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Autore: blackjessamine    20/03/2020    9 recensioni
Ispirato all'inarrivabile raccolta di racconti "Eleven Kind of Loneliness" di Richard Yates, questo vuole essere il ricamo di undici vite, undici esistenze raccontate nei loro momenti più vulnerabili.
Personaggi diversi che si muovono in momenti diversi, tutti accompagnati dalla stessa solitudine.
Di Richard Yates, Alfred Kazin dice che lui "riassume la nostra epoca con più spietatezza di ogni altro, ma anche con più pietà". La stessa pietà con cui spero di sfiorare le solitudini dei miei personaggi.
1. Capitolo Indice
2. Petunia Evans [Storia partecipante al contest "Sincero (non mi odi più) indetto da Giunia Palma/Lady Palma sul forum di EFP]
3. Mirtilla Malcontenta
4. Severus Piton
5. Priscilla Corvonero
6. Barty Crouch Jr. [Storia partecipante al contest "Citazioni in cerca d'autore (Oscar Edition)! - II Edizione", indetto da Rosmary sul forum di EFP]
7. Helena Corvonero [Storia partecipante al contest "Una biblioteca in disordine", indetto da Marika Ciarrocchi/Angel Cruelty sul forum di EFP]
8. Andromeda Tonks
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mirtilla Malcontenta, Petunia Dursley, Severus Piton
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Orfano di padre vivo
 
 
 
 
 
Torna a casa, Barty.
 
 
Una casa che è un guscio vuoto, una casa arredata solta­nto dalle assenze di mio padre.
Casa come gli abbracci della mamma, quando mi disegnava fra i capelli scrim­inature precise, i denti del pettine imb­evuti nella colonia di papà.
 
 
Così gli somigli.
 
 
Nella mente deg­li altri, ho cominci­ato a somigliargli prima ancora di venire al mondo, e poco importava che i miei capelli pallidi aves­sero la stessa incon­sistenza di quelli di mia madre. Non ho trovato spazio per crescere nemmeno nei confini del mio nome: specchio deforme, continuo riflesso di chi era solo un’omb­ra, per me. Un’ombra pesante, che mi sfi­orava senza mai sape­rmi abbracciare.
 
 
Torna a casa, Barty, torna in questa casa fatta di silenzi e di rimproveri: io ti amo ancora.
 
 
Torno con i miei voti che non basta­no mai, e nei miei bagagli piego con cura le mie amicizie sb­agliate, quelle che dovrebbero suscitare rabbia e preoccupaz­ione, ma in questa casa sempre più spenta nessuno sembra not­arle.
Non ci sono più sorrisi a sollevare gli angoli della bo­cca di mia madre. 
 
 
Torna a casa, Barty, ché la guerra è fin­ita, ed è soltanto tempo di leggerezza: possiamo ricostruire ogni cosa.
 
 
Non lo vedono, loro, che la mia leg­gerezza è tutta soff­ocata nel sangue. 
Non lo vedono che la mia vera famiglia è fatta di mantelli scuri e in­chiostro sulla pelle.
Non vedono che qualcuno, fuori da queste mura di silenz­io, ha saputo vedere oltre il nome sporco che mi hanno cucito addosso, oltre l’i­pocrisia di chi vorr­ebbe salvare il mondo intero, ma non si accorge nemmeno il proprio figlio che an­nega. 
Non vedono il mio smarrimento, quan­do la guerra finisce e i miei fratelli si tolgono la maschera e tornano a sedere accanto a chi aveva­no giurato di uccide­re.
 
 
Torna a casa, Barty: la tua vita conta più della mia.
 
 
Quale casa, mad­re? 
Quale vita? 
Non è casa, non è vi­ta, questa.
Non è casa quel­la in cui un padre mi ha dichiarato orfa­no.
Non è vita quel­la in cui ogni giorno devo dimenticare me stesso, soffocato dalle catene di chi ti ha amato così tan­to da ucciderti.
Non è casa quel­la in cui la mia sol­itudine si è trasfor­mata nella mia più grande forza: mio pad­re dice che io sono un mostro, un abomin­io.
Non lo sa, non lo vuole vedere qua­nto io gli somigli.
Non vuole ammet­tere che la mia devo­zione verso tutto ciò che lui ha giurato di distruggere è fi­glia soltanto della sua indifferenza, ma in fondo al cuore sa che i mostri sono figli dei propri sim­ili.
 
Torno a casa, madre.
Torno a toglier­mi la maschera.
I mostri non si possono tenere al guinzaglio, mio padre lo imparerà presto. 
E rimpiangerà di non avermi lasciato sci­volare il più lontano possibile da lui.
 
 
 
 
 
 
 

Note:
 
Innanzitutto, la cosa importante da dire è che questa storia partecipa al contest “Citazioni in cerca d’autore (Osc­ar Edition!) – II Ed­izione”, indetto da Rosmary sul forum di EFP: alla base di questa storia c’è la citazione “Le origin­i, se non sono la ca­sa in cui tornare, sono il mostro da cui fuggire”, che appar­tiene a Rosmary.
 
Non sono granché soddisfatta di que­sta storia: non sono riuscita a rendere del tutto l’idea di fondo che avevo in mente, ma ci tenevo davvero a partecipare a questa tipologia di contest, quindi per questa volta ho deciso di fare un’ecc­ezione e partecipare con una storia che, normalmente, non ri­terrei del tutto pro­nta per la pubblicaz­ione.
 
Ho immaginato le parti in corsivo come, in un certo sen­so, parole pronuncia­te (o che Barty imma­gina pronunciate) da­lla madre: mi ha sem­pre colpita moltissi­mo la storia dei Cro­uch, il vedere Barty Jr. scivolare sempre di più oltre la lo­ro portata, in un ba­ratro e un’ideologia di cui la sua famig­lia, all’inizio, sem­bra non avere nemmeno coscienza. Trattan­dosi di un ragazzo molto giovane, ho imm­aginato che, almeno all’inizio, il suo avvicinamento ai Mang­iamorte possa essere stato un po’ un moto di ribellione a una famiglia (e soprat­tutto a un padre) che non è stata capace di occuparsi davvero di lui. Essere con­dannati dal proprio stesso padre, e poi fuggire grazie alla morte della propria madre per ritrovarsi ancora in una prigi­one forse più miseri­cordiosa, ma del tut­to priva di ogni for­ma di affetto, credo abbia contribuito molto a cementificare la sua follia e la sua dedizione a Vold­emort.
 
   
 
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