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Autore: Emmastory    25/03/2020    4 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Capitolo XLVIII

La comunità intorno

Dopo la notte, il giorno, e dopo le tenebre, la luce. Come ogni giorno, anche oggi assisto a una diarchia benevola  e prima di disordini, e stiracchiandomi, pigra come una gatta, scopro di non essere da sola. Sveglio a sua volta, anche Cosmo mi resta accanto, e mentre una piacevole brezza spira appena fuori dalla finestra rimasta aperta, lui piega le orecchie e sposta la testa di lato. “Ciao! Che c’è, è un brutto momento?” sembra chiedere, respirando lentamente e tenendo la lingua colorata fuori dalla bocca. “Buongiorno, cucciolo. Dormito bene?” rispondo appena, con il tono gentile che sono abituata a riservargli ma la lingua ancora impastata dal sonno. “Lui sì, ci scommetto, ma a me non lo chiedi?” azzarda una voce alle mie spalle, che in un attimo riconosco essere quella di Christopher. “Chris, certo! Scusa, ma è venuto a svegliarmi, perciò…” tentai di rispondere dopo un attimo di silenzio, imbarazzata e colta alla sprovvista. “Via, sta tranquilla. Credi davvero che mi sia arrabbiato?” rispose subito lui, sorridendo dolcemente e sfiorandomi la mano da sotto le coperte. “E se così fosse, custode?” gli chiesi, mangiando la foglia e decidendo di stare al gioco. Come altri, anche questo uno tutto nostro, che aveva inizio spontaneamente e in qualunque situazione, se uno dei due fingeva verso l’altro rabbia realmente non provata. In fin dei conti ci amavamo fin troppo per farci del male, a vicenda, e ora, silenziosa e con un sorriso di giocosa malizia stampato in volto, attendevo. “Saresti adorabile.” Semplice eppure inaspettata, la sua risposta ha il potere di stranirmi, e in un attimo ci baciamo. Senza neanche aver tempo di accorgermene, mi ritrovo fra le sue braccia, e dimenticandomi della presenza di Cosmo, lo sento mugolare lì accanto a noi, e con la coda dell’occhio, noto che si copre il  muso con le zampe. Un modo come un altro di mostrare la vergogna che prova nel vederci insieme, comune praticamente a qualunque animale abbia abitato in questa casa eccetto Willow, che sempre calma e silenziosa come un monaco in preghiera, ci ignora. Tante sono state le volte in cui ho cercato di coinvolgerla o distrarla svegliandola dai suoi innumerevoli pisolini, ma poche sono state quelle in cui c’ero riuscita, salvo poi vederla richiudere gli occhi e sprofondare di nuovo nel sonno. Presa com’ero dal bacio, non ci badai minimamente, e assaporando con voglia le labbra dell’uomo che più amavo, inspirai il suo profumo. Forte e deciso come il caffè che io assaggiavo e lui non beveva, e per qualche strana ragione che solo il mio cuore innamorato comprendeva fino in fondo, per me fonte di sicurezza e protezione. Interminabili minuti sparirono così dalle nostre vite, finchè, bisognosi di respirare, non fummo costretti a staccarci. Chiusa in un silenzio tutto mio, rimasi a guardarlo con occhi sognanti, e imitandomi, Christopher mi strinse in un abbraccio. “Ti è piaciuto?” chiese, regalandomi un sorriso e mordendosi le labbra che da poco mi ha concesso. “L’ho adorato, protettore mio.” Sincera e dettata più dal cuore che dalla mente, quella fu l’unica risposta che riuscii a dargli, per poi scivolare nuovamente nel silenzio e perdermi nei suoi occhi. Eravamo sposati da quasi un anno, e a volte più ci pensavo, più ero felice. I suoi baci e le sue carezze significavano molto per me, mi calmavano quando non riuscivo a rilassarmi, e mi emozionavano sempre quando meno me l’aspettavo. Tranquilla, affidavo a lui le mie emozioni oltre al mio cuore, ben sapendo che le avrebbe custodite. La luce del sole di oggi si vede appena, e in quest’autunno appena iniziato, mi sento bene. Non posso esserne sicura, è ovvio, ma qualcosa, una sorta di sesto senso, se così può essere chiamato, mi spinge a credere che Sky abbia ricevuto la mia lettera. Da ormai qualche ora, il suo merlo e il falco di Noah hanno smesso di lamentarsi, e a quel solo pensiero, sorrido. Lenta, mi volto verso il calendario appeso al muro, e guardandolo distrattamente, noto un numero scritto accanto alla data di oggi. Piccolo eppure chiaramente visibile, un numero, e a una seconda occhiata, un cinque. “Chris, sei stato tu?” azzardo, curiosa. “Sì, perché?” risponde, scostando da sé le coperte e sedendosi sul letto per vedere meglio. “Niente, mi sembrava strano. Già cinque mesi, hai visto?” replicai dopo qualche istante di silenzio, sorridendogli. Veloce, mi sorprese, cingendomi un braccio attorno alle spalle, e lasciandolo fare, espirai. Senza dire altro, mi portai una mano al ventre leggermente pronunciato, e assieme a me, anche lui. “Credo sia il momento giusto per conoscere qualcuno.” Disse poco dopo, con la mano sulla mia e la voce ridotta a un sussurro innamorato. “Sì, tesoro? E chi sentiamo.” Indagai, calma e sinceramente incuriosita. “Garrus, mia cara. La persona perfetta per noi in un periodo come questo.” Rispose subito lui, serio e innamorato come mai l’avevo visto. Era strano, inusuale anche solo pensarci, ma la mia condizione sembrava avere il potere di cambiare anche le persone che mi stavano attorno e mi volevano bene, così, fidandomi, gli presi la mano. Ad essere onesta non avevo ancora capito a chi si riferisse, ma stando a ciò che avevo letto nel libro di magia appartenuto alla sua famiglia, un protettore era sempre tenuto ad aver cura della felicità e del benestare della fata che allenava, ragion per cui, non avevo nulla da temere. Sotto suo consiglio, mi vestii per affrontare al meglio la giornata, e uscendo di casa, lo seguii. Testardo e restio all’idea d restare da solo, Cosmo protestò fino a convincerci a portarlo con noi, e così, attaccato il guinzaglio al suo collare, lo accontentai. In breve, ci ritrovammo a passeggiare prima per la foresta e poi per il villaggio, scoprendo, in una via poco distante da quella che conduceva al vecchio pozzo dei desideri, un vero e proprio negozio. In tutto simile alle bancarelle allestite da Duilin, Roderick e Boris durante le sere di Notteterna, e diverso solo per ciò che riguardava la grandezza. Costruito interamente di legno, sembrava piccolo solo all’esterno, risultando, soltanto quando Chris ed io ci decidemmo ad entrare, enorme. Guardandomi intorno, meravigliata, non riuscii a credere ai miei occhi. Più camminavo, più particolari notavo, e in altri termini, vidi di tutto. Decine, forse centinaia di scatole di cartone su altrettanti ripiani, ricolme di oggetti di ogni tipo. Scettri come quello della mia giovane amica Lucy, che conoscevo e che non avevo mai usato, libri di magia come di semplice lettura umana, lanterne decorative uguali a quelle che vedevo appese ovunque, bambole e giocattoli che mi ricordarono quelli della dolce Lune, e ultimi, ma non per importanza, cristalli e altre lanterne. A quella vista, un attimo di confusione mi colse di sorpresa, e non appena svanì, un guizzo di memoria mi saltò in mente. Anche se solo per qualche istante, il ricordo della mia nascita, e la consapevolezza che una di quelle lanterne mi avesse ospitato. Emozionata, sorrisi al mio Christopher stringendo la presa sulla sua mano, e senza proferire parola, lui tornò ad accarezzarmi. Senza proferire parola, accettai il suo affetto, e notandoci, il proprietario si avvicinò cordialmente. “Bienvenus à vous dans la Maison de la Magie, mes amis!” si annunciò a noi, parlando in una lingua che non capii. Anche se lentamente, mi stavo abituando allo spagnolo di Aster e Carlos, ma se quella era più facile e intuitiva, questa non lo era affatto, o almeno non per me. “Mi… mi scusi?” biascicai, confusa come mai prima d’allora. “Garrus, ti prego, risparmia il francese alla mia donna, va bene?” s’intromise allora Christopher, riprendendo la parola e facendo le mie veci. “Ma Christopher, è la lingua dell’amore!” insistette il negoziante, serio e convinto delle sue idee. “Falso. Qualsiasi lingua può esserlo se parlata a dovere.” Gli spiegò il mio amato, mantenendo la calma e stroncando una sorta di lite sul nascere. “Va bien, cosa vi porta qui da me?” chiese allora l’uomo, che fermandomi a guardare scoprii essere un folletto. “Mia moglie è incinta di cinque mesi, credi di poterci aiutare?” si limitò a dirgli Christopher, tranquillo mentre continuava a stringermi la mano. “Certamente! Qualunque articolo qui dentro sarebbe perfetto per una coppia come voi. Per ora fate pure un giro, chiamate se avete bisogno di aiuto, d’accordo?” concesse il folletto, regalandoci un sorriso mentre tornava dietro il bancone. “Oppure, se proprio volete, ho anche un’assistente.” Non mancò di farci notare, gentile come pochi. “Bea! Abbiamo clienti, vieni!” chiamò poi, poco prima di sparire nel retro, sicuramente per una questione di inventario. Fu quindi questione di pochi minuti, allo scadere dei quali, a quel richiamo rispose una ragazza. Alta e slanciata, poteva avere ad occhio e croce qualche anno più di me, degli occhi color miele, e i capelli lunghi ma di una sfumatura che non identificai. Un biondo scuro quasi mischiato al rosso delle fragole, ma non per questo meno affascinante. “Beatrice, futura negoziante, per ora apprendista e al vostro servizio. Posso aiutarvi?” ci chiese, non dimenticando di presentarsi amabilmente nonostante un lieve tremore le scuotesse il corpo. “Piacere nostro, Bea. Volevamo solo dare un’occhiata, hai qualche consiglio? E scusami, ti spiace se ti chiamo così?” le risposi, tranquilla e gentile come il suo capo, volendo solo fare amicizia. “Per niente, ma tu sei?” replicò lei, sorridendo appena e tendendomi la mano perché gliela stringessi. “Kaleia. Kia, se preferisci, mentre lui è mio marito, Christopher.” continuai poco dopo, veloce e sincera. “Incantata, signori miei. Venite, abbiamo più d’un corridoio dedicato.” Si limitò a rispondere lei, più calma e professionale mentre ci guidava nel negozio. Fra un passo e l’altro, nessuno di noi disse nulla, e lentamente, il mio sguardo cadde su mille articoli diversi, primi fra tutti le lanterne, i vestitini e i giocattoli. Sonagli, cubi colorati, bamboline e pupazzetti di ogni forma e dimensione, ma tutti, nessuno escluso, con un viso tondo e un’espressione felice e sorridente. Sempre in silenzio, non dissi una parola, ma intenerita, accarezzai il manto pomellato di un cervo di peluche, mentre Christopher, che si limitò a sorridere debolmente e guardarsi intorno con occhi pieni di orgoglio e meraviglia, sfiorò con le dita il dorso di un dinosauro dal collo lungo e morbido. Così, dopo quelle che mi parvero le ore più lunghe ma più belle della mia vita, sentii mille farfalle nello stomaco. Seppur usciti a mani vuote, Chris ed io avevamo appena iniziato a prepararci concretamente per l’arrivo dei bambini, e con il cuore gonfio di gioia e amore, anche al mio arrivo a casa scoprii una sorpresa. Proprio sull’uscio, un cesto di vimini pieno di fiori e frutta, e più in fondo, un semplice foglietto di carta. Incuriosito, Cosmo lo prese in bocca per mostrarmelo, e realizzando il suo desiderio, ne lessi mentalmente ogni parola. “So che non è molto, ma io, la foresta e tutto il villaggio faremo il possibile per aiutarvi. Siate felici, l’amore è un’occasione prima, e un dono poi, Marisa, o Misa, Vaughn.”Immacolato e all’apparenza anonimo, un vero e proprio biglietto d’auguri, che strinsi al cuore e intascai mentre una singola lacrima mi solcava il volto. Felicissima, avevo trovato verità nelle metaforiche parole di Cosmo, scoprendo per l’ennesima volta che in tutto questo non ero affatto sola, e che al contrario, avevo l’intera comunità intorno.

 
   
 
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