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Autore: Moony16    23/03/2020    0 recensioni
Berlino non era ancora una città sporca di sangue quando Caroline vi arrivò contro la sua volontà in quell'estate del 1940, quando nessuno avrebbe potuto immaginare la piega che avrebbe preso la storia. Con sè, solo una nuova identità, un nuovo nome, la stella di Davide finalmente strappata via dai vestiti e una vita intera lasciata alle spalle.
L'accompagna Joseph, un giovane ufficiale delle SS, il perfetto ariano, uno di quei uomini che potrebbe benissimo stare tra le figurine che la ragazze si passano tra i banchi di scuola, in una rivista del partito nazionalsocialista o in un volantino che incita alla guerra, per riprendersi il "Lebensraum", lo spazio vitale tedesco.
Cosa li lega? Nulla in realtà, se non un'infanzia passata insieme e un debito che pende sulla testa del giovane come una condanna.
***
LA STORIA E' INCOMPLETA QUI, MA LA STO REVISIONANDO E RIPUBBLICANDO SU WATTPAD NELL'ACCOUNT Moony_97, DOVE LA COMPLETERO'
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Storico
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Caroline sbuffava come un treno a vapore seduta sulla sua sedia in cucina, osservando ormai priva di appetito la cena fredda che le stava davanti. Aveva aspettato Dimitri tutto il giorno, invano. Le aveva detto che sarebbe passato così lei si era data da fare per cucinare qualcosa di veramente buono per festeggiare il suo compleanno, gli aveva comprato un regalo, gli aveva persino cucinato una torta con crema alla vaniglia come piaceva a lui. E lui non si era fatto vivo, non aveva mandato un biglietto, niente. Guardava le salsicce, le patate fritte e la birra che aveva comprato e invece che appetito lo stomaco le bruciava di delusione. Sapeva che era molto impegnato. Ma almeno un biglietto ...
Erano le nove di sera quando finalmente si arrese e andò a prepararsi un bagno caldo, senza neanche sparecchiare la tavola. Voleva immergersi nell'acqua bollente e lasciarsi cullare dal sapone: sarebbe stata meno arrabbiata dopo, troppo rilassata per pensare ad altro. Così sempre sbuffando si diresse in bagno per riempire la vasca. 
Spogliandosi, si guardò allo specchio. Non era una cosa che faceva spesso, più per abitudine che per altro: negli ultimi anni con i suoi genitori aveva preferito non scorgere il proprio riflesso: troppo sciupata, magra, malandata e malaticcia. Non era riuscita a specchiarsi per tanto tempo. E poi non era vanitosa, non amava rimirarsi, per questo guardandosi allo specchio del bagno, si stupì. Non riconosceva la ragazza che le restituiva lo sguardo confuso. Era piena nelle coscie ma le gambe erano ben delineate, la pancia solo lievemente accennata, il seno gonfio. Era ingrassata parecchio nell'ultimo anno, ma le stavano bene quei chili in più. Aveva un'aria sana, i capelli ormai le arrivavano alle spalle, lucidi e ardenti. Aveva lentiggini sparse in tutto il corpo altrimenti candido come la neve, piedi piccoli e la bocca imbronciata. Si guardò ancora un attimo, stupendosi di essere diventata così: si guardava e si sentiva bella. Ed era una sensazione magnifica sentirsi in pace con il proprio corpo. 
Poi si immerse nell'acqua calda, da cui si alzavano volute di vapore che rendevano appannato l'ambiente. Sospirò, lasciandosi cullare dall'acqua e dall'odore di rosa che tanto le piaceva, sospirando di piacere. Era così beatamente immersa, quando sentì bussare alla porta. Era un ticchettare urgente, e lei si stupì perché era già passata l'ora del coprifuoco. In fretta si alzò e si avvolse nell'accappatoio, rischiando di scivolare mentre correva ad aprire la porta. Quando la spalancò trovò Dimitri davanti a lei, negli occhi una disperazione che non gli aveva mai visto. Entrò, con un foglio in mano e la faccia di chi vede tutti i propri sogni andare in frantumi. Lei si affrettò a chiudere la porta, poi lo guardò addolorata. Non ci fu bisogno di spiegazioni, aveva già capito. 
Dimitri era stato chiamato in guerra.
***
Quello stesso giorno, a chilometri di distanza, Joseph si rigirava tra le mani le fotografie che aveva chiesto a Caroline di spedirgli. Le aveva detto che sarebbe sembrato strano il fatto che un fidanzato non avesse neppure una foto della sua promessa sposa, anche se non sapeva se lei avesse creduto o meno a quella stupidaggine. La verità era che voleva vederla e una foto avrebbe più o meno saziato quel desiderio ogni giorno più urgente. Comunque lei gli aveva mandato ben due foto con la lettera della settimana dopo, che gli era arrivata il giorno prima. Erano belle fotografie, non troppo grandi e con i bordi tagliati in modo elegante, a piccole onde. Lei sorrideva spensierata in entrambe, i capelli decisamente più lunghi rispetto a come erano quando lui era partito. Era più paffuta, le guance erano piene e piegate in un bel sorriso. Non si vedevano i suoi colori, ma lui conosceva  la sfumatura di rosso tiziano che avevano i suoi capelli e il verde cristallino dei suoi occhi ed era così che la vedeva. Indossava il vestito a fiori verdi che aveva comprato l'anno prima per il suo compleanno, quello che le donava molto. Joseph guardadola aveva sospettato che ormai le andasse un po' stretto, sopratutto sul petto. La prima foto era un primo piano, in cui si riusciva a scorgere persino qualche lentiggine, nella seconda invece si vedeva lei seduta su una sedia e con le gambe accavallate, in una posa incosapevolmente sensuale.  
Joseph ne fissava prima una, poi l'altra, rigirandosele tra le dita, pensieroso. Era giusto avere nel portafogli le foto di una ragazza ebrea? No che non lo era, ovviamente. Così come non era giusto procurarle documenti falsi, nasconderla in casa sua e farne la sua fidanzata. Ah e sposarla, ovviamente. Perché l'avrebbe sposata, ormai ne era certo, anche se con un nome falso e solo per avere una promozione. 
Una promozione ... gli sembrava così stupido, ora! Ma erano in ballo e dovevano ballare ormai. Anche se ogni giorno di più sentiva la vita scorrere via dal suo corpo, anche se si era ridotto come l'ombra del soldato che era. Se n'era accorto persino un suo superiore, il Maggiore Stein. Gli aveva chiesto cosa avesse, perché aveva proprio delle brutte occhiaie ed era diventato troppo magro: la divisa gli stava larga ed ormai era evidente a tutti. Joseph si sforzava di mangiare, ma il suo stomaco si rifiutava in modo più che categorico. Il Maggiore gli aveva consigliato il Pervitin, poi aveva osservato che probabilmente ci sarebbe voluta una licenza. Erano entrati piuttosto in confidenza nell'ultimo mese, tra lo stupore di Joseph. Ma quel Maggiore, che avrebbe potuto essere suo padre quanto ad età, era esattamente quello di cui aveva bisogno: un ottimo compagno di bevute, rigido sul lavoro ma cordiale, non gli piaceva discutere di politica finito il turno di lavoro e sopratutto rispettava i silenzi altrui. 
«Beh effettivamente aspetto una licenza per potermi sposare. La mia fidanzata mi aspetta a Berlino» Il Maggiore era scoppiato a ridere, infastidendo Joseph, che però cercò di non darlo a vedere.
«Ecco spiegato il malessere del capitano più giovane di Varsavia! Pene d'amore. Scusami, ma non ho saputo trattenermi: avevo immaginato qualcosa di più grave. Purtoppo qui c'è troppo da fare e dovrai aspettare ancora qualche settimana» disse con ancora un luccichio di divertimento negli occhi.
«Ti assicuro però che alla prima occasione ti darò una bella licenza di tre settimane. Dopotutto sono mesi che non ti prendi una vera pausa... » Aveva riflettuto lui. Joseph lavorava praticamente tutti i giorni, spesso anche la domenica e anche se il suo incarico era principalmente quello di controllare le entrate e le uscite dal ghetto, aveva svolto anche operazioni di controllo della città, organizzandole lui stesso oppure sotto il comando del Maggiore Stein. 
«Sarebbe fantastico signore» Per quanto fossero amici nell'esercito non bisognava mai dimenticare le gerarchie, per questo continuava a chiamarlo signore. E anche se il maggiore protestava, Joseph sapeva quanto in realtà apprezzasse.
Questo era accaduto cinque giorni prima e Joseph ancora non si era deciso a dare la notizia a Caroline. Certo non c'era niente di sicuro, ma Joseph aveva iniziato a covare un'idea, che non sapeva se le sarebbe piaciuta, ma che avrebbe forse potuto migliorare i loro rapporti.  
Visto che avrebbero dovuto fare la coppia di sposini felici nessuno ci avrebbe visto niente di male se in quelle settimane di licenza avessero fatto un bel viaggetto. Niente di particolare comunque, voleva solo prendere una casa in campagna, magari vicino un lago in cui poter fare il bagno nei giorni più caldi e in cui poter pescare in santa pace. Aveva in mente un luogo in particolare, un piccolo lago nella foresta nera, a pochi chilometri da dove erano cresciuti. Si chiamava lago Titisee, ed era uno specchio d'acqua circondato da piccole alture ricoperte di fitta vegetazione. Sulle sponda nord orientale poi c'era un piccolissimo centro turistico. Se avesse avuto la licenza prima della fine di settembre avrebbero potuto divertirsi lì. E poi, d'inverno il lago gelava e si poteva pattinare nel ghiaccio. Entrambi c'erano già stati grazie ai genitori di Caroline e Joseph pensava che non ci fosse un luogo migliore per ritrovare sè stesso. E poi avrebbe potuto sapere qualcosa in più sugli Huger così vicino a Friburgo e la cosa avrebbe sicuramente messo Caroline sull'attenti.
Sospirando guardò il foglio bianco. Da dove iniziare? 
Cara Caroline
Finalmente a breve avrò una licenza
Ho parlato con un mio superiore e lui è venuto a sapere di te, così mi ha promesso che il più presto possibile avrò una licenza. Non vedo l'ora di tornare a casa avere un po' di pace, sto lavorando troppo e ho decisamente bisogno di qualche giorno per riprendermi. Sono qui già da quasi sette mesi e avrò avuto si e no quattro, cinque giorni liberi. 
So che non volevi finesse così  
Ho l'impressione che questa licenza arriverà a breve, perché sono molto in confidenza con il maggiore che potrebbe autorizzarmi il congedo, per cui sicuramente penserà di farmi un favore. 
Questa settimana mi è pesata come un macigno. Sono stato sballattato di qua e di là a fare mille cose che neanche sarebbero di competenza mia. Ma pace, non si può dire no ai generali. Quel maggiore insopportabile che abitava con me è stato trasferito e questa è di sicuro la notizia migliore della settimana. Lui che era così entusiasta della campagna in Russia, si è ritrovato sul fronte orientale. Chissà quanto rimpiangerà di aver fatto il gradasso in quel modo, perché sai è stato lui a chiedere di essere spedito lì!
Spero solo che la notizia che ti ho dato non ti abbia mandata in panico. Ho pensato che potremmo prenderci una vacanza vera, lontano da Berlino, dal lavoro, dalle preoccupazioni ... Io ne ho davvero bisogno, non so tu, anche se dalle foto non si direbbe: sei una pagnottella! Stai decisamente  meglio rispetto a quando me ne sono andato. 
Spero solo di non essere io la causa del tuo malessere, perché mi dispiacerebbe vederti di nuovo sciupata. 
Io comunque ho già in mente un luogo in cui potremmo andare: il lago Titisee. Se hai in mente qualcos'altro fammi sapere, altrimenti potresti prenotare una casetta lì. Non dovrebbe venirti molto difficile, anche se capisco che non sapendo quando avrò il congedo  può diventare un problema. Io però ci terrei davvero tanto.
Sperando che tu stia bene
Joseph

L'ufficiale guardò la lettera dubbioso. Man mano che passava il tempo la sua corrispondenza con Caroline si era fatta via via più sciolta, come se parlarsi attraverso un foglio di carta riuscisse più facile ad entrambi. Nel giro di pochi mesi era passata da fredda e circostanziale ad aperta e amichevole, anche se, nonostante questo, c'erano sempre cose che lui preferiva evitare di scrivere, per quanto l'istinto fosse di metterle nero su bianco. Con aria rassegnata imbustò la lettera e uscì di casa, per consegnarla alla corriera. Consegnò la lettera con disinvoltura, prima di girarsi e trovarsi davanti il maggiore Stein che lo fissava con aria divertita.
«Buon giorno signore» disse senza nessuna inflessione particolare nella voce. Aveva avuto un paio d'ore libere, perché quella notte avrebbe dovuto coordinare i pattugliamenti della città, ma invece di usarle per dormire, cose che non sarebbe riuscito a fare in ogni caso, le aveva usate per fissare le foto di Caroline, scrivere quella lettera e imbucarla. Da come lo fissava si sarebbe detto che il maggiore avesse intuito tutto, così sorrideva sotto i baffi.
«Buon giorno capitano. Scrivi alla fidanzata?» chiese con aria leggermente maliziosa. Joseph rise.
«Mi ha scoperto, maggiore» l'altro scosse la testa, bonario. 
«Andiamo a pranzare, don giovanni. Fra mezz'ora comincia il turno» Joseph fissò l'orologio contrariato. Non aveva fame ma effettivamente era già l'una e mezza.
«Ho già mangiato, però posso accompagnarvi» disse. Il maggiore lo guardò stranito, ma non disse niente.
«A casa avevo qualcosa» aggiunse Joseph, cercando di risultare convincente. Il maggiore lo fissò, poi scrollò le spalle, decidendo probabilmente che non erano affari suoi.
«Allora non ti rubo altro tempo» disse gioviale, per poi aggiungere.
«Oggi discuteremo dei turni, quindi se domani passi dal mio ufficio ti farò sapere quando potrai avere la licenza» Joseph annuì.
«Grazie signore e buon pranzo» disse, con un sorriso sul viso. Il maggiore annuì poi lo salutò con un cenno della testa e uscì dall'ufficio postale, borbottando qualcosa su quanto fosse bella la gioventù.
***
Erano passati gue giorni da quando Dimitri aveva ricevuto la lettera che lo chiamava al fronte. Avrebbe ricevuto un mese di addestramento lì in Germania, a partire dal lunedì successivo. Ed era mercoledì. Sarebbe partito quella domenica, con chissà quanti altri come lui. 
Domenica 24 Luglio, ore quattordici, binario due, stazione Alexanderplatz. Ripeteva quelle informazioni ossessionato, erano il suo punto di arrivo.
Ore quattordici, binario due, Alexanderplatz. Avrebbe voluto non arrivarci mai.
L'intenzione iniziale era quella di trascorre il più tempo possibile con la propria famiglia, ma quella sera aveva ceduto. Non ne poteva più di lacrime e di addii, non riusciva più a sopportare i pianti delle sorelle e lo sguardo sconsolato della madre, non riusciva più a tollerare i bambini che lo assalivano continuamente di domande. Era nervoso, irritabile, intrattabile, eppure sembrava che gli perdonassero tutto. Aveva voglia di litigare, di spaccare il muro, di urlare la sua rabbia al mondo. Aveva voglia di fare l'amore con Caroline, voleva prendere a pugni l'ufficiale di cui lei presto sarebbe diventata moglie, voleva prendere un fucile e spararsi ad un piede, oppure scappare il più lontano possibile e nascondersi fra le montagne fino a che non sarebbe tutto finito. Aveva paura. Paura di uccidere, di essere ucciso, mutilato, catturato. Aveva paura di soffrire. 
La cosa che però lo teneva sveglio la notte, che non gli dava tregua, che lo tormentava, che gli scavava le pieghe dell'anima come un cancro, come un tarlo che mangia il legno senza fermarsi, fino a fare cadere giù le travi della sua ragione, era il terrore di perdere Caroline per sempre. Non l'avrebbe rivista mai più? Lei avrebbe sposato un altro uomo, e non importava quanto lei dicesse che era una farsa, lui sapeva, per Dio che c'era qualcosa di più profondo che la legava a quell'ufficiale, che l'avrebbe portata via da lui, lo sapeva, lo sentiva sotto la pelle, lo sentiva quando ne parlava, lo vedeva nelle lettere che si scambiava con quel grandissimo pezzo di merda che a lui non era permesso leggere. Avrebbe voluto scuoterla fino a farle confessare la verità, o meglio, avrebbe voluto non saperne niente, avrebbe voluto scavarsi la fossa e addormentarsi per sempre.
Per questo stava bussando alla porta della ragazza come se ne valesse della propria vita, come se non fosse piena notte e non ci fosse il coprifuoco, come se lui avesse il diritto di essere lì, ubriaco come non lo era mai stato, per chiederle spiegazioni. Come se non sapesse che lei apparteneva ad un altro. Avrebbe bussato fino a farsi scorticare le nocche della mano, fino a rompersi il polso, fino a sanguinare lì, davanti quella porta, per chiederle di essere sua, di prenderlo come si farebbe con un randagio, di accoglierlo. Si sarebbe inginocchiato a lei, avrebbe preteso che lei facesse lo stesso con lui, le avrebbe fatto urlare il suo nome e poi avrebbe voluto gemere tra le sue labbra, gli occhi chiusi dal piacere.
Caroline gli aprì, in camicia da notte, bianca e impalpabile, trasparente: le copriva appena il corpo ormai formoso, caldo, morbido.
«Caroline» disse solo. Ma forse bastava, forse i suoi occhi dicevano quello che lo stava tormentando, forse aveva gli occhi di un pazzo. E pazzo lo era, di lei, di paura, di rabbia, di amore. Lei si scostò dall'uscio, facendolo entrare silenziosamete, poi si richiuse la porta alle spalle.
«Dimitri devi stare attento, non puoi girovagare la notte, e poi bussare così sull'uscio ...»  non completò la frase, perché lui era già sulle sue labbra. La baciò con furore, come forse non aveva ancora fatto, senza paura di romperla, ma anzi con la voglia di ditruggere tutto, sperando che una vampa di fuoco inghiottisse entrambi per sempre. La spinse contro il muro dell'ingresso, bloccandola con tutto il suo corpo, metre lei si spalmava addosso a lui, gli si plasmava intorno, accoglieva ogni suo angolo e ogni sua curva, si scontrava e si modellava su misura. Le sue mani erano impresse a fuoco sul suo petto come a volerlo allontanare, oppure per stringerlo più forte possibile. Non lo sapeva Dimitri, non sapeva più niente. La sua lingua le esplorava la bocca, i suoi denti la divoravano, le mani grandi e callose del giovane non riuscivano più a essere gentili e le strattonavano i vestiti, le scombinavano i capelli, si insinuavano sotto la gonna per toccarla in mezzo alle gambe, lì dove era così calda e pulsante, bagnandosi le dita di lei. Lei gemette e tirò indietro la testa, rischiando di sbatterla contro il muro: non se ne curarono. Lui spingeva su di lei con le dita, senza darle quello che voleva, fermandosi al margine della sua sopportazione, tirandole giù la camicia da notte per scoprire il suo seno gonfio. La morse e succhiò la pelle candida, unì con la lingua i suoi nei, per formare un disegno che solo lui conosceva, mentre il suo pollice ancora le accarezzava quel piccolo lembo di pelle che continuava a pulsargli contro le dita, sempre più forte, sempre più gonfio, sempre più bagnato.
Si staccò da lei ad un passo dal piacere. Lei, nuda sotto le sue mani, lo guardava senza capire, guardava lui che aveva ancora addosso i suoi pantaloni e aveva solo la camicia sbottonata.
«Caroline» disse di nuovo. La sua voce adesso era roca, ma più disperata di prima. Le sue mani ora tremavano. 
E poi, scoppiò in lacrime. 
Come un bambino, crollando su sè stesso e appoggiandosi solo a lei, che adesso lo reggeva come se avesse sulle spalle il peso del cielo. Senza parlare lo trascinò nella sua camera e insieme si stesero a letto. Le bagnò i capelli e i seni delle sue lacrime salate, lacrime che non avrebbe potuto, nè voluto, versare davanti a nessun altro, lacrime trattenute di quello che presto sarebbe diventato un soldato, contro la sua stessa volontà, contro i suoi principi, contro ciò in cui credeva. Lacrime di un uomo che avrebbe uscciso, e alla fine -perché no?- sarebbe anche morto, senza sapere perchè o per chi. Per chi avrebbe dato la vita? Non per la sua famiglia, non per la donna che amava, non per i figli che non avrebbe avuto, nè per un suo desiderio di gloria e successo. Lui, che avrebbe passato la vita a sfornare pane e a sfamare la gente, adesso avrebbe ucciso, pena la morte. Bagnò di lacrime il cuscino, mentre lei lo teneva stretto senza fiatare, pianse fino a sciogliere tutta la rabbia, la paura, l'odio e l'amore, fino a perdere i sensi, fino a cadere addormentato sul suo petto nudo, il corpo di entrambi insoddisfatto ma l'anima appagata.
Caroline rimase sveglia, a vegliarlo, tenendolo stretto. Con una mano gli accarezzava i capelli scuri, folti, gli occhi lo divoravano. Fissava la sua bocca leggermente aperta, le sue ciglia lunghe, la forma degli occhi che nascondevano quel blu profondo. Gli fissava la curva sensuale delle spalle, il naso elegante, gli zigomi alti, le orecchie forse troppo grandi. Fissava la sua mano poggiata sul suo petto, come se fosse un bambino. Fissava quel neo solitario che aveva sulla guancia destra, divorava i particolari, li imprimeva nella sua memoria, senza sapere quando, ma sopratutto se, dopo quei cinque giorni, lo avrebbe rivisto. L'alba la colse così, i raggi del sole che trasparivano dalla finestra illuminarono meglio i lineamenti che aveva osservato tutta la notte. Fu a quel punto che Caroline si divincolò e si alzò dal letto. Non aveva sonno, non aveva fame, non sapeva che fare. Raccattò la sua camicia estiva dall'ingresso e la indossò, poi si diresse verso la cucina, irrequieta. Bevve un po' d'acqua, poi si chiese se fosse il caso di cucinare la colazione. Si disse che era troppo presto, per cui continuò a vagare come un anima in pena, le mani che smaniavano per fare qualcosa, ma senza sapere cosa. 
E poi, l'illuminazione. Aveva ricevuto un telegramma il giorno prima, nel tardo pomeriggio. Era siglato come urgente, ma lei, sospettando fosse di Joseph e temendo il suo contenuto, non aveva avuto il coraggio di leggerlo subito. Adesso però, la curiosità la mangiava viva. Corse quasi nell'ufficio di Joseph, dove teneva la corrispondenza e aprì il cassetto con gesti meccanici dettati dalla fretta. Svelta afferrò la busta ancora sigillata e la aprì strappandola, senza la sua consueta attenzione. Sollevò il fogliò e quasi si sentì mancare.
Per Domenica sarò a Berlino.Prepara tutto.Lunedì ci sposiamo
Joseph 
  
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