla morte non ci pensa – che senso ha darsi altre grane, quando è già dura così. Noi non moriamo, diceva a Diamante e Pica quando il tetto tremava dalla pioggia. Erano coraggiosi, anche così piccini, ma c’è un limite per chiunque. Ha asciugato le lacrime di Diamante, quando ancora amava quell’uomo in maniera diversa, tante di quelle volte da non poterle contare. Ha cullato Pica contro il petto, un cosetto squadrato e senza grazia, ripetendogli le solite storie su come alla fine si sistema tutto. E voleva crederci, Trebol.
Ci è riuscito abbastanza tempo da dimenticare che può succedere.
In fondo era questione di tempo. Sarebbe morto per portarsi Law appresso, tenere le sue manacce lontano da Doffy e dalla loro casa. E avrebbe avuto senso, morire così. Diamante, Pica e gli altri avrebbero capito.
Ma schiattare per niente, perché ti prendono fuoco le interiora… in un buco di merda che nessuno ricorda. Niente battaglia, niente Doffy, niente luce. Improvvisamente gli viene da piangere. In realtà, per prima cosa, vorrebbe saltare al collo della cretinetta che si crede una torturatrice e tirarglielo come fosse un pollo, ma non ha la forza nemmeno di drizzare la schiena.
Non voglio morire, pensa, e si vergogna subito di quella frase così cliché. Si sta rammollendo, se lo pensa. Come se non si fosse lanciato tra le fiamme per togliere Law di mezzo una volta per tutte. Trascinarlo con sé all’Inferno, lo stesso che proprio ora lo sta per togliere di mezzo. Come se lassù non avesse pensato alle labbra di Diamante sulle sue, agli occhi gialli di Pica sempre più lontani, alle bevute e agli applausi, alle canzoni e alle battaglie, alla promessa di un sogno pronto a scivolare via. Morire per è molto più dolce che morire e basta – e ci arrivavo da solo senza doverci passare.
-D-Doffy…-
-Non ti è permesso vederlo. Abbiamo degli ordini. È detenuto in un luogo dove nessuno può accedere.-
Trebol sbatte gli occhi e sospira da dietro lo schermo sfocato delle lacrime. La vita è ingiusta, nulla di strano. Lo sapeva. Se la vita fosse giusta, lui avrebbe la schiena dritta e una dentatura adamantina e regolare, e potrebbe ancora sentire gli odori anziché mangiare solo cibo che si frantuma in bocca senza lasciar nulla. Le salsicce non gli fanno quell'effetto, ma non può mangiare solo quelle. Non dormirebbe a bocca aperta, russando come un treno, perché ha il naso sempre chiuso anche d’estate. Non avrebbe imparato a convivere con quella nausea continua, con i giramenti di testa, con un raffreddore lungo quarant'anni e passa.
Forse era destino, che il muco lo ammazzasse. Ci provava da quando ha mangiato quel frutto schifoso.
Mamma, papà, che succede? Non riesco a fermarlo! È appiccicoso, aiutatemi! Non respiro… mi cola tutto, aiutatemi!
Ma lui non muore, non si ammazza. Non si colpisce il muco, quello si rigonfia e riprende la forma consueta come se niente fosse. Ha imparato ad amarlo, quel muco, ad essere come lui, a vestirsene con fierezza come fosse un’uniforme di marina.
Che succede! Non riesco a toglierli, per favore! Non respiro! Sto soffocando, aiuto!
Non muore, perché ha detto che non vuole. Al mondo che lo allontanava disgustato come una lumaca vera, ai Marines e ai governativi e a chiunque gli dicesse quello che non poteva fare. Non muore perché merita di vivere, immerso nel suo schifo, composto e plasmato nella sua melma prediletta. A farsi amare con il muco addosso, perché chi lo avesse rifiutato lo avrebbe fatto anche senza di esso.
Cosa mi succede? Perché mi cola il naso così? Deve essere stato quel frutto. E adesso dove vado? Dove dormo?
Il suo primo pianto che ricordi, di una lista non più lunga di mezza dozzina. Ma ecco che muore, come se niente fosse, come se Trebol non fosse Trebol, ma un omuncolo qualunque che non ha mangiato il frutto Colla Colla. Niente Doffy, niente Diamante né Pica, niente Dressrosa – un’altra illusione scavata nel muco. Doffy, il suo re, non saprà mai. Svanirà tra le crepe, un parassita fra tanti, con le ginocchia a terra e gli occhi rivolti a un cielo troppo lontano.
Una sera, che lui e Diamante erano soli sul ponte all’alba – avevano fatto l’amore sotto le stelle, come ogni coppia di pirati che si rispetti, almeno una volta nella vita – avevano deciso di giocare a immaginare. Come sarebbero state le loro vite se non avessero sentito il pianto di quel bambino, non avessero trovato quei corpi svenuti appesi alle finestre e sparpagliati sul pavimento tra i forconi e le torce spente. Avevano tanta di quella fame da potersi mangiare i sassi, ma quella famiglia stracciata aveva un’aria da averlo già fatto. Si erano chiesti se avrebbero rubato ancora, se avrebbero trovato un lavoro o almeno una casa. Se avessero fatto parte della società da persone civili – senza tacchi, senza armature, senza muco.
Qui Diamante aveva scosso la testa, pregandolo di zittirsi. Era così bello, anche con gli occhi lucidi, da non potergli dire di no.
-Trebol Donquixiote?- una guardia si china su di lui e distoglie lo sguardo al vederlo. -La tua famiglia chiede di poterti vedere.
-Oh,- sussurra, e la prima lacrima gli gocciola in bocca.

L’Inferno Ghiacciato è così bianco da bruciargli contro le pupille.
Ha gli occhi pieni di lacrime e desidera la forza di poterli asciugare. La sua famiglia è dietro le sbarre, ma le guardie sono dietro di lui.
-Sloggiate,- ansima rauco. Che li ha invitati, quelli? Rovinare il suo ultimo momento, la chiamata alla ribalta di Trebol. Perché non scappano disgustati dalle sue sembianze?
-Ne, voglio- tossisce, e per un attimo teme che sia tutto lì. “Ne, voglio” non sono le degne ultime parole di un uomo del suo calibro. Vorrebbe ringraziare Dio, se c’è, quando i colpi di tosse si chetano e le parole escono da brave. -Restare da solo con la mia famiglia.-
-Abbiamo degli ordini.- La guardia non sembra convinta delle sue parole, e fa un passo indietro quando Sugar si fa avanti aggrappata alle sbarre.
-Sapete dove potete infilarveli!-
-Su, su. Coff. Non essere sgarbata, ne. Non è poi ‘sta gran cosa, behehehe.- Uno scenario familiare, abbastanza da placare quei colpi di tosse così odiosi. Gorgoglia muco. -Eccomi qua. In tempo – coff – per un bell’addio.-
Ci sono proprio tutti, persino Baby 5 che nel mezzo della battaglia se n’era andata a zonzo con qualche bel gladiatore. Come al solito: si sapeva che sarebbe tornata, e Trebol avvampa d’ira nel vedere il suo volto arrossato di freddo. Ci sarà un prossimo torturato, dopo la sua morte?
-Ne, perché fate quelle facce? Non siete voi – coff – quelli ridotti così. Ma guardatevi, cosa siete.-
Ha sentito parlare – come tutti i pirati della Rotta Maggiore – dei Klabautermann che accompagnano i marinai dalle loro navi. Se proprio deve morire potrebbe diventare uno di loro, e scendere di nuovo a Impel Down a completare il suo percorso con loro. Carezzare i capelli di Diamante, le guance di Pica, le mani di Buffalo e Baby 5 e quella peste irritante di Sugar, che sembra sul punto di singhiozzare come se di anni ne avesse dieci davvero. Nessuno rifiuterebbe il suo contatto fisico, allora.
Sicuramente non se lo merita, glielo dirà anche qualunque cosa o chiunque ci sia ad aspettarlo. Lui deve sempre chiedere qualcosa, anche di fronte alla sua famiglia che gli smoccica davanti agli occhi. Che tesorini.
-Ne! Vedo già un sacco di nasi che gocciolano. Bravi, bravi. Portate avanti la mia tradizione, behe – coff – he.-
E poi lo vede: labbra tremule su cui pende una goccia di bava, ginocchia sprofondate nella neve, sporchi capelli castani attorno al volto. E quegli occhi, già gonfi di lacrime.
-Come hai… hai potuto?-
No, Diamante mio. La vita ha voglia di giocare con il suo compagno, riservandogli la stessa amara medicina che lui stesso ha servito a quel mentecatto con una gamba sola. Ma lui non è un giocattolo, checché volesse fare Sugar, e può sentire la sua mano scarna e fredda. Potrebbe cantargli una ninnananna, tenergli le mani, baciarlo fino a fargli dimenticare che sta per morire.
-Non puoi lasciarmi!- La mano che gli ha dato trema. Schifoso di un Kyros: ha guastato una stella, e ora c’è un po’ più buio in un mondo già di merda. Era geloso, per caso? Poteva prendere lezioni di canto, di chitarra, di camminata sui tacchi alti. Ah, ha una gamba sola: cavoli suoi. Diamante ha le lacrime agli occhi, due occhi vetrosi e sgranati dietro le ciocche di capelli sudicie. -Non qui!-
-Diamante mio…- Solleva la mano libera con una fatica sovrumana e gli carezza i capelli. Non riuscirà mai a tirarsi su per baciarlo, la sola idea di contrarre l’addome gli riempie la pelle di sudore freddo. -Non puoi fermare l’inevitabile, ne.-
-Perché non gliel’hai detto?-
-Nee, non lo sapevo nemmeno io. Eh… bisogna conoscere sé stessi.-
Non è giusto baciarlo, capisce: sarebbe come un proclamare che è solo suo, che Diamante è speciale e gli altri valgono meno. Vuole e deve salutarli tutti, come ciascuno merita. Sa fare il suo dovere, quando ci si mette, e non esiste che morire glielo tolga. Dovrà smettere di salutare Diamante, presto o tardi. Anche se in quel momento vorrebbe buttarsi tra le sue braccia tremule, coprirlo di baci, e asciugargli le lacrime che non dovrebbero stare lì.
-E adesso…- l’ex gladiatore tira su col naso, -che faccio?-
Capitan Diamante, dei Pirati di Diamante. Suona sbagliato. Eppure bisogna saper fare il proprio dovere. Tossisce un bolo di sangue, viscido come un’anguilla.
-Sono tutti tuoi, Diamante. Ne, trattameli bene. Dì a Doffy che sono tanto spiacente.-
Si sono amati da prima di sapere cosa cazzo fosse una Dressrosa, hanno giaciuto insieme tante volte da dimenticarselo. L’ascensore della Torre Ufficiali: che trovata, degna di una star. Gli portava cioccolatini ripieni al vino rosso e mazzi di rose gocciolanti muco, e ogni volta era come se non gli avesse mai regalato nulla di così bello. Geme di dolore mentre Diamante solleva la sua mano e la porta alla bocca, baciandola piano.
Il loro primo bacio era stato sul ponte della Numancia Flamingo, sotto un cielo che sembrava dipinto, accarezzati da una dolce brezza d’inverno e stretti in mantelli di pelliccia morbida – e muco, nel suo caso, ma teneva caldo e faceva un rumore adorabile quando Diamante lo stringeva a sé. Il loro ultimo bacio sarà al freddo, senza nemmeno toccarsi con le labbra. Basta. Deve tornare ad essere Trebol, finché gli è ancora concesso.
-Ne, come sei stucchevole. Rockstar, tutte così. Behehe. Che figura fai con tuo figlio qui?-
Il mentecatto con una gamba sola ha cresciuto una piaga di figlia che a sedici anni non saprebbe sconfiggere in battaglia nemmeno un passerotto. Doveva impalarla per bene, Diamante: ma lui è una rockstar, deve fare le cose per bene.
Ha perso un’opportunità, su quel campo di girasoli: insegnare al mentecatto con la voce alla carta vetrata come si fa il padre.
-Pica.- Non piangerà: è bello temprato, quell’uomo, quando ci si mette. Ma potrebbe permetterselo, perché tanto che importa? Tutta Dressrosa l’ha visto singhiozzare in diretta. -Ne, come sei cresciuto.-
In un tempo lontano Trebol poteva tenerlo in braccio, cullarlo, caricarselo sulla schiena fino a ingobbirsi più di prima – e ne valeva la pena, per quel bambino stoico e quieto. Sarebbe diventato forte e temuto, gliel’avevano promesso. Ma ahilui, nemmeno Trebol può vedere nel futuro.
Doffy era la loro opportunità, la loro salvezza, ma non è mai stato suo. Allunga la mano verso quel viso accigliato, sfiora il mento con le unghie.
-Sii fiero, ragazzo. Nee…-
Vorrebbe sollevargli il capo, da sotto il mento, ma una nuova fitta lo blocca. Le dita insanguinate scorrono sotto il mento, lungo la gola. Anche in quello stato può sentire che è teso. Dovrebbe fidarsi, povero caro: ha strozzato con il suo muco chissà quanti bastardi che si erano permessi di sghignazzare. Pica avrebbe potuto imparare da lui, su come si vive sereni. Gli dispiace morire, prima di sapere come mai il tesoro suo e di Diamante parla così. Sta diventando malinconico e la cosa non gli va. Si volta verso Sugar, sfoderando il suo miglior ghigno da carogna.
-Sarai contenta, ne. Finalmente schiatto.-
-VAFFANCULO!- Potrebbe essere una bambina vera, da quanto è rossa la sua faccia. Una mocciosa impertinente che si lagna perché non le hanno comprato la sua bambola prediletta. Poi colpisce la pietra gelida con un cazzotto, e della bimba non ha più nulla. -Dovevi morire quando lo dicevo io!-
-Ne, non piangere per me, marmocchia. Vado a sparlare di te con tua sorella.-
Piangerà per me, come ha pianto per lei? E l’aveva tenuta in braccio, quel giorno. Forse ci sarà qualcun altro, dopo di lui, per scaldarla come aveva fatto. Qualcuno che faccia le veci dell’Ufficiale… che barzelletta, ma Trebol non vuole ridere. Non davanti a quel visino di bambina rosso e luccicante.
-Fottiti,- singhiozza Sugar. -Ti odio.-
Sorride, respira, ingoia muco e sangue e fiamme. Brava, Sugar, che dice quello che deve dire e non cambia di fronte alla morte. Tira fuori la lingua, come se niente fosse. È viscida di sangue, ha un sapore cattivo. Sto morendo.
-Jora,- tossisce. Almeno con la Squadra con Poteri Speciali deve riuscire a finire, e gli occhi lucidi della vecchia sono fissi su di lui con tutto il suo orgoglio da Ufficiale.
-Voglio una tomba stupenda,- rantola. -Solo tu s-sai come fare. Fammi bello. E mi raccomando, voglio moccio vero nelle mie narici, behehe.-
-Contaci pure, Trebol-sama.-
-Non serve che me lo dica. Che t-tesoro, a chiamarmi soave visione.-
-Beheheh – coff coff –  he.-
E più parlano più si rende conto di essere felice, con lo stomaco e i polmoni in fiamme e la neve di Impel Down così fredda da non sentirsi più la schiena. Machvise sporge il braccio paffuto oltre le sbarre, appoggiandoglielo sul petto. -Abbracciami-in.-
Trebol lo stringe a sé con le mani tremanti, strofinandovi contro il volto. Il braccio gocciola muco quando Machvise lo tira indietro. E di fianco a quel braccio c’è Buffalo, con le guance morbide gonfie di pianto. Ne pizzica una con la mano mucosa, strappandogli un sobbalzo.
-Su, su. Sei t-troppo dolce per questo postaccio. Rimani dolce, ne?-
Buffalo singhiozza un sì, aggrappato al braccio di Machvise e alla spalla di Baby 5. Deve riassestare l’atmosfera.
-Ne, Lao G,- rantola. -Complimenti. Hai retto più a lungo di me.
-Lungo,- mormora il vecchio. -Con la “G”.-
Un altro che ha capito: restare sé stessi, anche con le lacrime agli occhi. Vorrebbe ridere, ma fa già troppo male. Sugar impreca contro di lui singhiozzando tra le proprie braccia, Baby 5 soffoca i singhiozzi col palmo della propria mano. Dellinger si asciuga gli occhi con le maniche. -Buon viaggio, Trebolazione.-
-Behehe, che carino.- È un vero Donquixiote se riesce ad alleggerire la sua morte. Gli aveva azzannato le dita a sangue, quando Jora gliel’aveva porto, e lo imitava infilandosi nel naso blocchi di pongo azzurro. Sghignazza muco insanguinato. -Ne, visto? Lui ci arriva. Anche voi, non fate queste facce contrite. Behehehe, dovete fargliela – coff – vedere a quegli stronzi.-
-Così un uomo affronta la morte.-
Señor Pink, sempre uguale a sé stesso. Trebol scuote la testa, asciugandosi gli occhi. Non ha tempo da perdere con quelle scemenze: sta morendo, e c’è ancora chi osa cincischiare. Sono un vero uomo perché mi sento così, aveva detto a Diamante: peccato che in quel momento Pink non stesse ascoltando. -Behehehe. Ancora che te ne frega qualcosa? Ne, affrontatela come vi pare, basta che non mi diventate – coff — depressi.-
L’attacco di tosse che segue sembra proseguire in eterno. Gli colma la bocca di un sapore viscido, gli strappa gemiti che fanno male fin dentro le ossa. Persino le guardie si scambiano uno sguardo tremante. -Povero disgraziato,- sussurra uno dei due all’orecchio dell’altro. Vorrebbe alzarsi e prenderli a ceffoni.
Non compatitemi. Sono Trebol e disturbo la mia città.
-Baby – coff – 5.-
Quasi non la riconosce, con tutte le botte che ha preso. Ha i capelli sporchi e increspati, le mani ricoperte di croste. Non ha il volto di qualcuna che si chiederebbe in sposa.
Voleva vederla, la faccia di quel maledetto gladiatore. Pensava veramente di separare una famiglia – una che si è creata da sola, per chi aveva il fegato di cercarla. Una bambina così piccola, così sola, non aveva bisogno che di quello. Vorrebbe pizzicare le guance anche a lei, ma è troppo debole per muoversi ancora, e le mani del suo uomo e di suo figlio sono troppo comode per essere lasciata. È lei che allunga il suo braccio verso il suo viso – non arriva ad accarezzarlo, ma gli pare  comunque di sentire la sua mano sottile sulla sua guancia bollente.
-Sono qui, Trebol.- Povera cara, è terrorizzata. -Respira. Siamo tutti qui.-
-Lo so, behehe.- Trebol rotea gli occhi: non ha bisogno che gli sia detto di respirare, anche se lei è un vero tesoro. -Potrei essere l’ennesimo marito morto, per te. Si sarebbero già aperti i rubinetti.-
I singhiozzi e le imprecazioni di Sugar lo distraggono per un attimo dal volto contorto della ragazza. -Va bene,- mormora. -Va tutto bene.-
Era stato divertente, chiederla in sposa. C’è qualcosa di liberatorio nel vedere le persone scappare via al vederlo passare, disgustate dal suo moccio e dalle sue vesti appiccicose. Doveva sapere che non avrebbe osato sposarla. Non con Diamante che lo attende, così bello come il suo nome. Eppure ci è cascata, e se avrà un rimorso nella morte sarà quello.
-Nee, ringrazia il cielo che ho detto di no. Non tutti sono così buoni. E per fortuna non lo sei nemmeno tu.-
Baby 5 piange, e le sue lacrime gocciolano fino al suo palmo schiuso. Sono calde, delicate come un unguento sulla pelle ribollente. Lascia che gli scorrano lungo il viso, come fossero le sue.
-Behehehe, fai la brava. Non deludermi.-
Serra i denti, un sorriso stoico sulle labbra screpolate.
-Promesso.-
Con Gladius che le tiene le mani, persino il suo tremito si placa. Sarà l’ultimo che dovrà salutare, non che significhi che gli vuole male. Quasi non si riconosce senza i suoi famosi occhialoni steampunk. -Andrà tutto bene,- rantola. -Addio, Trebol. Diremo al Padroncino che hai lottato bene.-
Addio: che brutta parola da sentire così, rivolta a sé stessi. Cosa può importargli di aver lottato bene, se da un momento all’altro non potrà più farlo. Si tossisce addosso altro muco al sangue, desiderando più che mai che qualcuno lo disseti.
-Lo saprà già.- ansima. Nee, venite qui. Non ve ne andate. Sento caldo.-
E non ci vede più, nelle sue lacrime spesse e sanguigne. Persino le sue dita viscide non reggono più la presa sulle mani di Diamante e Pica. Scivolano nella neve, fredda da intorpidire.
Sto morendo.
-Behe… coff, coff.-
Behehehe, ne: ecco, ecco le sue ultime perfette parole. Diamante era una star, ma anche lui sa essere un performer quando ci si mette.
-Behehe…-
-Trebol.- sussurra Sugar. -Aspetta.-
-Behe… heeeh.-
Sto morendo, ma non ho paura, Non ha neanche toccato la mezza età, ma ha fatto abbastanza da riempirne tre vite. Dovrà tacere, ora, senza rovinare le sue parole ben scelte. La sua famiglia è già troppo lontana per toccarla, e persino le lacrime sono troppo sfocate.
Si rende conto solo allora che non ha parlato quasi mai del Padroncino. Di Doffy. Come se se ne fosse andato per primo, senza nemmeno salutare, affidando a Trebol tutta la famiglia dacché sono entrati all’Inferno. Non sarebbe una mossa da Doffy. Lui ha creato quello che sono, ha scolpito Trebol nel muco e gli ha insegnato a sorridere senza fare fatica.
Mi piace il tuo mantello di moccio. Sei uno che si fa notare. Mi sento a mio agio con te.
Un bambino che guardava le vetrine d’alta moda e gioielli, le toccava come se ne traesse la vita e discuteva come un gran signore di carati, tessitura e prezzo di mercato, ma non riusciva a dormire senza una candela accesa, ricordando in singhiozzi quella notte passata appeso sopra le fiamme. Non ti chiamerò padre, non sei mio padre – eppure tra le sue braccia ci stava bene, anche a costo di sporcarsi i capelli di moccio. Lo capiva che non l’aveva mangiato apposta, quel frutto repellente, e che a volte le cose peggiori e migliori sono quelle che non vogliamo ci succedano.
Non è stata solo l’Ambizione, non è vero? Ti percepisco da vicino. Non mi lascerai mai, tu. Dopotutto a te piace attaccarsi alla gente. Se ti fa felice non mi disturba troppo.
Sono passati trent’anni, e quel bambino non c’è più. Non ricorda neanche più la sua faccia. Anche loro si dimenticheranno di lui – no, che sciocchezza, non dopo il suo impegno per impedirlo.
-Tre… Trebol.- La voce di Diamante è rauca, e Trebol non vuole guardarlo più. Solleva gli occhi al soffitto. Forse vedrà la famosa luce di cui si parla tanto, si sentirà condurre in cielo, vedrà Vergo e Monet e la sua famiglia biologica che se lo riprende, volente o nolente. Ancora un po’, è troppo presto, vuole abbracciare di nuovo Buffalo, baciare le labbra di Diamante finché le sue non diventano fredde, sussurrare grazie finché non ha più voce. Già, le ultime parole.
-Behehehe…- non è una risata vera, delle sue, se continua a strozzarsi con quel muco ribaldo. Alla fine il nastro si ripete, ma è finito il tempo in cui viene zittito. Ride sangue, sbava sangue, smoccica sangue, piange sangue, si scioglie come una candela – o almeno gli pare così.
Serra i denti, ci deve riuscire. -N-Ne…-
Forse torneranno a vedere il sole, ricostruiranno per lui il sogno di Doffy il conquistatore. Deve pensarlo, se non vuole impazzire proprio allora. Deve pensarlo, aggrapparsi a Doffy con quelle mani sempre più deboli. Ma Doffy non si vede, la sua famiglia è lì. Non hanno bisog


A.A.:
Chi non aveva voglia di uno spin-off sull'Uomo Più Libero Dei Quattro Mari?
Io sicuramente sì, e ho deciso di scrivere questa storia per divertirmi un po' con uno dei PoV più divertenti che abbia mai gestito. 
Per chi non avesse letto Dovunque Lei Sarà... non dovreste nemmeno stare qui, perché questa storia contiene spoiler d'enorme proporzione. In ogni caso ho deciso di espandere sulla prima vera "batosta" della storia, un po' per i feels, un po' per occupare il tempo a non scrivere sempre la stessa trama. 
La trama  si interrompe così a metà parola perché Trebol, pensando quella frase, spira. Ho deciso di espandere inoltre sul suo passato, sul suo modo di vedere il mondo e la vita, e sulle sue relazioni con la sua famiglia. Per stravagante e sicuro di sé che è quest'uomo, sicuramente non avrà mangiato il frutto del moccio di sua volontà... piuttosto si è adattato, come è sua abitudine.
Miryel, tesoro, te la regalo più che volentieri. Hai detto che volevi vedere altro Trebol, e... ecco qui. Spero ti faccia felice in queste giornate difficili.
Un abbraccio forte a tutti quanti.
Lady R
  
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