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Autore: Marco1989    25/03/2020    1 recensioni
Da un momento all'altro, la tua vita cambia all'improvviso: un istante, uno schianto, e ti trovi in un mondo che hai soltanto sognato. Ti trovi di nuovo ragazzo, e coinvolto in una avventura che mai avresti sognato di vivere. Matteo Simoncini si troverà improvvisamente catapultato ad Hogwarts, e dovrà decidere cosa fare in quel nuovo mondo, mentre una oscura minaccia si avvicina, e lui potrebbe essere il solo ad avere il potere per fermarla.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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- Questa storia fa parte della serie 'A strange, new world'
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Salve a tutti!

Torno a scrivere su questo sito dopo molti anni: in questo periodo così complicato, ho pensato di prendere in mano un'idea piuttosto insolita che mi saltava in testa da parecchio tempo, e di provare a scrivere una fanfiction sulla mia saga preferita in assoluto: quella di Harry Potter. Premetto che al momento ho in mente l'idea di base, ma che, come faccio spesso quando scrivo, ho solo dei flash su quello che sarà l'intreccio, quindi io stesso dovrò vedere dove mi porterà la storia.

Un ultimo appunto: il protagonista della storia è in gran parte autobiografico. Ho cambiato nome ed età, ed avrà qualche esperienza diversa, ma diciamo che all'80 % è me.

Buona lettura!

 

PROLOGO

Si sente dire spesso che, quando si è in punto di morte, la vita passa letteralmente davanti agli occhi, come un film a velocità ridotta o una partita alla moviola. Sinceramente ho sempre avuto dei dubbi su questi racconti, anche perché mi sono chiesto molte volte chi abbia potuto riferirli, se si tratta di visioni che si hanno subito prima di morire.

Nel mio caso, nessuna visione. Solo un momento che sembrava dilatarsi all’infinito, mentre il mondo si rovesciava intorno a me con una lentezza esasperante, in un terrificante stridore di lamiere. I fari della macchina che si stava disintegrando tagliavano il buio come una lama impazzita. Che cosa era successo? Non avrei saputo dirlo sinceramente. Solo pochi istanti prima stavo tornando a casa. Era tardi, e stavo rientrando da una festa in campagna, ma non ero particolarmente stanco, non avevo sonno e non avevo bevuto quasi niente. Ricordavo solo un lampo scuro che attraversava la strada di corsa, un capriolo, o forse un cinghiale, come se fosse cambiato qualcosa; l’istinto aveva mosso le mie mani senza che il cervello avesse il tempo di dire la sua. L’improvvisa combinazione tra strappo sul volante e inchiodata disperata erano state più che sufficienti per spingere il pesante SUV a rovesciarsi fuori strada, senza che io avessi neanche la minima possibilità di trattenerlo. Mentre fissavo l’airbag esploso dallo sterzo davanti a me, con la cintura che mi scavava nel petto, pensavo all’ironia della sorte: in venticinque anni di vita ne avevo combinate parecchie, a volte rischiando anche di brutto, senza farmi mai un graffio, e andavo ad ammazzarmi per colpa di uno stramaledetto animale. Cazzo!

Con la coda dell’occhio, vidi dal finestrino sfondato avvicinarsi un albero piuttosto grosso, forse una quercia, mentre la macchina si rovesciava per la terza o quarta volta. Ancora troppo violentemente, il botto sarebbe stato devastante. Chiusi disperatamente gli occhi, come se non vedere avesse potuto proteggermi in qualche modo. Venticinque anni erano veramente troppo pochi perché tutto finisse in un modo così assurdo, senza poter fare nulla per evitarlo, senza poter dire addio a nessuno.

Lo schianto fu perfino peggiore del previsto, il rumore indescrivibile, il dolore intollerabile. Attraverso le palpebre serrate vidi un lampo rosso, che rapidamente venne divorato dall’oscurità. La sofferenza scompariva, sostituita da un senso di intorpidimento. Era così morire? Tutto sommato poteva andare peggio. Davanti a me si era aperto una sorta di tunnel bianco. Senza riflettere troppo, mi lanciai dentro. Dall’oscurità emerse una luce accecante, poi non capii più niente.

 

 

 

“Come sta? E’ ancora vivo?”.

“Ma certamente, signorina Bell! Non era messo poi così male. Il signor Potter era conciato decisamente peggio. Dovrebbe rinvenire a minuti”.

“Ha incassato un colpo molto violento, è caduto da quasi quindici metri. Per fortuna madama Bumb ha rallentato il volo, altrimenti avremmo dovuto raccoglierlo con un cucchiaino”.

“Due cadute dalla scopa in una sola partita. Una delle peggiori giornate negli ultimi anni. Maledetti Dissennatori…”.

“Nel suo caso non è stata colpa dei Dissennatori, ha preso un Bolide in testa sparato da poco più di un metro”.

“Mi dispiace tanto… l’ho visto andare verso gli anelli… è spuntato all’ultimo secondo, in mezzo alla pioggia… ho agito d’istinto… non volevo fargli male!”.

“Lo sappiamo che non volevi fargli male, Rickett. Per questo sei ancora sano e la tua stessa mazza non è ancora finita sulla tua testa”.

“Signor Weasley!”.

“Scherzavo, madama Chips, scherzavo naturalmente…”.

La coscienza di me stesso stava tornando un po’ alla volta, come onde che si abbattevano pigramente sulla riva. Dal modo nel quale tutto mi faceva male, compresi di essere ancora nel mondo dei vivi. La testa sembrava pesare il doppio del normale. Provai ad aprire gli occhi, ma anche le palpebre sembravano diventate di piombo. Nel cervello mi sembrava di avere l’ovatta: avevo sentito dei discorsi che non avevano alcun senso, anche se suonavano stranamente familiari. Madama Bumb…madama Chips…Dissennatori…Bolidi…Weasley…Potter. Potter?Un momento, doveva essere la botta. Probabilmente ero stato in coma, ed il mio cervello, mentre provava a riavviarsi, aveva attinto ai miei ricordi di ragazzino, creando quell’assurdo dialogo, giustificando quello che mi era successo grazie alla fantasia. Ecco, doveva essere quella la soluzione.

Facendomi quasi violenza, aprii gli occhi, aspettandomi di trovarmi in un’asettica stanza di ospedale, collegato alle macchine, con gran parte del corpo avvolto da bende e ingessature, circondato da dottori e infermieri, con accanto la mia ragazza e la mia famiglia. Feci viaggiare gli occhi da una parte all’altra, e quello che vidi mi fece pensare di aver subito un danno grave al cervello: ero in una lunga stanza dai muri in pietra, occupata da due file di letti dalla foggia antiquata, senza macchine per la respirazione artificiale o monitor per il battito cardiaco, divisi l’uno dall’altro da dei separé di stoffa verde.Buttai un occhio al mio corpo, e con estrema sorpresa mi resi conto di non avere bende o ingessature: indossavo quello che sembrava un normale pigiama; per assurdo, sembravo sano come un pesce. Aspettandomi di non riuscirci, provai a sollevare il braccio e a portarmelo al viso. Inaspettatamente, sia pure con qualche dolore e una certa esitazione, la mia mano si sollevò dalla coperta e andò a toccare la mia guancia. Alla lista di sorprese, se ne aggiunse un’altra: erano almeno cinque anni che portavo poco meno di un centimetro di barba, mantenuta ad un lieve livello di trasandatezza. Quello che sentii sotto i polpastrelli fu invece un viso pressoché liscio, con appena un lieve accenno di peluria. Con una punta di qualcosa che solo dopo avrei riconosciuto come il primo accenno di una crisi di panico, mi resi conto che non mi avevano rasato, neanche il miglior rasoio del mondo avrebbe potuto fare un lavoro così perfetto. Quello che stavo toccando era il volto di un adolescente, al quale la barba stava ancora pensando se iniziare a crescere. ‘Non mi sono svegliato’ pensai ‘Sono ancora in coma, e sto facendo una specie di sogno estremamente vivido. Non c’è altra spiegazione: un incidente stradale quasi mortale non può certo farti ringiovanire di una decina d’anni!’.

I miei movimenti attirarono l’attenzione del capannello di persone che circondavano il mio letto, le quali si voltarono all’unisono verso di me. Solo a quel punto la mia attenzione si concentrò su di loro, e a quel punto conclusi che la mia mente doveva essere veramente partita per la tangente: c’erano diverse persone vicino a me, la maggior parte delle quali indossavano quelle che sembravano delle insolite divise sportive, simili a lunghe tuniche corredate da imbottiture, tutte zuppe di acqua e fango. La maggior parte erano di colore rosso e oro, mentre una era gialla e nera. Ad indossarle era un eterogeneo gruppo di ragazzi e ragazze, a prima vista trai tredici e i diciassette anni. Tra di loro, spiccavano due ragazzi sulla quindicina, entrambi con i capelli rossi e identici fino all’ultima delle numerose lentiggini che occupavano i loro volti. Credetti di essere sul punto di svenire di nuovo: sapevo per certo di non averli mai visti, e sapevo con altrettanta sicurezza di conoscere i loro nomi. Questo mi fece sperare di essere veramente ancora in coma, perché altrimenti avrei avuto la certezza di essere caduto nella più totale follia. L’alternativa era talmente assurda da non potere neanche essere presa in considerazione.

L’unica adulta del gruppo, una donna di una certa età vestita con una divisa che la faceva assomigliare ad una crocerossina della prima guerra mondiale, si avvicinò a me e mi chiese: “Vedo che è sveglio, signor Carter. Come si sente? Ha fatto un brutto volo dalla scopa”.

Incredibilmente, non fu il fatto che una donna vestita con un costume centenario mi avesse appena detto che ero caduto da una scopa a colpirmi nel profondo, bensì il nome che aveva detto: Carter? E chi diavolo era? Io mi chiamavo Matteo Simoncini! E oltretutto mi ero reso conto che quella strana tipa mi aveva parlato in inglese, non in italiano! Non ero proprio pessimo in quella lingua, ero in grado di capirla e di farmi capire, ma non certo di assimilarla come se fosse stata la mia lingua madre, come invece avevo fatto pochi istanti prima.

“C…come mi ha chiamato?” furono le sole cose che riuscii a dire, e furono più che sufficienti perché il mio cuore saltasse un battito: secondo me, avevo parlato in italiano. Avevo pensato le parole in italiano. Credevo di averle pronunciate in italiano. Invece erano uscite in inglese, ed io le avevo capite perfettamente. Impossibile!

La crocerossina mi si avvicinò con aria preoccupata, passandomi una mano sulla fronte per sentire se avevo la febbre: “Non si ricorda il suo nome?”.

“N…non ricordo nulla” dissi, cercando di pendere tempo. Ero nel caos più totale: ancora una volta le parole erano uscite in inglese, ma il mio cervello le aveva tradotte all’istante, come se fosse la cosa più normale del mondo. E la mano di quella donna…nei sogni di solito le sensazioni legate a tatto e udito erano ovattate, semplificate, ridotte al minimo. Io invece l’avevo sentita perfettamente. Al mio naso arrivavano gli odori tipici di un’infermeria, ma anche altri che non avrei saputo identificare in alcun modo, ma che mi sembravano misteriosamente familiari. E, naturalmente, il pesante mix tra sudore e stoffa bagnata che emanava dai ragazzi intorno al mio letto. Tutto chiaro. Tutto…vero. E non poteva, non DOVEVA esserlo.

“Ha preso una bella botta in testa, signor Carter – disse la crocerossina (un nome saltellava nella mia testa, cercando di trovare la strada per la parte razionale della mia mente, ma stavo facendo del mio meglio per respingerlo: se l’avessi chiamata in quel modo, anche solo nel mio cervello, avrei dovuto ammettere di aver imboccato la strada che conduceva ad una casa di cura) –Un’amnesia non è del tutto insolita”.

“Si riprenderà, Poppy?” chiese una voce proveniente dalla mia destra. Mi voltai, temendo quello che avrei visto: accanto al capannello di ragazzi era comparsa una donna alta, dall’età indefinibile, con i capelli neri severamente stretti in una crocchia, che indossava un paio di occhiali squadrati. Il mio stomaco fece una doppia capriola: non era possibile… assolutamente non lo era! Non poteva essere lei!

“Ma certo, Minerva – disse impietosamente la crocerossina – Oltre a diverse ossa rotte o comunque malandate, aveva una piccola incrinatura nella parte posteriore del cranio. L’ho sistemata, naturalmente, ma il colpo deve avere intaccato la sua memoria. Gli tornerà, ne sono certa. Per il momento, è meglio che si faccia un’altra dormita. Una bella pozione per il sonno, e sono certa che al suo risveglio sarà come nuovo”.

“Sono perfettamente d’accordo” – concordò con autorità la McGr… la donna con i capelli a crocchia (dovetti farmi violenza per non completare il nome, non dovevo chiamarla in quel modo, dovevo ricordare di stare sognando, altrimenti il mio cervello non avrebbe avuto la minima possibilità di riprendersi). Un istante dopo, la prof… la donna si rivolse a me con quello che somigliava ad un sorriso comprensivo: “Un brutto debutto per lei, signor Carter, ma non deve perdere fiducia in se stesso: visto il tempo atmosferico disastroso e considerato che era il suo debutto in una vera partita di Quidditch, ha giocato molto bene. Ha messo anche a segno trenta punti. Come ho già detto al signor Potter, non deve assolutamente colpevolizzarsi per la sconfitta, in questo gioco si può vincere o perdere, l’importante è dare sempre il massimo e giocare con impegno e lealtà”.

“G…grazie” riuscii a balbettare. A parte lo shock, a impedirmi di elaborare una risposta leggermente più articolata fu il fatto che nel mio cervello era ormai in corso una rivoluzione. In teoria, il fatto che fossi convinto di essere in un sogno avrebbe dovuto spingermi a stare al gioco, a divertirmi fino al risveglio. In altri casi, se mi fossi trovato a sognare una situazione del genere, lo avrei fatto. Ma in quel momento non mi stavo divertendo per niente: a parte la preoccupazione per le mie condizioni fisiche (se stavo davvero immaginando tutto, dovevo essere in coma, ed era per assurdo la spiegazione meno negativa), nel mio cervello avevano iniziato ad accavallarsi due ricordi differenti, e questo mi sembrava del tutto impossibile. In uno, rivivevo l’incidente in macchina. Nell’altro, mi vedevo volare in aria a cavallo di una scopa, attraverso un fortunale, con la pioggia che mi sbatteva violentemente in faccia, diretto verso un anello che a stento si intravedeva attraverso le cascate d‘acqua. In mano stringevo una palla rossa. Nell’esatto istante nel quale portavo in alto il braccio per lanciarla, sentivo un colpo violentissimo dietro la testa, e la vista mi si oscurava di colpo. Uno splendido film…che non poteva che essere un delirio di una mente che cercava di riprendersi dopo i danni subiti nell’incidente immortalato nell’altro ricordo, perché quello che vedevo NON POTEVA ESSERE SUCCESSO!

Fortunatamente la prof…la donna scambiò la mia scarsa loquacità per le conseguenze dei colpi subiti, e dopo avermi concesso un ultimo sorriso di incoraggiamento si avviò verso una grande porta di legno per uscire dall’infermeria. Madama Ch…- LA CROCEROSSINA, maledizione! –si avvicinò al mio letto tenendo in mano un bicchiere pieno di un liquido incolore. Doveva essere la ‘pozione soporifera’ che aveva citato prima. La presi e la vuotai senza pensarci: qualsiasi cosa fosse, non poteva farmi male, visto che stavo sognando tutto, e se il mio cervello era veramente convinto che si trattasse di un preparato capace di farmi addormentare, forse avrebbe funzionato veramente, e la volta successiva mi sarei svegliato sul serio. Mi stavo attaccando a qualsiasi cosa, perché smettere avrebbe significato ammettere un’opzione che semplicemente, in quel momento, volevo lasciare fuori.

Potenza della mente umana! Nell’arco di pochi secondi iniziai a sentire le palpebre pesanti, e sentii la sonnolenza piombarmi addosso. Appoggiai la testa sul cuscino e detti un’ultima occhiata alle persone che mi circondavano, certo che non le avrei più riviste. Una ragazza nera con i capelli a treccine mi sorrise: “Riprenditi presto” mi disse. Ricambiai il sorriso. Uno dei ragazzi rossi fece una smorfia: “Non ci ha portato molta fortuna il fatto che tu abbia sostituito Alicia, ma vedi di riprenderti lo stesso”.

“E lascialo in pace, George! Se la colpa deve essere di qualcuno, è sicuramente mia. Josh ha fatto più di quello che chiunque potesse aspettarsi, considerando che era al debutto”.

L’ultima voce non sembrava provenire dai ragazzi di fronte a me, bensì dal letto alla mia sinistra. Mentre gli occhi iniziavano a chiudersi, girai la testa per guardare oltre il capannello, favorito dal separé aperto. Vicino all’altro letto c’erano due giovani, apparentemente entrambi sui tredici anni, vestiti con lunghe tuniche nere che sul petto mostravano un simbolo rosso e oro. Il ragazzo era alto e allampanato, con capelli rossi e lentiggini che ne attestavano la parentela con i due gemelli. La ragazza era più bassa, con i capelli castani ed estremamente ricci, ed era piuttosto carina, se si escludevano i denti davanti, che erano piuttosto grandi. A colpirmi fu però il ragazzo sdraiato sul letto, che indossava un pigiama molto simile al mio: era alto e magro, con capelli neri e ribelli e due lucenti occhi color verde chiaro, sopra i quali portava un paio di occhiali rotondi. A dare il colpo di grazia a quel poco che restava della mia salute mentale fu però la cicatrice a forma di saetta che campeggiava al centro della sua fronte, subito sotto l’attaccatura dei capelli. A quel punto mi arresi, era perfettamente inutile fare finta di niente: avevo riconosciuto quel posto da quando avevo aperto gli occhi la prima volta, e avevo riconosciuto la maggior parte delle persone che avevo intorno in quel momento. In qualsiasi altra occasione, sarei stato felice di sognare una cosa del genere, ma in quella situazione sembrava veramente troppo reale per godermi la situazione. Ancora non ero arrivato a pensare quella che era la verità, non potevo minimamente immaginare quanto profondi fossero i guai nei quali mi trovavo. La mia mente non era pronta, e la speranza di potermi semplicemente svegliare nella realtà non era tramontata.

In ogni caso, vedere quella particolare persona mi spinse a cedere le armi, a porre fine alla mia tattica del rifiuto a tutti i costi. Mentre mi addormentavo, lanciando nel tempo e nello spazio la speranza che la successiva volta che avrei aperto gli occhi tutto sarebbe stato normale, sorrisi al ragazzo sul letto e mormorai: “Grazie, Harry”.

 

 

Eccoci alla fine di questo prologo. Spero veramente di avervi interessato. Vi chiedo, se possibile di dedicare un minuto alla scrittura di un commento, mi interessa molto conoscere la vostra opinione. Prometto che risponderò a tutti!

Salvo complicazioni, credo che pubblicherò un capitolo a settimana, quindi ci rivedremo il prossimo mercoledì!

 

  
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