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Autore: milla4    17/03/2020    1 recensioni
Un odore puro e maligno l'aveva rapita, l'aveva fatta diventare qualcosa di orrendo. Un profumo di rose gialle era stata la sua fine.
Storia partecipante al contest “Generi a catena” indetto da Dark Sider sul forum di EFP.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le rose gialle


 
 
 
C’era qualcosa nell’aria che non riusciva a comprendere, un odore di buono come di pulito con aggiunta di qualcos’altro, forse di rose gialle? Sua madre le aveva ripetuto fin troppo spesso che un fiore aveva sempre lo stesso profumo, anche se con colori diversi, ma Jani  non poteva mentire su ciò che il naso percepiva. Si avvicinò al portone di pietra e ambra, il cuore le cominciò a battere senza darle respiro, il cestino con le offerte votive era ancora stretto al petto dal suo braccio, avrebbe deposto il contenuto in alcuni angoli del tempio, nel suo caso soltanto tre. Entrò, le persone erano già sparse su luogo di culto, alcuni avevano due o tre cestini, una donna a sinistra, ne aveva addirittura sei. Pieni di diverse cose in base all’entità da interpellare; Jani si sentì quasi sollevata dal poco bagaglio che aveva con sé. Evidentemente la carestia aveva fatto più vittime di quanto pensasse.
Il Grande Tempio degli Angoli era uno dei templi maggiori della regione, al suo interno si diceva vivessero un’infinità di entità; per alcuni dei, per altri spiriti, per alcuni avi. Ognuno aveva preso possesso di uno spigolo a volte senza mostrarsi mai, ma comunque il loro posto non era stato assegnato: la volontà di un essere superiore non può mai essere comandata. Jani, con le punte dei suoi capelli tinti di rosa era un’evidente adepta del culto degli Amanti; la mantella di lana grezza indicava che adorava uno degli dei della pastorizia, forse quello che talvolta stazionava all’estrema destra del tempio, accanto allo Spirito delle Acque profonde; il mignolo con l’ultima falange tagliata rivendicava il suo essere una protettrice del bosco sacro verso l’estremo oriente del regno di Rohentia. Secondo sua madre, Anosa, erano inutili paccottiglie: era sì una donna del popolo ma l’essere figlia di uno studioso di antichità ne aveva fatto un’inguaribile razionalista.
Jani invece aveva deciso di dedicarvi quasi tutta la sua vita, facendo come tutti, lasciandosi ispirare e chiamare da quanti e più la volessero al loro seguito. Si diresse con solennità verso il primo spirito da adorare, la fragranza di rose gialle le invase prepotentemente le narici facendole quasi girare la testa; era una cosa nuova per lei, era la quinta volta che veniva in quel luogo eppure non aveva mai sentito altri profumi se non quello di erba malata, molto simile ad un limone marcio ma che si diceva purificasse le anime di ogni astante, unica cosa condivisa tra i vari culti. La giovane donna si accasciò su una colonna, mentre un uomo la scavalcava senza guardarsi indietro; c’era qualcosa di sbagliato, forse quel qualcosa non voleva che andasse da Mygy, il Dio delle capre alpine? Non ne capiva il motivo riusciva soltanto a sentire quell’odore che le invadeva il corpo. Jani si gettò a terra, le sue offerte votive si sparsero a terra, ma era nel panico e nessuno sembrava sentire le sue stesse cose. Ognuno si affannava verso la propria postazione per chiedere un aiuto, per ringraziare o per piangere delle morti; i capelli rosa  coprivano il volto affilato della ragazza gli occhi marroni scuro erano semichiusi e non riusciva a vedere nulla, ma continuava a strisciare verso la sua destinazione: il dio l’avrebbe protetta, doveva solo arrivare prima di crollare… un ragazzino inciampò su di lei e l’usò per rialzarsi appoggiandosi alla sua schiena, quando qualcuno le calpestò una mano facendole entrare una punta di metallo nel palmo, gridò con quanto fiato avesse in gola. Piccole gocce di sangue cominciarono a zampillare dalla ferita, poco alla volta un rigagnolo scese dalla mano per dirigersi sul pavimento freddo e umido del tempio, fu soltanto quando lo toccò che il silenzio calò. Qualcosa di sinistro era accaduto, le persone non riuscivano a capire da dove provenisse: essendo un tempio collettivo non c’era nessun sacerdote a governare i vari culti, ci si affidava alle credenze passate di bocca in bocca, di generazione in generazione, ma ogni persona lì presente poteva percepire un cambiamento in atto.
Da ogni anfratto il sibilo di mille serpenti si levò e fanciulla, a terra, batté la mano sanguinante a terra facendo soffocare istantaneamente le persone che le avevano fatto del male. Nessun movimento, non si muovevano le galline votive da sacrificare, i lattanti nelle ceste smisero di lamentarsi, un momento di irreale stupore che venne interrotto dall’entrata in massa di alcune guardie. Gli uomini in armatura prelevarono la giovane che ancora gridava per il dolore, i corpi del ragazzino e dell’anziano che con il bastone l’aveva colpita giacevano per terra, nel viso il terrore per una morte improvvisa; appena Jani fu portava via la bolla si ruppe e l’isteria prese con sé tutta la gente. Pochi devoti rimasero al loro posto, a compiere i loro riti in totale armonia con ciò che era il loro dovere, tutto il resto della folla cercò di catapultarsi verso l’uscita spingendosi, cadendo e imprecando.
 
Una forte sensazione di freddo aveva cominciato a farla tremare violentemente, una guardia senza nome, per compassione, l’aveva coperta con un drappo appena staccato dalle pareti della casa vicino al mulino: nessuno se ne sarebbe lamentato visto che la recente carestia aveva reso quel luogo inutilizzato. «Kerios, vai a chiamare il sacerdote di Bavea… chi serve?» «Il Dio che muta il ferro, mio Signore» rispose prontamente il soldato al suo comandante; Caleno sbuffò «è poco adorato, speriamo che la sua istruzione sia abbastanza per noi».
E pensare che essere mandati a svolgere il turno di guardia al tempio era più una punizione che altro, doveva essere un impegno leggero e senza intoppi e invece sei guardie semplici di cui due reclute e un comandante si trovavano di fronte allo straordinario invece che all’ordinario.
«Pr…»  un debole pigolio uscì dalla bocca di Jani «Come?» Caleno si avvicinò alla bocca di quella strana ragazza «Cosa stai dicendo?» chiese allarmato; «Profumo di rose gialle» furono le parole dette in un soffio prima di perdere conoscenza di nuovo.
Non sapeva quanto fosse rimasta così, la risvegliarono deboli sussurri provenienti alla sua destra; si sentiva come un topo accerchiato da gatti, l’ultima cosa che ricordava era di aver ucciso in qualche modo delle persone e ora era distesa su qualcosa di duro e polveroso con intorno delle guardie che l’avevano senz’altro arrestata. I soldati erano forse più spaventati di lei, suoi coetanei ma ancora innocenti; Jani, si alzò di scatto, la testa le girava e varie parti del corpo erano doloranti per le ferite prese, una mano ferma le afferrò il braccio, un uomo di circa mezza età, dai lunghi capelli rossi l’osservava attraverso delle ciocche unte, dalle incisioni sulla guancia doveva essere un sacerdote di un qualche culto. Le faceva male, la stava stritolando come se volesse conoscerla entrando in lei… di nuovo rose, di nuovo il volto dell’uomo si fece rosso, poi pallido, infine cadde a terra, morto. «Prendetela!» Caleno urlò l’ordine ma nessuno lo ascoltò, erano come impietriti. Jani approfittò della confusione per svicolare e trovare un’uscita e poi giù, verso lo stretto passaggio che collegava alla strada principale.
Doveva tornare a casa, doveva… crollò a terra, le gambe avevano smesso di funzionare, e le ginocchia sembravano molli, troppe lacrime le imbrattarono la stola votiva. Cos’ho fatto? Cos’ho fatto? Si guardò le mani, aveva ucciso tre persone soltanto perché si era sentita in pericolo e solo dopo aver sentito quell’aroma. Qualcosa dentro di lei era arrivato, come un’onda fredda, un monito: è colpa tua, diceva, sono morti a causa a tua. Strinse i capelli con le mani: no, lei non era un’assassina, essendo una donna non poteva nemmeno usare un coltello, erano stati quei maledetti fiori a soffocare quelle persone. Era innocente e doveva cercare un riparo, mise le mani per terra per rialzarsi e si rimise in moto.
Mantia era a circa mezzo chilometro più a sud ed era il punto di stallo per i pellegrini del Grande Tempio, anche lei aveva soggiornato in una delle locande ma questa volta l’avrebbe evitata; mentre camminava trovò un paio di forbici da tosatura abbandonate nell’erba alta, velocemente si avvicinò per recuperarle, si tranciò ciocche di capelli per camuffare la sua appartenenza ad un culto con pochi adepti molto riconoscibili: fili rosati svolazzarono senza senso prima di venire ripresi e nascosti in una buca nella terra, la mantella venne gettata pochi chilometri dopo, il resto era già andato perduto. Era quasi nuda, coperta solo dalla sua tunica, continuava a sentire freddo, non capiva se provenisse dalla stagione o da quell’ansia che era il suo carburante per andare avanti; aveva fame, il culto degli Amanti imponeva il digiuno mattutino prima di andare a onorare il loro dio e ora erano circa otto ore che non toccava cibo, la stanchezza avrebbe presto soppiantato la paura; era distante dalla strada principale, l’erba alta la nascondeva abbastanza bene, forse avrebbe potuto trovare delle bacche dai radi cespugli che ogni tanto incontrava.
Bacche di giada…da bambina ne era ghiotta, il loro color verdognolo era riconoscibile anche al tramonto, con circospezione si avvicinò e a manciate si ficcò in bocca la sua cena. Non erano molte, ma abbastanza per arrivare alla sua meta; questa era la sua unica certezza, cosa avrebbe fatto e cosa avrebbe detto era ancora un’incognita. Dopo nemmeno cinquanta metri, sopra la collina che ne dava il nome, comparve la cittadina di Mantia. All’improvviso una folgorazione.
La donna delle ciliegie! Le avrebbe aperto la sua casa e l’avrebbe protetta, avrebbe dovuto donarle dieci anni della sua vita, ma almeno ne avrebbe avuta una. Durante il viaggio per il tempio alcuni pellegrini avevano parlato di quel luogo: qualcuno era comparso un giorno di cinque anni prima e aveva rilevato la gestione della Casa, chiusa più di trenta anni prima perché pochi volevano avere quel peso. Era un lavoro gravoso, la gente veniva a chiedere protezione assoluta da qualsiasi legge di qualsiasi regno. Oscuro era il perché di quel frutto nel nome, ma era un’istituzione senza origini, c’era sempre stato perché da sempre le persone sono indifese. Cercò di ricordare cosa avessero detto… a destra della bottega del sarto, sempre dritto poi svoltare a destra ancora… al bivio guardare davanti a sé, o qualcosa del genere.
Arrivata davanti a Mantia cadde a terra, esausta, doveva pensare a cosa fare; non esistevano porte secondarie, era un cerchio confinato da una recinsione di basse mura. Jeni si accucciò, qualcuno stava urlando qualcosa che sembravano degli ordini, alzando di poco la testa dal terreno non poteva distinguere bene le persone che stavano correndo nella direzione opposta alla sua ma dai colori che era riuscita a percepire capì che erano guardie… tante guardie.
Forse ce l’avrebbe fatta; aspettò altro tempo, non sapeva quanti minuti o quante ore ma con un ultimo sforzo di alzò e cominciò a correre verso la città. Aveva visto giusto, nessuno era lì a controllare e non si stupì di quanto successo, i soldati di Mantia erano semplici uomini che a rotazione vestivano quei panni, probabilmente le voci del trambusto che aveva causato li aveva attirati e la loro scarsa preparazione non li aveva messi in allarme per il pericolo. Una volta varcato l’ingresso fu abbastanza semplice da trovare il posto, era un vicolo cieco, senza nessun indizio, la porta non spiccava dal muro, stesso colore, stessa incuria; fatti alcuni passi la ragazza notò un qualcosa in rilievo nel muro intonacato di grigio ormai troppi anni prima, senza timore mise la mano. Niente, non una piccola scossa o un dolore, soltanto una parte della parete che si aprì e due braccia che la tirarono dentro. Non comprese nulla di quello che stava accadendo: qualcuno dal volto celato da una maschera cremisi senza occhi, né naso, né bocca la gettò a terra.
«Tu hai richiesto i servizi della Casa e lei ha accettato il tuo pagamento. Morirai quando essa pretenderà che tu muoia.» Jani non vedeva nulla, tranne la sua salvatrice; la stanza era buia, solo una candela rischiarava la dimora. Delle urla si sentirono dal di fuori «Strega, c’è una strega!» tanti voci riunite in una che invocavano la sua morte e un profumo familiare le fece prevedere che quelle persone avrebbero perso la vita in un modo orribile. Nuovamente le sgorgarono lacrime; la figura mascherata le prese il viso tra le mani, accarezzandolo «Mia protetta, non abbandonarti al dolore per morti giuste: i tuoi dei vogliono che tu sia salva. Guarda i loro doni come tali, sei qui ora e sai che nessuno può varcare la porta senza attirarsi la furia di ogni essere che ci osserva… non oseranno mai!» poi passò ad accarezzarle i capelli corti che ancora riportavano accenni di rosa «è la fame quella che li fa parlare e tu sei soltanto un capro espiatorio» poi si alzò di colpo «vado a prepararti della zuppa di coniglio…  ormai ben poche persone vogliono rinunciare ad una parte della loro misera vita per essere protetti e le stanze sono tutte vuote», la donna si girò verso di lei «vieni con me, ti mostro dove starai. Puoi chiamarmi Maschera perché è quello che sarò per te.» la fuggitiva si alzò con difficoltà, era stanca; in piedi poté constatare che l’altra era poco più bassa di lei «Grazie…»
Maschera si voltò impassibile nella sua tonaca scura «Hai pagato il prezzo e non sai quanto sia stato alto.»
Lo stufato era duro e stopposo ma Jani lo richiese per ben tre volte, mangiò senza sosta mentre Maschera la fissava imperturbabile. La mattina seguente trovò la stessa donna che la sera prima le aveva trasmesso uno strano senso di timore ora era vicino l’entrata e tremava senza sosta, il volto svelato. Subito la ragazza si avvicinò, gli occhi della giovane donna erano fissi sul nulla, senza luce nemmeno si poteva dire il loro colore.
Era stata presa mentre era a fare la spesa, sussurrò, un gruppo di persone per la maggioranza giovani garzoni del mercato l’avevano attorniata;  era ridotta ad una larva, i capelli giallo paglia le erano stati strappati, il viso gonfio. Non poté raccontare oltre, un boato le fece sobbalzare; Jani comprese che erano venute a prenderla. Quando le mani le torsero i seni tagliandoli poi con una mannaia da macellaio e la trascinarono sanguinante per strada, l’unica cosa che Jani riuscì a vedere era la tunica dell’altra venire strappata e un uomo dai pantaloni calati prendere la sua Maschera brutalmente: la furia della fame aveva fatto crollare anche i più antichi e inviolabili patti. L’istituzione della Casa delle Ciliegie, un luogo sacro e senza tempo aveva appena esalato i suoi ultimi respiri. Jani fu trascinata vicino alla fonte principale della città, implorò alle rose gialle di aiutarla ma esse rimasero mute; ormai esangue non poteva vedere la sua salvatrice sorridere nascosta dietro una statua a godersi la scena dello scorticamento della donna che più aveva odiato e per cui aveva fatto morire milioni di persone. Il Dio della Vendetta aveva promesso morte e morte ci sarebbe stata.

 Ortia aveva capito che suo marito non sarebbe mai stato suo, che avrebbe sempre aspettato la sua amata anche se era partita già da due anni per un altro luogo, lontano. Aveva sentito le sue carezze false e bugiarde, il corpo unirsi a quello di lei con solo la passione fisica, tuttavia come ricompensa La donna aveva visto suo marito amare loro figlio con una tale intensità da ripagarle gli anni di tristezza; poi quella puttana, era tornata e Seri aveva cominciato ad evitare quello stesso bambino che aveva tanto amato: non vi è virtù così grande che possa essere al sicuro dalla tentazione  Non ci fu niente tra la lui e Jani,  li aveva controllati a vista ma la sola presenza del suo amore perduto aveva reso Seri vuoto e indifferente, quando la vedeva uscire dalla bottega del padre cercava di nascondere il fatto che la stesse osservando, mentre faceva finta di giocare con il piccolo e faceva finta di amarlo; non  parlava con Jeni ma aveva troppe parole da rivolgerle.
Ortia aveva così capito che avrebbe dovuto intervenire, lei non era come gli altri stupidi popolani, lei conosceva il vero Dio, l’unico che si divertiva a vedere i suoi adoratori scannarsi come cani, l’unico che le avrebbe dato quello che voleva, le aveva parlato spesso durante la sua infanzia, le aveva svelato come il mondo potesse essere distrutto da una sola parola pronunciata con l’intento di far del male.

 Amava il suo piccolo Krano, aveva soltanto dieci anni ma sarebbe diventato forte e passionale come suo padre… pianse consegnando il suo corpo privo di vita all’orso che da molti mesi le faceva visita, non le aveva mai mostrato chi fosse in realtà ma lei era certa che fosse Lui; l’animale  spolpò il corpo senza vita, ne strappò le carni: le aveva concesso di ucciderlo in modo più possibile indolore poco dopo suo marito ebbe un incidente e da lì a poco una tremenda carestia decimò la popolazione. Era rimasta sola in casa, nessuno da curare, nemmeno se stessa: lei il suo uomo non l’aveva mai avuto, anche se i sentimenti di lei, seppur offuscati dall’odio erano ancora puri, si ama eternamente tutto ciò che non si può avere. Cominciò a spiare la sua rivale, e con stupore e delizia vide il cuore di Jani rompersi, strapparsi in mille pazzi, lo poteva vedere dal suo viso si dedicò totalmente alla religione, nessun matrimonio come se quegli stupidi riti potessero alleviarle quel dolore che la torturava di notte. Ortia non aveva nessun dettaglio sui piani del Dio, aveva associato l’improvvisa carenza di pioggia per suo conto, difficile però non pensare che dietro quel sorriso sardonico non ci fosse anche quel delitto. Era un dio né buono né cattivo, non aveva morale e pretendeva che anche chi lo adorasse non ne avesse. Venne guidata a trasferirsi e prendere il posto della Maschera opportunamente scomparsa, lo strano potere o dono di Jani era stata un’idea del tutto personale della divinità. Ma le rose gialle, quelle erano la fragranza di Ortia: voleva che la puttana di suo marito finisse con la sua firma.
 
 
 
 

Note: Ciao, innanzitutto ringrazio che leggerà questa storia, e soprattutto Inchiostro e   per avermi dato lo spunto per la storia; la storia dovrà molto faticare visto che è stata iscritta a un contest, ma noi ce la faremo, insieme! Dark sider, è “Generi a catena”: nel mio caso il pacchetto da usare era il Genere Drammatico (su cui non mi sento molto convinta) e un prompt, in questo caso la frase “si ama eternamente tutto ciò che non si può avere”.
a presto
milla4
   
 
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