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Autore: Anna Wanderer Love    16/03/2020    3 recensioni
La sua vista si schiarì, e riuscì a vedere un volto umano davanti a lui, dai grandi occhi verdi che lo fissavano preoccupati. Le labbra dell’umana si mossero veloci, di nuovo, ma di nuovo Thranduil non riuscì a comprendere cosa stesse dicendo e fece una smorfia mentre un fischio copriva ogni rumore, tranne quello del suo cuore che batteva sempre più lento.
Sentì le palpebre farsi sempre più pesanti, e appoggiò la nuca al tronco ruvido dietro di sé.
No, lesse sulle labbra dell’umana. Non addormentarti.
La vide estrarre qualcosa da sotto al mantello grigio, una fiala dal contenuto azzurrognolo. La avvicinò alle sue labbra, afferrandogli il mento per socchiudere la sua bocca. Versò un sorso del liquido, il sapore dolciastro si mischiò a quello acre del sangue. Thranduil fece in tempo a mandare giù, poi gli abissi calarono su di lui.
O:
Thranduil rimane ferito mentre viaggia per raggiungere le sue truppe, che si stanno radunando per cacciare il male da Bosco Atro. Da chi sarà salvato? E come farà a tornare dal suo popolo?
Kairos: dal greco, "momento giusto o opportuno, momento supremo". Un momento in cui accade qualcosa di speciale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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KAIROS:
 

Kairos nell’antica Grecia significava “momento giusto o opportuno” o “momento supremo”.
Il tempo per gli antichi greci poteva essere espresso da due parole: χρονος (chronos) e καιρος (kairos). Chronos si riferisce al tempo cronologico e sequenziale ed ha una caratteristica quantitativa, mentre Kairos è qualitativo e significa “un tempo nel mezzo”, un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale accade qualcosa di speciale per chi utilizza questa parola.
 


 
I
 


Un piccolo pettirosso era appollaiato a un ramo di ciliegio e la sua esile voce melodiosa accarezzava l’aria frizzante del primo mattino, decorata dalle macchie rosate dei fiori e intrisa del loro profumo dolce.
Sotto a quello stesso ciliegio era accasciata una sagoma ricoperta da un lungo mantello nero. Respirava lentamente, gli occhi celesti che si sforzavano di mettere a fuoco l’ambiente attorno a sé. La vista andava e veniva, concedendogli di vedere solo brevi frammenti di ciò che lo circondava. Davanti a lui, la via in cui erano caduti i suoi migliori guerrieri, la via che lui stesso aveva percorso falciando un nemico dopo l’altro senza lasciarsi andare alla disperazione, senza permettersi di deconcentrarsi anche per un solo secondo mentre volteggiava tra gli orchi ferendo e decapitando tutti quelli che le sue lame riuscivano a raggiungere. Nonostante ciò, e nonostante con lui combattessero le sue guardie personali, per ogni mostro che cadeva ne arrivavano altri due. Ne erano arrivati a dozzine, finché si era ritrovato da solo, con il corpo macchiato di sangue e il volto ferito, le forze che cedevano mentre la flebile speranza che ancora provava cominciava a spegnersi.
Thranduil aveva combattuto finché aveva avuto ossigeno nei polmoni, finché le gambe lo avevano retto in piedi e il suo braccio aveva avuto la forza di sollevare la spada assetata di sangue.
E i suoi sforzi erano stati premiati: era riuscito ad abbattere anche l’ultimo orco, l’ultimo di una lunga scia di corpi ammassati e di pozze di sangue che avevano sporcato il terreno di nero.
Il re degli elfi si era girato, solo per scorgere i suoi fedeli guerrieri immobili nel loro letto di morte tra quei mostri maledetti. Uno dopo l’altro, non avevano potuto far altro che soccombere, proteggendo il loro re con l’ultima scintilla di vita.
Thranduil non era riuscito ad andare lontano. Aveva fatto qualche passo, trascinandosi in avanti mentre si aggrappava ai tronchi degli alberi, ascoltando i sussurri del vento tra le foglie mentre il sangue colava e gli macchiava il tessuto pregiato dei pantaloni e della casacca, finché l’argento originario del tessuto non era stato più visibile.
Alla fine si era accasciato contro un tronco, respirando affannosamente per lo sforzo, mentre il suo cuore batteva forte e la sua mano premeva sulla ferita al ventre per cercare di fermare il sangue.
Ed era ancora lì, che si trovava. Aveva perso conoscenza più volte, mentre si sforzava di lottare contro il freddo che gli invadeva il corpo, che non ne voleva sapere di lasciarlo andare, perché lui non poteva ancora morire, doveva vivere.
Era lì, che si trovava, con il volto macchiato di sangue e il sopracciglio spaccato da un graffio a guardare i fiori armoniosi sopra di sé, mentre le immagini perdevano nitidezza ogni pochi secondi. Un refolo di vento gli accarezzò la guancia, dopo un minuto, o forse era già passata un’ora. Era comunque un’eternità quella in cui era sprofondato, un’eternità in cui era in bilico e non riusciva né a trarsi dalla parte della vita né ad abbandonarsi all’abbraccio della morte.
Sentì un lieve profumo di gelsomino e vaniglia, portato dal vento, e aggrottò la fronte, con un respiro spezzato. Stava sognando o era vera, la figura che scivolava verso di lui, annebbiata dal velo sui suoi occhi?
Ebbe la conferma che era vera, era vera e si stava inginocchiando davanti a lui, mormorando parole rapide e intrise di preoccupazione. Le sue orecchie erano diventate insensibili, o forse lo erano diventate fin troppo, sensibili, mentre sentiva le parole rimbombare nella sua mente con fitte dolorose. C’era qualcosa che non andava.
La sua vista si schiarì, e riuscì a vedere un volto umano davanti a lui, dai grandi occhi verdi che lo fissavano preoccupati. Le labbra dell’umana si mossero veloci, di nuovo, ma di nuovo Thranduil non riuscì a comprendere cosa stesse dicendo e fece una smorfia mentre un fischio copriva ogni rumore, tranne quello del suo cuore che batteva sempre più lento.
Sentì le palpebre farsi sempre più pesanti, e appoggiò la nuca al tronco ruvido dietro di sé.
No, lesse sulle labbra dell’umana. Non addormentarti.
La vide estrarre qualcosa da sotto al mantello grigio, una fiala dal contenuto azzurrognolo. La avvicinò alle sue labbra, afferrandogli il mento per socchiudere la sua bocca. Versò un sorso del liquido, il sapore dolciastro si mischiò a quello acre del sangue. Thranduil fece in tempo a mandare giù, poi gli abissi calarono su di lui.

Quando si risvegliò, era in uno stato di confusione tale che gli parve frutto della sua immaginazione vedere un soffitto di fiori sopra alla sua testa. Poi si rese conto che non era la sua immaginazione e che effettivamente sotto alla trapunta di lillà e nontiscordardime intrecciati da cordicelle poteva vedere le sfumature chiare delle assi di legno nascoste sotto ai fiori. Sbatté le palpebre e cercò di guardarsi attorno, ma il suo corpo non obbediva alla sua volontà imperiosa. Sentiva le tempie che pulsavano e aveva fin troppo caldo. Poteva sentire le coperte ruvide contro la sua pelle nuda, non abituata a tessuti poco pregiati. Il materasso era duro contro la sua schiena.
Thranduil socchiuse gli occhi, con un sospiro, ma nemmeno al secondo tentativo i suoi muscoli collaborarono e si rassegnò a non riuscire a voltare la testa.
Sentì dei vaghi suoni ovattati. O forse se li era immaginati.
C’era qualcosa di strano, un silenzio innaturale. Dove era finito, perché non sentisse il canto di nessun uccellino? Il fischio del vento tra gli alberi fuori dalla finestra? Era forse morto?
Ma poi un volto entrò nella sua visuale, dandogli la conferma che ancora non era diventato pazzo. Era un volto tondo, dai grandi occhi verdi e dai ricci ribelli di un castano con sfumature rossastre. Era ben diverso dagli eleganti visi elfici, soprattutto perché sulle guance di quel viso comparivano due macchie rosse, grandi quanto una piccola mela ciascuna.
- Siete ridotto male – stavolta non sentì nulla, ma lesse le labbra piene che si mossero lentamente, come se l’umana avesse compreso che aveva difficoltà nel sentire.
Thranduil avrebbe voluto afferrarle indignato il braccio quando la donna si permise di scostare le coperte dal suo corpo e gettare un’occhiata al suo glabro torso nudo. Se fosse stato in possesso delle sue forze, l’avrebbe di certo colpita. L’aveva spogliato, per curare le sue ferite, sì, ma chi le aveva dato il permesso? E come poteva permettersi un’umana di guardarlo a quel modo?
La rabbia che gli montava nelle vene aumentò quando sentì le dita della giovane tastare le bende appena sopra alla sua cintola. Rimase immobile, incapace di muoversi, mentre l’aria fredda gli schiaffeggiava la pelle sudata.
La donna disse qualcos’altro che non riuscì a capire, perché la massa di capelli le aveva parzialmente coperto il viso e non era riuscito a osservare il movimento delle sue labbra. Si girò verso di lui e aggrottò le sopracciglia quando vide che lui rimaneva silenzioso a fissarla, gli occhi che dardeggiavano malevoli.
- Quale è il problema?
Thranduil ponderò se rispondere o meno. Non sentiva alcun rumore. Men che meno udiva la voce di quella donna che si permetteva di non rimettergli le coperte addosso e di fissarlo così insistemente. Aveva letto quelle parole dalle sue labbra. Un’unica conclusione poteva essere tratta: aveva perso l’udito.
Ricordava che poco prima di abbattere l’ultimo orco un improvviso colpo al lato sinistro della testa l’aveva tramortito, ed era caduto battendo il capo. Aveva cominciato a sentire un lieve fischio, mentre si rialzava e sgozzava gli ultimi avversari rimasti, ma aveva pensato che presto sarebbe passato, se fosse riuscito a sopravvivere.
A quanto pareva si sbagliava. Aveva perso l’udito. Certo, poteva essere una lesione temporanea, ma non ne aveva la certezza. Anche se avesse potuto muoversi, Thranduil sarebbe rimasto immobile, le iridi improvvisamente svuotate di ogni emozione rabbiosa, mentre assimilava la novità.
Come avrebbe fatto a condurre il suo popolo alla vittoria? In guerra? L’udito era l’ultima delle facoltà che avrebbe potuto permettersi di perdere, dopo la sanità mentale.
Uno schiocco di dita lo risvegliò dai suoi pensieri. Non sentì nulla, ma la mano della donna era a un palmo dal suo viso e ottenne lo stesso effetto. Il re degli elfi batté le palpebre e riportò lo sguardo cristallino sul suo viso.
- Dove vi fa male? Riuscite a muovervi? – scandì le parole.
Il suo viso tondo era fin troppo vicino. Aveva il naso a punta e una spruzzata di lentiggini che accentuavano il suo aspetto così umano.
Thranduil abbassò per un momento le lunghe ciglia nere, cercando di riprendere il controllo del proprio corpo. Provò con tutte le sue forze a muovere l’indice della mano destra, ma non collaborava. Le sue palpebre tremarono e si rialzarono, piantando uno sguardo astioso negli occhi della sua ospite.
- Vi ho immobilizzato – lesse dalle sue labbra. – Vi contorcevate troppo mentre provavo a estrarre i frammenti di una lama nel vostro fianco.
Lo sguardo furente che le lanciò probabilmente fu abbastanza eloquente, perché lei si ritrasse un pochino, con la fronte aggrottata.
- Vi ho chiesto quale è il problema. Se non riuscite ancora a parlare dovete essere più debole di quanto pensassi.
Il re degli elfi sentì una nuova onda di irritazione inondargli il corpo. Era paradossale, ritrovarsi in quella situazione. Lui, disteso su un povero letto mezzo nudo davanti a un’umana che non era in grado di trattenere la lingua e continuava ad offenderlo una parola dopo l’altra. Avrebbe tanto desiderato poter almeno muovere un braccio, così da poterle afferrare la gola e darle modo di ripensare a come fare un uso più saggio dell’aria che aveva a disposizione.
- Meglio che riposiate.
La donna si alzò dal lato del letto su cui si era seduta e il materasso si rialzò senza il suo peso a deformarlo verso il basso. Uscì dal suo campo visivo, e dopo qualche secondo il re degli elfi la vide ritornare e chinarsi sopra di lui. Lo ricoprì con le coperte e infilò una mano sotto alla sua testa, reggendo la sua nuca per inclinarla in avanti e accostare alle sue labbra una ciotola con un liquido dall’odore pungente.
Thranduil fu costretto a bere, ma mentre i suoi occhi si chiudevano per l’effetto potente del sonnifero maledisse con ogni impropero possibile quella donna che lo faceva sentire così impotente e ben poco regale.

Si svegliò lentamente da un profondo sonno popolato da incubi che gli erano sembrati fin troppo reali e che gli avevano fatto accapponare la pelle. Nel vivido nero di una notte lontana nel tempo aveva visto la figura lontana di suo figlio, che si era girato verso di lui. Ma gli occhi erano neri, e la voce che era uscita da quel viso familiare era quella del Legolas di centinaia di anni prima. La voce del bambino che chiedeva dove fosse sua madre. Subito dopo, suo figlio era stato seppellito da una montagna di orchi che avevano dilaniato il suo corpo davanti a lui, che immobilizzato aveva solo potuto distogliere lo sguardo. Non era nemmeno riuscito ad urlare per l’orrore.
Non appena aprì gli occhi ritrovò il rosa e l’azzurro che decoravano il soffitto ad accoglierlo nel mondo reale. Era un risveglio dolceamaro. Sentiva le varie ferite che aveva riportato bruciare la sua carne. Tra i vari graffi e la ferita al braccio sinistro e al fianco destro, quella che aveva al ventre era la più fastidiosa tra tutte.
Per un attimo il re degli elfi osservò quei fiori, poi si rese conto che il torpore lo aveva abbandonato e, per quanto sentisse dolore in ogni parte del suo corpo, era in grado di muoversi.
Fece prima una prova con la mano destra, muovendo ogni dito e respirando il più silenziosamente possibile. Poi passò al braccio e al movimento impercettibile di una gamba, stando attento a non muoversi troppo. Ancora non voleva che la donna sapesse che aveva riacquistato il possesso del suo corpo. Se lo credeva debole, era saggio continuare a fingere di esserlo.
Mosse la testa, girandosi prima verso la parete alla sua sinistra che aveva intravisto già la prima volta che si era svegliato. Era una semplice parete di legno, e sullo spazio in fondo, oltre al letto, una finestra quadrata ornata da fiorellini che non aveva mai visto lasciava passare una grande quantità di luce, che illuminava la piccola stanza in cui si trovava. Alla sua destra, lo spazio libero tra le quattro pareti. Lungo la parete perpendicolare al letto dove si trovava c’era un tavolo ingombro di bende pulite, ampolle e ciotole e fiale con contenuti dai colori e profumi che poteva sentire distintamente. Sulla parete opposta a lui, la porta chiusa che probabilmente conduceva ad altre stanze e accanto ad essa una libreria ingombra di libri e pergamene dall’aria consumata.
Thranduil tornò a fissare il soffitto.
Aspettò per quelle che gli sembrarono ore, con la gola riarsa e un crescente senso di disagio mentre si rendeva conto che era probabilmente stato dato per disperso da giorni. I suoi soldati non avrebbero saputo dove cercarlo. Non sapeva perché, ma aveva la sensazione che il luogo in cui si trovava non fosse così accessibile.
La porta si aprì, ma lui non se ne accorse finché vide un volto spuntare sopra di lui.
Un sorriso si disegnò sulle labbra della donna che lo fissava con entusiasmo.
- Siete sveglio!
Thranduil rimase mortalmente serio. Il sorriso scomparve. La donna aggrottò la fronte.
- Siete rimasto menomato mentalmente? Sapete come vi chiamate? Sapete parlare?
Un’ondata di gelo lo aggredì, nonostante fino a un secondo prima sentisse fin troppo caldo.
Thranduil si alzò di scatto, mettendosi seduto con un rapido movimento che fece urlare di dolore ogni suo muscolo. Ignorò le stilettate di sofferenza che gli trafiggevano il corpo e fissò la donna con espressione impassibile, socchiudendo gli occhi. Lei era indietreggiata di un paio di passi, colta di sorpresa, e aveva gli occhi sgranati.
Le coperte gli erano cadute alla vita e l’aria fredda sulla pelle, lì dove non era fasciato dalle bende, lo fece rabbrividire. Con la schiena dritta come un fuso, i capelli che scendevano lungo il petto e sulle spalle, il re degli elfi manteneva il contegno altero che dimostrava davanti ai suoi sudditi, nonostante fosse ferito e nel letto di una casa sconosciuta.
- Sono domande stupide quelle che fate.
La donna incrociò le braccia, inarcando un sopracciglio con aria quasi offesa. In effetti sembrava molto giovane, la pelle del suo viso era priva di ogni ruga e sembrava sana e morbida. Il re degli elfi approfittò della sua condizione di vantaggio -percepiva il suo imbarazzo nel trovarsi davanti ad un elfo nudo e poco collaborativo nel suo letto- per scrutarla. Era di corporatura robusta, le forme abbondanti nascoste da una tunica verde e dei pantaloni neri. Ai piedi aveva degli stivali macchiati di fango, e i capelli ricci erano raccolti con una fascia rossa sulla nuca. Le macchie rosse che le decoravano le guance erano ancora lì, e il rossore si era diffuso anche lungo il collo.
- Allora, dato che sono così stupide, non dovrebbe essere per voi un problema rispondere.
Si fissarono a lungo, senza abbassare lo sguardo, in una sorta di sfida. Poi, suo malgrado, Thranduil fu scosso da un brivido involontario e dovette chiudere gli occhi mentre afferrava il bordo del letto, per sostenersi.
Le mani della donna gli sfiorarono delicate le spalle, e il re degli elfi non si sforzò di nascondere la repulsione che provava. Dagli occhi socchiusi intravide le labbra di lei muoversi, ma non riuscì a capirne le parole, mentre un velo annebbiava la sua vista. Lo spinse delicatamente giù, e il sollievo che provò nel sentire di nuovo il sostegno dei cuscini sotto alla sua schiena fu immenso.
- Dovete riposare. Chiudete gli occhi, siete al sicuro.
Il re degli elfi le afferrò il polso vicino alla propria spalla, fissandola intensamente. Brividi scuotevano la sua schiena.
- Dove sono i miei compagni? – era così strano parlare senza poter sentire la sua stessa voce. Il silenzio in cui era immerso era assordante. Ma doveva averne la certezza.
Nei lineamenti dell’umana scorse qualcosa che non avrebbe voluto vedere sul volto di nessuno. Compassione.
- Siete solo – lesse.
Thranduil chiuse gli occhi, con una stilettata al cuore.
Così sia, pensò.

L’elfo aveva perso di nuovo conoscenza. Nonostante fosse stato brutalmente ferito e il suo corpo bruciasse per la febbre, era straordinaria la forza che aveva dimostrato di avere nei loro brevi scambi. Asinna bevve un sorso di infuso al miele, osservando il volto pallido e immobile sul suo cuscino. I lunghi capelli che lo circondavano erano talmente chiari da sembrare dalle sfumature argentee, colpiti dalla luce del primo pomeriggio che trapelava dalla finestra. I lineamenti erano affilati, le folte sopracciglia nere aggrottate nel sonno. Era di una bellezza disarmante, ma sapeva che questo non avrebbe dovuto farle dimenticare quanto le creature di quella razza fossero pericolose in realtà.
La giovane strinse le dita attorno alla tazza di ceramica, osservando il mucchio di vesti insanguinate che giacevano ancora ai piedi del letto, dopo che l’aveva faticosamente spogliato e che aveva passato ore a curare e bendare le sue ferite.
Quando era arrivata sul luogo del combattimento non avrebbe mai pensato di trovare qualche sopravvissuto. Aveva avuto la tentazione di scappare, vedendo la quantità di orchi riversi al suolo, membra sparpagliate e i loro grugni mostruosi rivolti al cielo. Ma era suo dovere controllare se ci fossero persone che avrebbe potuto aiutare, e così era stato. Aveva trovato quell’elfo accasciato contro il tronco di un albero. La pozione che era riuscita a fargli bere prima che svenisse aveva rallentato l’emorragia e le infezioni in corso, mentre lei, con le lacrime agli occhi e lo stomaco in subbuglio, ripercorreva la scia dei cadaveri, inginocchiandosi accanto ai corpi degli elfi martoriati per sincerarsi che fossero morti. E così era stato.
Per essere sopravvissuto a quel massacro, l’elfo doveva avere una tempra formidabile. Del resto, anche dalle occhiate furenti che le aveva rivolto, sospettava avesse un caratterino niente male. Ma avrebbe trovato pane per i suoi denti, dato che le doveva la vita soprattutto.
Asinna si alzò e sistemò nuovamente le coperte, prima di chinarsi e afferrare gli indumenti laceri dal pavimento. Era ora di fare un falò.

 Aveva passato il pomeriggio a preparare nuove scorte di unguenti cicatrizzanti e disinfettanti, nonché infusi che potessero rinforzare il fisico debilitato del suo paziente. Mentre la luce del tardo pomeriggio si faceva sempre meno intensa e le ombre degli alberi si allungavano sul terreno davanti a lei, Asinna aveva terminato il proprio lavoro ed era rimasta ad osservare la vallata sotto di lei. Il corso bluastro del fiume si snodava tra folte macchie di abeti e a tratti scompariva sotto al verde delle loro fronde. In lontananza si potevano vedere le case di un villaggio, molto più in basso rispetto all’altura dove il suo rifugio era stato costruito molti anni prima, al centro di una piccola radura in cui in estate fioriva ogni tipo di fiore sgargiante. Dietro alla capanna si alzava una massa rocciosa che si allontanava diventando sempre più alta, fino a che la sua cima si macchiava di bianco. Ma questo molto più in alto rispetto alla sua casa.
Quando i colori perlacei del tramonto sfumarono in un azzurro sempre più scuro si alzò dalla sua sedia a dondolo, raccolse i preparati e rientrò, chiudendosi la porta alle spalle. L’aria calda della stanza le punzecchiò le guance, mentre si destreggiava tra i tappeti e pile di libri sparse in giro. L’ordine non era decisamente il suo forte, ma si era impegnata per togliere ogni gingillo superfluo da terra e rimettere le cose al loro posto o negli spazi vicini, così che quando l’ospite fosse stato in grado di camminare non si sarebbe scandalizzato troppo nel vedere la confusione. Posò tutto sul tavolo rotondo al centro della stanza, accarezzando le foglie della piantina di basilico che svettava al suo centro, poi si avvicinò al camino. Rimestò i ciocchi di legno, per poi afferrare un vassoio dalla credenza accanto e posarvi un bicchiere pieno dell’infuso che aveva preparato, assieme a un piatto colmo della minestra che stava bollendo nella pentola appesa sulle fiamme.
Tenendo tutto su un solo braccio aprì la porta della camera e sospirò di sollievo nel vedere la testa dell’elfo girarsi verso di lei. La fissò con i suoi profondi occhi cerulei, un’espressione neutra sul volto etereo.
- Meno male, stavo considerando se svegliarvi con una padella in testa – commentò allegramente mentre si girava di spalle e chiudeva di nuovo la porta. Si voltò, sorpresa dal silenzio che aveva ottenuto in risposta e inarcò un sopracciglio.
- Come, non mi rispondete? – esclamò.
L’elfo aggrottò le sopracciglia. Il graffio che ne spaccava una si contorse.
- A cosa dovrei rispondere? – la sua voce, come aveva avuto già modo di appurare, era più profonda di quanto si aspettasse, ma c’era una nota remota nella sua voce che suggeriva chiaramente come non appartenesse alla stirpe umana, nel caso improbabile in cui qualcuno non lo capisse dal suo aspetto. Era una voce melodiosa, incantevole, e pericolosa.
- Non avete sentito la mia domanda?
Si sedette sul bordo del letto, ignorando la lieve sensazione di disagio che la attanagliò quando lui le rivolse un’occhiata dall’alto in basso. Anche se in effetti era sdraiato, quindi semmai avrebbe dovuto essere il contrario. Sentì le guance farsi calde.
- No – mormorò l’elfo, evitando per un secondo il suo sguardo. Poi tornò a guardarla.
Asinna si immobilizzò. Mentre parlava, notò che lui le fissava le labbra.
- Oh, questo non va per niente bene. Siete per caso sordo? Non sentite quello che dico?
Lui sbuffò forte, ma la contrazione del petto dovette fargli male, perché una smorfia di dolore gelò il suo viso.
- Vi ho già detto che non vi sento. Continuate a fare domande sciocche.
Asinna alzò gli occhi al soffitto, sospirando irritata.
- Avevate risposto al mio “non avete sentito la mia domanda”. Non vi avevo chiesto se non mi sentiste in generale. Direi che a fare commenti sciocchi siete voi.
Vide la rabbia lampeggiare nei suoi occhi, ma rimase zitto. Asinna indicò il vassoio che aveva appoggiato sulle proprie gambe.
- Ora, potremmo continuare a battibeccare, ma dovete mangiare. Siete rimasto incosciente per tre giorni. Ora, due rapide domande. Se scandisco le parole, riuscite a capirmi bene? E ce la fate ad alzarvi o vi devo aiutare?
L’elfo annuì mentre formulava il primo quesito; in risposta al secondo, espirò lentamente e si alzò sugli avambracci. Con movimenti molto lenti, si alzò finché la sua schiena fu appoggiata alla parete dietro di lui. Anche se non era completamente dritto, la superava di tutta la testa, e Asinna scorse un lampo di trionfo nei suoi occhi vedendola distogliere lo sguardo quando le coperte gli ricaddero sullo stomaco, scoprendogli il petto nudo.
Gli posò il vassoio sulle gambe, alzandosi e afferrandogli la nuca senza troppo complimenti per spingerlo in avanti così da riuscire a sistemargli il cuscino dietro alla schiena. Lo sentì trasalire quando lo toccò.
- Bene – disse, tornando a sedersi sul bordo del letto e guardando il volto pallido e sudato davanti a sé. – Mangiate. Non c’è nulla di avvelenato, se avessi voluto avrei potuto darvi una sostanza letale giorni fa, quindi non abbiate paura. O volete che assaggi prima io?
L’elfo la scrutò per lunghi istanti, mentre il tempo si trascinava lento. Alla fine spinse lentamente la ciotola che conteneva la minestra verso di lei. Asinna aveva previdentemente portato un secondo cucchiaio. Senza dire niente, lo afferrò e lo immerse nel liquido, portandoselo poi alle labbra. Sorbì la minestra senza abbassare lo sguardo.
- Devo bere anche l’infuso?
Il ferito annuì appena. Lei obbedì, poi si alzò.
- Se avete bisogno, basta che mi chiamiate. Il mio nome è Asinna. Dopo cena dovrò cambiare le bende, quindi preparatevi. Farà male.
Thranduil la osservò, mentre se ne andava e richiudeva la porta dietro di sé. Sconfortato, appoggiò la testa al muro di legno e alzò lo sguardo sui fiori che lo sovrastavano, quasi derisori con i loro colori allegri, in contrasto con il suo umore nero.
Doveva riprendersi e andarsene al più presto.

Thranduil rimase sorpreso, suo malgrado, dalla professionalità dell’umana quando bussò alla porta della stanza. La sua testa fece capolino, una cascata di ricci indomiti che penzolavano nell’aria.
- Avete finito?
L’elfo annuì. Con non poco dolore, si era chinato a posare il vassoio vuoto per terra. La donna entrò, con dei drappi neri tra le mani.
- La cena era di vostro gradimento?
Il re degli elfi accennò a un cenno del capo che avrebbe potuto dire tutto e niente. Era restio ad ammettere che era stata deliziosa. Non voleva darle soddisfazione. Di sicuro era perché era da giorni che non mangiava e che il suo palato si era abituato alle cene fredde consumate durante la marcia verso il sud. Il calore della minestra gli aveva dato conforto.
Rassegnata a non ricevere risposta, l’umana si sedette sullo sgabello accanto al letto, fissandolo con i suoi grandi occhi verdi.
- Vorrei procedere a cambiare prima le bende sulla ferita che avete al ventre. È quella messa peggio, quindi vi sembrerà piacevole controllare quelle dopo.
Il ragionamento filava. La donna gli porse la lama di un coltello per tagliare l’estremità della fasciatura, lasciando che fosse lui a farlo. Il contatto con l’acciaio freddo sulla sua pelle gli fece venire un brivido istintivo e il re degli elfi aspettò un secondo prima di lacerare il tessuto con un movimento deciso. Svolse i vari strati, lasciando solo quello meno superficiale alle mani della donna.
Lentamente, tornò a stendersi e osservò il volto della donna mentre si protendeva verso di lui e con un bicchiere d’acqua bagnava la stoffa, per far sì che si staccasse più facilmente dalla pelle. Thranduil trattenne un gemito di dolore, mentre la benda veniva tirata via e l’acqua gli colava lungo il fianco, con un fastidio considerevole. Quando Asinna ebbe finito, approfittò del fatto che si fosse chinata a posare quello strato sporco di sangue per gettare un’occhiata alla ferita. Era stato fortunato, perché se il pugnale dell’orco fosse affondato anche solo di un centimetro in più avrebbe rischiato di non riprendersi. Era un taglio lungo, anche se non molto profondo, che partiva sopra all’osso della sua anca e si inclinava verso l’alto fino a sotto l’ombelico. Il filo intervallava la carne rossastra in un barbarico intreccio, ma i punti erano stati messi con maestra, e probabilmente non gli sarebbe rimasta che una pallida cicatrice.
- Non guardate, potreste sentirvi male – lesse sulle labbra di Asinna.
Non obbedì, ma la osservò mentre puliva con gesti decisi e delicati il sangue rappreso. Quando le sue dita spalmarono un unguento cicatrizzante Thranduil sussultò, nel sentire un improvviso bruciore.
- La foglia di re – disse lei.
Il dolore si fece ancora più intenso, tanto che il re degli elfi afferrò il bordo delle coperte e le strinse con forza, digrignando i denti. Tenne gli occhi fissi sul soffitto, controllando il respiro, finché sentì di nuovo una benda coprirlo.
Probabilmente lei doveva aver detto qualcosa, perché gli schioccò le dita davanti agli occhi.
- Dovete alzarvi.
La aiutò ad avvolgerlo nella fasciatura. Non le avrebbe permesso di avvicinarsi così tanto.
Le ferite al braccio e al fianco erano sulla buona strada per la guarigione. Non sarebbero servite grandi cure, solo pazienza.
Asinna finì di appallottolare le bende e lo guardò, incassando la testa tra le spalle. Thranduil notò che aveva un piccolo neo sotto all’angolo dell’occhio sinistro, sullo zigomo. Gli porse una fiala con un contenuto dal verde chiarissimo.
- Questo è per il graffio che avete in faccia.
Thranduil inarcò il sopracciglio, sebbene gli facesse male.
- Vi ringrazio – disse in tono distaccato, allungando il braccio e prendendo la boccetta dalla sua mano. Lei si strinse nelle spalle e gli indicò un catino con dell’acqua che aveva posato vicino al vassoio entrando nella stanza.
- Vi consiglierei di darvi una rinfrescata. Facciamo passare la notte, domani potrete lavarvi decentemente.
Detto questo si alzò, afferrando vassoio e bende, e uscì dalla stanza.
Il re degli elfi era rimasto impietrito a fissare la sua schiena che si allontanava.
Sta dicendo che puzzo?
 







 
Angolino dell'autrice:
Buongiorno a tutti! O buonasera ^^
Eccomi qui, alla fine. Da molto tempo non pubblico qualcosa, ma l'idea per questa storia mi è saltata in mente all'improvviso, e non ho potuto far altro che assecondare la mia mente che macinava chilometri e mettere tutto per iscritto. 

Non ho molto da dire, solo che spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Spero anche di non aver perso la mano e che la lettura sia stata piacevole e scorrevole, senza troppi intoppi o rallentamenti, e di aver fatto un buon lavoro nell'abbozzare il carattere della nostra Asinna, nonché del regale re di Bosco Atro ;)
Un'ultima cosa: la citazione che spiega il significato del titolo di questa storia è preso da un interessante post di una blogger, vi lascio qui l'indirizzo nel caso vogliate dare un'occhiata: 
https://www.viaggiandosimpara.org/le-piu-belle-parole-straniere/
Se vi va, commentate anche voi, per farmi sapere cosa ne pensate di questa introduzione; se avete una critica da rivolgere o un apprezzamento positivo, sono entrambi più che benvenuti!
Atra esterni' ono thelduin, 
Anna



 
   
 
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