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Autore: Enchalott    24/03/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In vino veritas
 
Adara montò in sella, tremando per la circostanza sconvolgente che aveva appena sperimentato, per la sensazione di vuoto che la scomparsa repentina e silenziosa del Distruttore le aveva procurato, per le rivelazioni che le erano state riservate, per la pioggia gelida che le inzuppava gli abiti. Per la paura smodata che la attanagliava. Per la responsabilità che si era assunta. Per la verità che aveva pronunciato.
Spronò il cavallo incitandolo al galoppo e l’animale s’impennò, balzando in avanti come se avesse le ali ai garretti, per poi lanciarsi in una corsa sfrenata attraverso le strette vie di Jarlath.
L’acqua torrenziale che precipitava dal cielo le offuscava la visuale, ma se anche avesse potuto distinguere la strada, non avrebbe saputo riconoscere la direzione corretta in quel dedalo di stradine e passaggi che era la città bassa.
“Rallenta, Illtyd!” comandò, tirando leggermente le redini per evitare di scivolare sul suolo infangato e viscido.
Lo stallone fece per moderare la velocità, ma poi raddrizzò le orecchie appuntite e la sua andatura si fece ancora più rapida ed elastica.
“Illtyd!” esclamò lei, accorciando ulteriormente la briglia tesa “Che ti prende!?”.
Fu inutile, il destriero continuò a volare sul percorso sdrucciolevole, ignorando ostinatamente il suo ordine per un’ignota ragione.
Poi lo udì anche lei. Un fischio prolungato e distante.
Strinse le ginocchia e smise di ostacolare il galoppo lanciato del cavallo, che proseguì con inscalfibile sicurezza la sua corsa a rotta di collo.
Illtyd scantonò, rischiando seriamente di disarcionarla, poi rallentò sensibilmente.
Adara sollevò il viso, raddrizzandosi sulla groppa a osservare la piazza modesta e sgombra oltre la quale incominciava una salita ripida e sconosciuta per la fortezza.
Nella nebbia sfilacciata avanzò una figura, vestita di un lucido mantello bianco: abbassò la mano lungo il fianco, esaurendo il suono che il destriero aveva seguito.
Anthos.
Il giovane la fissò attraverso la chioma bionda intrisa di pioggia e non protetta dal cappuccio di pelliccia chiara, calato sulla schiena. Lacrime d’acqua trasparente gli imperlavano le lunghe ciglia scure e gli scivolavano sugli zigomi alti e sul mento, per poi scorrere nella profonda scollatura della casacca candida. Era completamente fradicio sotto quel rovescio a dirotto.
Gli occhi d’oro furono su di lei, carichi di furia, di rimprovero, di dolore.
Illtyd gli strofinò il muso sulla spalla bagnata, sbuffando energicamente dalle froge.
“Obbedisce solo a me” disse lui a bassa voce, accarezzando gentilmente la fronte orgogliosa dell’animale “Dovresti saperlo”.
Adara balzò a terra, osservando gli abiti inzuppati e gocciolanti che gli delineavano la muscolatura, quasi trasparenti sulla pelle ambrata.
“Anche tu dovresti farlo” continuò il principe, con la stessa modalità inspiegabilmente conciliante “Sottostare a me”.
“Anthos…” sussurrò lei, senza sapere da dove cominciare.
“Perché in caso contrario” la interruppe lui con un gesto appena accennato ma brusco “Potresti pentirtene amaramente”.
Il suo sguardo la trapassò come una lama acuminata e devastante. La principessa non abbassò il suo, poiché in quelle parole, in quell’espressione malinconica vibrava una nota di rassegnazione, una sofferenza più intensa di quella che gli era propria.
“Dimmi, Adara… per che cosa dovresti pentirti oggi?” domandò, implacabile.
Il cuore della ragazza prese a pulsare con vigore, i battiti veloci le invasero il corpo, come se la semplice richiesta, composta di collera e sofferenza trattenute, avesse scatenato in lei un’emozione incontenibile e imprevista.
Gli appoggiò le mani sul petto, avvertendo il tepore del suo corpo grondante.
“Di averti fatto restare tanto a lungo sotto la pioggia…” mormorò contrita.
Il reggente trasalì alla risposta inaspettata, inarcando un sopracciglio. Strinse le palpebre e la collera mantenuta a freno scemò in un alito. Allungò le dita a toccare la chioma bruna e gocciolante di sua moglie, sfiorandole poi la guancia con il pollice.
“Già…” bisbigliò, attirandola a sé con garbo “Eppure sai quanto la detesto…”.
“Anthos…” ripeté lei, stupita dalla replica altrettanto moderata e intenzionata a parlargli dell’incontro inaspettato al più presto.
Ma il principe posò le labbra sulle sue, sotto l’acquazzone che li stava intridendo entrambi, incurante del fatto che qualcuno potesse vederli, che stesse realizzando un gesto tanto umano sotto gli sguardi dell’intera Jarlath. Forse perché la visibilità era scarsa o perché non voleva più udire da lei futili scuse o giustificazioni.
Il suo profumo familiare la invase e le causò una strana reminiscenza. Non ebbe il tempo di riflettere, poiché il giovane la innalzò sulla sella a forza di braccia e montò a sua volta, spronando lo stallone che gli apparteneva.
Hah, Illtyd…” comandò, in quel modo inconfondibile che le rammentò la loro prima cavalcata verso la città, in un abbraccio simile ma così diverso, nel freddo del Nord che ora appariva inspiegabilmente mitigato dalla sua vicinanza. O forse dalla neve che era quasi scomparsa.
Nel cortile secondario della fortezza, gli attendenti accolsero le redini del destriero bianco con gli occhi fuori dalle orbite, scorgendo il reggente bagnato come un pulcino e con il cappuccio abbassato trasportare tra le braccia la donna che aveva sposato. E rimasero parimenti impietriti quando lei a sua volta gli circondò il collo, sostenendosi a lui senza alcun timore e appoggiando il viso alla sua spalla.
Fu Illtyd a richiamare la loro attenzione con uno strattone vigoroso, stanco di aspettare sotto la pioggia battente dopo che il suo padrone se n’era ormai andato.
 
Leu-Mòr li attendeva solitaria, sollevata sulle mura oltre le nuvole pesanti che si inanellavano intorno alla sua mole circolare.
Anthos si liberò del mantello, che aveva disegnato ai suoi piedi una pozza arcuata, e versò due coppe di vino bollente.
Adara accettò il calice istoriato e fumante, sorseggiandone lentamente il contenuto, mentre lui lo buttò giù con foga, riempiendosi poi una seconda volta il bicchiere.
Il fuoco ruggì all’improvviso nel camino, divampando altero e rischiarando la stanza.
Il reggente iniziò a svestirsi senza parlare e lei fece altrettanto, scossa dai brividi, sorpresa dal suo silenzio e dall’espressione tormentata che gli leggeva sul volto. Una tensione sovraccarica d’angoscia, come se qualcosa avesse ingigantito esponenzialmente la tristezza che dimorava abitualmente nel suo cuore.
La ragazza fu assalita dalla preoccupazione e si sorprese nel constatare che avrebbe piuttosto preferito che lui la rimproverasse aspramente o le rinfacciasse l’uscita non autorizzata con il solito, bruciante sarcasmo.
Il principe ingoiò rapidamente la terza coppa di vino e le sue iridi dorate luccicarono intensamente nella penombra, che s’infrangeva sulle sue membra nude nelle rientranze armoniose della muscolatura. Non attese che sua moglie terminasse di togliersi i vestiti e stracciò a metà la sottoveste di seta fradicia che ancora portava indosso, facendola sussultare, attirandola quindi a sé con impeto.
La baciò con passione, stringendola forte. Le sue labbra morbide sapevano di spezie e emanavano il tepore che sgorgava dall’interno del suo corpo, come una strana eccezione in quel Regno gelido di cui era sovrano.
Non si accontentò di una sola volta e la sfiorò ancora, privandola del respiro e delle parole, accogliendo il contatto che lei contraccambiò, avvolta però in una paura che non aveva mai provato prima di allora. Non di lui, ma per lui.
“Mi… mi gira la testa…” sussurrò Adara, accarezzandogli la schiena, stordita dalla sua adiacenza, allontanando il freddo metallo del Medaglione dal loro abbraccio.
“È il vino” mormorò il reggente, appena udibile “È solo il vino…”.
La prese per mano e la guidò nella stanza accanto, immergendosi nell’acqua calda con lei tra le braccia. Chiuse gli occhi e si appoggiò al bordo della vasca di pietra, senza aggiungere altro. Le sue guance ambrate si colorirono leggermente a causa del vapore scottante che esalava dall’ambiente come in una sauna.
La principessa lasciò che la sua stretta si allentasse e solo allora si mosse, con i battiti fuori controllo, percependo che qualcosa non andava, che suo marito per qualche motivo voleva restare intimamente con lei più di tutte le altre volte in cui lo aveva realizzato. Quasi disperatamente, come se fosse l’ultima. Come se a suo modo le stesse dicendo addio.
Quel pensiero terribile le restituì interamente la lucidità, offuscata dalla bevanda eccessivamente alcolica che aveva assunto.
“Anthos…” sospirò, con un tuffo al cuore.
“Mh?”
“Vorrei averti incontrato prima”.
Lui riaprì gli occhi e la osservò attraverso la condensa sottile che impregnava la stanza da bagno. Non replicò, ma lasciò trapelare l’effetto che quell’affermazione autentica ebbe su di lui in un sorriso involontario, privo di ironia e crudeltà. La sua luce brillò per un istante, per poi svanire nei recessi della sua individualità complessa.
Adara prese il vasetto del balsamo, appoggiato sul vassoio d’argento a bordo vasca, e gli lavò i capelli con la stessa dolcezza con cui avrebbe fatto l’amore con lui, se il Crescente non si fosse illuminato al solo pensarlo.
Il giovane socchiuse le palpebre e si lasciò toccare, permise quel gesto d’affetto che, fino a qualche tempo prima, non avrebbe mai consentito e intuì il luccichio inaspettato della mezzaluna baluginare sotto il pelo dell’acqua.
Leuhan…” mormorò con dolore e rabbia.
Spostò la mano a sfiorare il tatuaggio bruno e le sue dita rimasero a contatto con esso, ancorate dal volere misterioso che gli impediva di unirsi fisicamente a colei che, contrariamente a ogni logica, aveva giurato di rimanergli accanto per sempre.
La sinistra si chiuse invece sul Medaglione, come a volerlo occultare, come se fosse un terzo incomodo, odiosamente invadente in quella situazione tanto privata.
Fu sul punto di sfilarselo dal collo, ma non lo fece.
Uscì invece dall’acqua e porse nuovamente la mano alla ragazza, avviluppandola poi con lentezza nello stesso telo asciutto che si era drappeggiato addosso.
“È… meraviglioso” asserì lei, interrompendo il silenzio.
Anthos inarcò un sopracciglio, interdetto.
“Che cosa?”.
“Ciò che è accaduto”.
“Non ho fatto nulla”.
“Oh sì, invece” corresse lei con emozione dirompente “Sì, lo hai fatto. La tua anima ha sfiorato la mia… si è unita ad essa… per la prima volta non l’hai impedito…”.
Il principe abbandonò l’abbraccio, spostandosi di qualche passo, e una ruga verticale si delineò sulla sua fronte. Come se stesse ripensando con estremo turbamento a quanto da lei affermato.
Sul suo corpo comparvero all’improvviso alcuni abiti: dei pantaloni azzurro chiaro, sostenuti da una stola turchese e una casacca smanicata color avorio.
“Fa troppo caldo…” disse, lasciando la stanza senza ulteriori osservazioni.
Adara lo raggiunse, inguainata in un lungo abito di seta bianca che metteva in risalto il suo incarnato abbronzato e la sua chioma castana.
Il reggente si sedette, versandosi un altro bicchiere di vino. Non era da lui esagerare, il fatto era un ulteriore indizio alla presenza di una diversità allarmante.
“Mi dispiace…” azzardò la ragazza, osservandolo buttare giù in un fiato il liquido violaceo “È successa una cosa che non…”.
Anthos spostò gli occhi d’ambra su di lei, in silenziosa attesa.
“Irkalla…” riprese la principessa d’un fiato “L’ho incontrato… fatico ancora a…”.
Lui non cambiò posizione, continuando a fissarla, attento.
“Non mi credi?” chiese lei, sempre più agitata per le sue insolite non-reazioni.
“Sì, ti credo” rispose finalmente, riempiendo nuovamente il calice “D’altronde lo cercavi con impazienza, non è così?”.
“Non avrei mai pensato…”.
“Ti ho messa in guardia” la interruppe lui “Attenta a ciò che desideri, Adara”.
“Smettila di bere!” enfatizzò lei, togliendogli il bicchiere dalle dita “Anthos, il Distruttore è apparso perché io l’ho invocato nelle mie preghiere!”.
“Dovresti rallegrartene, allora”.
“No! Sono onorata dalla sua visita, ma mi ha terrorizzata! Lui ha affermato che…”.
Il principe si alzò repentinamente come se non desiderasse continuare la conversazione, ma cedette di colpo, appoggiandosi al tavolo per non cadere a terra.
“Anthos!” esclamò la ragazza, sorreggendolo come poteva “Sei ubriaco!?”.
“Temo di sì…” sogghignò lui, spavaldo “Quel vino è troppo forte anche per me”.
“Vorrei sapere che ti è preso oggi!” sbottò lei, aiutandolo a sdraiarsi sul letto.
“Stavi raccontando di Irkalla” sviò il reggente, adagiandosi con calma sulle coperte.
Adara gli sedette accanto, premurosa e sconcertata.
Riferì quanto lei e l’essere superiore si erano detti, esprimendo la propria immensa inquietudine e lui rimase appoggiato alle sue gambe, apparentemente assopito.
“Mi stai ascoltando?” domandò la principessa, abbassandosi su di lui e sfiorandogli il viso con delicatezza, ma totalmente in ansia per quell’inconsueto atteggiamento.
“Alla perfezione” rimandò lui “Se aprissi gli occhi potrei dare di stomaco, ma non mi sono perso una sola parola. Ti ascolto, come sempre”.
Lei gli si sdraiò accanto, sospirando, e avvolse entrambi tra le coltri di pelliccia.
“Che cosa intendi fare, dunque? Irkalla ha promesso che tornerà, ma…”.
Il principe appoggiò la testa sul suo seno, girandosi su un fianco e cingendola saldamente con le braccia.
“Dormire” mormorò piano “Intendo dormire…”.
“Anthos, ti giuro… mi stai spaventando…”.
“Era ora” sussurrò lui ironico “Temevo di avere perso il mio tocco personale”.
“Oh, smettila! Hai sempre vantato che non avresti avuto timore nell’affrontare persino gli dei e ora hai ottenuto di esaudire il tuo folle desiderio! Dimmi che cosa vorresti…”.
“Non voglio sognare” rispose il giovane, serio e malinconico “Questa notte non voglio sognare per nessuna ragione. Svegliami, se dovesse accadere”.
“Perché dici questo? Che cosa contengono i tuoi sogni? Io ti sento, Anthos… nel sonno talvolta parli una lingua che non compendo, ma quando accade percepisco comunque la tua angoscia e vorrei solo alleviare ciò che avverto dilagare in te. Dimmelo, Anthos… dimmi se c’è qualcosa che posso fare per aiutarti!”.
“Sì” mormorò lui, aderendo ancor più all’abbraccio in cui lei lo stava contenendo “Raccontami del luogo in cui non c’è neve… né ghiaccio… del posto che descrivi come un paradiso” mormorò sottovoce “Raccontami della tua Elestorya…”.
Adara avvicinò le labbra alle sue e lo baciò piano, appoggiandosi al suo petto.
“Il tuo cuore” bisbigliò “Batte così forte contro il mio palmo… pare che voglia schizzare fuori da lì…”.
“È solo… è solo il vino…” ripeté stancamente il reggente.
Una lacrima scivolò sul volto della principessa e si perse tra le lenzuola.
“Perché stai piangendo?” domandò lui in un soffio.
“Oh… sbornia triste” svicolò lei, faticando a contenere il tremore della propria voce.
Anthos rise con naturalezza, ma comprese il significato di quel dolore versato per lui.
“Il deserto del Sud” cominciò la ragazza, inoltrandogli le dita tra i capelli biondi “Ha il colore dei tuoi occhi. Può sembrare arido e inospitale, persino crudele e non manca mai di metterti alla prova. Ma se scegli di non temerlo, se desideri conoscerlo, se non ti lasci fuorviare dalla sua orgogliosa ostilità e impari a non cadere nei suoi pericolosi miraggi, finisci per amarlo. Per sempre…”.
“Sei quasi morta laggiù… perché usi termini tanto lusinghieri?” domandò il reggente, quasi abbandonato al torpore del dormiveglia, ma perfettamente consapevole del senso dei termini che aveva appena ascoltato.
“Perché ne è valsa la pena”.
“Per venire qui e sposare me… per vivere in un luogo ancora più desolato, nel gelo sorto per infliggere una pena annunciata, quello che io ho scientemente lasciato al suo destino… regina di un mondo perduto e moglie di un uomo che non ti ama… quello che affermi è irrazionale… privo di senso…”.
“Sei tu che hai trovato me, Anthos… Non il contrario. Le ragioni stanno in te”.
Lui non rispose.
La tempesta infuriò contro le ante della finestra, rovesciando sulla vetta della Torre la propria ostinazione fatta d’acqua mortale, cancellando il paesaggio al di là del vetro. Il fuoco crepitò nel camino, rispondendo forse a quella sfida impari.
“Vorrei solo che smettesse di piovere…” sospirò la principessa.
“Non smetterà…”.
“Il divino Irkalla ha ammesso che dipende da lui, avevi ragione anche stavolta. Non mi ha consentito di scoprirne il motivo, però”.
Il principe rimase in silenzio, mentre il suo respiro si regolarizzava sempre di più.
“È scritto…” mormorò poi, lontano “È la sua condanna ultima, amare senza essere corrisposto. Il suo intero essere brucia di passione e afflizione… e la neve, che lo ha accolto nella sua esistenza mortale, si scioglie…”.
“C-cosa? Ne sei sicuro?”.
“Come dell’alba di domani…”.
“Se io lo avessi saputo… se io… quando l’ho incontrato…”.
“Che cosa avresti fatto, Adara? Ti saresti costretta ad amarlo per salvare Iomhar? Sei tu a sostenere che è impossibile forzare i sentimenti, se ben ricordo. Il tuo cuore non appartiene al Distruttore… niente di ciò che avresti detto o pensato di compiere avrebbe cambiato la situazione… esso batte per un altro uomo e un dio certamente ne è conscio… nemmeno tu, che lo rispetti e lo onori da sempre, puoi donare qualcosa che non provi davvero. Non puoi destinarti a lui…”.
“Ma… deve esistere un modo… una possibilità… ti prego, rileggimi la Profezia…”.
Le sopracciglia sottili di Anthos si contrassero, ma continuò a tenere le palpebre serrate e a lasciarsi andare lentamente al sonno.
“Solo quella che ti ho indicato sin dal nostro primo incontro… invece, il Distruttore seguirà il suo destino, il suo cuore si spezzerà con assoluta certezza…” mormorò, quasi inudibile “Adara… che cosa faresti, se dovessi scoprire che la persona di cui Irkalla è perdutamente innamorato sei proprio tu? Hai vagliato l’ipotesi? Nessuno, oltre a te, l’ha mai incontrato”.
“Non… non scherzare su queste cose!” impallidì lei “Gli dei non possono… è proibito… Non è lontanamente plausibile e poi lui me l’avrebbe…”.
“Rivelato?” sussurrò il principe con amarezza “Rendendo solo più cocente la propria umiliazione? Tu avresti agito così? No, Adara… non cercare altrove. Anche tu, che sostieni la sincerità come uno stendardo di guerra, non hai mai palesato i tuoi sentimenti a colui al quale sono rivolti…”.
“C-che dici? Io non…”.
Il principe si rilassò tra le sue braccia, all’improvviso.
“Anthos! Il Crescente… in presenza di Irkalla non si è mosso…”
Lui non rispose, ormai precipitato nel sonno.
 
Nessun incubo o visione quella notte, così come aveva sperato. Forse inghiottire tutto quel vino non era stata proprio una cattiva idea, nonostante il mal di testa fulminante che si era ritrovato al risveglio e che stava scemando troppo lentamente.
Il fine primario non era stato quello di inibire le proprie premonizioni, comunque. Si era stordito come un ragazzino qualunque, per scacciare da sé la sensazione opprimente che lo aveva attanagliato il giorno precedente: simile a un soffocare nella solitudine, come se gli fosse importato improvvisamente di avere qualcuno al fianco.
Eppure qualcosa continuava a pesargli sul petto e non erano riusciti a scacciarla né l’alcolico né le braccia di Adara, ancora allacciate al suo corpo come a proteggerlo.
Oppure era realmente accaduto quanto lei gli aveva detto, pur non consapevole del suo stato mentale. Le loro anime si erano legate, forse nell’istante stesso in cui Anthos aveva riconosciuto in sé una lacerazione profonda e l’aveva accettata.
L’anima. Era l’anima che guariva.
Essere accettato, tutto intero, compreso il suo lato spietato e fradicio di sangue innocente, compresa la sua vita trascorsa nella fredda crudeltà verso il prossimo. Accolto senza compromessi, senza che nulla gli venisse rinfacciato o richiesto.
Arrendersi a quel sentimento puramente umano come una qualsiasi patetica, misera, indifesa creatura del mondo… maledizione!
Osservò il viso addormentato di sua moglie, i tratti delicati, le labbra socchiuse, i capelli sparsi sul cuscino. Nessuno, vedendola così fragile, avrebbe mai scommesso sulla sua insormontabile ostinazione. Neppure Irkalla era riuscito a scalfirla, lei aveva avuto l’ardire di rispondere al dio della Distruzione che sarebbe rimasta a Leu-Mòr! Si sarebbe messo a ridere, se non fosse stato così… così…
Si scostò da lei, appoggiandosi al braccio e una fitta pesante gli raggiunse le tempie.
Per l’inferno, da quando sceglieva di comportarsi deliberatamente come un idiota?
Adara si strinse addosso le coperte, avvertendo la sua lontananza. O forse solo il freddo della stanza, privata del calore del suo corpo.
Poi balzò a sedere, guardandosi intorno con apprensione.
“Anthos…!”.
Il principe sgranò gli occhi, cogliendo la sua espressione tesa.
“Oh…” sospirò lei, scorgendolo lì accanto “Per un attimo ho temuto che tu…”.
Lui sogghignò, appoggiandosi sulle braccia e fissando il soffitto con disinteresse.
“Non intendo fuggire, se è ciò che hai pensato”.
“No… ho sognato che tu lottavi con Ishkur e che lui riusciva a…”.
“Se anche tu fossi una veggente o avessi dei poteri, il tuo rimarrebbe semplicemente un incubo. Il Traditore non ha speranze contro di me, tienilo per certo”.
“Gli dei vogliano che sia come dici tu…”.
“Non gli dei, ma io. Ciò che voglio, lo otterrò. Non ho paura”.
Adara guardò oltre il vetro, dubbiosa e ancora impensierita dal sogno angoscioso.
“Esiste forse un dio del sonno, che reca scientemente tali immagini?”.
“Mh” borbottò lui “Mai sentito. Probabilmente no, anche se il candidato migliore al ruolo sarebbe Almaktti… da ciò che ho interpretato negli scritti sacri, non è mai intervenuto nelle vicende del cosmo e, se non fosse per qualche figlio generato un’era sì e una no, propenderei per ritenere che dorma perpetuamente!”.
“Ma che dici!?” sbottò lei scandalizzata, mentre il reggente rideva di gusto all’indignato rimbrotto “Sei un oltraggioso, impenitente sacrilego!”.
“Ma figuriamoci…” continuò lui, estremamente divertito, afferrando le mani che si tendevano nella sua direzione per tappargli la bocca.
Si fece improvvisamente serio e le sue iridi auree brillarono, meravigliose e ribollenti di furia. La attirò a sé e la baciò con intensità. Poi le sollevò il viso.
“Ieri, prima che tu avessi il tuo tête-à-tête con Irkalla, sono stato in biblioteca per verificare un indizio” spiegò “La Gemma del Cielo, quella originale, prima che il Medaglione venisse forgiato, era conservata a Odhran. Un cittadino eminente veniva scelto per custodirla. Probabilmente, qualcuno ha pensato bene di non restituire il prezioso, per interesse personale o per indebolire l’amuleto del Nord. Devo andare lì”.
“Odhran?” sbigottì la ragazza, ripensando alla voragine bruciata spalancata nella terra “Ma non esiste più…”.
“La cosa non costituisce un problema” rimandò Anthos con noncuranza “Inoltre, ho la discreta fortuna di avere al mio servizio ben due superstiti, dei quali il primo è la tua amica Màrsali, che un tempo era la veggente. Dovrà raccontare ciò che sa”.
Adara sbiancò. Se il reggente avesse solo presentito che la fanciulla possedeva ancora la visione mistica…
“Perché non la lasci in pace!” borbottò, rabbuiandosi.
“La sua vita mi appartiene” decretò lui “Così come quella di Haffgan, il secondo sopravvissuto, che per ironia della sorte è il suo brutale marito”.
“Qui il fato non c’entra nulla! Sei tu il responsabile di tutto!”.
“Se vogliamo…” sottolineò il principe, alzandosi dal letto “Partirò dopo averli convocati al mio cospetto”.
Adara lo osservò, arrogante e indomito come sempre. Nessuna traccia della sofferenza insostenibile che lo aveva avvolto la sera precedente e che era confluita in un abbraccio carico di emozione viva e struggente. Come se anche quell’eccezione nel suo modo di agire fosse stata parte di un sogno.
“Anthos… stai bene?” gli domandò timidamente.
“Benissimo” ribatté lui, asciutto.
Poi afferrò la brocca semivuota con il vino avanzato e lo rovesciò a terra.
Adara strinse i pugni, decisa più che mai a non lasciar spegnere la luce che aveva sperimentato, a non rinunciare a lui. Così come aveva promesso a Irkalla.
“Non credere di potermi lasciare qui!” reclamò “Vengo anch’io!”.
Il giovane sogghignò, ma non espresse alcun divieto.
   
 
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