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Autore: Colpadellestelle_394    17/03/2020    1 recensioni
L'università agguanta con le sue luride mani la tua vita sociale, la frammenta in mille pezzi e poi te la restituisce, ma solo al termine dei tre anni di quello che Park Jimin definiva "un vero e proprio inferno".
Tra le infinite lezioni e le pagine dei libri di letteratura, Jimin non avrebbe mai potuto immaginare che una delle caramelle rubate dalla macchina del suo migliore amico sarebbe stata l'impersonificazione del destino, destino che l'avrebbe spinto tra le braccia del rapper più famoso di Daegu.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
"Sguardi sfuggenti al gusto di cupcake alla fragola"

Se c'era una cosa nella mia vita di cui mai e poi mai avrei potuto fare a meno, quelle erano le caramelle alla fragola.

Me ne sarei accorto giorni, settimane, mesi dopo; quando il sapore mieloso e stucchevole che le medesime lasciavano sulla lingua mi avrebbe ricordato lui, lui e il nostro primo incontro.

Mi guardava con quegli scuri occhi a mandorla che mi avevano fatto perdere la testa per lui, che mai e poi mai avrei immaginato di osservare così da vicino.

I capelli color pece gli decoravano dolcemente le tempie, e il leggero trucco sugli occhi lo faceva sembrare la più meravigliosa creatura sulla faccia della terra; o almeno, questo era quello che io pensavo.

"Tu chi sei?" Ripeté, una volta sicuro che non potessi più spargere la mia saliva in giro per il suo camerino, tossendo.

Perché sì, ero entrato nel suo camerino, e non me ne ero neanche accorto.

"I-io..." Sussurrai, ancora incredulo di cosa la sorte mi aveva spinto ad avere davanti. 
Avrei voluto prendermi a schiaffi finché non sarei stato sicuro di non essere in un sogno, ma i suoi scuri occhi neri che sembravano riflettere il tetro cielo nuvoloso fuori dalla finestra mi diedero tutte le conferme di cui avevo bisogno.

Agust D era davanti a me, e mi stava guardando.

Al mio farfuglio confuso non si scompose più di tanto, piegò le labbra in una linea e fece per prendere il suo telefono.

Osservai le sue mosse con occhi sbarrati, in sacro silenzio. 
La saliva sembrava non voler più inumidire la mia gola, la quale in quel momento mi pareva più arida del Deserto del Sahara.

Si portò il telefono all'orecchio, umettandosi le labbra rosee con la punta della lingua.

"Sicurezza, c'è un--" Lo interruppi con un urlo, quando compresi cosa stava per fare.

"NO, ASPETTA" urlai, gli occhi spalancati e i palmi delle mani rivolti verso di lui.

Mi alzai da terra sotto il suo freddo sguardo, sentendomi intimidito da quella figura.

"Mi sono perso" confessai, puntando lo sguardo sulla punta delle scarpe che neanche vedevo.

Quello sospirò, chiudendo la chiamata senza indugio a chiunque ci fosse dall'altro capo del telefono.

"Questo è il mio camerino" 
Disse con voce piatta, continuando a scrutare la mia figura dalla testa ai piedi.

Istantaneamente incassai la testa fra le spalle, mordendomi le labbra e dondolando sui talloni.

"Scusami, c'era confusione per l'improvviso blackout e..." cominciai, le guance rosse non sapevo se per la vergogna di trovarmelo davanti oppure di raccontare quell' incredibile situazione "e gli occhiali mi sono scivolati di mano"

Pronunciai queste parole piano, con gli occhi che squadravano il pavimento sfocato.

"Non vedo molto senza questi..." Completai, guardando di sfuggita il suo viso.

Egli non disse niente, limitandosi a sospirare un'altra volta e superarmi, chiudendosi la porta alle spalle.

Si fermò all'altra estremità della stanza, sedendosi su quella che presupponevo essere una sedia.

Prese una bottiglietta d'acqua, e buttando indietro la testa bevve sotto il mio sguardo sconvolto. 

Rimasi lì impalato, come se Medusa mi avesse appena rivolto lo sguardo e pietrificato sul posto. 
I pensieri che si affollavano e ingarbugliavano nella mia mente in una una matassa inestricabile.

Rimasi cinque minuti a fissarlo, ancora nel punto in cui sostavo quando gli pochi minuti prima gli stavo rivolgendo parole timide ed esitanti. Lo guardai mentre si stendeva su un divanetto nero e apriva un giornale, cominciando a leggerlo.

Non seppi cosa fare, cosa dire o come comportarmi. 
I primi attimi boccheggiai, pensando che nei successivi istanti m'avrebbe rivolto delle parole. 
Ma quando queste non arrivarono, lasciando intatto quel silenzio che si era creato tra noi, mi ritrovai ad armeggiare con l' orlo della mia maglietta, completamente in pallone.

Avrei dovuto dirgli qualcosa? Chiedergli di prestarmi il telefono per urlare a quel disgraziato di Jungkook di venirmi a prendere? 
No, non potevo. Era un cantante, non poteva prestare il telefono a chiunque.

La parte più sfacciata di me mi esortò ad approfittare della situazione e a chiedergli un selfie, o almeno un autografo. 
Mi piantai i denti nel labbro inferiore.
No, non potevo neanche fare quello. 
Avrebbe pensato che mi fossi inventato tutta quella storia, e mi avrebbe cacciato dalla stanza, impedendomi di assistere per il resto dei miei giorni a un suo concerto.

Cosa avrei dovuto fare allora? 
Sospirai, cercando di raccogliere le idee e capire come comportarmi.

Me ne sarei dovuto andare e basta. 
Avrei affidato il futuro alla sorte, pregando di trovare Jungkook fuori ad aspettarmi con il mio paio di occhiali e il mio telefono.

Mi decisi, non avrei potuto chiedere un favore ad Agust D. Mai e poi mai.

"A-allora io vado..." Dissi con voce bassa e tremante, sperando che il ragazzo dai capelli neri steso sul divano mi avesse sentito.

Credetti di no vista la sua non-reazione nei primi cinque secondi dopo le mie parole.

Ero pronto a sotterrarmi. Correre fuori di lì, cercare il primo pezzo di terreno (non sarebbe importato neanche se quest'ultimo fosse stato lo spazio di terreno destinato alle piante in autostrada), scavarmi una fossa e sotterrarmici.

Ma come sempre, Agust D era pronto a sorprendermi.

"Aspetta" disse semplicemente, abbassando il giornale e guardandomi dalla sua posizione supina.

"Il mio autista sta venendo a prenderti"

E per l'ennesima volta sentii il cuore scoppiarmi in petto

***

"Tu-COSA??" Urlò Jungkook, sbattendo entrambe le mani sul tavolo in legno della cucina di casa mia, incredulo.

Gli scoccai un'occhiataccia, ancora arrabbiato con lui per la sera scorsa, ficcando il cucchiaio in una tazza traboccante di latte e cereali.

Era una domenica mattina soleggiata, e la tempesta della notte prima sembrava aver spazzato via tutte le nuvole scure e minacciose.

"Maledetto..." sibilai, guardandolo di sottecchi dalle lenti del mio vecchio paio di occhiali rossi e rotondi.

Jungkook mi ignorò semplicemente, rivolgendo il suo sguardo incredulo verso mia madre, che intanto metteva davanti a noi un vassoio di muffin al cioccolato fumanti.

"Giuro" disse mia madre, alzando in aria le mani fasciate dai guantoni da cucina natalizi.

"Mi sono stupita pure io quando l'ho visto arrivare a casa con quella limousine nera dai vetri oscurati"

Jungkook battè nuovamente le mani sul tavolo, rischiando di far traboccare la mia tazza di latte.

Lo guardai male, cercando di resistere alla tentazione di urlagli contro e rovesciargli sulla maglia CHANEL il thè alla vaniglia che stava bevendo.

"Non ci posso credere!" Esclamò il mio migliore amico, buttandosi a capofitto sui muffin come se niente fosse.

Erano le fottute 9 di mattina, e Jungkook si era auto-invitato a colazione da me, con la scusa del "ti onoro della mia presenza per scusarmi di averti lasciato al concerto per andare a correre dietro la gonna di una ragazza".

Sperai che mia sorella non si svegliasse così presto dalla sorta di letargo in cui era caduta; ero sicuro di non poter resistere alla pietosa scena di Jungkook che cercava di fare l'Oppa affidabile ed adulto, quando aveva ancora il cervello di un ragazzino di 13 anni.

Ricordai di non avergli ancora detto dell'appuntamento che aveva con mia sorella. 

Ghignai, portandomi una cucchiaiata di cereali alla bocca.

"Cavolo! Jimin dovrei abbandonarti più spesso allora!" Farfugliò con la bocca piena di Muffin, e potei giurare di aver visto il suo bolo di cioccolato.

Feci un sorriso tirato, prima di ingoiare il boccone e rivolgermi al mio migliore amico.

"Invece tu, Jungkook? Com'è andato il tuo appuntamento con Ji-eun?" Sibilai, contraendo le narici in una smorfia.

"Bene! Siamo andati al cinema e poi abbiamo mangiato una pizza" Mi rispose il ragazzo, sorridendomi a bocca scoperta con i denti intrisi dal cioccolato.

Piegai la bocca in una smorfia disgustata, prima di rivolgere nuovamente gli occhi alla mia colazione e borbottare tra me e me insulti rivolti al ragazzo.

"Suvvia Jimin! Non puoi essere ancora arrabbiato con me!" Esclamò Jungkook, facendo in modo che anche mia madre, occupata nel lavare la tazzina del caffè di mio padre, potesse sentire.

"Hai pur sempre 24 anni! Pensavo potessi cavartela da solo..." Quasi urlò, ridendo sotto i baffi.

Bastardo.

"Beh, Jungkook non ha tutti i torti figliolo..." intervenne mia madre, girandosi verso di noi.

"Sarebbe l'ora che prendessi la patente"

E in quel momento giurai che avrei passato la mia prossima ora a tirare Jungkook per le orecchie trascinandolo per tutto il perimetro della casa.

***

L'autobus che portava dalla fermata vicino casa mia fino al Campus era sempre stracolmo.

Borbottai una scusa verso la matricola che stava cercando di accalappiarsi il posto vicino al mio, distendendo le gambe sul sedile di plastica e buttando placidamente il libro di letteratura sulle mie cosce.

"Scusa, devo ripassare" 
Dissi, aggiustandomi quei ridicoli occhiali sul ponte del naso e cominciando a sfogliare il volume, sino alle pagine dedicate a Jacopone da Todi.

Quello mi guardò male in risposta, sussurrando tra se e se quello che alle mie orecchie giunse come un "Nano malefico".

Decisi di non dargli retta.

Dovevo occupare ogni attimo libero a studiare, dopotutto avrei avuto l'esame quello stesso giovedì e il tempo stava per scadere.

"Nacque tra il 1230 e il 1236 da Iacobello" esclamai a voce alta, disturbando un intero autobus di matricole e facendo così notare al ragazzino che stavo davvero ripassando.

" e studiò legge probabilmente all'università di Bologna" continuai, beccandomi un'occhiataccia da parte di un vecchietto, seduto due sedili prima di me.

Qualcuno si schiarì la gola, e io sorrisi da dietro le pagine del mio libro.

"Jimin!" quasi urlò Jungkook dall'altro capo del telefono, cercando di trattenere le risate.

Mi aggiustai l'auricolare nell'orecchio, mettendomi comodo tra i sedili.

"Mi ha detto nano malefico, ti rendi conto?" soffocai un urlo indignato, guardando di sottecchi il ragazzino davanti a me, e notando le mie parole avevano avuto buon esito. Egli si strinse la cartella al petto, incassando la testa nelle spalle, mentre le sue guance assumevano una colorazione simile al bordeaux della sua camicia.

Schioccai la lingua sul palato, soddisfatto, mentre Jungkook esplodeva nell'ennesimo attacco di ridarella di quella mattinata.

"Suvvia! Sarà un ragazzino del primo anno, non essere così duro con le matricole!" pronunciò ad alta voce, sapendo già che le sue parole non avrebbero avuto un buon esito.

"Sì" Dissi con tono aspro, mentre guardavo inespressivo sulle pagine la figura inchiostrata di quel vecchio decerebrato di Jacopone che non aveva avuto nient'altro da fare nella sua vita che dannare la mia.

"Come il caro Seokjin-hyung faceva con me quando ero al primo anno..." 
Sospirai, girandomi verso il finestrino a guardare il paesaggio urbano che 
scorreva sotto il mio sguardo. 
Terribili ricordi dello hyung del corso di letteratura inglese mi invasero la mente come la furia di un fiume in piena, facendomi storcere la bocca in una smorfia di riprovazione.
Ricordai le infinite volte in cui avevo dovuto portargli la merenda -rigorosamente cornetto francese alla panna e caffè all'italiana, sia chiaro – correndo a più non posso per l'intero Campus visto che l'aula di letteratura inglese era completamente d'altra parte rispetto all'aula di scienze umanistiche, in cui io avevo lezione. Ma la merenda era solo uno dei miliardi di incarichi con cui lo hyung mi riempiva le giornate. 
Jungkook sghignazzò, conoscendo bene il modo in cui il me di due anni prima trascorreva le serate, dopo un'estenuante giornata di università.

"Già 'Minie, ricordo ancora quante lacrime versasti sul mio libro di matematica delle superiori, mentre cercavi di aiutarmi con scarsi risultati..."

Tirai su col naso, prendendo il vecchio Samsung bianco di mio padre che non era più grande del mezzo palmo della mia mano e rigirandomelo tra le dita. Avevo dovuto accontentarmi di quello, visto che il mio era chissà dove...

"Ma stai zitto moccioso..." sibilai contro il vetro freddo del finestrino, formando così un alone di vapore su di esso "eri in quarta superiore e non sapevi nemmeno fare 2 + 2, se non ci fossi stato io non avresti nemmeno passato gli esami di metà anno"

"Esagerato!" Esclamò in risposta. Sentii il freno a mano venire tirato e una portiera aprirsi.

"'Minie io sono arrivato davanti la facoltà di Economia, ci vediamo dopo in caffetteria" disse, scendendo dal Pick-up.

"Va bene, a dopo" Annuii, chiudendo il libro di letteratura e cercando di riporlo nella tracolla, insieme agli altri pesanti volumi.

"Ah, Jimin!" Mi urlò nell'orecchio Jungkook, fermandomi prima che potessi staccare la chiamata.

"Potresti mettermi da parte quella torta alle albicocche?" disse piano, mentre io dall'altro capo del telefono alzavo gli occhi al cielo, emettendo un sospiro esasperato.

"Per favore...?" continuò, e dal tono della sua voce potei giurare che in quel momento stesse facendo l'Aegyo.

"Va bene!" sbottai con un finto tono snervato, nascondendo un sorriso.

"Ti voglio bene hyung!" gridò prima di chiudere la chiamata, entrando probabilmente in università, visto il vociare di sottofondo.

"Tsk, hyung quando ti conviene..." bofonchiai, arrotolando le cuffiette di Frozen che avevo trovato nelle patatine intorno al cellulare e mettendomelo in tasca.

Aguzzai la vista, allungando il collo e cercando di vedere dal finestrino se la mia fermata era vicina. 
Ed effettivamente era così. 
Sospirai, mettendo la tracolla sulla mia spalla e preparandomi a scendere.
Un'altra giornata mi aspettava.

*** 

Non pensai più al mio incontro con Agust D. 
Mi ero ripromesso di dimenticare lui e i suoi maledetti occhi, e così avrei fatto. 
Il suo era stato solo un gesto di umanità nei confronti di una persona in difficoltà, niente di più.

Le ore di lezione di filosofia con la professoressa Lee sembravano infinite ed interminabili per via della sua  voce bassa e calma, che ti sfidava senza indugio a cadere in un sonno soave quanto la sua stessa voce.
Le prime volte ero rimasto vittima di quell'affronto, addormentandomi e svegliandomi solamente una volta finita la lezione, con lo sguardo di fuoco della professoressa addosso. 
Ma col tempo e l'abitudine avevo imparato alcuni trucchi del mestiere, come quello di mettere in mezzo alle pagine uno delle più difficile enigmistiche e spremermi le meningi fino ad avere mal di testa per trovare la risposta a quei quasi impossibili quesiti.

Ma fatto stava che finalmente quelle ore si erano concluse, e ora il turno in caffetteria mi stava aspettando.

Presi una boccata d'aria, prima di scendere i gradini della facoltà di Lettere Moderne, così lasciandomi il classico chiasso studentesco alle spalle.

Quella mattina il sole sembrava nascondersi dietro le nuvole, timido, e riflettere sulla piazza del Campus solamente pochi e insicuri raggi di luce. 
Attraversai lo spazio che separava la mia facoltà alla caffetteria, guardando intorno a me la struttura a ferro di cavallo che circondava la piazzetta, formato dai vari edifici dell'università.

Le suole delle mie scarpe calpestavano la pietra grigia, impazienti di raggiungere il piccolo edificio che dava sulla strada principale di Daegu.

Lavoravo lì da poco più di un anno e mezzo, da quando avevo compreso che non potevo caricare sulle spalle dei miei genitori anche la cifra esorbitante dei miei volumi universitari, visto che già i libri di Byul-yi costavano abbastanza. 
Lavorare lì mi metteva tranquillità; non volava una mosca poiché era un luogo di studio alternativo alla biblioteca per gli universitari, c'era sempre la solita musica blouse che piaceva alla proprietaria e non facevo altro che preparare caffè, thè o cappuccini e servire fette di torta o cupcake. 
Certo, la caffetteria non era solamente frequentata da studenti. 
Il locale, nonostante fosse l' edificio incastonato tra la facoltà di ingegneria e quella di design, sfruttava la struttura a ferro di cavallo dell'università, sboccando nel centro di Daegu e attraendo turisti e popolani, che si ritrovavano a raggrupparsi nei piccoli tavolini della caffetteria e gustare dolci leccornie.

Quando entrai nel locale, il solito profumo di torte appena sfornate mi inondò le narici, facendomi istantaneamente spuntare il sorriso sulle labbra.
I faretti led rosa posti sul soffitto illuminavano l'ambiente, donando all'atmosfera tranquilla di quel posto lontano dal caos cittadino un ché di magico e suggestivo. 
Salutai la signorina Jung, sventolando una mano in aria, alla quale lei rispose con un sorriso tutto denti.

"Buongiorno Jimin, sei arrivato!" esclamò lei, sistemando sul bancone un vassoio con la torta alle gocce di cioccolato proprio in quel momento. 
Annuii in risposta, posando la mia tracolla sulla sedia dietro la cassa e avviandomi sul retro per lavarmi le mani nel piccolo bagno rosa.

Una delle cose che avevo apprezzato fin da subito, una volta entrato in quella caffetteria, era il clima pacato e la quiete che l'ambiente trasmetteva a chiunque si addentrasse in quel pezzo di paradiso terrestre. 
Poi, certamente la dolcezza della signorina Jung e dei suoi dolci riusciva a sciogliere qualunque cuore torbido. 
Quella ragazza aveva le mani di fata, non capivo il motivo per cui rimanesse chiusa in quelle quattro mura invece di partecipare a qualche concorso di cucina e lavorare accanto ad un pasticciere famoso in una città ben più grande di quella.

"Spezzerei la tranquillità e la quotidianità di ragazzi come te, che vengono a studiare qui mangiando i miei dolci" Mi rispondeva lei, quando la sera rimanevo ad aiutarla a pulire il locale. 
"E poi non voglio essere ambiziosa, guadagno quanto basta per vivere serenamente e mi piace lavorare qui." Aggiungeva dopo, guardandomi e sorridendo mentre strofinava un panno bagnato sul bancone dove ore prima preparava i suoi cupcake.

La raggiunsi poco dopo, uscendo dal bagno e mettendo i guanti sulle mani, pronto a servire e sistemare i vari dolci secchi negli scaffali.

"Ah, signorina Jung!" La chiamai, quasi dimenticando la richiesta del mio amico.

Ella si girò e io le sorrisi, imbarazzato.

"Jungkook mi ha chiesto se potessi mettergli una fetta di torta all'albicocca da parte, arriverà tra poco..." dissi piano, mentre ella sorrideva dolcemente davanti alle mie guance rosse.

"Ma certo! Stavo proprio per mettergliela io da parte, sapendo quanto ne va matto!" esclamò, dirigendosi subito verso il vassoio della suddetta torta.

Le ore in caffetteria trascorrevano serenamente, avevo preparato tre thè ai mirtilli e altrettanti cappuccini, servito biscotti alle mandorle e cheesecake ai frutti di bosco.

E ora sostavo placidamente sulla sedia di fronte al bancone dei cupcake, scrutando con tranquillità l'atmosfera cittadina del primo pomeriggio fuori dal locale. 
Sospirai, passando la lingua sulle mie labbra e sistemandomi per l'ennesima volta gli occhiali, che sembravano proprio voler scivolare, sul ponte del naso.

Fortunatamente, da quel punto, dietro il bancone e davanti la porta dalla parte della città, sembrava piuttosto arieggiato. 
L'aria condizionata sparata proprio sulla testa mi offriva una pacata pausa dall'afa estiva.

Feci girare gli occhi per il locale, prima guardando le pareti color carta da zucchero, poi le sedie alla francese abbandonate vicino i tavoli, ma, disgraziatamente, i miei occhi caddero sui deliziosi cupcake alla fragola che sembravano invitarmi con lo sguardi.

Mi contorsi sulla sedia, ripetendomi che quei cupcake erano destinati ai clienti, e non a me.

E allora perché diavolo la salivazione nella mia bocca stava aumentando?

Repressi un sospiro frustrato, continuando a divorare con lo sguardo morso per morso quei dolci che sembravano attentare la golosità delle mie papille gustative.

Ed ero così assorto in quella perigliosa lotta contro me stesso, cui ero sicuro avrebbe vinto la parte di me che prediligeva il peccato di gola, che non mi accorsi neanche la campanella attaccata all'estremità della porta, sfociante nella via urbana, emettere il suo dolce tintinnio e la stessa spalancarsi.

Solamente dopo, quando sentii la signorina Jung chiamarmi e vidi due paia di Vans entrare nel mio campo visivo, mi riscossi da quell'attimo di imbambolamento e mi alzai dalla sedia con un sospiro, rimettendomi i guanti che pochi minuti prima mi ero tolto.

Ero ancora nel mezzo di quell'azione, quasi combattendo contro il guanto di plastica destro che le stava proprio provando tutte per non infilarsi, quando una voce rauca mi inondò le orecchie, facendomi gelare sul posto.

"Potrei avere due cupcake alla fragola?" Disse, mentre il respiro mi si bloccava in gola e le mie guance perdevano immediatamente il loro colore roseo.

Alzai lentamente gli occhi verso di lui, cercando tutt'altro che una conferma, perché era assurdo che lui fosse lì, nella piccola e modesta caffetteria della mia università.

Sperai le mie orecchie si fossero sbagliate, perché se così non fosse stato il mio cuore avrebbe nuovamente cominciato a battere speranzoso in qualcosa che non sapevo nemmeno io.

Ma quando incastrai le mie pupille nelle sue, ebbi la mia non-voluta conferma. Sentii una sensazione familiare salire fino al petto e cominciare ad ardere proprio al centro di questo, il cuore cominciare a pompare sempre più forte e le mie vene venire investite dalla furia del sangue, che scorreva violentemente nelle medesime.

Agust D, con gli occhi sfuggenti ombreggiati da un cappellino nero, non resistette molto al mio sguardo scioccato, che sembrava non volersi schiodare dalle sue pupille.

Nonostante la sua mascherina stesse lì a nascondergli la bocca e buona parte del naso, riuscii a notare le sue guance che, a differenza delle mie totalmente sbiancate, assunsero una velata sfumatura rosea.

Schiodò gli occhi dai miei, continuando a vagabondare con lo sguardo per il locale, sotto lo sguardo ignaro degli altri clienti e della signorina Jung.

Alla fine, dopo che ebbe ispezionato a fondo il colore del muro dietro di me, (così tanto che temetti avesse scoperto del viola che prima ricopriva quelle pareti), e il bancone dei dolci fino all'ultima prelibatezza, si schiarì la gola, puntellandosi sui piedi.

"Allora, questi cupcake?" 




P.S: Apprezzerei sapere che ve ne pare <3 <3 xoxoxoxo

   
 
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