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Autore: Roberto Turati    19/03/2020    1 recensioni
Una storia che dedico a Maya Patch, mia amica e mentore.
 
Per capire del tutto questa storia del mio AU, è meglio se leggete la storia di Maya, prima di questa.
Mentre la tribù dei Difensori si sta ancora riprendendo dall'assedio dei Teschi Rossi, Aurora attende con impazienza il ritorno di Lex da Ragnarok per poter continuare ad indagare con lui sugli indizi sparsi per l'Isola. Tuttavia, fa una scoperta inaspettata: rinviene un antico oggetto portato nel mondo delle Arche da un'altra dimensione. Studiandolo, scopre il luogo d'origine del suo defunto proprietario: ARK, l'isola preistorica.
 
Aurora e Lex vi si perderanno loro malgrado. Saranno in grado di trovare un modo per ritornare sulle Arche, nonostante tutti gli ostacoli che ARK riserva per loro?
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Prima di cominciare il capitolo, una bellissima fanart di Acceber e Aurora, realizzata da MayaPatch! Grazie mille, Maya!

Detto questo, buona lettura!

Aurora supplicò Acceber di lasciarle setacciare la zona il più possibile. L’Arkiana, per qualche motivo, le parve un po’ titubante all’inizio, ma accettò dopo una breve esitazione. Anitot, intanto, ansimava più di Aurora per la corsa che aveva appena fatto per sfuggire ai giganotosauri. Acceber le accarezzò la testa:

«Sei davvero così conciata, vecchia gattona?»

«Allora, cerchiamo di capire dove potrebbe essere»

«Forse ti è caduta sull’Apoteosi» suggerì Acceber.

«No, lo escludo: ricordo di averla sentita nella mia tasca, mentre scendevo dallo pteranodonte»

«Bene, questo è un indizio. Magari… oh! Aurora, la tua schiena!»

Non appena Acceber riportò la sua attenzione sul suo dorso ferito, la rossa avvertì un forte bruciore dove i denti del piccolo giganotosauro le avevano dilaniato la pelle e si lasciò sfuggire un sibilo di dolore, oltre a rabbrividire al pensiero di aver immerso quella ferita nell’acqua sudicia e salmastra della foresta di mangrovie.

«Lo so, il cucciolo mi ha afferrata»

Ricordava quel dolore: era identico a quando il raptor Alfa le aveva ferito le braccia, sulla spiaggia dell’Isola. Non osava immaginare che aspetto avesse il morso ma, se non altro, era ancora tutta intera. Le bastava questo. Acceber esaminò la schiena di Aurora, molto preoccupata:

«Questi tagli faranno infezione presto. Ti riporto subito a casa»

«No, aspetta! La sfera!»

«Non adesso! Tieni di più a una palla di metallo o alla tua vita?»

«Ovvio che ci tengo alla vita, ma se…»

«Se hai paura che sparisca, non ti preoccupare: gli animali non la mangiano di certo! Ci sono molti modi per trovare oggetti smarriti, di solito portando con sé le creature giuste per cercarli. Ti prometto che ti riporterò qui con tutti i mezzi utili per rintracciarla, va bene?»

Aurora esitò ancora un po’, ma alla fine, persuasa dal bruciore sempre più intenso alla schiena, cedé:

«D’accordo, torneremo qui dopo con... oddio, devo dirlo a Lex!» esclamò, nel panico.

Acceber poggiò le mani sulle spalle della rossa e la confortò:

«E allora? Non è stata certo colpa tua!»

A quel punto, l’aiutò a salire in groppa allo smilodonte e spronò Anitot. Non si dissero più nulla per tutto il tragitto: Aurora fissava il vuoto con gli occhi strabuzzati, troppo sconvolta e disperata per parlare.

ArkCanon2 by RobertoTurati

Arrivarono al villaggio verso sera. Aurora sentì ogni singolo secondo del tragitto come se il tempo scorresse al rallentatore e l’angoscia per aver perso la sfera la stava opprimendo. Una volta che lasciò andare Anitot, Acceber portò subito Aurora a casa sua per medicarle la ferita. Quando entrarono, trovarono Lex e Drof impegnati in una vivace chiacchierata sulle tribù dell’isola e le usanze locali, mentre il padre di Acceber appendeva delle strisce di carne all’essiccatoio. Quando le videro entrare, Drof salutò la figlia con un sorriso, ma entrambi si allarmarono appena videro le ferite di Aurora.

«Cos’è successo?» sobbalzò Lex.

«Cosa vi ha attaccate?» domandò invece Drof.

«Un piccolo distruttore. Padre, mi aiuti a sistemare questo morso?»

«Certo, subito»

Acceber portò Aurora in una piccola stanza accanto alla cucina, in cui c’erano mensole piene di barattoli di ceramica. Appena vi misero piede, Aurora non poté fare a meno di arricciare il naso: i barattoli emanavano forti odori pungenti. Acceber la fece sedere su uno sgabello e Drof, dopo essersi lavato le mani in una bacinella d’acqua profumata, diede un’occhiata al morso.

«Uhm… è grave, ma non così tanto. Avete detto che è stato un cucciolo di distruttore?»

Aurora annuì in silenzio.

«E gli sei sfuggita? Sono stupito. Come hai fatto a liberarti?»

«Ha afferrato il mio vestito e sono rimasta appesa alla sua bocca, poi si è strappato e sono caduta»

Lex entrò nella stanza dei barattoli proprio in quel momento e commentò:

«Hai avuto una fortuna incredibile, lo sai?»

“Di certo più della volta scorsa” pensò Aurora.

Drof sciacquò la ferita con un panno bagnato, dopodiché prese un altro straccio dalla puzza nauseabonda. Aurora aveva già sentito quell’odore nell’infermeria dei Difensori: era bile di ammonite. Drof avvisò che avrebbe bruciato molto, quindi Aurora iniziò subito a stringere i denti. Quando Drof strizzò il panno sopra le sue ferite, la rossa avvertì una fitta bruciante e sibilò a denti stretti. Il dolore passò poco alla volta, ma era intenso. Drof aspettò qualche minuto, quindi applicò la bile anche ai buchi lasciati dalle zanne. Aurora sopportò il dolore in silenzio.

«Pensi che siano da cucire?» domandò Acceber, alla fine.

Drof osservò le ferite da vicino, mentre Aurora impallidì e sbarrò gli occhi al solo pensiero. Tuttavia, l’uomo scosse la testa e disse che non erano così profonde, per cui la rossa tirò un grande sospiro di sollievo. Anche Lex le parve sollevato, a giudicare dal suo sguardo. Acceber prese delle grosse fasce di lino e le avvolse intorno al torso di Aurora. Quando la medicazione fu finita, il suo cuore iniziò a battere all’impazzata: era giunta l’ora dare a Lex la cattiva notizia. Prese fiato e si preparò a raccontare tutto, ma Acceber parlò prima:

«Ehi, se vuoi ti aggiusto io questa veste!» suggerì.

«Ma no, non disturbarti!»

«Quale disturbo? È il minimo che ti devo: doveva essere un viaggio spensierato, invece sei quasi morta. In qualche modo, dovrò farmi perdonare! Nel frattempo, ti posso prestare un abito dei miei: mi sembra che abbiamo più o meno le stesse misure»

Aurora arrossì un po’ e sorrise:

«Uhm… d’accordo»

Drof tornò a riempire l’essiccatoio e Acceber andò di sopra a prendere un vestito. Rimasto da solo con Aurora, Lex appoggiò la schiena al muro e incrociò le braccia:

«A quanto pare, questa sorta di Arca terrestre ti accoglie a braccia aperte proprio come le nostre»

«Ho notato»

«Almeno ti è piaciuto il panorama, dall’Apoteosi? C’è un’isola volante anche sul Centro, ma queste…»

«Lex, abbiamo un problema grave» lo interruppe Aurora, mortificata.

«Cioè?»

«Ho perso la sfera. Mi è caduta durante l’attacco del giganotosauro» spiegò lei, tutto d’un fiato.

Lex rimase interdetto per alcuni secondi che ad Aurora parvero così lunghi che si sentì più in imbarazzo che mai.

CrystalISLAND 2 by RobertoTurati

Quando Aurora finì di spiegare tutto, i due sopravvissuti e Acceber presero in prestito un gallimimo e si diressero in tutta fretta verso la Foce Cremisi. Vedendo quanto era imbarazzata Aurora, Lex provò a sdrammatizzare un po’:

«Spero che sia ancora dove ti è caduta. Non mi aspettavo di tornare nel nostro mondo tanto presto, ma farei volentieri a meno di restare qui per sempre»

Aurora apprezzava che non se la fosse presa con lei, ma si sentiva in colpa: aveva insistito per venire con lui e Lex si era fidato di lei abbastanza da affidarle la sfera, ed era riuscita a perderla dopo un giorno solo. Era certa che lui non l’avrebbe mai persa, se fosse stato nella sua stessa situazione. Doveva assolutamente togliersi quel peso dal cuore. Quindi, dopo una lunga esitazione, toccò la spalla di Lex, che stava seduto nel mezzo della sella a tre posti del gallimimo, mentre Acceber teneva le redini. Il suo amico si voltò, con un’espressione interrogativa. Aurora si serrò le labbra:

«Perdonami, Lex. Ho smarrito il nostro unico modo per andarcene, e chissà se riusciremo a ritrovarlo!»

«Non fa niente, Aurora»

«Come, non fa niente? Per colpa mia, potremmo non rivedere più i nostri amici! E tutte le faccende in sospeso sull’Isola? I Teschi Rossi, le uova di viverna che volevi prendere, le nostre creature… potremmo non riuscire mai più a finire la nostra indagine! Gli ologrammi, le Arche, quello che…»

Lex alzò una mano e la interruppe, con uno sguardo comprensivo:

«Calmati, Aurora. Un passo alla volta. Non è certo colpa tua, se un predatore è uscito dal nulla e sei stata costretta a scappare. Gli incidenti possono capitare a chiunque. Non ti do nessuna colpa, capito? Faremo tutto il possibile per ritrovare la sfera, e anche se non la troviamo, ci inventeremo qualcosa. Credi davvero che lascerei tutti i misteri che ci siamo lasciati alle spalle irrisolti? Col cavolo!» esclamò, con un sorriso.

La rassicurazione di Lex la fece sentire un po’ meno a disagio e, per solidarietà, Aurora ricambiò il sorriso.

ArkCanon2 by RobertoTurati

Quando arrivarono alla spiaggia orientale, Lex si concesse un attimo per contemplare le isole volanti. Nonostante conoscesse già bene l’Apoteosi dopo i suoi viaggi sulle Isole dei Cristalli, quel posto non smetteva mai di affascinarlo.

«È qui che ha iniziato a inseguirmi. Proverò a ripercorrere i miei passi» affermò Aurora.

Senza fare caso allo sguardo incuriosito del vecchio Oderffog, che era immerso nel mare fino ai fianchi armato di lancia, iniziarono a setacciare palmo a palmo la spiaggia, per poi addentrarsi man mano nella foresta di mangrovie rosse. Fecero del loro meglio per ripercorrere la strada della fuga di Aurora, ma non trovarono nulla. La rossa si sforzò di ricordare bene e, alla fine, riuscì a distinguere il punto esatto in cui il cucciolo l’aveva afferrata e fatta cadere. Ispezionarono i dintorni con cura, ma della sfera non c’era traccia. Acceber si offrì di cercare nella parte più fitta della Foce Cremisi fino al fiume, mentre la rossa e Lex stavano vicini alla spiaggia. La figlia di Drof fu di ritorno dopo più di un’ora, ma sia lei sia i due sopravvissuti erano ancora al punto di partenza. Le speranze già vaghe di Lex iniziavano a dissolversi. Il biondo si sedé su una roccia e valutò tutte le possibilità:

«E se la corrente l’avesse portata via? Magari si è incagliata da qualche parte nel fango o, peggio ancora, è finita nel mare»

«Forse. Vi ho già detto che non può essere stata presa da un animale: non sembra un oggetto con cui abbellire il nido o che possono scambiare per cibo» disse Acceber.

Lex, allora, prese in considerazione un’ipotesi che lo preoccupava più di qualunque altra. Stava per dirlo ad alta voce, ma Aurora ebbe la stessa intuizione e lo precedé:

«Credete che qualcuno l’abbia trovata mentre eravamo via e l’abbia tenuta?»

«Non è da escludere. Acceber, quanta gente passa di qui, di solito?»

«Non poca: le visite all’Apoteosi sono frequenti» rispose l’Arkiana.

«Se è così, è grave: potrebbe essere dovunque sull’isola»

Gli occhi di Aurora si illuminarono e la rossa fece un’espressione speranzosa:

«Se la sfera è stata presa da qualcuno che voleva andare sulle isole volanti, il vecchio che presta il suo pteranodonte potrebbe averlo visto! Chiediamo a lui!»

«Buona idea» annuì Lex.

Tornarono alla spiaggia e videro il vecchio intento a sfilare un celacanto dalla punta della lancia, seduto davanti alla sua tenda. Lex lo chiamò e agitò la mano per attirare la sua attenzione, quindi gli si avvicinarono. Il vecchio fece un’espressione incuriosita, quando vide Aurora e Acceber:

«Siete già tornate? Vi siete scordate di portare il vostro amico?» domandò.

Lex scosse la testa:

«No, no, conosco già l’Apoteosi. Stiamo cercando una sfera, cioè una palla di rame arrugginita. La mia amica l’ha persa quando è stata qui poco fa. Per caso hai visto se l’ha presa qualcuno? È molto importante per noi»

Il vecchio annuì mentre Lex gli parlava. Lanciò una rapida occhiata pensosa alle due ragazze, per poi rispondere al biondo:

«Una palla arrugginita, dici? Sì, l’ho vista un paio d’ore fa»

Aurora si emozionò e fece subito un sorriso speranzoso:

«L’hai trovata?! Ce l’hai tu?»

«No, l’ha trovata l’ultimo visitatore: mi ha chiesto se era mia e gli ho detto di no, così l’ha portata via. Ma non credo che la terrà con sé» rispose il vecchio.

Lex serrò le labbra e si sforzò di soffocare un’imprecazione. Mantenne la calma e gli chiese chi l’aveva presa e dove potevano trovarla. La risposta non significava granché per loro, ma fece mettere le mani nei capelli ad Acceber: il vecchio disse che l’uomo che aveva preso la sfera era una guardia dei fratelli Braddock, la quale era venuta a fare un giro sull’Apoteosi in un giorno libero. Secondo il vecchio, aveva pensato che quell’oggetto potesse interessare a uno dei suoi capi, che collezionava oggetti bizzari.

«E chi sono i fratelli Braddock? Dove possiamo trovarli?» indagò Lex.

«Se ho capito bene, oggi sono al villaggio delle Aquile Rosse, sulle montagne a nord»

«Grazie mille, Oderffog! Spiegherò tutto io a loro, mentre ci andiamo. Volete andarci subito, vero?» disse Acceber.

«Ovvio che sì!» esclamò Lex.

«Allora torniamo di corsa al villaggio: faremo prima se andiamo dalle Aquile Rosse in volo» rispose l’Arkiana.

CrystalISLAND 1 by RobertoTurati

ALCUNE ORE DOPO…

Una volta tornati al villaggio delle Frecce Dorate, Acceber portò i due sopravvissuti a una pista poco lontano dai campi della tribù, dove un piccolo gruppo di passeggeri stava prendendo posto sulla lunga sella di un quetzalcoatlo. Lex la trovava interessante: gli ricordava la sella di gruppo dei diplodochi, ma adattata all’enorme pterosauro. Una volta a bordo, tutti i passeggeri si legarono al proprio sedile con due corde robuste, quindi il volo iniziò. Mentre sorvolavano le Piane Gioiose, Acceber spiegò loro con chi avevano a che fare. Lex fece il punto:

«In pratica, se ho capito bene, questi due fratelli sono petrolieri naufragati qui che stanno diventando sempre più influenti»

«Proprio così. Si dice davvero di tutto sul loro conto: alcuni sospettano che complottino contro i nove capitribù, altri che vogliano diventare i capi supremi dell’isola, altri ancora dicono persino che vogliono sostituire le bestie con mostri di metallo che bevono petrolio e sbuffano fumo. Nessuno sa qual è la verità, fatto sta che ormai sono molto popolari» spiegò l’Arkiana.

Lex era curioso di parlare con persone che venivano dal mondo esterno, quelli che gli Arkiani chiamavano “stranieri” a ragione. Non gli sarebbe dispiaciuto fare un paio di domande su un mondo “normale”, senza un pianeta post-apocalittico e stazioni spaziali a forma di isole preistoriche. Aurora non stava seguendo davvero la conversazione: ogni volta che Lex le dava un’occhiata, era distratta a guardare il panorama dalla sella del quetzalcoatlo. Non la biasimava: tra il brivido di trovarsi a centinaia di metri da terra, col vento che sferzava le loro facce, e la possibilità di godersi il panorama in quel modo, anche lui avrebbe fissato volentieri il paesaggio sottostante per tutto il volo. In poche ore, la pianura cedé il posto a una catena montuosa cosparsa di pini, intervallata da vasti altipiani di tundra. Le cime dei monti più alti erano innevate e immense cascate cospargevano i versanti rocciosi, su cui si trovavano numerosi laghetti e sorgenti. L’aria era sempre più umida e fredda.

Il quetzalcoatlo si librò tra le montagne fino a raggiungere un villaggio di baite di legno, costruito lungo uno strapiombo, in riva a una di quelle maestose cascate. Lo pterosauro atterrò in uno dei grandi spiazzi dove svariati volatili decollavano e si posavano. Una volta giunti a destinazione, Acceber li guidò per le strade del villaggio delle Aquile Rosse. Ormai era il tramonto e, dalla cima del burrone, si poteva ammirare la vista mozzafiato del sole che tramontava su ARK. Le sfumature rossastre rendevano i luoghi più lontani molto più sfumati: sembrava di guardare un dipinto. Acceber chiese dei fratelli Braddock in giro e furono indirizzati verso le terme.

«Siamo arrivati!» annunciò la ragazza.

Le terme non erano proprio un edificio: erano scavate nella montagna e c’era solo una porta che copriva l’ingresso della grotta. Quando entrarono, un addetto arkiano chiese loro che servizio volevano, ma li lasciò passare quando spiegarono che erano solo in visita. Lex osservò l’interno: era una caverna di calcare piena di pozze termali, che gli indigeni avevano levigato e reso più vasta, per poi arredarla. Numerose persone si rilassavano e conversavano nelle sorgenti. Andarono in fondo alla grotta e giunsero davanti alla porta chiusa di una sauna. A sorvegliarla, c’era un manipolo di uomini molto alti e muscolosi; stavano seduti su panche di pietra intagliata o con la schiena appoggiata al muro, si parlavano a bassa voce e osservavano le altre persone.

«Devono essere lì dentro: quella è la loro scorta, conosco alcune delle guardie» disse Acceber.

«D’accordo, ci siamo. Aurora, vuoi venire anche tu?» chiese Lex.

La rossa ci pensò un po’ su, poi annuì, sebbene con uno sguardo timoroso. Allora i due sopravvissuti si fecero avanti, mentre Acceber decise di stare in disparte. Quando Lex e Aurora si avvicinarono, le guardie del corpo si alzarono e si pararono davanti a loro a braccia incrociate.

«Ib tlamev aveclapag, vlutidamjv?» chiesero in arkiano.

Pur non capendo, Lex andò subito al punto:

«Vorremmo parlare coi fratelli Braddock, è importante. Si può?»

Le guardie si scambiarono una rapida occhiata, quindi uno di loro socchiuse la porta del bagno di vapore, si sporse all’interno e fece una domanda a bassa voce. Un secondo dopo, richiuse la porta e disse che avevano il permesso. Però vollero che entrassero disarmati, per sicurezza. Lex, con un sospiro, annuì e consegnò loro l’arco che Drof gli aveva lasciato e la faretra. Le guardie del corpo tornarono ai posti di prima e spalancarono la porta; mentre varcavano la soglia, Lex e Aurora si accorsero una delle guardie stava fissando il sedere di lei con uno sguardo ammaliato. Aurora arrossì di colpo, si avvinghiò subito al braccio di Lex e si strinse a lui, in cerca di un rifugio sicuro. Lex rivolse uno sguardo infastidito al guardone, che chiese scusa e si affrettò a voltarsi dall’altra parte, mentre i suoi compagni lo fulminavano con lo sguardo. Richiusero la porta e furono investiti dal calore e dall’umidità che saliva dai carboni ardenti ammucchiati in un buco al centro della minuscola stanza. L’afa era tale che Lex si sentiva il collo e le orecchie pulsare e aveva la sensazione che i suoi capelli fossero sott’acqua.

Lì dentro c’erano due uomini, ciascuno seduto dal lato opposto all’altro sulle panche a muro. Indossavano solo una fascia attorno all’inguine e avevano un’asciugamano sulle spalle. Il primo, magro e scuro in volto, stava leggendo con aria molto assorta delle lettere scritte su pezzi di pelle conciata: ne aveva due in mano e molte altre ammucchiate ai suoi piedi, i suoi occhi azzurri saettavano freneticamente da una lettera all’altra. L’altro uomo era il suo opposto: grasso, sorridente e dallo sguardo spensierato. Lui, invece che da lettere, era attorniato da belle donne in vestaglie di seta, che si strusciavano su di lui con fare ammiccante e ascoltavano le squallide battute che faceva, fingendosi divertite. Le loro facce, a parte la magrezza dell’uno e la rotondità dell’altro, erano identiche: occhi azzurri, rughe attorno alla bocca e sugli zigomi, capelli neri ben pettinati e dei cortissimi baffetti. Si capiva all’istante che erano fratelli. Quello grasso, appena vide Aurora, strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca in un sorrisone ammaliato. Fece una risata bonaria e cacciò via le donne:

«Via, via, mie margherite: è appena entrata una rosa!» esclamò, estasiato.

Aurora distolse subito lo sguardo e la sua stretta sul braccio di Lex si fece molto più potente. Il fratello magro lo apostrofò, senza alzare gli occhi dalle lettere:

«Non farti riconoscere ancora prima delle presentazioni, Bob»

Le donne in vestaglia tirarono un sospiro di sollievo cammuffato da sbuffo di delusione, si alzarono e corsero fuori dal bagno di vapore, passando accanto ai due sopravvissuti senza curarsi di dare spintoni.

«Coraggio, favolosa creatura coronata di rosso fuoco, mettiti comoda accanto a me! Non vorrai stare in piedi con tutto questo caldo, giusto?» ammiccò il grassone.

Aurora, a occhi sbarrati, scosse la testa così forte che la sua chioma ondeggiò come un cespuglio al vento. Lui fece spallucce:

«Be’, peccato: sono grandioso con le donne, soprattutto se hanno le lentiggini!»

Lex capì subito che avrebbe ottenuto informazioni utili solo da quello magro e serio, quindi convinse Aurora a lasciare il suo braccio e gli si parò davanti:

«Voi dovete essere i fratelli Braddock» attaccò bottone.

Finalmente, lo smilzo posò le lettere e lo degnò di uno sguardo:

«Anche gli altri naufraghi cominciano a sapere di noi? Mi fa piacere! Allora il nostro bilancio è in positivo» ghignò.

«Non siamo naufragati, ma sì, non siamo di qui. Sono Lex Gutenberg, e lei è Aurora» si presentò.

«Un Tedesco e un’Italiana? L’ultima combinazione che mi sarei mai aspettato di vedere. Jonas Braddock, piacere mio»

L’altro fratello si intromise:

«E io sono Bob! Io e mio fratello siamo i più potenti petrolieri del Texas. Be’, ora dovremmo diventare quelli di quest’isola, ma ci stiamo lavorando! Comunque, un’Italiana?! Magnifico! È tutta la vita che mi alleno per conquistarne una, sono il meglio del meglio! La modestia guerriera, le forme perfette, il fascino della loro terra… sono tutto tuo, carissima!» esclamò, entusiasta.

A ogni parola che diceva, il disagio sul volto di Aurora diventava più evidente, quindi la ragazza si sforzò di ignorarlo e di evitare a tutti i costi di guardarlo negli occhi, tenendo le mani dietro la schiena per apparire distaccata. Lex lo fissò, ancora più irritato che con la guardia di prima, ma il grassone sembrò non accorgersene nemmeno e continuò risoluto. Jonas, allora, lo rimproverò:

«Finiscila, deficiente! Non vedi che non le importa nulla? Perdonate mio fratello, non credo che sappia di essere un uomo d’affari. Come posso aiutarla, signor… Gutenberg, giusto?»

«Lex va bene»

«Ci diamo del tu? D’accordo. Come posso aiutarti, Lex?»

«Abbiamo saputo che una delle vostre guardie ha trovato una sfera di rame all’Apoteosi e l’ha data a voi. È così, no?»

«Sì, mi ricordo di quel gingillo. Bob l’ha preso e l’ha messo da parte: è a lui che piacciono i gingilli»

«Appartiene a noi e ne abbiamo davvero bisogno, quindi ce la potreste restituire, per favore?»

In risposta, Jonas fece uno sguardo malizioso e gli rivolse un sorrisetto di sfida:

«Ma tu guarda, vi è dunque un’utilità per quella palla arrugginita? Di che si tratta, se non mi trovi indiscreto?»

«È una faccenda complicata, non capiresti. E serve molto più a noi che a voi»

«Ascolta, sento profumo di trattativa, quindi che ne dici se discutiamo per bene in privato, eh? Cominciavo giusto a stancarmi del vapore»

Lex, anche se irritato dalla curiosità scomoda di Jonas, capì che non poteva fare altro che stare al suo gioco e annuì. Il Braddock magro, allora, propose di seguirlo sul ciglio dello strapiombo; specificò che voleva che ci fossero solo loro due. Lex accettò e disse ad Aurora di aspettarlo nelle terme. Bob, con una goffa risata malandrina, le chiese se voleva stare con lui e offrirgli una “panoramica” di quello che aveva da offrire, ma la rossa fu sveltissima a dire che di fuori c’era un’amica che la attendeva e seguì di corsa Lex e Jonas, lasciando Bob da solo e con le pive nel sacco. Lex la sentì sussurrare:

«C’è mancato poco»

Quando raggiunse Acceber e le spiegò che dovevano aspettare Lex, la figlia di Drof le sorrise e le disse di aver pagato una sosta al pediluvio, in caso avessero deciso di fermarsi un po’. Allora Aurora, che non vedeva l’ora di farsi passare dalla mente le ridicole avance di Bob chiacchierando con lei, accettò di buon grado e la seguì ad una delle piccole vasche in cui si immergevano i piedi.

ArkCanon2 by RobertoTurati

Lex seguì Jonas, che si era messo un abito di seta dipinto di nero, fino al parapetto costruito lungo l’orlo dell’immenso burrone. Mentre guardavano il paesaggio ormai notturno di ARK, ripresero il discorso:

«Lo chiederò ancora: a cosa serve quella sfera?» indagò Jonas, coi pugni sui fianchi.

«Te l’ho detto, non capiresti. E comunque, non posso dirlo»

L’espressione di Jonas cambiò; da sorniona e punzecchiante, diventò cinica e minacciosa:

«E io non posso tollerare che un Tedesco senza autorità e senza nome salti fuori dal nulla e pretenda di potermi chiedere una cosa che possiedo come se fosse in condizione di farlo»

Lex non si fece intimidire:

«Ma prima che la trovaste era nostra, quindi abbiamo il diritto di farcela ridare!»

Il ghigno provocatorio tornò sul volto di Jonas:

«E chi ci obbliga a darvela? In fondo, non sapete dove la teniamo. Ma forse, se accetterai di fare alcuni lavori per noi, potrei decidere di rendervela, fare finta che sia solo un’inutile palla di rame e andare avanti per la mia strada»

«Mi stai ricattando?» chiese Lex, stizzito.

«Tu lo chiami “ricatto”, io lo chiamo “scambio di favori”. Non serbarmi rancore: ogni imprenditore cerca sempre di trarre vantaggio da qualunque cosa, come può. Nel tuo caso, ho pensato di sfruttarti per disfarmi di alcuni pesi, usando la sfera come valuta. Equo, non è vero?»

Lex era sul punto di arrabbiarsi sul serio, ma sapeva benissimo che Jonas aveva il coltello dalla parte del manico. Quindi decise di assecondarlo: l’importante era arrivare comunque alla sfera, in un modo o nell’altro.

«Cosa dobbiamo fare?» chiese.

«Oh, sono contento che ci capiamo! Dimmi, avete già sentito che siamo imprenditori, che siamo texani e che siamo petrolieri, no?»

«Sì. Da quale epoca?»

«Ehi, chi ti ha detto di fare domande? Facciamo così: per ogni incarico che svolgete, vi guadagnate un invito nella nostra dimora e una conversazione amichevole dove sarete liberi di scoprire quanto volete su di noi! Ci stai?»

«Bah, che diamine! Va bene, accetto»

«Così mi piaci, Lex! Mio padre diceva sempre che i Tedeschi sanno farsi apprezzare. Comunque sia, ecco il primo favore. Finora, io e mio fratello ci siamo arricchiti facendo i commercianti, ma non mi piace rinunciare al petrolio; un paio di settimane fa, ci è giunta notizia di un giacimento sotterraneo nel deserto a sud dell’isola: non abbiamo tardato ad assumere un manipolo di braccianti e a far scavare loro delle gallerie per la miniera. Vogliamo far scoprire agli indigeni il valore del petrolio, così si evolveranno e potremo diventare ancora più agiati!»

«Dov’è la fregatura?»

«La fregatura è che, un bel giorno, da chissà dove si è intrufolato un lucertolone bastardo che dorme di giorno e dà fastidio ai nostri minatori privati di notte, ha iniziato a ucciderli tutti uno per uno nell’oscurità»

«Un megalosauro»

«Sì, credo che si chiamino così. Stavo per far mettere una taglia sulla bestiaccia, ma ora che sei arrivato tu…»

«Ho capito: mi occuperò del megalosauro. Cos’altro vuoi?»

«Accidenti, quanta fretta! Una cosa per volta, d'accordo?»

Jonas era forse uno degli uomini più irritanti che Lex avesse mai incontrato.

«E va bene»

«Ottimo! Allora non abbiamo nient’altro da dirci. Arrivederci, Lex Gutenberg! Quando avrete finito, ci potrete trovare in una villetta sulla costa a est, un indigeno qualsiasi saprà indicarvela meglio»

Detto questo, Jonas lo salutò con un cenno di due dita e tornò alle terme. Anche Lex, con un sospiro, ci rientrò per prendere Aurora e Acceber. Sembrava che avrebbero trascorso ancora del tempo in quel mondo parallelo, davvero parecchio tempo.

   
 
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