Libri > Arsène Lupin
Segui la storia  |       
Autore: Roiben    23/03/2020    1 recensioni
[Arsène Lupin] L'Ispettore Capo della Sûreté di Parigi Justin Ganimard ha un fastidioso problema per le mani, uno che non sembra intenzionato a essere risolto.
Quello che invece non sa, Ganimard, è che il suo fastidioso problema non è neppure il peggiore. E forse, dopo tutto, non è nemmeno un problema, quanto piuttosto una soluzione.
Genere: Angst, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Arsène Lupin, Justin Ganimard, Nuovo personaggio, Victoire
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Oltre le apparenze







01 - Se non è un demonio, noi l’acciuffiamo



La Ville Lumière è entrata da poco più di un mese nel nuovo secolo e lo si nota bene dall'allegria che ancora permea la città e i suoi cittadini, e dalle luci che sembrano ancora più numerose e brillanti del solito. La primavera, ancora di là da venire, non ha mostrato per il momento i suoi segni distintivi, eppure v’è un sentore d’eccitazione pronta a sbocciare e sembra si respiri aria di novità ovunque, perfino nei quartieri poveri e nelle bettole. Forse non durerà, si sofferma a riflettere il presidente del consiglio nonché ministro degli interni Valenglay, ma fintanto che porterà bei pensieri e leggerezza sarà senza dubbio benvenuta.


Distogliendo lo sguardo dal panorama che si può ammirare dalla sua finestra, china un poco la testa sulla propria scrivania poco distante e sospira esasperato: un altro stupido rapporto dalla Sûreté, e può scommettere le sue entrate di un anno che si tratta, di nuovo, di quel seccante ladro da strapazzo e delle sue prodezze che tanto divertono il popolo. Ed è proprio questo il problema maggiore; il prefetto Machaux può dire ciò che vuole al riguardo, ma sprecare tanto personale e denaro pubblico per correre dietro a una testa calda che piace alla gente non è affatto un buon affare, economicamente e politicamente parlando.


«Che diamine avrà combinato questa volta?» si chiede, un poco amareggiato per essere stato distolto dal proprio studio del benessere della comunità.


Nulla di più facile, del resto, che togliere il sigillo apposto dagli uffici della Sûreté per scoprirlo. Questo è ciò che suo malgrado si appresta a fare, salvo pentirsene nemmeno tre minuti dopo, intento a sorbirsi gli sproloqui di quel borioso del prefetto, oltre che le spiegazioni prolisse e noiose dell'Ispettore Capo.


«Buon Dio, che perdita di tempo, che perdita di denaro, e che perdita del già scarso prestigio di cui godono» lamenta, sapendo di parlare unicamente a sé stesso, poiché si trova solo nel suo ufficio. «Farei prima ad assumere questo tizio. Molto probabilmente mi costerebbe meno che cercare di metterlo dietro le sbarre e poi mandarlo al patibolo. Chissà» borbotta, rimuginando sui suoi progetti con tutta probabilità irrealizzabili.


***


In un altro edificio e in un differente ufficio il prefetto Machaux sta facendo una lavata di capo all'Ispettore Capo, reo d'essersi lasciato sfuggire, lui e la sua squadra al completo, il ricercato per l'ennesima volta, l'ultima di una serie apparentemente infinita.


«Signor prefetto, quell'uomo è una specie di demonio. I miei ragazzi non...» tenta di spiegare le proprie ragioni Justin Ganimard.


«Avete detto giusto: quell'uomo. Ed essendo egli un comune mortale esiste di certo un modo per sbarazzarcene una volta per tutte. Bisogna togliercelo di torno. È semplicemente oltraggioso che si diverta alle nostre spalle! La gente ride di noi!» si accalora il prefetto.


L'Ispettore china la testa a ogni invettiva un poco di più, e si morde la lingua per evitare di rispondere a tono e dire apertamente ciò che pensa del problema, se poi di tale si tratta.


«Il Crédit Lyonnaise! È inammissibile! Chi rimborserà la perdita? Voi, forse? No di certo, siete solo un poliziotto» esclama Machaux.


Il suddetto poliziotto sta per insultare il prefetto, poi ci ripensa e annuisce, tenendo per sé anche quello. E si augura vivamente che non ne abbia ancora per molto, perché non è per nulla certo di quanto spazio gli rimanga ancora in testa per tenerci tutto quel che vorrebbe fargli sapere.


«Che accidenti state aspettando, dunque? Andate, marsch! Radunate i vostri uomini (quelli che non hanno qualche osso rotto) e trovate quel pagliaccio!» sbraita il prefetto, concedendogli con queste ultime parole il permesso non scritto di poter lasciare il suo ufficio.


Ganimard sospira, indicibilmente grato per quella concessione dell'ultimo minuto, e approfitta al volo dell'occasione per correre letteralmente fuori da lì e tornare fra le persone ragionevoli.


***


La fa facile, Machaux. Fosse per lui dovrebbero presentarsi in forze alla porta di un cittadino francese, con il mandato, e chiudergli i polsi nelle manette per poi trascinarlo alla Maison d'arrêt de la Santé. Che ci vuole? Lo sa lui cosa ci vuole: trovarlo, prima di tutto. Pensa forse, il signor prefetto perfetto, che quel furfante abbia una targhetta d'ottone a fianco della porta con sopra scritto “Arsène Lupin: ladro, scassinatore e a tempo perso rubacuori”? Nemmeno per sogno. Seguire la sua pista è una parola, soprattutto considerando che di rado lascia tracce, e quelle che lascia sono ormai vecchie e inutili. Il prefetto, forse, crede di poterlo anticipare sul tempo. Ma chi può sapere quali siano le sue intenzioni? Scommette che nemmeno la sua banda venga messa al corrente dei dettagli con troppo anticipo. Le uniche occasioni in cui la polizia è venuta a conoscenza di una delle sue malefatte prima che accadesse si sono verificate in concomitanza di progetti enormi: castelli, musei, banche, tutti obbiettivi veramente molto complicati da proteggere, in particolare perché l'operazione della polizia viene giocoforza organizzata all'ultimo minuto, mentre quella del ladro deve essere stata pianificata chissà quanto tempo prima, e nei minimi dettagli per giunta.


«E allora? Che cosa possiamo fare noi altri?» pensa l'Ispettore, prelevando la copia di un quotidiano di quella mattina e cercando indizi, qualcosa, un'idea qualsiasi che lo porti sulla via giusta per acciuffare quel farabutto.


Scuote la testa e sospira. Che poi, anche chiamarlo in quel modo non è del tutto corretto. In fondo non ha mai ammazzato nessuno, finora, e neppure derubato gente che a malapena rimane in piedi con il proprio lavoro. Sì, però è una gran spina nel fianco, e in una cosa il prefetto Machaux dice il vero: si burla di loro, ovvero dell'autorità, facendoli passare per deficienti e incapaci. Non che abbia tutti i torti; molti, lì dentro, lo sono senz'altro. Però, però non va bene! Che lo sappiano alla Sûreté è un conto, ma che lo sappia tutta la Francia non è tollerabile. E quel maledetto in più si paga perfino gli articoli sul suo giornale; sì, suo, perché Ganimard non crede affatto che un redattore che non sia stipendiato si prodighi a cantare le lodi di chicchessia, che si tratti di un ladro oppure di un deputato.


«Maledetto Lupin. Bisogna finirla con questa farsa» brontola, sbattendo il giornale spiegazzato sulla propria scrivania e lanciando sguardi irritati all'intorno, scorgendo gente che tenta di fare il proprio dovere, pur senza sapere necessariamente da che parte girarsi, in mancanza dell'indicazione giusta. La deve proprio trovare lui, quell'indicazione, a questo punto. «Allora, dove sei?».


«Capo?» chiede la voce confusa di uno dei suoi uomini che sta passando lì accanto in quel momento.


L'Ispettore scuote una mano, a indicargli di lasciar correre, ché sta solo cercando di mandarsi in fumo il cervello nella speranza di trovare la soluzione che faccia al caso loro. Quello se ne va, ben felice di lasciare al superiore la patata bollente.


***


Trascorre più d'una settimana senza che nulla si muova. Il prefetto Machaux, nel suo ufficio arroccato, ha i nervi a fior di pelle. Per contro gli agenti girano più rilassati, a volte con sorrisi e battute di spirito, quasi non abbiano un solo pensiero per la testa (e Ganimard sospetta che non sia tutta un'impressione). Dal canto suo, non passa giorno che non spulci giornali (soprattutto l’Écho de France, ovvero il giornale di Lupin), lettere di segnalazione, persino riviste ché non si può mai sapere quale sarà l'ultima trovata del ladro latitante; purtroppo non sembra esserci alcuna novità, e il suo ricercato continua a esserlo e a non essere rintracciabile.


Questa situazione permane fino a un pomeriggio nel quale un dispaccio dalla cittadina di Épinay-sur-Seine lo avvisa che si è verificato un incidente strano presso la dimora della famiglia Yvelain. L'incidente è la scomparsa di un tavolo assieme a tutte le sue dodici sedie. Ganimard s'imbroncia, digrigna i denti, sbatte malamente la missiva sulla scrivania e solleva le braccia al cielo, esasperato.


«Un tavolo! Che il diavolo lo prenda: cosa diamine dovrebbe farci con uno stupido tavolo?» sbotta.


Ma non si sofferma a lambiccarsi troppo. Invece si alza dalla sedia, afferra la lettera stropicciata e parte a passo di marcia per reclutare un po' di gente da portare su al nord per indagare su questo affare. Tanto che altro hanno da combinare quei perdigiorno?


Quasi due ore dopo, con tutta la sua squadra ammassata dentro un carrozzone cellulare, giungono infine sul posto. L'ispettore dispone i suoi uomini in modo da sorvegliare la villa sui quattro lati e il terreno circostante, mentre lui si fa annunciare ai padroni di casa e viene accolto dalla signora Yvelain in persona, che lo guida attraverso l'atrio luminoso fino al salone secondario, dove di norma vengono serviti i pasti e dove, una volta entrato, Ganimard si rende ben conto dell’effettiva mancanza del tavolo e delle sedie.


«Che cosa avevano, di particolare?» domanda alla donna, i cui grandi occhi nocciola lo guardano come fossero perennemente sorpresi.


«Ma nulla, signor Ispettore. Erano mobili normali. Forse giusto un poco vecchi. Sono stati acquistati all'asta solo il mese scorso; ci era parso un affare, poiché questa sala è stata appena restaurata e aveva bisogno di essere arredata. Quindi mio marito e io siamo stati in giro per fiere e antiquari così da trovare dei mobili adatti. Vedete, Ispettore, per esempio quella credenza, laggiù nell'angolo? Non è un amore?» trilla la signora, i cui occhi sempre sorpresi ora mostrano anche compiaciuta eccitazione.


Ganimard si gratta la testa e borbotta parole inintelligibili, affatto interessato ai mobili che ci sono ancora, invece curioso di capire perché, se quelli sono ancora lì, lo stesso non si può affermare del tavolo con tutte le sedie.


Ma quando si azzarda a chiedere se, oltre alla loro scomparsa, hanno rilevato altri ammanchi, la signora, tutta giuliva, esclama «Ah, no! Anzi, ci pensate che abbiamo trovato, in mezzo a questa stanza proprio al posto del tavolo scomparso, un assegno? La stessa cifra che abbiamo pagato per acquistarlo, figuratevi un po’ voi».


L'Ispettore grugnisce, e mentre tenta come può di non insultare la povera donna che tutto sommato non ha colpe al suo attivo, maledice invece dentro di sé quell'uomo malefico e le sue idee scellerate.


Dopo aver setacciato la sala, nella speranza di trovare qualche indizio ma senza avere tale fortuna, si congeda dalla padrona di casa con un inchino e la promessa di fare il possibile, se non per riportare loro la mobilia per lo meno per indicargli il destino occorso a quel tavolo e quelle sedie sfruttate così poco. E andandosene, mentre raduna la sua squadra, scuote la testa immaginando si trattasse di qualche pezzo d'antiquariato che i coniugi avevano scambiato per vecchiume e che con tutta probabilità verrà acquistato da qualche riccone d'oltre oceano per dieci volte il suo prezzo di partenza.


***


Scoraggiato e stanco per l’uscita infruttuosa, Justin Ganimard si appresta a mettere ordine nelle sue carte in ufficio per poi tornarsene a casa, dove troverà, forse, la cena lasciata in caldo per lui dalla governante. Se non che, poco prima di lasciare la Sûreté, un agente giovane e magro come un chiodo gli corre incontro con una faccia che non promette buone cose. La sua sorpresa è quindi grande nel momento in cui scopre che, al contrario, la notizia è delle migliori: non solo è giunta una nuova segnalazione circa possibili movimenti del ladro, ma addirittura sembra sia stato avvistato. Le labbra dell’Ispettore hanno un guizzo improvviso e i suoi occhi si animano di speranza.


«Questa è la volta buona» si ripete, forse nel tentativo di convincersi e motivarsi, mentre va a caccia di altri uomini da trascinare con sé.


In base alla segnalazione ricevuta, pare che il ricercato si trovasse nei pressi dei magazzini di Saint Georges, potrebbe perfino trovarcisi ancora, con una parte della sua banda. Ganimard ha un brivido violento al pensiero di poterglisi presentare tanto vicino, e seduto sullo scomodo sedile del cellulare non riesce a stare fermo, preso da frenesia e impazienza nonostante l’orario tardo e la faticosa giornata che ha alle spalle.


«Ispettore» lo interpella il sergente Sorier al proprio fianco, «ma se poi lo ritroviamo davvero dove dicono, che facciamo?».


Ganimard gli affibbia un’occhiata urticante. «Imbecille. Se ci capita sotto le mani lo acciuffiamo e non lo molliamo fino a che non arriviamo alla prima cella disponibile e ce lo chiudiamo dentro a doppia mandata».


Il sergente lo fissa con occhi grandi e disorientati, sembrando più sconvolto che sorpreso. «Veramente? E voi dite che ce la facciamo?».


L’Ispettore assottiglia le labbra in una smorfia irritata. «Fa’ una cosa, sergente: smetti di pensare e organizzati per eseguire i miei ordini».


«Signorsì, capo!».


Ecco fatto: tutta la sua eccitazione andata in fumo per colpa di quello stupido di un sergente. È deprimente pensare che la maggior parte dei suoi uomini, probabilmente, si immaginano di doversi fare tutta quella strada solo per scontrarsi con un nulla di fatto, senza neppure stare a chiedersi se sia possibile avere la meglio. “Sciocchi creduloni” pensa. “Non si saranno per caso fatti l’idea che abbiamo a che fare con una specie di mago o demonio, spero”. Quell’idea ha dell’inquietante. Si chiede se, in tal caso, messi di fronte alla materializzazione dei loro incubi decideranno di seguire le sue direttive o preferiranno darsela a gambe levate.


Giunti infine nella zona indicata, all’incrocio fra la via che porta ai mercati generali e quella che conduce alla stazione di Saint-Lazare, il cellulare rallenta e affianca una guardia appostata sulla strada. Questa si porta accanto ai finestrini del veicolo e l’Ispettore si sporge per avere notizie.


«Ispettore» esordisce la guardia con un impeccabile saluto ufficiale. «Uno degli agenti di pattuglia, non più di dieci minuti fa, ha potuto vedere movimenti sospetti attorno alla galleria d’arte» spiega, indicando con il braccio teso un palazzo alto e di bell’aspetto, accanto a boutiques rinomate.


«Quanti erano?» si informa Ganimard.


«Ne sono stati individuati cinque. Potrebbe esserci qualcun altro che già si trovava all’interno, tuttavia» azzarda la guardia.


L’Ispettore annuisce e gli fa segno di raggiungere la sua squadra mentre lui istruisce i suoi uomini e poi li fa scendere per farli appostare in posizioni adeguate a sorvegliare tutte le uscite del palazzo. Lui stesso si porta a ridosso dell’entrata principale e dà un’occhiata all’interno, senza però riuscire a vedere alcunché di significativo. Respira a fondo, trattenendo l’agitazione. Il prefetto Machaux ha parlato di liberarsi della seccatura, ma la seccatura in questione va catturata con la rete da pesca, non con l’arpione, ché bisogna tenerselo intero per fargli snocciolare un po’ dei suoi intrallazzi, e se lo impallinano avranno un Lupin impagliato, ma niente banda e niente refurtiva.


Si sta facendo tardi, e sono già cinque minuti e più che passeggiano senza vedere una sola sagoma dotata di due braccia e due gambe che non abbia anche la divisa della Sûreté. E mentre cammina nella penombra dei corridoi della galleria, Ganimard si blocca e sgrana gli occhi, folgorato dalla consapevolezza.


«Oh, per il demonio! La guardia!». E mentre si dà dell’imbecille da solo corre fuori e cerca febbrilmente con lo sguardo nei dintorni del palazzo ma, come c’era da aspettarsi, il furfante s’è già belle che dileguato, e con lui anche i suoi complici e tutto quello che ha reputato di suo gusto e degno d’essere portato con sé.


Ma quel che è sicuro è che questa volta non si arrenderà così facilmente. Non possono poi essere andati così lontani, e prima di entrare nella galleria lo ha visto dirigersi verso Batignolles, probabilmente con il progetto di oltrepassare la Senna e dileguarsi poi in qualcuno dei suoi rifugi, quindi è là che andrà anche lui con i suoi uomini, e troverà il modo di tornare sulle sue tracce.


  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Arsène Lupin / Vai alla pagina dell'autore: Roiben