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Autore: Doralice    20/03/2020    3 recensioni
Apparire anonimi di sicuro era molto comodo quando si voleva pedinare e spiare qualcuno. Quando si entrava in modalità stalking. Cosa che lui assolutamente non aveva mai fatto, non intenzionalmente insomma. Non era intenzionale neppure in quel momento, anche se aveva deliberatamente scelto di seguire Wade per l’ennesima volta, con la macchina fotografica in mano e la musica dell’IPod nelle cuffie, sparata a palla per cercare di tenere a bada i sensi di colpa.
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Deadpool, Peter Parker
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

 

 

* * *

 

 

Fatta salva quella patetica sera, in cui si era risolto a piangersi addosso tutta la sua frustrazione emotiva, Peter non aveva mai più ignorato Wade. Era riuscito a sentirsi in colpa persino per avergli riagganciato quella chiamata, di certo non era in grado di mantenere il muso – e con quale assurda motivazione, poi? Non era responsabilità di Wade se lui aveva deciso di fare questa doppia vita e nascondergli la sua vera identità. Men che meno erano responsabilità di Wade le montagne russe di sentimenti che Peter provava nei suoi confronti e la cronica mancanza di autostima che gli faceva presumere sempre il peggio, bloccando ogni sua seppur vaga idea di fare qualche passo avanti.

Mantenere lo status quo sembrava la cosa più semplice e logica da fare. La meno dolorosa, in apparenza, che troncare tutto e tornare alla sua vita di vigilante solitario. E in un certo senso era così, ma quanto gli costava? In una certa misura, Peter si sentiva masochista. Come altro si poteva definire una persona che si ostinava a farsi del male in quel modo?

Ma da circa un anno, da quando aveva in qualche maniera trovato la forza di superare la perdita di Gwen, era riuscito a rimettere in sesto la propria vita, più o meno. A trovare una sorta di equilibrio, che ora si manteneva stabile – fragile, ma stabile – su una routine rassicurate e prevedibile. Per quanto possa essere rassicurante e prevedibile indossare una tuta ogni sera e non sapere quanto si andrà vicini alla morte. Ma, da quando aveva deciso di essere Spider-Man, quella era la sua vita, e ne aveva accettato i rischi.

Così andava avanti.

C’era il college. Con le lezioni, i tutorati, lo studio, gli esami, e tutte le belle scadenze da consegnare. “Amo le scadenze, amo il rumore che fanno quando mi sfrecciano accanto.” citava tra sé nell’intento di autoconvincersi, quando correva a consegnare un saggio all’ultimo momento. Lo faceva sentire quasi un universitario normale, non uno che studiava appeso a testa in giù al pinnacolo di qualche grattacielo, mentre aspettava che il suo senso di ragno si attivasse.

C’era zia May. Farsi vedere da lei, ogni tanto, e possibilmente tutto intero, affinché non le venisse un infarto. Rientrare ad un orario umano, qualche volta, e mangiare a tavola con lei e scambiarci due parole, magari. Era il minimo che le doveva, povera donna, visto e considerato che gli faceva da madre e gli pagava il college. E con quali sacrifici – il volto di zio Ben popolava i suoi incubi, accanto a quello di Gwen e del Capitano Stacy – con quali cazzo di sacrifici.

C’era da sbarcare il lunario. Quindi fare foto e svilupparle e inviarle al Daily Bugle, per poter ricevere un compenso che a stento gli copriva le spese della mensa universitaria. Ma, ehi, con il metabolismo che aveva, ogni centesimo speso in cibo era un centesimo ben investito.

C’erano ronde. Lente e noiose o folli e pericolose, prevedibili o piene di colpi di scena, le ronde facevano parte della sua vita. I villain che si scontravano con lui gli erano ormai familiari. E anche le piccole incombenze con cui si teneva occupato nelle notti più tranquille, facevano parte di una routine che amava. Tirare giù gattini dagli alberi o aiutare le vecchiette a portare le borse della spesa, non erano cose meno importanti che salvare i cittadini dall’essere tramutati in massa in lucertoloni. Era un Amichevole Spider-Man di Quartiere anche per questo: non viveva in una Torre Dorata, viveva in una vecchia casa a schiera nei sobborghi del Queens e faceva parte del tessuto sociale che ambiva proteggere.

E poi c’era Wade.

Volente o nolente, in questa sua routine accuratamente costruita per sopravvivere, era entrato anche lui. Ci si era elegantemente scaraventato a forza di battute laide e citazioni di film popolari, e Peter ne era troppo allettato per potersi lasciar sfuggire l’occasione.

Non era facile essere solo.

Per questo fingeva.

Anche mentire faceva parte della routine. Era brutto mentire a zia May, ma non era doloroso, perché era il meglio per lei, il meglio per tutti. Lo faceva da anni ormai, poteva farlo anche con Wade, no?

Poteva farlo, anche se invece in questo caso era doloroso. Proprio perché era doloroso.

Perché era più facile far finta di niente e continuare a mantenere in piedi quella facciata, piuttosto che ammettere di aveva una patetica cotta per un uomo quindici anni più vecchio di lui, dalla dubbia moralità, con uno stile di vita altamente discutibile, e che non si sarebbe degnato di riconoscerlo se per caso l’avesse rivisto in faccia.

 

*

 

Wade avrebbe riconosciuto quella faccia stupidamente carina in mezzo a mille.

Ma New York era una megalopoli di otto milioni e mezzo di abitanti, e lui non aveva uno straccio di informazione su quel ragazzo. Sperare di ritrovarlo per caso in mezzo alla folla, sarebbe stato come sperare di trovare un pelo sulle sue palle glabre. Quindi aveva fatto quella telefonata a Cable ed era riuscito a strappargli il favore che gli serviva.

– Il tempo non porta altro che guai. – citò tra sé mentre impostava le coordinate temporali – Mi occuperò del secondo grande mistero dell'universo: le chiappe di Spider-Man! –

Sempre che i suoi sospetti fossero reali. Su questo argomento, le Voci nella sua testa litigavano in modo petulante e lui aveva voglia di zittirle ficcandosi un trapano nell’orecchio, ma l’esperienza aveva perso fascino dopo sesta volta che ci aveva provato. In ogni caso, non sapeva che pensare. Illudersi sarebbe stata davvero una mossa da coglione, ma insomma poteva permettersi di sognare ancora, no? O gli era negato? Solo perché era una bestiaccia brutta e cattiva?

A dream is a wish your heart makes… – canticchiava mentre si avviava per le strade del Queens.

Ritrovò facilmente quell’angolo di strada in cui si erano svolti i fatti. Si fermò a un thai là vicino e prese qualcosa da poter mangiare mentre restava pazientemente in attesa, appollaiato sulla scala antincendio di un palazzo: perfetta postazione per poter osservare senza essere osservato.

[Eccoci qua…]

{Stiamo per farlo.}

[Sicuro di voler assistere a tutta la scena?]

{Sicuro che ci vogliamo rivedere?}

– Fanculo… – mormorò tra sé.

Per una qualche forma di perversa autopunizione, Wade si costrinse a guardare e ascoltare tutto.

Il modo in cui aveva bullizzato quel ragazzino gli faceva salire l’urto del vomito. E a poco serviva dirsi che non l’aveva fatto con intenzione, che non gli era piaciuto proprio per un cazzo, che aveva messo su quel teatrino a bella posta per spaventare il ragazzo e allontanarlo, che era meglio prevenire che curare.

E poi, ehi, Wade era abituato a farsi schifo, no? Niente di nuovo sotto il sole!

Quindi sì, rimase lì a guardarsi tutta la scena, provando pena per il ragazzo e odio per sé stesso. Gli sembrò una cosa lunghissima e atroce, ma attese stoicamente che tutto finisse e che il Wade del passato se ne andasse via, lasciando il ragazzo da solo.

E ancora aspettò. E aspettò. E aspettò.

Il ragazzo se ne stava lì, appoggiato al muro, con la macchina fotografica tra le mani e un’espressione pericolosamente vicina alle lacrime che gli deformava il volto. E cazzo, quello non era una volto fatto per piangere. Erano molte le espressioni che Wade si era ritrovato curioso di vedere su quel volto, ma il pianto proprio no.

Imprecò tra sé: aveva fatto bene ad andarsene via senza voltarsi, non avrebbe retto una cosa del genere. A stento si stava trattenendo dall’andare da lui e avvolgerlo in una enorme e soffice coperta di Hello Kitty e portarlo da Starbucks e ordinare per lui la mostruosità più calorica e iperglicemica che esistesse. Tirò fuori un coltello e se lo piantò nella coscia per contenersi e si aggrappò al dolore e all’odore metallico del sangue.

Quando stava stava per collassargli un polmone, il ragazzo finalmente si mosse da lì. Wade riprese a respirare normalmente e iniziò a seguirlo.

Il ragazzo viveva in una di quelle villette a schiera che i baby boomers avevano potuto acquistare in cash ai tempi in cui l’economia non era ancora stata fottuta. Era vecchia ma ben tenuta. Forse c’era un po’ di manutenzione da fare sulle grondaie e l’unica auto parcheggiata nel vialetto era un modello datato. Per Wade erano informazioni sufficienti a capire che non c’era un uomo in casa.

La finestra del soggiorno aveva le tende aperte e da lì poté vedere il ragazzo salutare una signora di mezza età e salire su per le scale. Ormai era notte e Wade avrebbe voluto tornarsene a casa e dormire nel proprio letto, ma non voleva perdere l’occasione. C’era un parco giochi proprio lì accanto: si arrampicò sulla casetta dello scivolo e collassò sulle assi di legno umide, katana e pistole e tutto. Aveva dormito in posti peggiori – aveva avuto intenzioni peggiori.

 

*

 

Quando Peter uscì dal bagno e chiamò, non ebbe risposta.

Si drappeggiò un asciugamano addosso e infilò la maschera, spiaccicandoci dentro il groviglio di capelli bagnati. Aprì la porta del bagno e occhieggiò fuori: la casa sembrava vuota. Ai suoi piedi, vicino alla porta, c’erano i suoi vestiti puliti.

Dando un’ultima occhiata in giro per assicurarsi di essere solo, si tolse la maschera e si rivestì. Poi controllò il cellulare, cercando di capire che fine avesse fatto Wade, ma non trovò alcun messaggio da parte sua. Non che fosse strano vederselo sparire di punto in bianco, l’aveva già fatto, ma a dirla tutta la cosa gli risultava sempre un tantino snervante.

E poi non l’aveva ancora ringraziato. Per averlo aiutato con le ferite la notte prima e per la colazione quella mattina, per avergli permesso di dormire lì così sua zia non si sarebbe spaventata e per avergli fatto usare la doccia… insomma, ne aveva di motivi per volerlo ringraziare.

Non che ci tenesse particolarmente a vedere la sua espressione di tronfia soddisfazione. Era certo che avrebbe gongolato come un folle e avrebbe rimarcato per sempre l’accaduto, sottolineando le sue evidenti doti di partner amorevole e il suo status di celibe ed altri commenti scomodi di quel genere.

Peter andò in cucina per farsi un’altra porzione di pancake – il suo metabolismo volava quando si stava rigenerando – e scoprì che Wade aveva trovato il modo di rimarcare tutto quello che era successo anche senza essere presente. Attaccato al frigo con dei magneti a forma di Pokemon c’era un plico intero di fogli disegnati a fumetti e pinzati malamente insieme. Un grosso post-it rosa fluo era appiccicato sopra:

 

HO DA FARE

TORNO PRESTO

TI HO LASCIATO UNA COSA COSÌ NON TI ANNOI

XOXO

DADDYPOOL

 

Sorridendo tra sé, Peter si riempì un piatto di pancake e un bicchiere di succo d’arancia. E si sedette al tavolo per poter leggere quel capolavoro eseguito con i colori a cera.

Sul quella che doveva essere la copertina, un Deadpool esageratamente alto e muscoloso portava in braccio, in stile sposina, uno Spider-Man esile e gravemente ferito. Entrambi avevano le tute strategicamente strappate in zone imbarazzanti. Sopra di loro campeggiava la scritta a caratteri cubitali:

 

SPIDEYPOOL ADVENTURES

(FOR MATURE AUDIENCE ONLY)

 

In qualche modo, Peter riuscì a sfogliare quella roba e a mangiare senza strozzarsi – un risultato rimarchevole, sto il contenuto.

In pratica era una rivisitazione dell’Armata delle Tenebre. Ovviamente Deadpool era Ash, con una katana al posto del fucile, mentre Spider-Man manco a dirlo era Sheila, e l’Ash Malvagio era Dormammu. Era tutto identico, eccetto per il finale: Dead/Ash non tornava al presente, ma restava nel passato assieme a Spider/Sheila.

L’ultima pagina era occupata a tutto campo da un letto a baldacchino: Spider/Sheila vi era sdraiato in posa invitante e diceva “Ti succhierò l’anima!”. Peter si schiaffò una mano sulla faccia e occhieggiò il resto del disegno tra le dita: Dead/Ash, gloriosamente nudo eccetto che per la maschera, guardava malizioso verso il lettore rompendo il quarto muro, e rispondeva esattamente con le parole originali: “Vieni a prenderla!”.

Era la cosa più imbarazzante che avesse mai letto e non riusciva a smettere di ridere. Continuò a ridacchiare tra sé mentre metteva via gli avanzi e lavava i piatti.

Peter agguantò un post-it dalla pila che stava vicino all’ingresso.

 

Sei un cazzo di pervertito! :P

Grazie di tutto DP, te ne devo una!

Ci becchiamo presto! :)

 

Lo attaccò alla porta e lo fissò a lungo, masticandosi il labbro. Non suonava né troppo distaccato né troppo affettuoso. Non suonava come niente – quindi era perfetto. Doveva mantenere lo status quo, dopotutto, no?

Lo odiava.

Avrebbe voluto avere il coraggio di rompere quella situazione in cui si erano ficcati, ma sapeva che non ce l’avrebbe mai fatta. Non dopo quanto era accaduto qualche settimana prima. Era lampante che qualunque cosa ci fosse tra di loro, sarebbe morta nel momento in cui si fosse tolto la maschera di Spider-Man per rivelare chi c’era sotto. In un certo senso era meglio che fosse andata così: quanto avrebbe fatto male fare un primo passo e dover fare i conti con il suo rifiuto – con quel tipo di rifiuto?

Peter raccolse seccamente le sue cose e le ficcò nello zaino alla rinfusa. In mezzo, anche quel fumetto ridicolo. Chiuse lo zaino con uno scatto tale che quasi ruppe la linguetta della zip e se lo agganciò alla spalla. Girò su sé stesso, le mani ficcate nelle tasche dei jeans: era strano stare là dentro senza la presenza ingombrante e rumorosa di Wade. Quando sarebbe tornato gli avrebbe offerto una cena per sdebitarsi dell’aiuto. E per riempire con junk food e cazzate quel gap aperto tra di loro che minacciava di risucchiare Peter.

 

*

 

Il thai freddo faceva schifo, ma i cazzo di uccellini di merda del parco l’avevano svegliato alle 6 del mattino, manco fosse Biancaneve, e Wade aveva fame. Quindi fece colazione con gli avanzi del thai e aspettò che la casa fosse vuota.

Alle 7 uscì la signora, dopo circa mezzora uscì anche il ragazzo. Wade si ripulì i guanti imbrattati di salsa passandosi le mani sulle cosce e poi differenziò accuratamente i rifiuti nei cestini del parco, perché era un cittadino coscienzioso e consapevole del problema dell’inquinamento. Poi, facendo attenzione a non essere visto, si apprestò ad arrampicarsi sulla facciata della villetta e a forzare la finestra della camera da letto del ragazzo.

C’erano due sistemi di allarme. Ed erano vari i motivi per cui questo fatto incuriosì Wade. Uno era obsoleto: il classico sistema installato in quel genere di case, vecchio di circa vent’anni e mai rinnovato. Fu facile da aggirare. L’altro… era molto più sofisticato. Rozzo, sicuramente un fai-da-te creato con mezzi economici, ma proprio per questo era sorprendente quanto fosse complesso. Certo, niente che Wade non fosse capace di risolvere con poco impegno, ma era piuttosto interessante. Anche perché era circoscritto solamente a quella camera da letto.

Wade aprì la finestra e con un leggero tonfo scivolò dentro la stanza. Forse quel tipo non era solo un ragazzino sfigato, come aveva cercato di dargli a bere. Girò su sé stesso, guardandosi attorno in quell’ambiente minuscolo e sovraccarico di roba. Forse quelle che si stava facendo non erano solo seghe mentali.

Si mosse cauto, cercando di non rovesciare né calpestare nulla al suo passaggio. Impresa non facile viste le sue dimensioni e la quantità di roba stipata là dentro.

– Fenomenali poteri cosmici… in un minuscolo spazio vitale! – citò tra sé.

E non era forse la perfetta descrizione del suo Spidey?

[Piantala con le cazzate e mettiti al lavoro!]

{Uuuh… dagli il tempo…}

Wade sedette alla scrivania e frugò tra gli oggetti e le carte, nei cassetti, nel cestino della spazzatura. Iniziò a farsi un’idea di chi fosse.

La stanza era un cumulo di materiale da geek. Ovunque libri di scienza e attrezzatura da lavoro per cervelloni in erba. Era uno studente di bio-ingegneria, un nerd tutto libri e progetti. Ideava cose, le scarabocchiava dietro vecchie fotocopie con grafia incomprensibile e se le costruiva in casa con quello che riusciva a raccattare. Sicurezza zero, rifletté osservando che come protezioni usava una maschera da snorkeling, dei guanti da forno e una pinza da caminetto.

O era molto stupito o assurdamente sicuro di sé. Probabilmente entrambe le cose.

[Oppure ha dei superpoteri…]

{Ssssh! Non dargli false speranze!}

Wade si diede una spinta con i talloni e roteò sulla sedia, facendosi una panoramica della stanza. Le pareti erano tappezzate di poster di band musicali, manifesti di film e fotografie – molte fotografie. Beh, aveva una buona cultura pop e dei gusti decenti, per essere così giovane. E se ancora aveva dubbi sulla sua età, le fotografie glieli tolsero, a partire da quella del diploma, con lo striscione dell’anno in bella vista. Wade si fece due conti a mente: 19 anni, massimo 20.

– Mhm… cazzo, sei davvero un teenager. – mormorò tra sé, diviso tra il senso di colpa e l’ammirazione – Non così sfigato come pensi, ma comunque un teenager. –

C’era una foto. Era piuttosto evidente, saltava all’occhio nonostante il caos attorno fagocitasse ogni dettaglio. Wade non aveva bisogno di aprire la cornice e sfilarla e leggere dietro, per sapere. Ma lo fece comunque, perché più informazioni raccoglieva su quel ragazzo e più quella assurda realtà si faceva concreta e magari riusciva davvero a crederci.

Febbraio 2014 – Gwen <3

– Cazzo… cazzo cazzo cazzo. –

Qualche volta Spidey gli aveva parlato di questa Gwen. Mezze frasi, quasi buttate lì casualmente. Così come lui tirava fuori Vanessa e il cancro e Weapon X, in mezzo i suoi rigurgiti di parole senza capo né coda. Wade si era fatto un’idea ed era sufficientemente dolorosa da riuscire zittire tutte le Voci, in quei momenti, e lasciare solo quella di Spidey e fare la persona decente, per una volta. Di solito era lui a cambiare argomento e alleggerire l’atmosfera. Wade non osava mai. Era un coglione, ma sapeva quando essere un po’ meno coglione.

Ricompose la cornice e rimise la foto al suo posto. Quindi questo era il fantasma contro cui lottava. O almeno, il più grosso – forse il più recente? Aveva sempre avuto il sospetto che ce ne fossero altri, troppi per le spalle di un ragazzo così giovane e innocente.

[Non poi così innocente, eh?]

{Beh, ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio, no?}

[E i suoi feticci segreti per uomini più vecchi e mentalmente instabili.]

{Ehi, non abbiamo ancora trovato niente!}

Wade voleva e non voleva trovare qualcosa di schiacciante. Voleva e non voleva la conferma definitiva. Ancora una parte di sé negava. Negava negava negava.

La macchina fotografica e il nome della ragazza potevano essere solo delle coincidenze, no? Ok, era delle grosse coincidenze, grosse quanto l’ego di Mysterio e le palle di Colossus messi assieme, ma…

Ma Wade si sedette sul letto sfatto. Le molle che cigolavano sotto il suo peso e le armi che facevano un gran casino mentre si assestava sul materasso. D’un tratto prese coscienza di quanto la sua tuta e il suo armamentario avessero bisogno di una lavata: sperava di non sporcare niente. Sperava che in qualche modo gli passasse quella sensazione. Quel netto disagio di sentirsi così ingombrante e fuori posto. Aveva fatto decisamente di peggio nella sua vita, ma frugare nella vita di quel ragazzo – chiunque egli fosse – lo faceva sentire sporco.

C’era un iPod in carica sul comodino. Wade lo accese e scorse le playlist.

“Studio” – un casino di canzoni lounge e ambient.

“Doccia” – Men At Work, Toto, Bon Jovi, Billy Joel, Wham… cazzo, chiunque fosse questo ragazzo gli avrebbe chiesto di uscire!

“Ronda”.

Ronda – la parola fece ping-pong tra il suo cervello e il suo sterno una dozzina di volte e infine gli si piantò in gola, obbligandolo a deglutire forte. Iron Maiden, Led Zeppelin, AC/DC, Deep Purple, Foo Fighters… e altra roba decisamente adatta a picchiare duro.

Magari era un’altra coincidenza. Magari era un bravo cittadino che faceva le ronde di quartiere. Magari era per questo che l’aveva beccato e si era messo a fargli foto: con la faccia che aveva, chiunque avrebbe sospettato brutte cose su di lui.

[Ma certamente. Un Amichevole Nerd Vigilante di Quartiere.]

{Sei un genio!}

[Voglio uscire da questa scatola cranica. Puoi spararti in bocca, grazie?]

Wade inforcò gli auricolari e fece partire la riproduzione casuale, zittendo le Voci. Mentre Sir Elton John gli cantava nelle orecchie, riprese la sua ispezione da dove l’aveva lasciata.

Aprì il cassetto del comodino: l’universale Vaso di Padora. Se c’era qualcosa di compromettente, era certamente lì. Era stato anche lui un ventenne. Ok, magari nel suo cassetto di post-adolscente c’erano riviste porno, lubrificante e condom. Certamente non un’anonima cartellina dall’aria segretissima.

[E… ci siamo, gente! Allarme rosso! Allarme rosso!]

{Prepararsi al melt-down in tre, due, uno…}

– Ma che cazzo…?! –

Wade aprì la cartellina nell’esatto momento in cui Elton gli cantava nelle orecchie “And can you feel the love tonight?” e non poté fare a meno di scoppiare a ridere istericamente.

 

*

 

– Toc toc! –

– Chi è? –

– Spidey. –

– Spidey chi? –

– Spidey Pizza! –

Wade lo fissava serio dalla cornice della finestra.

– Mi fai entrare? Si raffreddano! –

– Punto primo, – iniziò il mercenario mentre si scostava per lasciarlo passare – aveva senso bussare alla porta, ma stai entrando dalla finestra. Punto secondo: pizza? Bamby, abbiamo mangiato pizza anche la volta scorsa! Non ti ho insegnato proprio niente? Uccidere il proprio metabolismo è un’arte! –

– È divertente proprio perché sono entrato dalla finestra. – Peter avanzò sul soffitto e atterrò accanto al divano – E ti ho portato quella con le acciughe e l’ananas. –

Aprì il cartone per mostrargliela e rabbrividì d’orrore al solo aroma che emanava. Ma ehi, era la sua preferita, e chi era lui per discutere i gusti altrui?

Wade afferrò il cartone ed emise un gemito al limite del pornografico: – Oh, vieni da papino, sì… –

Peter era molto felice di indossare la maschera.

– Ti ho anche preso il tuo solito smoothie. – gli allungò una borsa – Ma sappi che è ultima volta che lo faccio, è stato imbarazzante. –

Wade estrasse il bicchiere con allegria infantile.

– Non c’è niente di imbarazzante ad abbracciare i propri kink! Dovresti farlo anche tu! –

– I miei kink sono a posto così, grazie. – Peter aprì il cartone della propria pizza, una normalissima e decente pepperoni, e arrotolò la maschera fino al naso – Quanto a te, se metti cinque o sei ingredienti in meno nei tuoi smoothie credo che siano lo stesso bevibili. –

– No. – Wade succhiò dalla cannuccia con aria impettita e occhieggiò la sua misera lattina di Coca – Io ho imparato a godermi la vita, a differenza tua. –

– Wade, non so se te ne sei accorto, ma praticamente faccio la tua stessa vita. – rimarcò Peter mentre addentava una fetta di pizza.

Slurp – fece la cannuccia.

– Ho i miei dubbi in merito. –

Wade lo stava fissando. E non era uno sguardo rassicurante.

– Passiamo la metà del tempo insieme. – gli fece notare – Non so cosa ti immagini che faccia nel resto del tempo, ma di solito dormo o vado a lezione. –

– Ah! – Wade gli puntò lo smoothie in faccia – Lo vedi che non ti godi la vita?! Seriamente, – roteò gli indici ad indicare tutto, dalla casa alle pizze a loro stessi – questo è il massimo del divertimento per te? Almeno abbi il coraggio e chiedi di mettere doppia panna montata, zuccherini colorati, caramello e cocco grattugiato sopra ai tuoi smoothie! –

Peter alzò gli occhi al cielo: – Ho un metabolismo veloce, ma se mangiassi le stesse cose mangi tu mi trasformerei in un dirigibile. Mi ci vedi? Un dirigibile rosso e blu che dondola tra i grattacieli? –

Wade ammiccò: – Niente di male ad arrotondare quel bel culetto. –

Peter si strozzò con la pizza. Un buon modo di nascondere il rossore, dopotutto.

– E a proposito di bei culetti… – Wade pescò il cellulare dalla tasca della felpa e scorse le foto – Per caso lo conosci questo tizio? –

Peter guardò lo schermo e tutto attorno a lui si congelò. Tutto anche dentro di lui si congelò. Poteva sentire il calore ritirarsi dalle estremità come la risacca del mare, e concentrarsi in mezzo al petto e sulla faccia, e bruciare come lava incandescente.

Quella era la sua faccia. La sua faccia. Cosa cazzo ci faceva la sua faccia nel cellulare di Wade?

– Webhead? Spidey? Pumpkin? – Wade gli schioccò le dita davanti agli occhi – Tutto ok? –

Peter annaspò in cerca di parole, ma il cervello era una tabula rasa.

– N-no. – colpo di tosse – Uh… non lo conosco. – l’improvviso bisogno di bere tutta la Coca nonostante la nausea e poi accartocciare la lattina con una mano – Perché? Lo… tu lo conosci? –

– Beh, in un certo senso… – ribatté vago.

Wade si grattò la testa ed emise un sospiro teatrale.

– L’ho beccato a seguirmi. – iniziò a raccontare tra un morso di pizza e l’altro – Sarà stato il mese scorso, non ricordo. Comunque… l’ho dovuto spaventare un po’. Sai com’è, una cosina adorabile come quella non dovrebbe girare attorno ad uno come me, no? –

– Mh… – Peter si fingeva troppo impegnato a masticare la sua pizza per poter rispondere propriamente.

– È stato orribile. Davvero. Ho mozzato teste e sbudellato gente, nella mia vita, lo sai, ma niente è stato orribile quanto fare il bullo con quel ragazzino. Ma… che ne sapevo? – scrollò le spalle – Voglio dire, magari faceva solo finta. –

– Finta? –

– I’m just a teenage dirtbag, baby… – canticchiò in falsetto, per poi abbassare improvvisamente la voce di un ottava e fissarlo intensamente – O magari no?

Peter deglutì il boccone e si sforzò con tutto sé stesso di mantenere un atteggiamento casuale.

– Magari non era solo il teenager sfigato che diceva di essere. –

– Oh… e cosa… che altro poteva essere? –

Wade scosse la testa: – Beh, Honey, non mi chiamo Charles Xavier, per cui ho dovuto indagare a modo mio. –

– A modo… tuo? – lo incalzò.

E Wade gli spiegò tutto.

Come l’aveva seguito. Come aveva scoperto doveva abitava ed era entrato nella sua stanza. Come aveva frugato ovunque in cerca di informazioni.

Che probabilmente era orfano, perché viveva con un’adorabile signora di mezza età che era sua zia. Che a giudicare dai libri che aveva trovato, studiava roba da giovani cervelloni in erba come lui. Che doveva essere pazzo, perché costruiva da solo invenzioni assurde con materiali di fortuna e prima o poi gli sarebbe scoppiato qualcosa in faccia e sarebbe stato un vero peccato rovinare in quel modo un così bel faccino.

Che non doveva avere molti amici.

Che faceva un sacco di foto. Davvero tante, tante foto.

 

*

 

– Sai, la gente è strana, non so mai cosa aspettarmi… ma questo. – Wade scosse la testa e fece un’espressione stranita – Wow! Questo è proprio fuori dalla mia comprensione! –

Povera lattina. Spidey l’aveva accartocciata fino a ridurla ad una pallina di alluminio chiusa nel suo pugno.

– Sì? Cos’è che non capisci? –

Wade rise. Sarebbe stata una lunga serata.

– Ma dico, l’hai guardato bene?! – picchiettò un dito sullo schermo del cellulare – È perfetto! Fottutamente perfetto e Cristo, con quella faccia e quel cervello può avere chiunque desideri! Che cazzo vuole da un freak come me, mh? Voglio dire, se lo beccassi di nuovo… al diavolo, gli chiederei di uscire, ma… –

La misera pallina di latta venne lanciata via e probabilmente causò un buco nella parete di fronte. Spidey si sfregò le mani sulla faccia mascherata.

– Gli chiederesti…! E cose faresti, sentiamo? –

Era surreale, quella conversazione era semplicemente surreale e totalmente folle e wow! Solo loro due potevano finire in una fanfic talmente sgangerata.

– Lo porteresti al cinema e poi a mangiare un gelato? Oppure… direttamente a cena in un posto carino? Cosa… che faresti? –

– Central Park. – ripose immediatamente – È autunno, Baby Boy, andremmo a Central Park ad ammirare il foliage. –

– Il… foliage. – annaspò.

– Oh sì. E poi lo porterei al Tavern on the Green, per una cioccolata calda. – aggiunse – Con doppia panna montata, zuccherini colorati, caramello e cocco grattugiato. – elencò lentamente.

Cazzo, più di così. Doveva dargli altri suggerimenti?

– Ma certo… – lo vide annuire, le mani giunte davanti alla bocca e una gamba che dondolava nervosamente.

– E poi… –

– Ah, c’è altro?! –

Wade assunse un’espressione oltraggiata: – Ovviamente c’è altro! – e lui gli fece cenno di continuare.

– E poi faremmo un giro in barca sul lago. – continuò – Fino alla zona dei salici piangenti, sai, no? o– Wade si sporse appena verso di lui e poté percepire la tensione, lo sforzo impiegato per non saltare su e attaccarsi al soffitto – Sha-la-la-la, go on and kiss the girl… –

– Ok! – balzò in piedi alzò i pollici e prese a parlare velocemente con voce insicura – Un bellissimo programma, seriamente! Solo che, uh… non sai… nemmeno il suo nome. Non sai davvero che tipo sia, cosa voglia da te, e ne parli come se fosse… –

– Speravo che me lo dicessi tu. –

– Cosa…? –

– Il nome. Speravo che me lo dicessi tu. –

Wade non si aspettava una risposta. Per cui non si stupì di vederlo incrociare le braccia al petto e muoversi nervosamente sui piedi. Ma quel giochino stava andando avanti davvero da troppo tempo, Wade voleva passare ai fatti. Ed era abbastanza sicuro che anche Spidey lo volesse.

– Oppure, – con studiata calma si alzò in piedi e lo fronteggiò – possiamo continuare così. A girarci intorno. È divertente. Tu sei adorabile, Sweetums, lasciatelo dire. Cioè, sei sempre adorabile, ma così… – fece un fischio di apprezzamento e poi ammiccò – Credo che stanotte mi toccherò ripensando a questo. Ma userò la sinistra. –

– E solo asì hai un po' de sodisfasione. – ribatté subito lui.

Sì, anche Wade era grato di potersi trincerare momentaneamente dietro le loro solite citazioni. Un attimo di respiro prima di fare l’ultimo salto.

Wade fece un passo avanti: – Se uso la mano derecia finisco subito. –

Risero insieme, con una goffaggine che non apparteneva alle loro interazioni. Oh, poteva sentirlo come avrebbe voluto schizzare via lontanissimo. Ma erano entrambi inchiodati lì.

– È divertente. – ripeté avanzando cautamente di un altro passo – Ma credo che sarebbe più divertente passare alla fase successiva. –

– Sì? – una mano inguantata raggiunse uno dei lacci della sua felpa e prese a giocarci nervosamente e Wade ci morì sopra quel tic – Che succede nella fase successiva? –

– Succede che ti togli quella maschera. Trovo francamente inaudito che tu mi abbia nascosto quel bel faccino per tutto questo tempo. – lo rimproverò – E tra parentesi, anche un tantino scorretto, devo dire, visto il contenuto di quella cartellina che… –

Qualcosa dovette scattare in Spidey alla menzione della cartellina. Perché Wade lo vide prendere un profondo respiro, come se dovesse immergersi in acqua e andare in apnea. E un attimo dopo la maschera era andata.

   
 
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