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Autore: _Woodhouse_    20/03/2020    2 recensioni
❝Lo osservò dormire, sfiorando di tanto in tanto le linee insidiose delle sue costole, incastrata negli occhi di un altro, nel ricordo del suo respiro, affogata, vittima masochista del piacere che le procurava il ricordo della tensione che si librava fra i loro corpi e della complicità che aveva avvertito, mentendo insieme a lui, due volte e senza ragioni.❞
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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    Capitolo 23.
II





I 've got a girl crush, hate to admit it but
I've got a heart rush, it ain't slowin' down
I've got it real bad, want everything she has
That smile and that midnight laugh she's giving you now

I wanna taste her lips, yeah, 'cause they taste like you
I wanna drown myself in a bottle of her perfume
I want her long blonde hair, I want her magic touch
Yeah, 'cause maybe then you'd want me just as much...


(Girlcrush, Harry Styles)





Quando Robb li raggiunse, Josephine riacquistò percezione della realtà e distolse in fretta lo sguardo da quello di James, ma farlo non bastò a spegnere la sensazione che sentiva addosso. Confusione, sorpresa e angoscia si dibattevano al centro del suo petto e avrebbe tanto voluto chiedergli perché, cos’era cambiato, cosa le era sfuggito, ma ingoiò lo smarrimento e dedicò a Robb sorrisi e carezze. Lui le baciò il dorso di una mano e, rivolgendosi al fratello, disse:
Fata è forse il mio pezzo preferito. Sapevo che avrebbe catturato la tua attenzione.
James abbozzò un sorriso e scoccò un’occhiata di sbieco alla fotografia. Josephine li osservò con imbarazzo: trovava insopportabile che si parlasse di lei.
– Josephine era in posa? – chiese James con aria interessata.
– No, è questo il bello, non trovi? – rispose l’altro, entusiasta, sfiorando il fianco di Jo.
– Le ho semplicemente detto: “guardami un istante” e lei si è voltata e non ha mosso un ciglio. Era il giorno prima che la portassi a conoscervi, quest’estate.
Jo tossicchiò e prese a guardarsi intorno, per questo le sfuggì lo sguardo fugace che James rivolse alla mano di Robb che spariva dietro di lei, all’altezza della schiena.
– A cosa pensavi, con quello sguardo lì? – fece ad un certo punto. Jo realizzò solo dopo qualche momento che era con lei che James stava parlando. Il suo tono era ancora una volta incongruo, corrotto, una nota stonata che le gelava il sangue, ma si sforzò di assecondarlo, di mostrarsi capace di trattarlo come lui la stava trattando: con angosciosa cordialità.
- Non ne ho idea, sinceramente, – disse infine. – Ma è possibile che fossi sull’orlo di un mancamento. Ricordiamoci che era Luglio, – scherzò, sorridendo appena.
James strinse lo sguardo un attimo solo e poi si rivolse a Robb. – E’ talento vero, allora. Hai trasformato una banalità in malinconia.
Robb s’inorgoglì e non seppe trattenersi dal sorridere e dal ringraziarlo e dal dire che era troppo, che stava proprio esagerando, ma che era vero, certo, che la fotografia fa proprio questo: coglie un momento, a volte lo estrapola dal contesto ed è compito di un occhio acuto stanarlo, ma era pur vero che Jo si prestava perfettamente. Lei era una musa.
Sullo sguardo di Josephine calò una nebbia fittissima. Immaginò di essere una zolla di terra alla deriva, coi confini frastagliati e con tutti i segni dello strappo ancora freschi, votati all’oceano. Era lei che si strappava via da Robb e James, perché non esisteva altra coppia in quel punto della sala che non fosse costituita nient’altro che dai due fratelli. L’avevano scaricata, parlando di lei come fosse uno spettro o, peggio, uno strumento, lo strumento per decifrare l’arte di Robb; lo strumento utile ad allacciarli più forte con stringhe d’ammirazione, gratitudine, vanità, crudeltà. Era stato crudele James a ridurla a niente, era stato crudele Robb a negarle persino la malinconia. Non poteva immaginare che uno di loro si stava solo sforzando di ridurla a qualcosa di diverso, fingendo che non fosse per quegli occhi in fotografia che aveva perso la rotta.
Josephine inventò una scusa e si allontanò per cercare rifugio sul retro, ma Spencer e Tracy pretesero le sue attenzioni e la trascinarono al banco dei rinfreschi.
– Dov’è Sierra? – chiese loro, cercando di rilassarsi.
– Fuori a fumare con un tipo indecente, – fece Tracy. – Sai quello col cappello brutto che gironzolava vicino a noi, prima? Hanno preso a dirsi stronzate sull’arte tribale, su come ci sia da svecchiare questa composta Inghilterra e cose così.

Spencer ridacchiò, ma si sentì in dovere di aggiungere:
– Sembrava un discorso interessante, ma è Sierra e non riesco a prenderla sul serio, capisci, no?

Jo annuì e abbozzò un sorriso.

– Sono felice che siate riusciti a venire, – disse dopo qualche istante passato a sorseggiare prosecco. – Robb teneva moltissimo a questa mostra e tiene molto a voi.
– Scherzi? Non ce la saremmo persa per niente al mondo, – disse Spencer, mentre Tracy annuiva solenne.

A quel punto le lasciò da sole, per raggiungere i fratelli Draper. Tracy approfittò del momento per riversare su Josephine lamentele su Sierra e sulle sue cattive abitudine, sul suo modo sconsiderato di affrontare situazioni e uomini.
– Non la smetterò mai di preoccuparmi per tutti. Deve essere questo il mio destino, – fece con voce lamentosa.
Jo riusciva a prestarle attenzione soltanto a tratti: si sentiva assediata, come se una folla scalpitante stesse facendo bagordi nella sua testa. Non riusciva a concentrarsi, sentiva con chiarezza soltanto un gomitolo di sensazioni desolanti incastrato in gola.
– Lascia fare, non puoi cambiare le persone, – si limitò a rispondere, vaga.
A Tracy bastò quel piccolo appiglio per proseguire.
– Non è così semplice. Ho sempre il terrore che accada qualcosa. Spencer, poi, è quello che mi dà più gatte da pelare. Sono stufa e so che finirò come mia madre, di questo passo.
– Cioè?
– Esaurimento nervoso, – disse con fare melodrammatico. Un tono che inasprì l’umore di Josephine e che la fece ripiombare nel disinteresse nei confronti dela conversazione. Nel frattempo, aveva dimenticato il proposito di non guardare in direzione di James e, imitando Tracy, prese a guardare in direzione dei tre. Si erano spostati e Fata era ormai cosa dimenticata, lontana, osservata, adesso, da occhi sconosciuti e di nessun significato.
I tre chiacchieravano con fare serio, adulto, attraversato di tanto in tanto da sprazzi di ilarità che coinvolgevano ben poco James. Josephine s’incantò a guardarlo, ad osservare le espressioni che gli piegavano i tratti, lo sguardo sempre profondamente intelligente, la sua intossicante avvenenza, le sue movenze sicure, d’altri tempi. Persa com’era in quella contemplazione, dimenticò che Tracy le era accanto farfugliando delle sue preoccupazioni. A scuoterla fu un’interruzione, un’invasione di scena. Un uomo slanciato in giacca e camicia e una donna altissima e dai biondi capelli di grano raggiunsero il gruppo. In particolare, entrambi si fiondarono con disinvoltura e calore su James, il quale appariva piacevolmente sorpreso. Anche Robb li accolse con gli occhi brillanti, un sorriso aperto e strette affettuose che acuirono la già avida curiosità di Josephine.
Tracy le afferrò un braccio e le si avvicinò all’orecchio come una specie di elfo pettegolo, preparandosi a sciogliere la lingua.
– Hai visto chi c’è?
– Chi? – fece Jo, fissa sulla donna che strappava dalle labbra di James un numero spropositato di sorrisi.
– Quello è il migliore amico di James, John Coleman, psicologo; e quella indovinerai di sicuro chi è.
– La sua ragazza?
Tracy proruppe in una risatina. – Certo che no. La sua ragazza è una certa Betty, ma non mi pare di vederla.
Josephine prese a battere il tacco scuro sul pavimento, in preda ad un tic montante, figlio dell’impazienza, della tensione, dell’atteggiamento completamente inedito che James sembrava avere di fronte a quella donna.
– E dunque chi è?– chiese infine.
– E’ l’ex di James. Robb deve averti raccontato di quella storia.
Josephine trattenne il fiato e l’altra probabilmente non notò il cipiglio altero che le era comparso sul viso, né la postura improvvisamente fiera, le schiena che si allargava.
– Affatto, – rispose, secca.
– Quel ragazzo è senza sangue, – replicò Tracy, incredula. – Vieni, raggiungiamoli.
Jo si sentì tirare per un braccio, ma oppose resistenza.
– E perché?
– E perché no?
La ragazza, col suo caschetto bruno e gli occhi insolenti, la fissava e si aspettava una spiegazione che non arrivò, perché Jo ne aveva solo una, una che non avrebbe mai proferito ad anima viva. Fu con grande riluttanza che la seguì e quando raggiunsero il gruppo, si strinse al braccio di Robb ed evitò di guardare apertamente chiunque altro, mentre Tracy salutava i due nuovi arrivati con prontezza e savoir-faire.
– John, Frances, lei è la mia ragazza, Josephine.
Robb si era comportato come conveniva, ma Jo pensò che avrebbe potuto strozzarlo. Strinse la mano ai due e vi scambiò qualche convenevole, sperando di apparire disinvolta almeno la metà di Frances. Era dunque questo il nome della donna che un tempo aveva ghermito il cuore di James, riuscendo quindi a guadagnarsi il suo rispetto, la sua stima, il suo trasporto. La osservò, dimentica di chiunque altro, studiò i suoi gesti naturalmente eleganti, le sue labbra piene, i biondi capelli che le ricadevano lisci sulle spalle, gli occhi magnetici, d’ambra, il corpo lungo, quasi androgino avvolto da pantaloni e dolcevita neri. Era essenziale, eppure tremendamente ammaliante.
– Cosa fai nella vita, Jo? – chiese John, riportandola alla realtà e, istintivamente, allo sguardo felino, scrutatore, di James.
– Studio giornalismo e sopporto Robb.
– Immagino la fatica, – rise l’altro.
– John fa lo psicologo ed è anche piuttosto scarso, – intervenne Robb, vendicativo, scatenando l’ilarità generale.
– Permalosi i Draper, eh?
James si schiarì la voce e Frances, accanto a lui, trattenne una risata. I due si guardarono e si si sorrisero con una complicità che avvelenò Jo.
Poi, la conversazione proseguì senza che nessuno la interpellasse più in maniera esplicita. Questo, pur alleggerendola di un peso, la trascinò in un turbinio di considerazioni sulla propria inadeguatezza, sempre, ovunque. Frances dominò la conversazione per gran parte del tempo, profondendosi nel racconto di aneddoti affascinanti sui suoi viaggi di ricerca e su certe recenti specie marine che l’avevano oltremodo impressionata.
– Non sai quanto ti invidio, – fece Robb, ad un certo punto.
– Ah, bene. Credevo che in famiglia foste tutti annoiati dalla scienza.
James piegò le labbra in un sogghigno e bevve un sorso di prosecco, scuotendo la testa.
– Beh, potremmo definirmi la pecora nera della famiglia, – disse Robb, cercando in Josephine una complice. Lei, però, continuava a scrutare attentamente Frances, affascinata e al contempo contrariata dalla familiarità con cui si muoveva al fianco di James e dal modo in cui le sue parole trovavano riscontro sul volto di lui.
– Buono a sapersi. Pensavo che la letteratura vi avesse corrotti tutti.
– Nessuno è più corrotto di James, in tal senso, – fece solenne Robb. – Forse solo Jo, che ormai è di famiglia, del resto.
Jo sollevò lo sguardo, sorpresa, restituendo un sorriso agli occhi caldi, luminosi di Robb. In quel momento altri occhi le piovvero addosso e lei li sentì con tale prepotenza, che non poté negarsi loro un solo istante di più. Fu allora che vide James guardarla col solito spietato cipiglio e farlo in maniera tenace, incurante di qualsiasi altra cosa, persino degli occhi di John che non l’aveva perso d’occhio un solo istante da quando era arrivato.
Jo ribatté con un cipiglio altrettanto severo, ostinato, non riuscendo però ad impedirsi di aggrapparsi con una mano alle pieghe di velluto del vestito. La tracotanza, l’insofferenza, il disgusto di James erano tornati alla ribalta e lei se li sentì vibrare sulla pelle, acidi, corrosivi, paurosamente rinfrancanti.

 

***

 

Il vino gli scorse in gola caldo e corroborante e la luce tenue del salotto restituiva pace ai suoi occhi stanchi. John gli sedette di fronte, sprofondando sulla poltrona.
– Lo so che avrei dovuto dirtelo, ma ero certo che l’avreste gestita bene.
James scuoté la testa e si arrotolò le maniche sugli avambracci.
– Frances ed io siamo in ottimi rapporti, non ho problemi a gestirla. Dico solo che avresti potuto risparmiarti certi sotterfugi imbarazzanti
– Quello che tu chiami sotterfugio, sul pianeta terra è chiamato sorpresa.
James si stropicciò il volto, emettendo uno sbuffo divertito.
– Dammi tregua, sono spossato. Avrei bisogno di una vacanza.
John gli versò dell’altro vino e lo guardò con aria corrucciata.
– Vorrei ricordarti che il tempo del sonno è tempo necessario, non è tempo perso che puoi invece sfruttare per fare quello che non riesci a fare di giorno.
– Ti prego, non ricominciare. So quello che faccio e adesso ho bisogno di impiegare il maggior tempo possibile per l’azienda.
Bevve un lungo sorso di vino e si lasciò andare sullo schienale, gli arti ormai liquidi, rilassati, le palpebre allentate dalla stanchezza e dal nettare scuro.
– E’ un vizio che avevi anche all’università. Ma non ricomincio, d’accordo, – fece John, rigirandosi lo stelo del calice tra le dita. – Piuttosto, sarei curioso di sapere com’è stato rivederla.
James gli scoccò un’occhiata seccata, poi socchiuse le palpebre e sospirò. La verità è che quella domanda aveva preso a farsela lui stesso già da ore, sorpreso com’era di aver affrontato Frances con tanta disinvoltura. Non la vedeva da più di due anni e ricordava chiaramente come la circostanza gli avesse messo sottosopra lo stomaco. Di quelle sensazioni non era rimasto che qualche vapore, per giunta diradato da quelle più pressanti, feroci, che lo avevano assalito di fronte ad altri occhi. Gli stessi occhi che gli si erano ostinatamente negati per tutta la durata della mostra, confondendolo, rimescolandogli il sangue nelle vene. Si era sentito impazzire, disarcionare dall’atteggiamento inaspettato ed impietoso che Jo gli aveva dedicato. Mai come in quell’occasione si era mostrata tanto vicina a Robb, né lo aveva mai toccato tanto e con tanta dedizione. A lui, teso ad intercettare ogni suo movimento, non aveva concesso che qualche occhiata intellegibile, fugace.

– Sono passati otto anni, John. Frances è acqua passata, – gli concesse, infine.
– Era entusiasta di rivederti, sai? Ma non credo ti pensi più in quel senso.
– Ho l’impressione che il solo a pensarci in quel senso sia tu.
– Sono l’ultimo dei romantici, che vuoi farci. – Bevve un sorso e poi proseguì: – A proposito, Robb sembra piuttosto felice con Josephine.
Sentir pronunciare il nome di lei, lo irrigidì, ma tentò di mascherare il disagio prodigandosi in espressioni di assenso.
– Credevo non ti piacesse, – commentò John.
– Su quali basi?
– Quando ti ho chiesto di lei, hai liquidato il discorso con indifferenza. Eravamo qui da me e ti aveva chiamato tua madre e…
– Ricordo, sì, – lo interruppe, brusco. – Be’, non c’è un granché da dire su di lei. Hai visto da te che non è granché socievole.
– Mi è parsa soltanto timida. Non ci conosceva.– Lo scrutò un attimo e proseguì: – A me sembra che tu non nutra grandi simpatie per lei e non capisco perché, è piuttosto carina, delicata, posata e mi sembra molto supportiva nei confronti di Robb.
James proruppe in una risatina sardonica.
– Che ho detto? – fece John, confuso.
– La tua ingenuità è patologica.
Certo che lo era, solo un ingenuo avrebbe potuto scambiare i suoi sguardi, la sua reticenza, tutto quello che faceva e diceva su Jo e per Jo per qualcosa che avesse un solo significato. Su questo, però, tacque.
– Perché? – chiese l’altro.
James si sollevò di scatto, recuperò la giacca abbandonata accanto a lui e la indossò.
– Vado a casa, muoio di sonno.
Gli si avvicinò e gli diede un pacca sulla spalla. L’altro grugnì degli improperi e disse:
– Vuoi fare l’enigmatico, Draper?
James, alla porta, ridacchiò. – Neanche per sogno. Ho sonno e nessuna voglia di pettegolare.
– Gesù! Non stavamo pettegolando. Stavamo conversando. - Prese un cuscino e glielo lanciò contro, ma mancò il bersaglio, ridendo fiaccamente. – Vattene!
– Buonanotte, pettegolo.

Più tardi, quella sera, rifletté sulle scelte prese nell’ultimo periodo e su Frances, sulla loro storia cominciata e finita nell’arco di sedici mesi, per motivi che al tempo gli erano parsi ingiusti, egoistici. Quando avevano ventidue anni, dopo una lunga amicizia, che per lui non era mai stata tale, si erano finalmente decisi ad intraprendere una relazione fatta perlopiù di lealtà e di lunghe notti passate a parlare dei rispettivi progetti. Era stata una di quelle lunghe chiacchierate a decretare il disfacimento della loro relazione. James era sempre stato a conoscenza delle ambizioni di Frances, della sua voglia di viaggiare e studiare all’estero, ma quando lei gli aveva comunicato che sarebbe partita per studiare e fare ricerca in Canada, soffrì comunque. Decisero di comune accordo di troncare e di rimanere amici, ma per molti anni il proposito non si era compiuto per via di un certo ventaglio di rancore e mestizia che ancora annebbiava la lucidità di James. Tuttavia, ormai da molto tempo pensava a lei con affetto e sincera amicizia, rimproverandosi per essere stato tanto infantile da confondere una profonda e mirabile esigenza in egoismo. Sapeva di essere lui l’egoista e di esserlo sempre stato. E questo non accennava a cambiare, ma anzi pareva lievitare, raggiungere dimensioni macroscopiche. Se in passato il suo egoismo aveva danneggiato chi intralciava il suo cammino, adesso ad esserne bersaglio era lui stesso e, di questo, ne aveva una cruda consapevolezza. Era per egoismo che aveva finito con l’ossessionarsi di lei ed era sempre per egoismo che aveva rivisto un paio di volte Clare, pur non provando per lei grande interesse e pur essendo consapevole che per lei quegli incontri significassero qualcosa di più. Era sempre per egoismo, per l’incapacità di soccombere agli eventi, che aveva innescato un domino di circostanze che lo vedevano costretto a scambiare sms superflui e superficiali con Polly. Lei era nel Derbyshire dai suoi e non faceva che raccontargli le sue giornate, nonostante lui rispondesse con dilazioni e inconcludenza. Era però riuscito a mantenere lo scambio ad un livello virtuale e lei, per fortuna, non aveva mai avuto l’ardire di chiedergli un appuntamento. Che avrebbe fatto a quel punto? Non aveva voglia di perdere tempo, non aveva voglia di vedere una donna solo perché si era invischiato in un ricettacolo di mosse e contromosse deleterie e controproducenti.
Era per egoismo e per lei, per Josephine – a cui aveva smesso di addossare tutte le proprie colpe – che si ritrovava adesso in balìa dello sguardo di una donna, una sguardo che, quella domenica, aveva rifuggito prima e cercato poi, senza trovarlo mai. Pensava di aver rovinato tutto – ma tutto cosa? - quella notte che lei lo aveva raggiunto. Pensava di averla spaventata, riportata bruscamente coi piedi per terra e strappata alla dimensione in cui pensava di averla intrappolata. Una dimensione che, lo sapeva, lui aveva finito con l’abitare e che gli pareva per la prima volta completamente desolata. Si convinse che dicendole quelle cose con tanta severità e schiettezza l’avesse semplicemente ricondotta tra le braccia di Robb e che i suoi tentativi di confonderla, dominarla, vederla capitolare, fossero stati vanificati. Di certo non poteva immaginare che altrove, Jo, ormai persa da giorni nel pensiero di lui e Frances, aveva ceduto alla curiosità di cercare tracce di lei sui social network. Non poteva nemmeno supporre che lei, una volta trovata, si fosse accorta di un particolare che le aveva spezzato il respiro. Frances, scoprì Jo, non era il solo nome della sirena bionda che l’aveva ammaliata alla mostra di Robb. Il suo nome completo era Frances Matilde Price e quel Matilde le si insinuò nella mente, con un' idea estremamente precisa ed insopportabile. 


 

Matilde, dove sei? Notai verso il basso,
tra cravatta e cuore, in alto,
certa malinconia intercostale:
era che d'improvviso eri assente.

M'abbisognò la luce della tua energia
e guardai divorando la speranza,
guardai com'è vuota senza te una casa,
non restano che tragiche finestre.

Tanto è taciturno il tetto ascolta
cadere antiche piogge sfogliate,
penne, ciò che la notte imprigionò:

così ti attendo come casa sola,
tornerai a vedermi e ad abitarmi.
Altrimenti mi dolgon le finestre.

Pablo Neruda

 

Curiosità che mi frulla in testa da un po':
come immaginate i personaggi?
In un cast ipotetico, a quali volti attribuireste la personalità e la fisicità di James, Jo e Robb?
Fatemi sapere, anche in privato. :)
   
 
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