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Autore: Kim WinterNight    20/03/2020    11 recensioni
Martin si annoia.
Non può andare in spiaggia perché ha già preso troppo sole e sua madre è stata categorica al riguardo.
Trascorre il tempo sul portico con la musica nelle orecchie.
Finché un giorno, oltre la siepe che divide il suo giardino da quello degli odiati vicini, non intravede qualcuno di inaspettato.
Martin è timido, non riesce quasi a spiccicare parola con gli sconosciuti, ma i suoi occhi sono curiosi, vivaci e attenti.
- OTTAVA CLASSIFICATA e vincitrice del premio speciale "Titolo al rovescio" al contest "Una biblioteca in disordine" indetto da Marika Ciarrocchi sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Martin&Joe'
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Il rosso oltre la siepe






L’estate era torrida e io avrei voluto raggiungere i miei amici in spiaggia. Amavo nuotare, era l’unica cosa che liberava la mia mente e il mio corpo.
Mia madre però me l’aveva proibito, perché nei giorni precedenti avevo preso troppo sole e mi ero scottato parecchio. Non mi piaceva spalmarmi addosso la protezione solare, mi infastidiva e mi faceva sempre sentire unto e goffo nei movimenti.
Così me ne stavo in giardino a osservare gli insetti che svolazzavano qua e là, seduto all’ombra del portico. Era decisamente da sfigati rimanere a casa durante l’estate, specialmente a quattordici anni.
Sospirai e infilai le cuffiette alle orecchie, accuratamente collegate al lettore mp3. Feci zapping per un po’ tra i tanti brani presenti in scaletta, ma alla fine spensi l’apparecchio e sbuffai.
Non avevo nemmeno voglia di ascoltare musica.
Un fruscio proveniente dalla mia sinistra attirò la mia attenzione e mi raddrizzai sulla sdraio, scrutando oltre la siepe che divideva la nostra casa da quella dei vicini.
Solitamente in estate la famiglia Turner partiva per trascorrere le vacanze altrove e io ero sempre contento di non sentire più i loro schiamazzi durante tutto il giorno.
Allora perché c’era qualcuno nel loro giardino? E se si fosse trattato di un ladro? Scattai in piedi e feci alcuni passi avanti, poi mi fermai e mi diedi dell’idiota.
Cosa me ne frega? I Turner se lo meritano!
Stavo per tornare a sedermi sulla sdraio quando lo vidi: un ragazzo che doveva avere due o tre anni in più di me, magro e dalla pelle chiarissima, dai capelli rosso fuoco che scendevano sciolti e ricci fino alle spalle. Indossava una canottiera verde che gli stava larga, dei pantaloncini neri aderenti e non aveva affatto l’aspetto di un ladro.
La bocca mi si seccò e le mani presero a sudarmi.
I suoi occhi si posarono sui miei e subito le labbra sottili si inarcarono in un sorriso conciliante. Sollevò la mano sinistra per salutarmi e solo in quel momento notai che la destra era intrecciata a quella piccola e paffuta di una bambina che gli somigliava terribilmente.
Okay, non è un ladro.
«Ehi, amico!» esclamò. La sua voce era sottile e dal timbro poco mascolino, ma riuscì a far increspare la mia pelle in un brivido.
Non sapevo esattamente cosa mi stesse succedendo, ma non potei far altro che sorridergli di rimando.
Il giovane fece alcuni passi avanti, seguito dalla bimba. «Mi chiamo Ben, lei è la mia sorellina Beth. Bethie, piccola peste, saluta!»
Sorrisi imbarazzato e continuai a fissarli.
«Ciao, sono Elizabeth e lui si chiama Bernard, anche se non gli piace e quindi si fa chiamare Ben!» strillò la bambina, per poi scoppiare a ridere mentre suo fratello le scompigliava i capelli.
«Tu come ti chiami?» mi si rivolse ancora Ben.
«Martin… ehm, siete parenti dei Turner?» borbottai.
«No, ci hanno affittato la casa per le vacanze. Il nostro cognome è Baker» spiegò il ragazzo.
Notai che i loro occhi, anch’essi identici, erano di un verde così luminoso e brillante da risultare quasi abbagliante. Le ciglia e le sopracciglia erano ramate e il loro viso era cosparso di lentiggini.
Feci un passo indietro, il cuore mi batteva a mille e non sapevo perché.
Sì che lo sai…
«Ah, capito» bofonchiai.
«Che fai? Non vai in spiaggia?»
Scossi il capo. «Non posso più prendere sole per un po’.»
«Nemmeno noi, sai? Perché siamo troppo chiari!» esclamò la piccola Beth.
Io tuttavia non riuscivo a togliere gli occhi da suo fratello. Era un ragazzo che non spiccava per bellezza o per virilità, ma io lo trovavo davvero magnetico e affascinante.
«Adesso devo rientrare» mentii.
«Di già? Uffa! Bernie, convinci il nostro nuovo amico a giocare con noi?» protestò ancora la bambina.
«Se non può, non dobbiamo insistere.»
Sorrisi appena e li salutai frettolosamente, per poi correre dentro casa e chiudermi la porta alle spalle. Vi poggiai contro la schiena e imprecai perché avevo lasciato entrare un moscone.
E perché mi ero comportato da imbecille.
Forse faccio ancora in tempo a rimediare…
Stavo per uscire nuovamente in giardino, quando mia madre mi intercettò e mi chiese di aiutarla a preparare il pranzo.
«Lo sai che tuo padre ha i minuti contati per la pausa pranzo» aggiunse, facendomi cenno di seguirla in cucina.
Certo, perché lui fa il muratore, non è un fannullone come me.
«C’è un moscone» la informai.
«Occupatene tu, Martin, okay?»
«Senti, mamma… tu sapevi qualcosa dei Turner? Hanno affittato la casa a dei tizi…» buttai lì, mentre afferravo la paletta e seguivo con lo sguardo i movimenti frenetici dell’insetto.
«Certo che lo sapevo.»
«Ah, okay.»
Potevi dirmelo, almeno mi sarei preparato psicologicamente.
«Dai, appoggiati» grugnii in direzione del moscone.
«Datti una mossa, Martin» concluse mia madre, armeggiando con padelle e ingredienti per il pranzo.
Sospirai.
Sarà un’estate lunga.

Presi l’abitudine di accucciarmi nel portico a osservare Ben oltre la siepe. Riuscivo a non farmi notare, trascorrevo il tempo immobile e con la musica nelle orecchie a volume basso.
Lo guardavo giocare con la piccola Beth o godermi il suo corpo chiaro e magro adagiato su una sedia in plastica, mentre il ragazzo sfogliava una rivista o leggeva un libro.
A me non piaceva tanto leggere, preferivo di gran lunga guardare un bel film o delle serie tv. Però mi affascinava quel suo modo di concentrarsi su delle pagine inzuppate d’inchiostro, aveva un che di magico.
Dovrei convincere mamma a lasciarmi andare in spiaggia, così potrò distrarmi.
I capelli rosso fuoco di Ben erano una calamita irresistibile per i miei occhi, così come la sua pelle chiara ed esposta, sulla quale avrei volentieri lasciato scorrere le dita.
Mi bloccai a quel pensiero e mi diedi del pervertito.
Piantala, Martin, stai esagerando!
La verità era che da quando avevo cominciato a interessarmi ai ragazzi, la mia vita si era fatta difficile. Sentivo la necessità di nascondermi, di prendermi i miei spazi per cercare di ricacciare quelle sensazioni.
Era cominciato tutto durante il terzo anno delle medie, quando i miei occhi avevano preso a indugiare un po’ troppo sui corpi più o meno sviluppati dei miei compagni. Ritrovarmi negli spogliatoi con loro durante le ore di ginnastica era stata una tortura, per non parlare di quando andavo in piscina.
Avevo cominciato a notare reazioni compromettenti da parte del mio corpo, così avevo smesso di frequentare le lezioni di nuoto; i miei genitori non avevano fatto tante storie, per loro risparmiare un po’ di soldi si era rivelato un toccasana per l’economia famigliare.
Così ero stato felice quando l’estate era giunta e io ero potuto correre in spiaggia e gettarmi in mare, pronto a recuperare un bel po’ di nuotate.
Con l’avvento del primo anno di liceo le cose non erano cambiate e si erano soltanto rafforzate. Andare negli spogliatoi maschili si era rivelato un motivo di disagio per me, così avevo smesso di cambiarmi là dentro e avevo preferito andare in bagno tra un’ora e l’altra.
Mi ero informato e avevo scoperto che gli omosessuali non possono reprimere la loro natura, che se solo ci avessi provato sarebbe stato totalmente inutile.
E Ben, con i suoi capelli rossi e quel corpo delicato, ne era la conferma.
Non riuscivo a non guardarlo e ormai era da tre giorni che mi sedevo sul portico a mangiarlo con gli occhi.
Ogni tanto lo sentivo chiacchierare con la sua sorellina e mi soffermavo ad ascoltare le loro voci e le loro parole, desiderando di sedermi con loro e partecipare alla conversazione.
Non posso, non riuscirei neanche a spiccicare parola.

«Bernie, perché Martin non vuole giocare con noi?»
Udii Beth porre quella domanda al fratello e misi in pausa la musica per poter ascoltare meglio.
Ben sedeva sulla solita sedia in plastica e io lo osservavo attentamente attraverso l’intricato fogliame della siepe che divideva casa mia da quella dei Turner.
«Vedi, Beth, credo che Martin sia un ragazzo molto timido» spiegò il rosso, mentre armeggiava con una scatola di cartone piuttosto voluminosa.
«Ma noi non gli facciamo niente! Perché ha paura di noi?» proseguì la bambina.
Ben aprì la scatola e lasciò che il contenuto si adagiasse sul prato; poi afferrò un gonfiatore e si mise in piedi, per poi chinarsi per sistemarlo.
Una piscina gonfiabile?
I miei occhi seguirono la curva della schiena di lui, indugiando poi sui glutei costretti nei pantaloncini neri. Deglutii a fatica e mi posai una mano sul cuore, mentre un intenso e fastidioso calore invadeva ogni fibra del mio corpo.
Sono un porco schifoso!
«E se lo invitiamo in piscina con noi?»
Ben lanciò un’occhiata dubbiosa alla sorellina, poi sorrise e annuì appena. «Possiamo provarci, se ti va.»
Beth prese a saltellare e battere le mani, per poi abbracciare di slancio il fratello. «Lo convincerò io!»
Cazzo, e adesso?
In preda al terrore, corsi come un razzo dentro casa e decisi di farmi una doccia fredda. Mi sentivo completamente disarmato e non sapevo cosa inventarmi per uscire di casa e non farmi trovare, se i due fossero venuti a cercarmi.
Stavo per entrare in bagno, quando intravidi mia madre in cucina e mi venne un’idea.
Almeno devo provarci.
«Mamma! Hai per caso delle commissioni da fare? Potrei prendere la bici e andarci io» proposi, affacciandomi sulla soglia.
Lei sollevò lo sguardo dal televisore e mi rivolse un’occhiata indagatrice. «Non ho niente da comprare. Che ti prende, Martin? Ti annoi?»
Mi grattai la nuca, a disagio. «Un po’…»
«Perché non studi?»
«Ah, mamma, l’estate è ancora lunga, non mi va di farlo ora» borbottai. «Sicura che…»
Il suo sguardo si assottigliò appena. «Se credi che ti darò il permesso di uscire, ti sbagli. Ho capito cos’hai in mente.»
«Cos’ho in mente? Veramente io…»
«Vuoi andare in spiaggia, ma ti ho già detto che è pericoloso. Guardati, hai ancora la pelle ustionata e sta cominciando solo ora a staccarsi. La prossima volta stai più attento.»
Alzai gli occhi al cielo. «Ah, insomma, non sono un moccioso!»
«E chi l’ha detto? A volte sei così irresponsabile…»
Stavo per ribattere, quando udii il campanello suonare e il cuore balzarmi nel petto.
Rimasi immobile a fissare il vuoto, non sapendo come comportarmi.
«Beh, che aspetti? Non vai a vedere chi è?»
Abbattuto e frustrato, mi avviai alla porta e la schiusi, mettendo fuori la testa.
Ben e Beth se ne stavano in piedi di fronte al cancelletto di casa mia, due enormi sorrisi stampati sui volti chiari e delicati.
«Ehi» mormorai.
«Ciao Martin! Lo sai che io e Bernie abbiamo gonfiato la piscina? Vieni a tuffarti con noi? Io farò la Sirenetta!» cominciò a sproloquiare la bambina, avvolgendo tra le mani le stecche in ferro battuto del cancello.
«Veramente… non ho il costume» improvvisai.
Proprio in quel momento avvertii la presenza di mia madre alle mie spalle e sobbalzai.
«Chi è?» fece lei, spalancando la porta. Posò lo sguardo sui due fratelli e sorrise. «Ciao, voi chi siete? Martin non può andare in spiaggia, qualche giorno fa si è scottato e non può prendere sole. Mi dispiace.»
«Ciao, tu sei la mamma di Martin? Io sono Beth e lui è mio fratello Bernie! Anche noi non possiamo andare in spiaggia, ma abbiamo gonfiato la piscina!»
Mia madre aggrottò la fronte. «La piscina?»
A quel punto Ben prese la parola e io chinai il capo, profondamente imbarazzato.
«Salve! Siamo qui in vacanza, nella casa dei Turner. Ci piacerebbe se Martin venisse in piscina da noi. Abbiamo messo degli ombrelloni, anche noi non possiamo prendere tanto sole, la nostra pelle si arrossa subito anche quando usiamo la protezione alta, sa com’è…»
Mia madre incrociò le braccia sul petto e mi guardò di sottecchi. «Sì che ce l’hai il costume, Martin» sibilò, pronunciando il mio nome in un modo che mi fece rabbrividire.
Ha capito che stavo cercando di scamparla, cazzo.
«Allora può venire?» saltò su Beth in tono speranzoso.
«Ma certo!»
Ecco, sono fregato.

Non ero mai stato nel giardino dei Turner, detestavo i loro figli e la loro famiglia. Tuttavia, in quel momento mi trovavo lì in compagnia di Ben e Beth, ed ero sempre più a disagio.
Ora che avevo il ragazzo ancora più vicino, il mio corpo era in subbuglio più che mai; per fortuna avevo indossato un costume di mio padre, almeno mi stava piuttosto largo e non rischiava di mettere in evidenza le reazioni del mio corpo traditore.
«Facciamo il bagno!» strillò Beth, per poi tuffarsi nell’acqua bassa e bollente della piscinetta.
«Attenta alle api, Bethie» la riprese Ben, tenendola d’occhio con fare premuroso.
Io tenevo lo sguardo basso e non osavo sfilarmi la t-shirt.
«Davvero ti va di stare con noi?»
Alzai gli occhi e incrociai quelli verdi e brillanti del rosso. Arrossii violentemente e annuii, sperando che quella risposta gli bastasse.
«Sei molto timido» sussurrò.
«Mi dispiace, io…»
«Ehi, amico, va bene così. Andiamo da Beth?»
«Comincia ad andare, arrivo…»
Lui si alzò e, davanti ai miei occhi increduli, si sfilò la canottiera, mettendo in mostra il petto magro e chiarissimo. Fui costretto a deglutire e spostare lo sguardo altrove, mentre il mio corpo cominciava a reagire come non avrebbe dovuto.
È una tortura, come ho potuto cacciarmi in questo casino?
Proprio in quel momento due donne uscirono in giardino, chiacchierando tra loro, per poi avvicinarsi a noi.
«Ciao! Ragazzi, questo è il famoso Martin?» chiese una di loro, anch’essa con i capelli rossi e ricci legati in una coda di cavallo.
Mi alzai educatamente e feci un cenno di saluto. «Sono io, signora. Spero di non… disturbare.»
Lei mi raggiunse e mi lasciò una piccola carezza sul capo. «Che ragazzo educato. Io sono Stephanie, la madre di questi due» scherzò, indicando prima Beth, poi Ben.
L’altra donna, i capelli biondi stretti in uno chignon, sorrise e si presentò a sua volta. «Ciao Martin, sono Lucy, la migliore amica di Stephanie.»
Annuii.
«Adesso andiamo a comprare qualcosa per il pranzo, voi fate i bravi, okay? Martin, mangi con noi?»
Lanciai un’occhiata a Stephanie, interdetto. «Se mia madre non ha qualcosa in contrario, beh…»
Tanto non mi lascerebbe mai rimanere, la conosco troppo bene.
«Passiamo a chiederglielo proprio ora» replicò Lucy, per poi strizzarmi l’occhio e seguire l’amica fuori dal giardino.
Sospirai sotto lo sguardo leggermente confuso di Ben.
«Mia madre è un po’ rompiscatole, a volte» buttai lì.
«La convinceranno, vedrai. Ehi, sai una cosa? Stanno insieme, non sono solo amiche.»
Strabuzzai gli occhi e lanciai un’occhiata a Beth, ma Ben sorrise e annuì.
«Anche lei lo sa, solo che… a volte si inventano di essere soltanto amiche per non spaventare i nostri nuovi amici. Ma tu sembri uno a posto, Martin.»
Il mio cuore perse un battito e mi morsi il labbro inferiore.
«Adesso spogliati e buttiamoci in acqua!» concluse Ben, per poi raggiungere in fretta sua sorella.
I miei occhi indugiarono ancora una volta sul suo corpo, poi mi decisi a sfilarmi la t-shirt.
Sua madre è lesbica, forse non mi discriminerà se scoprirà che gli guardo il culo.
Mi diedi dell’idiota e mi diressi verso la piscinetta gonfiabile.

Era sempre più difficile stargli vicino e guardarlo senza che se ne accorgesse, così avevo deciso di continuare a nascondermi sul portico e godermi lo spettacolo attraverso la siepe.
Una mattina ero solo in casa, mia madre era uscita a fare la spesa e mio padre era al lavoro. Me ne stavo sul portico e Ben era sdraiato sul prato vicino alla piscina, mentre Beth sguazzava all’interno, immersa in una fitta conversazione con chissà quale amico immaginario.
Da quell’angolazione potevo vedere chiaramente Ben, ma il gonfiabile non rientrava nel mio campo visivo. A un certo punto Stephanie si affacciò e richiamò la bambina, annunciandole che una sua amichetta voleva parlare al telefono con lei.
La piccola esultò e uscì dall’acqua, correndo dentro casa senza neanche asciugarsi.
Ben, intanto, era rimasto immerso nella lettura. Se ne stava sdraiato prono su un telo, le gambe piegate all’indietro e le caviglie intrecciate, mentre con i gomiti sosteneva il peso del busto.
Era senza maglietta e i pantaloncini del costume ancora umidi aderivano alla parte superiore delle cosce e ai glutei, delineandone perfettamente la forma.
La bocca mi si seccò, mentre le ciocche rosse e ricce oscillavano appena attorno al suo viso, mosse dal vento caldo che spirava. Ogni tanto portava una mano a scostarne qualcuna, senza però smettere di leggere.
Sarà consapevole di essere così bello?
Mi resi conto che la mia mano destra era ferma sul cavallo dei miei pantaloni quando già il respiro era accelerato.
Mi guardai intorno e sbuffai, sentendo sempre più caldo. Volevo spostare la mano, volevo smetterla.
Devo piantarla.
Ma le mie dita stavano timidamente carezzando l’evidente erezione che si era risvegliata al di sotto della stoffa che la imprigionava.
Mi lasciai sfuggire un sospiro e mi portai la mano sinistra sul cuore, sentendolo battere così forte da farmi quasi paura.
Ben si stiracchiò appena e le mie dita scivolarono sotto i vestiti, a stringere il membro duro.
Maniaco, smettila.
Ben sospirò e io sospirai, continuando a toccarmi, mentre le mie palpebre si socchiudevano e la vista si appannava.
Immaginavo che fosse lui a carezzarmi in quel modo, immaginavo di poterlo sfiorare a mia volta, di poter assaporare quella pelle chiara; sarebbe stato bello marchiarla piano con i denti, i segni sarebbero rimasti impressi per un po’.
Ormai non riuscivo più a frenare la mia mano e le mie fantasie, non ne fui in grado neanche quando notai distrattamente che Ben si alzava e si guardava intorno.
Neanche quando un sospiro più intenso degli altri mi scosse.
Ci sono quasi, cazzo.
E proprio mentre stavo per raggiungere l’apice, i suoi occhi si fermarono su di me.
Mi bloccai di scatto e balzai in piedi con l’intento di correre in casa, ma ottenni soltanto il risultato di farmi miseramente scoprire.
Ben avanzò nella mia direzione e solo allora mi resi conto di avere ancora la mano dentro i pantaloni, mentre l’altra stringeva convulsamente il bordo della maglietta.
Il rosso si fermò a qualche metro dalla siepe e mi fissò.
Stava per dire qualcosa, quando io finalmente mi riscossi e schizzai dentro casa, chiudendomi dentro come se avessi visto un fantasma.
Una doccia fredda, Martin, coraggio.
Mi guardai intorno e scossi il capo, sentendomi ancora profondamente eccitato.
Sono solo, tanto vale finire quello che ho cominciato.
Corsi in bagno e serrai la porta.

«Avete litigato?»
«No.»
«E allora? A Stephanie e Lucy dispiace che non vuoi più andare da loro. Dopodomani ripartiranno, dovresti almeno salutare per educazione.»
Avrei voluto dire a mia madre di farsi gli affari suoi, ma mi sarei soltanto guadagnato un ceffone ben assestato.
«Dai, Martin! Si può sapere cos’è successo?»
«Niente, okay? Non mi stanno simpatici, poi quella bambina è irritante» buttai fuori, mentendo spudoratamente.
Speriamo che ci creda.
«Mi sembra strano.»
«Ma è così. E adesso lasciami andare a studiare.»
Evitai accuratamente di uscire sul portico e salii le scale, recandomi in camera mia; almeno non si affacciava sul giardino dei Turner e mi permetteva di non badare a Ben.
Da quando, due giorni prima, mi ero toccato mentre lo osservavo, lo avevo evitato come se fosse un lebbroso. Mi sentivo profondamente in imbarazzo all’idea che mi avesse scoperto, non sapevo minimamente come comportarmi.
Tanto dopodomani se ne vanno e sicuramente non lo rivedrò mai più.
Mi buttai sul letto e infilai le cuffie, intrecciando le braccia dietro la testa e chiudendo gli occhi; dalla finestra socchiusa entrava una leggera brezza, resa un po’ più fresca dall’assenza del sole.
Dovevo essermi addormentato, perché un rumore mi riscosse bruscamente.
Mi misi a sedere sul letto e spalancai gli occhi, ritrovandomi faccia a faccia con Ben. Se ne stava sulla soglia della mia stanza e accanto a lui stazionava mia madre.
«Sapevo che non stava studiando» commentò, per poi lanciarmi un’occhiataccia e andarsene.
Ben rimase fermo a guardarmi, senza aprir bocca.
Mi sfilai le cuffiette dalle orecchie e misi in pausa il lettore mp3.
E adesso che cazzo faccio?
Mi morsi il labbro inferiore e mi ritrassi ancora di più, raggomitolandomi contro la testiera del letto. Non avevo idea di cosa dire, ero mortalmente imbarazzato e detestavo avere quattordici anni ed essere così tanto insicuro.
«Ciao, amico. Che succede? Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio?» domandò Ben in tono gentile.
Scossi il capo e continuai a rimanere in silenzio. Volevo rassicurarlo, volevo scusarmi, ma le parole mi si erano fermate in gola e non volevano saperne di fuoriuscire.
«Senti, Martin.» Ben sospirò ed entrò nella mia stanza, chiudendo la porta. Si avvicinò al letto e si sedette cautamente in fondo, attento a non invadere i miei spazi. «Quando mia madre mi ha detto che lei e Lucy stavano insieme, mi sono incazzato a morte. Non riuscivo a capirla. Però poi ci ho ragionato, ho parlato con lei e con Lucy. E ho visto gli occhi di Beth: era felice. Felice di avere due mamme, ha detto proprio così.» Fece una pausa e rise appena. «Questo per dirti che non è un problema. Quello che hai fatto, quello che senti per me, non è un problema. Dico sul serio, amico.»
Gli occhi mi si riempirono di lacrime, ma subito li sfregai per scacciarle. «M-mi dispiace, io… penserai che sono u-un maniaco, ma… non mi era mai successo, non…»
«Martin, non è un problema! In realtà mi sento lusingato, anche se fa un certo effetto!»
«Davvero?»
«Davvero. Ho visto come mi guardavi.» Si strinse nelle spalle.
«A te piacciono le ragazze?»
Ben rise. «In genere sì, ma ho solo diciassette anni. Non sono ancora sicuro di niente. Forse anche tu cambierai idea, forse no… chi lo sa? Mia madre ha fatto due figli con un uomo per rendersene conto.»
Ricambiai timidamente il sorriso. «Mi vergogno molto, mi dispiace…»
Lui si allungò a picchiettarmi amichevolmente sulla gamba. «Non vergognarti, amico. Senti, dopodomani ripartirò, che ne dici di trascorrere un po’ di tempo insieme?»
Annuii lentamente. «Perché no?»
«Bene, perfetto! Allora andiamo, Beth ci aspetta in piscina!»

«È stato divertente giocare con te, Martin! Se la mamma vuole, torniamo l’anno prossimo!» esclamò Beth, mentre Stephanie e Ben caricavano gli ultimi bagagli sul taxi che li avrebbe portati all’aeroporto.
«Certo, così giocheremo ancora insieme» le assicurai, chinandomi per darle un buffetto sulla guancia paffuta.
I suoi enormi occhi verdi brillarono e di slancio mi abbracciò. Ricambiai goffamente, sentendomi un poco a disagio.
«Ti voglio bene, Martin!» esclamò.
Sorrisi dolcemente e la strinsi leggermente più forte, per poi lasciarla andare e risollevarmi.
Stephanie e Lucy si accostarono per salutarmi a loro volta.
«Potresti venire a trovarci, saresti il benvenuto in Montana» propose la rossa, strizzandomi l’occhio.
«Ti piacerà un sacco la loro casa in mezzo ai monti» scherzò Lucy.
«Ci penserò» borbottai, sorridendo e stringendo la mano a entrambe.
Poi Ben mi prese per un attimo da parte, poggiandomi le mani sulle spalle.
I suoi occhi verdi erano nei miei, il suo viso chiaro e delicato era illuminato da un sorriso, nonostante un velo di malinconia lo oscurasse appena.
«Amico, ci siamo scambiati il numero, vero?» chiese.
«Sì.»
«Allora non perdiamoci, okay?»
Annuii. «Okay.»
Si avvicinò e mi regalò un breve abbraccio. «E non vergognarti mai di te stesso, sei veramente okay» mormorò mentre si scostava.
Mi batté amichevolmente sul braccio, poi mi strizzò l’occhio e si avviò in fretta verso il taxi.
Mentre l’auto partiva, mia madre corse fuori e si sbracciò per salutarli, poi mi lanciò un’occhiata severa. «Perché non mi hai chiamato?»
Mi strinsi nelle spalle. «Che ne so, eri al telefono…»
Lei borbottò qualcosa di incomprensibile e si fermò a strappare qualche erbaccia in un’aiuola.
Mi avviai verso l’ingresso e mi fermai sul portico, lanciando un’occhiata al giardino dei Turner attraverso la siepe.
Forse ora questa casa non mi sembrerà più tanto orribile.
«Mamma?»
«Mmh?»
«Adesso posso andare in spiaggia? Ho bisogno di nuotare.»
Lei si raddrizzò e mi scrutò attentamente.
«Dai.» Sorrisi innocentemente. «Sono stato anche educato con i nostri momentanei vicini. E poi la mia pelle ora è okay.»
«Ci andrai solo se ti metterai la protezione solare» concesse infine.
«Promesso.»
«E tornerai qui entro mezzogiorno» precisò, puntando le mani sui fianchi.
«Tornerò entro mezzogiorno, va bene.»
Lei mi si accostò e mi sfiorò appena la guancia arrossata dal caldo. «Stai diventando un ometto per bene» rifletté tra sé, per poi rientrare in casa e lasciarmi impalato e interdetto.
Se lo dice lei…
Il mio cellulare vibrò nella tasca dei pantaloncini, così lo presi e lessi il messaggio che avevo ricevuto.

Sono Ben! La piccola Bethie mi ha chiesto di scriverti per sapere se già ti manca!

Sorrisi e mi precipitai dentro casa a mettermi il costume e prendere il telo per andare in spiaggia.
Sicuramente quel ragazzo dai capelli ricci e rossi come il fuoco, la pelle diafana e un culo favoloso aveva dato una svolta positiva alla mia estate.






♥ ♥ ♥

Ciao a tutti, cari lettori che siete coraggiosamente arrivati fin qui ^^
Ecco a voi la prima storia completamente incentrata su Martin prima che incontrasse Joe!
Infatti, il nostro timidissimo tesoro qui aveva solo quattordici anni ed era alle prime armi con la sua sessualità in subbuglio!
Scrivere di lui mi è piaciuto davvero tantissimo, mi sono divertita a metterlo in difficoltà e volevo che la figura di Ben avesse un ruolo importante e positivo per lui!
La madre di Martin è un po’ una piaga, ahahahahah, e poi qui faccio accenno anche a suo padre che, come forse qualcuno di voi ricorderà se ha letto la mia I’m proud of you, fa il muratore! Anche se non è apparso in questo racconto, volevo spiegare a grandi linee qual è la vita di Martin a quattordici anni.
Vive vicino al mare, ama nuotare, è un ragazzo fatto di sole, anche se nel suo animo ci sono ancora tante ombre che lui stesso deve ancora sistemare e scoprire!
Spero veramente che questo racconto vi sia piaciuto e che abbia rispettato il titolo che ho “formato” unendo dei pezzi di titoli di opere famose, forniti dalla giudice del contest a cui il racconto partecipa!
Grazie a chi ha letto e a chi deciderà di lasciare un piccolo commento, alla prossima ♥
  
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