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Autore: Aperonzina    25/03/2020    1 recensioni
Chi ha detto che una donna di mezza età, con due figlie a carico e un matrimonio fallito alle spalle non si possa godere la vita?
Un piccolo esperimento in cui, invece di lamentarmi dei miei conflitti familiari, provo ad immaginare la vita dagli occhi di mia madre.
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano le dieci di sera e Lorena era uscita da lavoro da circa un'oretta.
Con l'ombrello aperto in una mano e la borsetta nera nell'altra, aspettava gli amici che sarebbero venuti a prenderla sotto casa da lì a poco.
Quella sera indossava un tubino nero molto elegante che le arrivava appena sopra il ginocchio, per non sembrare antiquata, ma non oltre, non era più una ragazzina.
Scarpe e borsa erano in pendant e i capelli corti sbarazzini le donavano particolarmente.
Il vento soffiava forte quella sera, piovigginava e lei temeva che la capigliatura le si rovinasse.
Sarebbe stata una vera tragedia, aveva applicato con tanta cura degli oli naturali appena dieci minuti prima.

Aspettò a lungo e ormai si erano fatte le dieci e un quarto, gli amici ci stavano mettendo decisamente troppo. 
Infilò le mani ben curate nella borsetta e iniziò a scavare tra le cianfrusaglie per trovare il suo nuovo telefono.
Si guardava di tanto in tanto le unghie, era un peccato che con il suo lavoro non potesse mettere lo smalto e farle crescere più di tanto, un bell'arancione acceso le sarebbe stato da dio.
Quando finalmente trovò il piccolo apparecchio rettangolare, tirò con forza, facendo cadere a terra qualche vecchio scontrino che venne inondato subito dalla pioggia, che nel frattempo si era fatta più fitta.
Lorena cercò di raggiungere la rubrica telefonica per chiamare i suoi amici, ma più schiacciava sullo schermo, più sembrava che il telefono non avesse intenzione di rispondere.
«Dai!» esclamava di tanto in tanto frustrata.
Oppure, «Ma perché?». 
Continuò così per un po', fino a quando, appoggiando l'ombrello tra il collo e la spalla per utilizzare due mani, il telefono non le cadde a terra.
Lo raccolse rapidamente dalla pozza di acqua e terriccio che si era creata li vicino e riprese a pigiare sullo schermo, ma questa volta era definitivamente privo di vita.
«Ecco, è andato» disse ad alta voce portando gli occhi al cielo.
Era proprio un guaio, non poteva chiamare gli amici e si era anche appena accorta di aver dimenticato le chiavi di casa.
Temeva la reazione delle figlie se avesse suonato il campanello, ma non aveva altra scelta, doveva farsi aprire la porta di casa.


Dopo un lasso di tempo interminabile, una figura scura si affacciò alla finestra, lo sguardo torvo e rabbioso.
«Cosa c'è?» chiese Lorena sporgendosi dall'ombrello per farsi riconoscere, poi questo le sfuggì dalle mani, imprecò.
«Ho dimenticato le chiavi, aprimi per favore» urlò per farsi sentire, riprendendo l'oggetto per ripararsi.
Ora che ci pensava, avrebbe dovuto far mettere un citofono, era scomodo parlarsi dalla finestra.
La figlia sparì nuovamente all'interno della casa e, appena il tempo di scendere le scale, riapparve aprendo il portone, per poi sparire nuovamente alla velocità della luce all'interno dell'abitazione.

Lorena entrò in casa e si sistemò trucco e acconciatura, aggiungendo anche un bel rossetto rosso acceso.
Ora era di nuovo perfetta.
Si guardò allo specchio orgogliosa, poi, ritornò alla realtà, doveva trovare un modo per contattare i suoi amici.
Doveva chiedere il telefono a sua figlia, dov'era finita poi?
Provò a cercarla nella sua stanza e come si aspettava la trovò lì, avvolta dalle tenebre.
Aprì la porta della camera, che ad eccezione del piccolo computer, che illuminava le lunghe dita ossute della figlia, era completamente buia, ante chiuse e luce spenta.
La figlia si girò lentamente, senza lasciare la sua postazione.
La visione fu abbastanza orribile, come sempre. 
Incappucciata dalla testa ai piedi, solo le braccia pallide e dall'aria malaticcia erano esposte, per permetterle di scrivere.
Gli occhi di un marrone giallognolo si posarono sulla sua figura, Lorena scese i tre gradini, ignorando lo sguardo torvo di lei «Mi presti il telefono? Il mio si è rotto, cazzo, devo solo fare una telefonata».
La figlia non rispose, si limitò a voltarsi di nuovo verso il computer e porgerle il braccio morente che sorreggeva il telefono.
«Grazie!» lo prese svelta, era fatta! 
Riuscì finalmente a contattare Desirée, che si era scordata di passare a prenderla e giurò di arrivare immediatamente.
Avrebbe continuato a parlare con lei ma dopo pochi minuti di conversazione la figlia la stava nuovamente guardando in completo silenzio.
Osservò per un po' quella figura; calzettoni, coperta avvolta alla vita, tuta pesante con cappuccio sulla testa e una sciarpa che le copriva le labbra, l'unica cosa visibile erano i due occhi giallognoli, che fissavano la donna.
«Cosa c'è?» chiese Lorena, che come si aspettava non ricevette risposta.
Così si limitò a chiudere in fretta la telefonata e riconsegnare il telefono alla figlia, consentendole di riprendere le sue losche attività.

Si diresse in salotto riportando l'oscurità nella stanza e poco dopo il campanello suonò e lei si precipitò giù dalle scale, urlando «Arrivo!» ripetutamente, per farsi sentire.
Desirée l'aspettava in auto, lei saltò sul posto del passeggero e insieme partirono per il loro bar preferito chiacchierando.
«Scusa Lorena! Ci eravamo scordati di passarti a prendere!».
«Figurati tesoro! Non sai che giornata di merda, ho finito tardi di lavorare e mi si è pure rotto il telefono» raccontò.
«Comunque hai sentito? Questa sera ci sarà anche Marzia con il suo nuovo fidanzato, sono curiosa di sapere che tipo è».
«Sì! Me lo ha detto che si è fidanzata» disse Lorena incuriosita, «bé dai, se ce la fa lei ce la facciamo tutte» .


Arrivarono presto a destinazione, il locale non distava molto da casa di Lorena.
Si trattava di un posto molto carino, frequentato da gente tranquilla di tutte le età che voleva divertirsi.
Quella era la serata settimanale del karaoke, la preferita di Lorena, che avendo un dono naturale per il canto e non vedeva l'ora di esibirsi davanti a tutti.
Prima che arrivasse il DJ, Lorena e Desirée si sedettero al bar per bere un caffettino, preferendo sedersi un attimo fuori nel tendone, per vedere che tipo di persone c'erano quel giorno.
Erano in realtà anche in attesa di Marzia, curiose di conoscere il suo uomo.

Alla fine, il karaoke iniziò senza Marzia e Desirée commentò che secondo lei si vergognava perché il suo compagno non era un granché.
A Lorena non importava molto ora, infatti quella sera mostrò a tutti le sue doti canore.
Cantò "Bambolina rossa", "Occhi di cielo", "Amore fiorito" e tante altre.
A volte qualcuno, compresa l'amica Desirée, si univa al suo canto, che veniva sovrastato però dalla voce dolce ma da soprano lirico di Lorena.
Molti desistevano e finì per fare una sorta di piccolo concerto da sola.

Si stava rivelando una serata davvero piacevole, quando, in un momento di pausa in cui era andata a bere qualcosa con Desirée e altre persone conosciute poco prima, con cui aveva fatto anche qualche duetto, non vide entrare Marzia, accompagnata da un tipo neanche tanto male.
Marzia indossava un vestito eccessivamente scollato, salutò appena lei e Desirée, forse aveva voluto fare colpo su di lui.
Lorena si sorprese quando chiedettero di cantare "Luccichio d'amor".
Lorena si fece da parte senza problemi, ascoltando lo spettacolo un po' pietoso; si era accorta subito che le loro voci non erano adatte, ma fu superiore e fece finta di nulla, alla fine era un karaoke, era giusto che si esibissero un po' tutti.

Passò così una serata emozionante, sfidandosi tutta notte con Marzia, che cedette dopo averla sentita cantare un pezzo di Baglioni, particolarmente difficile, perché originariamente cantato da un uomo.
Infatti, lei e il suo compagno se ne andarono, salutando tutti calorosamente, lei compresa.
Aveva vinto, certo Marzia non avrebbe potuto rubarle la scena, ma si era divertita con lei.

Alle tre di notte il locale chiuse e dovette tornare a casa a piedi perché Desirée era davvero di fretta, ma non le dispiaceva, le piaceva un sacco camminare.
Quindi arrivò a destinazione affaticata dalla camminata e si accorse di aver dimenticato di nuovo le chiavi di casa.
Quando suonò il campanello, passò ancora più tempo di prima, probabilmente le figlie già dormivano.
Mentre aspettava, da un'auto grigia che si appostò davanti a casa loro, scese la maggiore delle sue figlie.
Lorena si stupì «Ma hai finito di lavorare ora? Ero convinta fossi a casa oggi» si lamentò, «ho appena suonato il campanello».
Quando la figlia minore aprì il portone, i suoi piccoli occhi gialli, ombreggiati da lunghe occhiaia, si illuminarono di rabbia, notando la sorella con le chiavi in mano che avrebbe potuto aprire alla madre, se le tempistiche fossero state diverse.
Ora Lorena si trovava tra due figure nere e malate, da una parte un falco vecchio e rapace, dall'altra, un gattaccio randagio, sporco e stanco.
Lorena si scusò con la minore e salì le scale, seguita dalle due figlie, megere. La minore si dileguò in camera prima ancora che potesse aprir bocca.
Così si ritrovò da sola con la maggiore, alla quale iniziò a raccontare tutti i dettagli della serata appena trascorsa.
Questa non le rispondeva, aveva preso dalla dispensa semivuota una scatoletta di tonno e seduta in un angolo buio della cucina lo mangiava dando un'occhiata di tanto in tanto al telefono. 
«Domani lavori?» chiese Lorena ad un tratto, lei annuì infastidita, e prima che potesse aprir nuovamente bocca, la figlia le mostrò la scatoletta di tonno.
Lorena si fermò di botto, e ripeté nella sua mente «Mai disturbare un gatto mentre mangia, soprattutto se questo è randagio e affamato» così decise di andare a dormire, lasciando la figlia nell'oscurità e nel silenzio totali.
Aprì la porta del bagno e non poté evitare di urlare.
Nell'oscurità, la figura rapace la guardava girata di schiena con la testa rivolta quasi del tutto verso di lei.
Come fosse fisicamente possibile non lo sapeva e nemmeno che cosa ci facesse al buio in bagno, ma decise di lasciar perdere.
Accese la luce e i capelli grigi della figlia si mostrarono, e lei, quasi inaridita dalla luce artificiale, si ritrasse nella coperta come una lumaca e scivolò svelta nella sua stanza, sibilando.

 

   
 
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