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Autore: Dalybook04    18/03/2020    1 recensioni
Storia scritta per il contest Home sweet Home indetto dalla pagina facebook Axis Power Hetalia - Italian Fans.
(Raiting giallo solo per il linguaggio colorito di Romano)
Dal testo:
"Si ricordò di quando, da piccolo, se era triste o aveva nostalgia di casa, Antonio si ritagliava sempre un po' di tempo per stare con lui, non importava quanto fosse occupato con i suoi affari da nazione, e insieme preparavano dolci a volontà: crema catalana, churros, pan di Spagna, tapas dolci, ma anche dolci italiani, come struffoli, scrippelle fritte, pastarelle lucane, cartellate e chi più ne ha più ne metta. Si ricordò quei dolci sapori che gli si scioglievano in bocca, togliendogli ogni malumore; ricordò le ore passate a impastare, a mescolare, l'invidia provata verso il più grande perché poteva usare quello strumento magico chiamato forno, il tempo passato davanti ad esso ad osservare le paste cuocersi e lievitare..."
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per il contest Home sweet Home indetto dalla pagina Axis Power Hetaliaa - Italian Fans
Coppia: Spamano
Prompt: Dolci e Dessert 
Parole: 2945


Per quanto Romano amasse la cucina del suo paese, in certi momenti era disposto a rinunciarci. In effetti, per colpa, o forse dovremmo dire per merito, di quello spagnolo bastardo, aveva scoperto di essere disposto a rinunciare a molte cose.
Quella mattina era stato svegliato presto, alle undici del mattino, un orario indecentemente mattiniero per lui, proprio da Antonio, e dal richiamo insistente del campanello.
Spagna, dal canto suo, era stato accolto da una quantità di insulti e bestemmie che, se lui fosse stato ancora il padrone di Lovino, sarebbero valse al più giovane una lavata di bocca con il sapone e almeno due ore a recitare degli Ave Maria inginocchiato sui ceci.
O almeno, gliele sarebbero valse se Spagna fosse stato un padrone severo, cosa che non era mai stato in secoli di dominazioni, o almeno non con Romano. Il meridione era sempre stato la sua colonia preferita, l'unica che trattasse con un po' di umanità: l'unica prova, nei momenti più duri, che in lui ci fosse ancora un minimo di pietà, e neanche con lui fu sempre giusto, ma severo? Severo non lo era mai stato, o almeno, non ci era mai riuscito: con il suo caratterino, fin da piccolo Romano gli aveva sempre tenuto testa alla perfezione, troncando sul nascere ogni suo tentativo di dargli un'educazione quantomeno decente, tanto che aveva rimunciato praticamente subito.
Be', si raccoglie quel che si semina, si disse lo spagnolo interrompendo il fidanzato a metà di una bestemmia particolarmente creativa (qualcosa riguardo a San Gennaro, una piscina, dei crucchi e una capra, per chi se lo stesse chiedendo).
-Lovinito! Ti ho portato una cosa.
Lovino, che aveva averto la porta solo perché aveva visto dallo spioncino che si trattava del suo ragazzo, grande dimostrazione d'amore da parte sua, a quelle parole si convinse persino a lasciarlo entrare. E che non si dica che non fosse un fidanzato amorevole e premuroso.
-spero per te che mi piaccia- brontolò buttandosi sul divano e guardando lo spagnolo con una certa curiosità negli occhi ambrati, ben celata dall'aria di scocciato menefreghismo che lo aveva sempre contraddistinto.
In quel momento, Spagna realizzò quanto la sua idea fosse pericolosa, ma non si lasciò scoraggiare.
-la settimana scorsa, Francis ha deciso di insegnare ad Arthur a cucinare qualche piatto tipico francese...- cominciò, sudando freddo e omettendo il fatto che il francese fosse stato costretto a farlo per una scommessa persa con Gilbert.
-sbaglio o è finito all'ospedale per un'intossicazione alimentare?- lo interruppe Romano inarcando un sopracciglio.
-sì ma tu eres migliore de Inglaterra a cocinero!
Romano, che sapeva che Spagna tendeva a aggiungere parole nella sua lingua madre quando era nervoso, si insospettì.
-che hai in mente?
-pensavo di cucinare insieme...
-oh, pensavo peggio.
-...qualche dolce spagnolo.
Romano rimase in silenzio per un po', valutando se lanciare lo spagnolo giù dalla finestra o se spedirlo fuori a calci.
Poi però si ricordò di quando, da piccolo, se era triste o aveva nostalgia di casa, Antonio si ritagliava sempre un po' di tempo per stare con lui, non importava quanto fosse occupato con i suoi affari da nazione, e insieme preparavano dolci a volontà: crema catalana, churros, pan di Spagna, tapas dolci, ma anche dolci italiani, come struffoli, scrippelle fritte, pastarelle lucane, cartellate e chi più ne ha più ne metta. Si ricordò quei dolci sapori che gli si scioglievano in bocca, togliendogli ogni malumore; ricordò le ore passate a impastare, a mescolare, l'invidia provata verso il più grande perché poteva usare quello strumento magico chiamato forno, il tempo passato davanti ad esso ad osservare le paste cuocersi e lievitare; i disegni, o forse sarebbe più corretto dire gli scarabocchi, fatti con la glassa, le proprie manine unte e ricoperte di zucchero, il puntino sul naso che Antonio gli lasciava sempre con l'impasto e che lui era troppo basso per restituire, la soddisfazione nel imitare l'altro una volta arrampicatosi sul tavolo e l'orgoglio nel vedere il più grande gustare i dolcetti preparati insieme.
Ricordò le ore passate a cucinare, da solo, sporcandosi con la farina e chiedendo aiuto a Belgio per usare il forno e i fornelli, la fatica nel girare e mescolare con strumenti troppo grandi per le sue manine paffutelle, i rimproveri per le macchie sul suo vestito, e il tutto per accogliere Spagna, quando ritornava dai suoi lunghi viaggi, con qualche dolcetto, per rendere il suo ritorno più lieto. Ricordò le notti insonni, magari per colpa di qualche incubo: ricordò come andasse sempre a introfularsi nel letto del più grande, si nascondesse tra le sue braccia calde, grandi e forti, e giurasse mentalmente che, un giorno, sarebbe stato di nuovo con suo fratello, e insieme sarebbero stati una nazione grande e forte. Ricordò come, quelle notti, giurasse a sé stesso che, un giorno, sarebbe stato abbastanza alto da fare a Spagna un puntino sul naso con l'impasto senza bisogno di arrampicarsi sul tavolo. Ricordò come spesso fingesse di avere un incubo solo per dormire con l'altro, nonostante non l'avesse, e non lo avrebbe, mai ammesso ad alta voce.
Ricordò le notti passate in bianco mentre l'altro era in viaggio: erano fredde, e in quei periodi solitari si nascondeva sempre qualche dolcetto sotto il cuscino, così da poterli mangiare la notte e tenersi al caldo. Ricordò che, al ritorno del più grande, non si faceva vedere per tutto il giorno, e gli teneva il broncio per essere stato via tanto a lungo e averlo abbandonato così; eppure Antonio era certo che, tornando nella sua camera, avrebbe trovato qualche dolce con sopra degli scrabocchi di glassa, così come era certo che la notte l'avrebbe trascorsa con il suo piccolo Italia tra le braccia.
A quei ricordi, sul suo viso comparve un sorriso dolce, e gli sembrò quasi di sentire quei dolci sapori in bocca, ma senza quella bruciante solitudine e quel senso opprimente di impotenza e sottomissione. Così si alzò dal divano, lasciò un piccolo bacio sulla guancia del suo ragazzo, che già si stava preparando a essere preso a pugni, e gli accarezzò una guancia.
-e va bene. Che volevi cucinare?
-cosa?!
-ho detto che va bene, sei sordo?- prese il sacchetto del supermercato dalle mani dello spagnolo e si diresse in cucina. Sul volto di Antonio si aprì un enorme sorriso, e si affrettò a seguire il suo Lovinito.

Romano sistemò gli ingredienti sull'enorme tavolo della cucina e andò in bagno a lavarsi le mani e i denti.
-Antò, non toccare niente e lavati le mani, non voglio mangiare la sporcizia delle tue unghie!- gli urlò sciacquandosi le mani.
-va bene, querido- Antonio, dopo essersi tolto la giacca, raggiunse l'altro in bagno.
-ehi! non si usa bussare? Avrei potuto essere nudo.
-non mi sarebbe dispiaciuto, Lovi.
Arrossendo, Lovino gli tirò uno schiaffo sulla spalla e si voltò per asciugarsi le mani. Lo spagnolo lo abbracciò da dietro -dai, tomatito, come se non ti avessi mai visto nudo- gli lasciò un bacio alla base del collo, facendogli venire i brividi, e lo fece girare per guardarlo negli occhi, con un enorme sorriso in volto. Romano, sempre più rosso, gli avvolse le braccia intorno al collo, nascondendo poi il suo sorriso contro la sua spalla. Rimase per qualche minuto così, sospirando per le carezze che l'altro aveva cominciato a fargli lungo la schiena, al di sotto della maglia del pigiama (maglia che aveva rubato allo spagnolo stesso, tra l'altro, e che non aveva la minima intenzione di restituire).
-querido...
-mh?- mugugnò Romano con tono scocciato e rialzò la testa, trovandosi così il volto vicinissimo a quello dell'altro.
-non mi hai ancora dato un bacio come si deve- si lamentò il più grande avvicinandosi ancora. All'ultimo, Lovino abbassò la testa, così la bocca di Antonio finì a baciargli la fronte.
-Lovi! Fatti baciare, dai.
-non mi sono lavato i denti, bastardo- replicò Lovino, sgusciando via dal suo abbracciò -ora vai fuori e aspetta lì!
-ma...
-FUORI.

Quando Lovino uscì dal bagno, trovò l'appartamento vuoto. Cercò l'altro ovunque, ma sembrava scomparso.
-dai, bastardo, non è divertente- urlò esasperato -vieni fuori!
In quel momento, da bravo bastardo quale era, Antonio uscì fuori dal suo nascondiglio dentro un armadio e saltò sulle spalle del suo ragazzo, facendolo cadere sul divano, e scoppiò a ridere.
-brutto bastardo!- gli urlò, dimenandosi sotto al suo peso fino ad afferrare un cuscino: l'arma perfetta. E così cominciò a colpirlo, ripetutamente, ridendo come un bambino, mentre l'altro ancora lo stringeva tenendolo per i fianchi.
-mollami, stronzo!- gli urlò, senza crederci neanche lui. Il suo ragazzo lo strinse più forte, rispondendo alle sue cuscinate con tanti baci: sulle guance, sul naso, sulla fronte, sui capelli spettinati, sul collo, sulle palpebre chiuse, sulla mano che Lovino, rosso in viso, gli aveva premuto sulla bocca per farlo smettere e allontanarlo da sé. Baci piccoli, innocenti, infantili direi. Baci che ricordavano la loro infanzia, quando erano ancora piccoli e finivano a giocare alla lotta insieme, o Antonio cercava di essere affettuoso con lui e, approfittando della statura maggiore, lo inchiodava sul letto per abbracciarlo e riempirlo di buffetti e bacini, finendo sempre per trovarsi qualche livido e un Romano imbronciato e scontroso, e allora l'unico modo per fargli tornare il sorriso era comprarselo con qualche dolcetto o qualche pomodoro. Antonio amava il sorriso che allora spuntava sul viso del meridione: vedendo lo spagnolo arrivare con le braccia cariche di dolci e/o frutti rossi e invitanti, gli si illuminavano gli occhi, e sul viso ancora dai tratti morbidi e paffuti spuntava un sorriso così spontaneo e naturale, così da bambino, da far sciogliere il cuore a chiunque. In quei momenti, con quei sorrisi, Romano sembrava un bambino qualsiasi, come se il mondo si fosse dimenticato che lui fosse una nazione e di Romano fosse rimasto solo Lovino, e che quindi il piccolo Italia si fosse concesso finalmente qualche momento senza il tipico cipiglio imbronciato: forse cercava di convinversi di essere un normale bambino, forse cercava di somigliare di più a suo fratello o, più probabilmente, neanche ci pensava, e forse per questo quei sorrisi erano così belli e speciali. Oppure erano vere tutte e tre le cose, ma l'italiano ne era totalmente all'oscuro, non ci faceva caso o non ci dava peso: in fondo, era solo un bambino davanti a un piatto di dolcetti, a cosa altro avrebbe dovuto pensare?
-bastardo, hai intenzione di toglierti o rimarremo qui a non fare un cazzo tutto il giorno?- sbottò Romano, e lo spagnolo si riscosse. Notò allora che il suo italiano lo stava guardando confuso, la solita smorfia di scazzo dipinta sul viso, il sopracciglio inarcato e le guance rosse, ipotizzò per la "lotta" che aveva cominciato. Ma si sbagliava, Romano era rosso per tutt'altro motivo: a un certo punto, ripensando a quando erano bambini, Antonio si era incantato e aveva preso ad accarezzargli distrattamente i capelli, le guance, le labbra, con uno sguardo così intenso, adorante e innamorato da metterlo in soggezione e farlo arrossire come una quindicenne innamorato ma, Dio, quegli occhi verdi lo guardavano in un modo che gli aveva fatto contorcere lo stomaco e infuocare le guance: come se fosse l'unica persona sulla Terra e al tempo stesso fosse il più speciale tra miliardi e miliardi di persone; quello sguardo lo aveva fatto sentire nudo, impotente e al sicuro; e per un po' si era sentito come se, in fondo, non fosse poi un fallito come credeva e aveva sempre creduto, perché se davvero era riuscito a meritarsi due occhi del genere tutti per sé da qualcuno come Antonio, allora qualcosa di buono doveva avercelo persino lui; forse, alla fin fine, non era terribile come il mondo credeva, perché se lo spagnolo, pur conoscendolo così bene, pur avendo sopportato lui e il suo carattere di merda per così tanti secoli, nonostante tutto aveva continuato ad amarlo e a guardarlo così... be', allora qualcosa di buono doveva pur avere, no?
Romano si riscosse dai suoi pensieri sentendo il bacio che l'altro gli aveva stampato sulla fronte, unito alla carezza lasciata per scostare i capelli da essa: gli stessi che gli lasciava quando era piccolo, dopo la favola della buona notte, come premio per quando faceva qualcosa di buono, come saluto per quando andava e tornava da qualche viaggio o, semplicemente, quando ne aveva voglia, sorridendogli e sussurrandogli poi, con tono affettuoso, un "che bravo il mio piccolo Romano", o un "che carino il mio piccolo Romano", o, ancora, "ciao, mio piccolo Romano, ci vediamo tra sei mesi". Aveva fatto lo stesso anche dopo l'Indipendenza italiana, quando il Sud Italia aveva smesso di essere suo: Romano era cresciuto, e non aveva avuto bisogno di inginocchiarsi, solo di chinare leggermente la testa; gli aveva sorriso con gli occhi velati di lacrime, e gli aveva sussurrato: "addio, mio piccolo Romano: hola, Italia". Romano si era voltato ed era corso da suo fratello per nascondere le guance bagnate di gioia, orgoglio e tristezza, giusto in tempo per non vedere il sorriso caldo dello spagnolo sporcato e bagnato di lacrime.
E anche lì, secoli dopo, su un divano, nel mezzo di un pomeriggio tranquillo, Antonio aveva fatto dopo quasi due secoli la stessa cosa, ma questa volta gli aveva sussurrato un "ti amo, mio Lovinito", e si era alzato, andando in bagno con la scusa del lavarsi le mani per nascondere gli occhi, lucidi a quei lontani ricordi, al suo ragazzo.
Lovino sorrise, asciugandosi una lacrima di gioia, tristezza e amore con una mano. Rimase lì ancora un istante, gli occhi luminosi come un bambino con davanti dei dolcetti, con ancora il profumo delle terre della Spagna a circondarlo: sole, terra, mare, sudore e pomodori, insieme a quel qualcosa di cui ancora non aveva capito l'origine, ma che identificava come il profumo di Antonio; non di Spagna, solo di Antonio.
Poi si alzò raggiunse il suo bastardo in cucina, prendendogli la mano, ma non come un bambino che cerca supporto, bensì come un amante che stringe a sé il suo amato: perché, in fin dei conti, questo era.

-bastardo! Dove hai cazzo messo lo zucchero?
-sul tavolo, querido, dove è sempre stato.
Brontolando qualcosa, tanto per mantenere la sua reputazione e non ammettere che l'altro avesse ragione, Lovino prese lo zucchero incriminato e lo sparse sul dolce.
Poi, mentre il più grande puliva il tavolo, Romano fece un sorriso malandrino, immerse il dito nella ciotola con dentro l'impasto avanzato e nascoste le mani dietro la schiena con aria innocente.
-bastardo?- lo chiamò avvicinandosi alle sue spalle.
-dimmi querido- Antonio si voltò e avvicinò l'altro a sé allacciandogli un braccio intorno alla vita.
-ti ricordi che prima mi avevi chiesto un bacio?- Lovino fece un sorriso dolce e si sporse verso di lui; tuttavia, quando l'altro fece lo stesso ed erano così vicini da sentire il respiro dell'altro direttamente sulle labbra, Romano allungò il dito e sporcò spalmò l'impasto sul naso del più grande, scoppiando in una risata cristallina e anche un po' infantile.
-ma che... Lovi! Non si fa- esclamò ridendo la povera vittima, tenendolo per la vita nonostante l'altro cercasse di scappare -mi costringi a punirti.
-sembri un marito violento- commentò Romano.
-non siamo ancora sposati- replicò Spagna stringendolo di più a sé e baciandogli la nuca. Lovino si paralizzò.
-aspetta, cosa intendi con "anco...
-solletico!- lo interruppe Antonio solleticandogli i fianchi, e sorridendo nel sentire di nuovo quella risata cristallina, sebbene con una leggera punta di panico.

Alla fine, avevano preparato dei churros e degli struffoli da usare come dessert, mentre per pranzo Romano aveva insistito per cucinare qualcosa della sua cucina, e avevano optato per della carbonara. Verso l'una, perché ci avevano messo una vita a preparare tutto, tra Lovino che faceva il precisino nel seguire la ricetta alla perfezione e Antonio che non teneva le mani a posto, riuscirono a finire di cucinare. Dopo aver sistemato e dopo la "guerra del solletico", si sedettero a tavola, e Romano volle recitare la preghiera (un po' inutile dopo tutti i santi che aveva tirato giù quella mattina, tuttavia lo spagnolo si vide bene dal farglielo notare).
Una volta pranzato, si sedettero sul divano, con i dolci preparati in una ciotola e un film alla tv. Lovino, addolcito da quel pomeriggio passato in cucina e dai ricordi del passato, non esitò ad accoccolarsi tra le braccia del suo ragazzo, la ciotola in grembo e il sorriso in volto. Misero Cars 2, sia per tornare un po' bambini, sia perché lo conoscevano praticamente a memoria e non avevano bisogno di stare attenti, così che poterono passare il pomeriggio a scherzare e a coccolarsi, mangiando i dolci che avevano preparato insieme.
-ehi, Lovinito, facciamo come Giappone!- Romano, che stava insultando l'auto italiana ("io non sono così sborone e non parlo in modo così insopportabile"), si voltò verso il suo ragazzo, trovandosi davanti una visione tra il comico e l'erotico. Con quel "come Giappone", evidentemente lo spagnolo si riferiva al gioco dei pocky, peccato che, invece del bastoncino, Antonio avesse usato l'unica cosa a sua disposizione: un churro. L'ultimo, tra l'altro. Vedendolo così, con parte del dolcetto tra le labbra e gli occhi pieni di aspettativa, Lovino non sapeva se scoppiare a ridere o imbarazzarsi. Optò per la prima, girandogli il volto con una mano mentre rideva.
-idiota- lo apostrofò stampandogli un bacio sulla guancia.
-io shono sherio- bofonchiò lo spagnolo voltandosi verso Lovino, sempre con il churro in bocca.
-pff, e va bene- Romano si sporse verso di lui e diede un morso al churro, poi, con le labbra sporche di zucchero, tolse il dolce dalla bocca del suo ragazzo, anch'esso con le labbra zuccherate, e lo baciò.
E quello fu senza ombra di dubbio il bacio più dolce di tutti i tempi.
   
 
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