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Autore: Elwoodblues    21/03/2020    1 recensioni
"I tuoi pensieri erano formichine rosse che venivano da grotte sconosciute. "
Veronica è una giovane ragazza con dei traumi non detti che cerca di reprimere a favore di una vita "normale"; purtroppo, è una cosa che scoprirà di non poter fare. La storia parte dal primo dei suoi ultimi giorni di vita: cambierà, si interrogherà e rivivirà parti della sua vita che aveva considerato non essenziali.
E' una ragazza problematica in un modo non gentile, non attento.
Genere: Malinconico, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mi rendo conto di non aver risparmiato i miei giudizi nel raccontarti e credo, che essendo parte di te, sia molto difficile non farlo. Difficile non vuol dire impossibile.
Quello stesso pomeriggio andasti a lavoro. Ti eri presa la giornata libera perché era importante per te. Adesso? Non più così tanto. Ricordo che pensasti: “E’ stata una piccola stella nella mia vita. Era chiaro che non poteva essere per sempre”.
Spesso dico di non apprezzarti, ma ammiro la facilità con cui riesci a prenderti in giro. Perché proprio mentre pensavi che non ti importasse, seduta su quella scomoda poltrona, guardavi il tuo cellulare sperando che squillasse.
Ti chiedesti perché eri così, cosi… strana. In ufficio nessuno ti considerava. Eri un’impiegata neolaureata e sottopagata che presto se ne sarebbe andata. Non sei sempre stata così.
Avevi compiuto ventitré anni. La tua vita ti sembrava migliore- non so se fosse la nostalgia o la giovinezza a renderla più lucente. Te ne eri andata dal tuo paesino appena diplomata e, contro ogni previsione, ti eri laureata in Lettere Moderne alla Sapienza; non perché fossi stupida o una nullafacente, ma lo sappiamo entrambi cosa pensasse tua madre di te.
È …era una donna molto intelligente, creativa e sicuramente non subordinata aglki uomini. Era forte. Non ha mai pianto, almeno, non che tu ricordi. Aveva una conoscenza smisurata dell’arte e ti ha insegnato a pescare quando eri ancora piccolina.
L’hai amata profondamente Asia, ma è come se non ci fosse chimica fra di voi. Lo sentivi quando ti guardava, in sala d’aspetto. Se avessi fatto attenzione, avresti udito i suoi pensieri: “Cosa ho sbagliato con lei? È colpa di Sergio. Sicuramente nella sua famiglia c’è qualcuno… come lei.”; sono grata che non ti sei mai sforzata di sentire, ci saresti rimasta male.
Non credeva molto in te. Prima di partire, nel parcheggio a pagamento dell’Aeroporto Borsellino, ti disse che ti doveva parlare. Sapevi che avevate quindici minuti, perché, trascorso quel tempo, tua madre avrebbe dovuto pagare il parcheggio e la conoscevi abbastanza per sapere che avrebbe cercato di farcela in quei pochi minuti.
Ti accarezzò il viso e fu strano, i suoi occhi continuavano a essere pieni di sospetto e non di amore.
«Veronica, è proprio… devi farlo per forza?- annuisti- Ma… al ferramenta abbiamo bisogno di una mano, se tu restassi, potrai venire a lavorare con me e quando me ne andrò ti lascerò…» Levasti la sua mano dal tuo viso e la tenesti stretta tra le tue.
«Mamma, ti chiamerò ogni giorno, però lo devo fare. Sono già immatricolata e poi…lo sai che è il mio sogno»
«Certo, però…- si fermò, ti guardò negli occhi. Poi abbassò lo sguardo e tolse la sua mano dalle tue – Non credo ce la farai, tesoro. Il mondo là fuori è brutto e tu sei così…- “Strana? Pazza?”-…fragile»
Eri delusa e sentisti un peso opprimente sul cuore. Le formichine si gelarono sulla tua pelle.
«Ciao Mamma.»
Partisti per Roma. Ti laureasti e facesti molte amicizie. Pensasti di esserti liberata di me, almeno per un po’, ma fu proprio quella sera che mi sentisti più vicina che mai.
Finalmente eri una dottoressa ed eri andata a festeggiare con delle tue colleghe. Bevevate cocktails fruttati e ridevate per ogni stupidaggine. Ti raccontarono storie piccanti sulle loro frequentazioni e ti chiesero come andava la tua vita sentimentale e rispondesti che non era nei tuoi progetti avere una relazione.
«Che stupidaggine, tutti vogliono essere amati. Dai, ci pensiamo noi a te»
Cercasti di dissuaderle, ma alla fine ti spinsero a ballare e dopo qualche ora, ti ritrovasti con Andrea. È un ragazzo bellissimo, tutt’ora: ha un sorriso affascinante, un corpo mozzafiato che quella sera percepivi sotto la sua camicia di lino mentre ballavate.
Ti piaceva, ma avevi paura. Ti scusasti e andasti in bagno. Le tue amiche, vedendoti così titubante, ti fecero bere ancora; forse hai anche preso qualcosa altro… non ricordo.
Temevi e l’ansia cresceva dentro di te, le formiche ormai erano su ogni centimetro del tuo corpo, ma forse fu per l’alcol o la droga, ma le trovasti confortevoli, come un mantello che ti faceva solletico.
Ti ritrovasti nella sua stanza. Aveva delle lenzuola bianchissime e sicuramente costosissime. Tra i fumi gli chiedesti se fosse uno studente, rise: le sembrava una casa da studente?
Era così bello e tu stavi così bene tra le sue mani che ti cercavano, che ti toccavano. Forse per questo fu ancora più orribile quando i suoi occhi scuri si spalancarono all’improvviso. Vedesti il suo corpo allontanarsi dal tuo.
«Cosa ti hanno fatto? Chi… cosa sono questi?»
Iniziasti a piangere e fu così umiliante. Per un momento credesti di cadere dentro una voragine che ti risucchiava non permettendoti di muovere. Il punto è che potevi muoverti, ma non sapevi che fare.
Corresti il bagno, continuavi a piangere. Con l’intimo ancora addosso ti guardasti allo specchio: eri piena di lividi, di tagli, di bruciature.
Il mondo attorno a te incominciò a girare e le formiche ti assalirono.
Quando Andrea entrò nel bagno ti trovò svenuta. Ti abbracciò e ti restò accanto. Quando ti svegliasti lo baciasti e gli chiedesti scusa.
Mi ha odiato tanto quella sera. Hai pensato che per colpa mia stavi perdendo un ragazzo bellissimo, gentile e dolce, la verità è che grazie a me quel ragazzo non si scordò di te e l’indomani si preoccupò di come stessi e ti chiamò invitandoti ad uscire.
Fu così strano ripensarci quando tutto era finito. Sentisti quel tempo lontano anni luce e la tua pelle si fece sempre più ispida e fredda, come carta vetrata.
Abbiamo avuto un rapporto complicato noi due, lo so. Dopo tutto quello che successe, mi preoccupai del tuo stato.
Non lo feci perché ti odio, ma sapevo ti avrebbe fatto stare bene.
Non potevi parlare con nessuno e non volevi nemmeno pensarci troppo. Avevi avuto un attacco di panico per conoscere i genitori del tuo fidanzato e gli avevi vomitato tutto il bagno per poi scappare senza salutare. Eri stata esagerata, no?
Chissà perché stavi così, perché eri così strana e fragile? Interrogativi a cui potevi rispondere, ma non volevi. Era così doloroso pensare al passato.
Volevi solo liberarti e io te lo permisi. Io voglio che tu stia bene.
Andasti nel bagno dell’ufficio. Fuori il chiacchiericcio, forse c’era un compleanno.
Ti chiudesti a chiave e apristi la finestra. Ti sedesti sul water e ti alzasti le maniche. Prendesti un pacco di sigarette e te ne accendesti una.
Nel momento in cui il mozzicone accesso toccò le tue braccia pallide sentisti una manciata di formiche che andava fiamme. Sorridesti e delle lacrime scesero sul tuo viso. Ti sembrava di rinascere, ogni volta. Non volevo solo negarti quel senso di pace.
Non giudicarmi, ho fatto tutto per te. Non potevo credere di sbagliare, ero certo lo volessi anche tu.
Ti dicesti, con le braccia piene di segni e sangue, in quel piccolo bagno del giornale locale: “Odio il fatto che mia madre abbia avuto ragione”.
Mh, forse. Forse saresti meglio. O forse saresti morta solo qualche hanno prima. Sono sicura che in nessuno dei due casi avresti avuto la forza di affrontare il tuo passato.
   
 
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