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Autore: Nope1233    19/03/2020    0 recensioni
Cosa porta un essere umano a perdersi nei meandri della propria mente?
Può l'unica persona al mondo di cui ti fidi toccare il fondo senza che tu abbia modo di salvarlo?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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T/N's POV

 

Compresi che era ormai mezzanotte quando udii il pendolo annunciare l'ora dal piano inferiore mentre io, seduta in un angolo tra lo sporco della stanza, osservavo la pioggia cadere oltre la finestra. Non sapevo quantificare quanti giorni erano passati dal mio arrivo in quella casa, ma i pasti che mi erano stati dati dai due proprietari di quella specie di orfanotrofio si potevano contare sulle dita di una mano. Il pensiero che più mi offuscava la mente era riguardo a quanto avessi fame, ma non potevo fare più di tanto purtroppo; entrare anche di nascosto in cucina era assolutamente fuori discussione.

Avevo anche tentato più volte la fuga, ovviamente senza successo e ci avevo guadagnato solo violente percosse da quelli che avrei dovuto chiamare nuovi genitori. Dicevano che i miei zii stavano tentando di tenermi lontana da casa pagando loro una somma fissa ogni mese, cosa che i parenti dei ragazzi che erano finiti in quel posto prima di me non avevano fatto. Mi chiedevo perchè i miei famigliari non avessero dato ordine ai due direttori dell'orfanotrofio di uccidermi direttamente e non riuscivo mai a trovare una risposta soddisfacente.

Persa come ero nei miei pensieri, per poco non mi accorsi della porta di ingresso che veniva aperta e richiusa violentemente seguito da un chiacchiericcio di quelli che riconobbi come la coppia che gestiva l'orfanotrofio, ma udii benissimo oltre ai loro altri passi molto più leggeri.

Iniziarono a salire le scale che conducevano alla soffitta impolverata dove mi trovavo e rimasi immobile al mio posto voltando unicamente lo sguardo nella loro direzione.

Un bambino, che ad occhio e croce aveva la mia stessa età, venne spintonato dall'uomo e cadde rovinosamente a terra. La prima cosa che mi colpì fu il suo corpo: l'interezza della sua pelle era coperta di bende e venni subito incuriosita da questo elemento più che particolare.

"Fate i bravi, voi due. Non voglio sentire un fiato." disse l'uomo con tono seccato prima di scendere nuovamente le scale e sparire al piano inferiore.

Cadde il silenzio e riuscii ad udire dei leggerissimi singhiozzi provenire dal corpo del ragazzino ancora tremante riverso sul pavimento freddo. Mi avvicinai a lui lentamente non volendo spaventarlo e per quegli interminabili secondi parve non accorgersi di me. Gli sfiorai la spalla ed il bambino si ritrasse scattando seduto ed avvicinando la schiena al muro mentre un forte terrore gli segnava il volto.

"Ehy..." dissi cercando di usare il tono più rassicurante possibile. "Va tutto bene. Non voglio farti del male. Come ti chiami?"

I suoi occhi scesero lungo tutto il mio corpo, probabilmente per assicurarsi che quello che avevo appena detto fosse vero, poi con mio enorme piacere notai che con il passare dei secondi il suo respiro si stava man mano regolarizzando.

"I-Isaac...Mi chiamo Isaac." disse asciugandosi gli occhi con il dorso della mano.

"Io sono T/N. Mi dispiace davvero molto che tu sia finito qui."

Il bambino non rispose e pensai che fosse meglio lasciargli il suo spazio, così mi rimisi a sedere al mio posto e tornai ad osservare oltre la finestra.

Passarono svariati minuti mentre saltuariamente buttavo l'occhio verso Isaac per vedere come stesse e notai che sul suo viso prendeva forma un'espressione sempre più seria, come se avesse preso consapevolezza di quello che stava succedendo e della sua impotenza al riguardo.

Entrambi trasalimmo quando udimmo chiaramente la porta del piano inferiore aprirsi ed il bambino scattò in piedi allontanandosi dalle scale e posizionandosi al mio fianco.

Non udimmo parola, solo un tonfo dovuto a qualcosa che cadeva a terra dall'altra parte della stanza e la porta chiudersi nuovamente.

Sapevo cosa voleva dire quel suono e mi avvicinai alla zona dove si era sentito il rumore per controllare. Un pezzo di pane poggiava sulle assi del pavimento e lo raccolsi avvicinandomi al ragazzo.

"Temo che questa sia la nostra cena." dissi.

Gli occhi di Isaac passarono più volte tra i miei e il pezzo di pane e compresi immediatamente quello che il suo sguardo voleva trasmettermi. Strappai un angolino della pagnotta e porsi al bambino la restante parte.

"Tieni, è tutto per te." dissi sforzando un sorriso. "A me basta questo."

Isaac non se lo fece ripetere due volte e mi strappò il pane di mano per poi darmi le spalle ed iniziare a divorarlo selvaggiamente, pareva che anche lui non mangiasse da giorni. Tornai a sedermi a terra e deglutii il mio misero pasto mentre osservavo quel bambino così sofferente ingurgitare la restante parte della pagnotta.

Passarono i giorni e riuscii man mano a conoscere meglio quel bambino tanto pragmatico, potrei osare dicendo che diventammo addirittura amici. Escluso il giorno del suo arrivo, io e Isaac dividemmo equamente il cibo ed iniziammo a dormire uno di fianco all'altro per scaldarci durante le freddi notti in quella soffitta. Ad entrambi toccarono i lavori più ingrati in quelle lunghe giornate; tagliare la legna, tirare a lucido i pavimenti, il bagno ed ordinare ogni angolo della casa e del magazzino. Se venivamo scoperti a non lavorare, a lamentarci o anche solo a parlare tra noi venivamo immediatamente percossi e riportati all'ordine.

Man mano che il tempo passava, sentivo che dentro di me stavano iniziando a dissolversi un'infinità di sentimenti e ricordi che erano riusciti a tenermi in vita fino a quel giorno e me ne preoccupai. Non volevo farmi inghiottire da quell'oscurità invadente che, ogni volta che arrivavo sul punto di piangere, mi gridava che non importava, che dovevo lasciar andare ogni tipo di sentire in modo da poter continuare quanto meno a respirare. Ma non era quello che volevo, sapevo che la vita poteva essere molto più di quello.

Vivere in quella casa era un incubo, ma la sofferenza più grande era essere costretta ad osservare quel bambino così gracile dover subire tanta violenza. Ogni volta che veniva usato, umiliato e picchiato era come se qualcosa dentro di lui si spezzasse sparendo nel nulla; non potevo che soffrirne per questo.

Durante una di quelle lunghe giornate avevo guadagnato una profonda ferita sulla fronte dopo essere stata spintonata contro lo spigolo di un mobile da colei che avrei dovuto chiamare madre dopo che si era accorta che non avevo pulito a dovere un angolo del bagno. Avevo subito provato a rimediare al mio errore ma la donna non era comunque riuscita a perdonarmi e venni sbattuta nella soffitta senza aver modo di mangiare l'unico pasto decente che ci era stato promesso quella stessa mattina.

Piansi tanto, non tanto per il dolore fisico ma per quello dovuto all'umiliazione e all'impotenza. Non avevo idea di come gestire quella situazione, nè tanto meno di come uscirne.

Dopo parecchi minuti udii la porta aprirsi e dei passi leggeri salire le scale. Mi asciugai le lacrime in fretta e furia e, una volta alzato lo sguardo, vidi Isaac osservarmi con aria apatica fermo all'inizio dei gradini e con un secchio d'acqua stretto tra le mani.

"E-Ehy!" dissi ostentando un sorriso. "N-Non hanno picchiato anche te, vero?"

Il bambino non proferì parola e si avvicinò a me per poi inginocchiarsi a terra. Mise poi le mani in tasca e ne tirò fuori una manciata di biscotti mezzi sbriciolati porgendomeli.

"E' tutto quello che sono riuscito a rubare." disse a testa bassa. "Ti chiedo scusa..."

"C-Cosa stai dicendo...? E'...E' un gesto bellissimo. Grazie, Isaac. Ma credo dovremmo dividerceli, non trovi?"

"No. Mi hanno dato da mangiare una manciata di riso. Sono a posto." concluse aprendomi a forza le mani e riversandoci i biscotti.

"S-Sicuro?"

"Si..." sospirò iniziando a rimuovere un capo delle bende dal suo polso.

"Cosa stai facendo? Ti hanno fatto del male?" domandai preoccupata da quel gesto che non gli avevo mai visto fare.

"Mangia." ordinò con un tono particolarmente amorevole mentre continuava a rimuovere i bendaggi intorno al suo braccio segnato da gravi ustioni.

Eseguii timidamente il suo ordine e lo osservai per cercare di capire cosa stesse per fare. Una volta che guadagnò alcuni centimetri di stoffa bianca dal suo polso la strappò con i denti, poi riversò dell'acqua in una ciotola e ci lavò le bende. 

Tenendo la mano a conca, mi versai sulla lingua quello che rimaneva delle ultime briciole di biscotti e Isaac si avvicinò ancora di più per poi tirare fuori le bende dall'acqua e strizzarle con forza. Rimasi sorpresa ed un piccolo brivido di dolore mi percorse la spina dorsale quando il bambino pose i bendaggi umidi sopra la mia ferita sulla fronte e pian piano mi cinse la testa in una medicazione quasi perfetta.

"I-Isaac..." biascicai. "N-Non dovevi..."

"Non voglio che stai male. E' brutto vederti piangere." rispose abbassando lo sguardo.

Un qualche tipo di interruttore scattò nel mio petto arrivando a stringermi la gola fino a farmi mancare il respiro.

"I-...Isaac..." sussurrai non riuscendo ad impedire alle lacrime di rigarmi il volto.

Fu talmente istintivo da terrorizzarmi e rilassarmi allo stesso tempo: posai la testa sul suo petto senza pensarci troppo iniziando a piangere a dirotto tentando comunque di limitare il rumore temendo di essere ripresa dai gestori dell'orfanotrofio. 

"S-Scusami...Scusami tanto..." singhiozzai.

Il ragazzino si irrigidì, ma poi abbassò la testa e lo sentii espirare contro i miei capelli.

"Non preoccuparti." disse con tono pacato. "Sei sempre stata buona con me."

Solo in quel momento mi resi conto che fino ad allora avevo provato un forte senso di solitudine e per la prima volta da quando avevo messo piede in quella casa avevo dato il via libera alle lacrime e al dolore che mi portavo dentro. Allo stesso tempo era rasserenata dalla presenza di Isaac e realizzai che non ero più sola a combattere contro quei demoni.

Insieme ci saremmo liberati da quell'incubo, ne ero più che certa.

   
 
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