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Autore: Sabriel Schermann    23/03/2020    4 recensioni
[SCRITTA NEL 2014]
Vite che si intrecciano all'infinito.
Una storia di crescita, delusioni e amori giovanili.
Esperienze che formano il nostro essere, che plasmano la nostra anima.
L'arte nella sua forma più pura, vista attraverso gli occhi di un'anima creativa.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Noël non sapeva come aveva avuto il coraggio di farlo.
Forse, ne aveva semplicemente sentito il bisogno, quella notte in soffitta.
La luna splendeva nel cielo e la illuminava nel suo minuscolo angolo dietro la porta.
Stette soltanto qualche minuto, poi tornò al piano di sotto, nella sua camera, preparando uno zaino in silenzio.
Poi tornò in soffitta per prendere il suo diario, ma improvvisamente le cadde dalle mani, sbattendo violentemente a terra, aprendosi in due.
La ragazza rimase immobile qualche secondo ma, non sentendo alcun rumore, lo raccolse e cercò di ripiegare la pagina rovinata.
Nell'angolo piegato c'era una piccola scritta blu, minuscola ma leggibile: non mi avete mai conosciuto.
Lo chiuse violentemente, riponendolo di nuovo a terra, esattamente al centro della stanza; non lo avrebbe portato con sé, ma lì sarebbe stato al sicuro.
Poi scese le scale a passi felpati, afferrò delle banconote dal portafoglio della madre e uscì silenziosamente di casa.
Non ci ripensò nemmeno un secondo. Non si volse.
La luna piena illuminava il suo viso serio e determinato, e gli occhi brillavano; quell'espressione, per chi la conosceva, poteva fare persino paura.
Era un'espressione pericolosa.
L'espressione di qualcuno che ha tutta l'intenzione di prendersi ciò che vuole, a qualsiasi costo.
Passò davanti al cimitero, davanti al locale, alla casa di Denis, ma non si volse mai.
Sapeva che avrebbe soltanto trovato persiane serrate e un tavolino solitario al centro dell'ampia balconata.
Percorse silenziosamente la strada degli artisti e quando arrivò alla Basilica, non si trattenne a guardarla.
Sapeva che sarebbe stata sempre la stessa, bianca e imponente davanti a Montmartre.
Osservò la città illuminata dall'alto: il fiume da lì sembrava infinito e la notte donava una luce particolare alla torre.
Parigi sembrava non dormire mai. Niente in quel posto avrebbe mai avuto fine.
Ma lei sarebbe presto andata via da lì. Era l'unica soluzione concepibile.
Prima però, avrebbe fatto un ultimo viaggio: avrebbe visitato ciò che le interessava e l'avrebbe fatto da sola. Era elettrizzata da questo pensiero.
Un sorriso quasi malvagio si allargò sulle sue labbra. Finalmente era libera, libera e sola, come non lo era mai stata prima.


~


Non avendo fatto colazione quel giorno, dopo essere usciti dalla bottega, Denis e Samira si diressero al locale di fronte alla casa della ragazza.
Il giovane ordinò una tazza di cappuccino e, mentre addentava un biscottino alla cannella, Samira gli fece delicatamente notare un fatto interessante.
«La scorsa settimana sono venuta qui con Noël e mi ha chiesto di te».
Denis smise di masticare e fissò la ragazza negli occhi.
«Sembrava molto preoccupata. Innervosita da qualcosa, direi».
Effettivamente, non parlavano più come una volta e anche lui aveva notato dei cambiamenti in lei.
«Io non so niente» si affrettò a rispondere, ingoiando rumorosamente.
Denis aveva intuito che la ragazza aveva altro per la testa: si erano allontanati moltissimo l'uno dall'altra e, anche se non glielo aveva detto espressamente, mai come allora aveva sentito la sua mancanza.
«Credo che tu le piaccia» sussurrò Samira all'improvviso.
Lui continuò a mangiare, senza particolare stupore.
Non ci aveva mai pensato prima e stentava a crederci.
Ma il discorso terminò lì e Denis vide la ragazza stringere gli occhi, come se le dolesse qualcosa.
La vide toccarsi il petto. Il pomeriggio lui la portò fino alla Basilica e lei lasciò scorrere il fiume sotto il suo sguardo che, per un attimo, tornò a brillare. Ormai era sera ed era ora di tornare a casa.
Solamente qualche ora dopo, su quella collina sarebbe tornata una giovane in fuga.
Avrebbe preso il traghetto e avrebbe attraversato la Senna in solitudine, così come aveva programmato, abbandonando Montmartre per sempre.
O almeno così credeva.


~


Quando arrivò davanti alla Torre Eiffel, Noël rimpianse di non aver preso il suo diario.
Avrebbe voluto scrivere, disegnare osservando i turisti camminare incerti e ammirare il panorama anche a quell'ora della notte.
Sapeva che quella era soltanto una torre di ferro rimasta lì per sbaglio, par hasard, avrebbe voluto dire.
Sapeva che avesse addirittura negato l'accesso a Hitler.
E improvvisamente, davanti ai suoi occhi scorsero veloci delle immagini, le grida, il caos della storia che la Francia aveva ospitato, come sul nastro di un film: la belle époque, la Prima Guerra Mondiale, la Seconda e i deportati ebrei, il Velodromo dove vennero rinchiusi, le sfilate, come le chiamavano i nazisti, nelle strade verso i campi.
E se fosse stata una di quegli ebrei? Quanti bambini e ragazzini della sua età erano morti in quei campi? E nei treni? E per le strade?
Aveva soltanto avuto fortuna, era nata nel momento giusto.
Suo padre era un mezzo alcolizzato, suo madre una donna depressa e infelice e lei una ragazzina a metà strada, incerta sul proprio futuro come tutti gli adolescenti e incapace di realizzare i propri desideri: ma che cos'era questo davanti alla devastazione di una guerra, magari a causa di una bomba, oppure di una pallottola di qualche cecchino?
Niente.
Niente
, pensò.
Un vuoto le si formò in gola, e gli occhi le si fecero lucidi.
Avrebbe voluto riabbracciare la madre e il padre, chiedere loro scusa per ciò che aveva fatto, per ciò che era e non era stata.
Si sforzò di non piangere e le lacrime non scesero.
Si chiese che cosa stessero facendo in quel momento, se fossero preoccupati o sollevati.
Forse non si erano nemmeno accorti della sua assenza.
Prima o poi ci si accorge della mancanza di chiunque, le disse una volta Denis.
Oh, Denis.
Era scappata soltanto da qualche ora e già le mancava così tanto.
Istintivamente, se lo immaginò da bambino, un bambino biondo, debole e fragile e le venne un'immensa voglia di abbracciarlo, di piangere tra le sue braccia, di consolarlo.
Lui era sempre allegro e spontaneo con lei e lei era sempre stata quasi arrogante con lui.
Ma, nonostante tutto, lui aveva deciso di restare.
Avrebbe tanto voluto dirgli che gli voleva bene, che non lo voleva lasciare andare.
Ma sapeva che non ne avrebbe mai avuto il coraggio.
Così rimase lì, accovacciata su una panchina di fronte alla Torre, con le lacrime a pungerle gli occhi, in una notte senza luna che sarebbe stata presto dimenticata.


~


Quando prese il pennello in mano, Denis non resistette alla tentazione di toccarne la liscia peluria.
Era morbida e delicata sotto i suoi polpastrelli e quasi gli dispiacque intingerla nella pittura.
Ma aveva un progetto in mente.
Aveva raccolto un po' di colori e dell'acqua e si era seduto su una sedia davanti alla tela bianca del laboratorio nascosto della bottega.
Come al solito non c'era nessuno e la porta era aperta.
Così Denis si mise comodo e cominciò a dipingere.
Intinse il pennello nel bianco, cominciando dal fondo: dipinse un sottile margine, poi immerse il pennello sporco in un colore grigio scuro, dipingendo i due estremi inferiori della tela: ne uscì un colore simile a quello di una nuvola carica di pioggia.
Fu quando intinse il pennello nel colore rosso che la porta del laboratorio si spalancò scoprendo una figura esile dai capelli grigi e gli occhi chiari.
Le rughe erano visibili sul suo viso e sembravano cedere al peso della pelle.
Lo sguardo era stanco e la chioma unta ma, quando lo notò, le labbra gli si aprirono in un debole sorriso.
Denis si alzò bruscamente con il cuore in gola, prima di essere fermato: «Resta pure» gli disse lo sconosciuto, dirigendosi verso il grande tavolo al centro della stanza. «Non sapevo proprio che cosa dipingere su quella tela. È come se le immagini avessero smesso improvvisamente di trasmettermi la loro poesia» aggiunse, afferrando un piccolo pennello.
Denis era rimasto sbigottito e immobile per tutto il tempo, fino a quando l'uomo non prese la maniglia della porta, con l'evidente intenzione di andarsene.
Allora ebbe il coraggio di parlare.
«Posso...?»
Il ragazzo non riuscì a terminare la frase e lui rimase sulla soglia, con la mano ancora stretta alla maniglia.
Si guardarono per qualche istante, quando l'uomo si diresse verso il giovane, fermandosi a pochi centimetri dal viso, con aria minacciosa.
Denis notò che impugnava il pennello come un'arma.
«Non permettere mai a nessuno di fermarti quando vuoi fare qualcosa» sussurrò.
Il ragazzo lo guardò perplesso, sempre più confuso da quell'assurda situazione.
Quella frase sarebbe valsa anche davanti ad una violazione di proprietà, a un omicidio oppure una rapina? Era questo che credeva quell'uomo?
Poi lo vide distogliere lo sguardo, puntandolo sulla tela bianca.
«Non capisco» disse calmo, «che cos'è?»
«
Non l'ho ancora finito».
Denis si passò una mano fra i capelli dorati.
L'uomo lo guardò con l'espressione di un matematico che ha appena trovato la soluzione all'enigma a cui lavora da giorni.
«Lei è il padre di Samira?» osò poi il ragazzo.
Il corpo dell'uomo si tese bruscamente e Denis vide il suo sguardo vagare da una parte all'altra della tela: avrebbe giurato che, in realtà, sapesse bene che cosa dipingere.
«
Tu conosci mia figlia?» Lo guardò finalmente negli occhi e Denis quasi si pentì di averlo domandato.
Il giovane asserì, osservandolo dirigersi nuovamente verso la porta.
«Aspetti, mi dica almeno come devo chiamarla!»
«
Non avrai bisogno di chiamarmi. Quando avrai bisogno di me, io sarò qui» rispose lo sconosciuto, chiudendosi la porta alle spalle.
E Denis rimase lì, con un pennello ormai secco tra le mani, in una bottega che aveva il volto di quell'uomo.


   
 
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