Orfano di padre vivo
Torna a casa, Barty.
Una casa che è un guscio vuoto, una casa arredata soltanto dalle assenze di mio padre.
Casa come gli abbracci della mamma, quando mi disegnava fra i capelli scriminature precise, i denti del pettine imbevuti nella colonia di papà.
Così gli somigli.
Nella mente degli altri, ho cominciato a somigliargli prima ancora di venire al mondo, e poco importava che i miei capelli pallidi avessero la stessa inconsistenza di quelli di mia madre. Non ho trovato spazio per crescere nemmeno nei confini del mio nome: specchio deforme, continuo riflesso di chi era solo un’ombra, per me. Un’ombra pesante, che mi sfiorava senza mai sapermi abbracciare.
Torna a casa, Barty, torna in questa casa fatta di silenzi e di rimproveri: io ti amo ancora.
Torno con i miei voti che non bastano mai, e nei miei bagagli piego con cura le mie amicizie sbagliate, quelle che dovrebbero suscitare rabbia e preoccupazione, ma in questa casa sempre più spenta nessuno sembra notarle.
Non ci sono più sorrisi a sollevare gli angoli della bocca di mia madre.
Torna a casa, Barty, ché la guerra è finita, ed è soltanto tempo di leggerezza: possiamo ricostruire ogni cosa.
Non lo vedono, loro, che la mia leggerezza è tutta soffocata nel sangue.
Non lo vedono che la mia vera famiglia è fatta di mantelli scuri e inchiostro sulla pelle.
Non lo vedono che la mia vera famiglia è fatta di mantelli scuri e inchiostro sulla pelle.
Non vedono che qualcuno, fuori da queste mura di silenzio, ha saputo vedere oltre il nome sporco che mi hanno cucito addosso, oltre l’ipocrisia di chi vorrebbe salvare il mondo intero, ma non si accorge nemmeno il proprio figlio che annega.
Non vedono il mio smarrimento, quando la guerra finisce e i miei fratelli si tolgono la maschera e tornano a sedere accanto a chi avevano giurato di uccidere.
Torna a casa, Barty: la tua vita conta più della mia.
Quale casa, madre?
Quale vita?
Non è casa, non è vita, questa.
Quale vita?
Non è casa, non è vita, questa.
Non è casa quella in cui un padre mi ha dichiarato orfano.
Non è vita quella in cui ogni giorno devo dimenticare me stesso, soffocato dalle catene di chi ti ha amato così tanto da ucciderti.
Non è casa quella in cui la mia solitudine si è trasformata nella mia più grande forza: mio padre dice che io sono un mostro, un abominio.
Non lo sa, non lo vuole vedere quanto io gli somigli.
Non vuole ammettere che la mia devozione verso tutto ciò che lui ha giurato di distruggere è figlia soltanto della sua indifferenza, ma in fondo al cuore sa che i mostri sono figli dei propri simili.
Torno a casa, madre.
Torno a togliermi la maschera.
I mostri non si possono tenere al guinzaglio, mio padre lo imparerà presto.
E rimpiangerà di non avermi lasciato scivolare il più lontano possibile da lui.
E rimpiangerà di non avermi lasciato scivolare il più lontano possibile da lui.
Note:
Innanzitutto, la cosa importante da dire è che questa storia partecipa al contest “Citazioni in cerca d’autore (Oscar Edition!) – II Edizione”, indetto da Rosmary sul forum di EFP: alla base di questa storia c’è la citazione “Le origini, se non sono la casa in cui tornare, sono il mostro da cui fuggire”, che appartiene a Rosmary.
Non sono granché soddisfatta di questa storia: non sono riuscita a rendere del tutto l’idea di fondo che avevo in mente, ma ci tenevo davvero a partecipare a questa tipologia di contest, quindi per questa volta ho deciso di fare un’eccezione e partecipare con una storia che, normalmente, non riterrei del tutto pronta per la pubblicazione.
Ho immaginato le parti in corsivo come, in un certo senso, parole pronunciate (o che Barty immagina pronunciate) dalla madre: mi ha sempre colpita moltissimo la storia dei Crouch, il vedere Barty Jr. scivolare sempre di più oltre la loro portata, in un baratro e un’ideologia di cui la sua famiglia, all’inizio, sembra non avere nemmeno coscienza. Trattandosi di un ragazzo molto giovane, ho immaginato che, almeno all’inizio, il suo avvicinamento ai Mangiamorte possa essere stato un po’ un moto di ribellione a una famiglia (e soprattutto a un padre) che non è stata capace di occuparsi davvero di lui. Essere condannati dal proprio stesso padre, e poi fuggire grazie alla morte della propria madre per ritrovarsi ancora in una prigione forse più misericordiosa, ma del tutto priva di ogni forma di affetto, credo abbia contribuito molto a cementificare la sua follia e la sua dedizione a Voldemort.