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Autore: amirarcieri    25/03/2020    1 recensioni
Wyatt fin dalla nascita ha sempre sentito la mancanza di qualcosa, come ad essere stato privato di una parte importante di se stesso, ma nessuno gli ha mia dato conferme. Soltanto domande delle quali solo lui era a conoscenza e risposte a cui doveva trovare un riscontro mediante gli altri.
Un giorno Wyatt decide di andare dalla madre per farsi raccontare il segreto che nasconde, ma non è del tutto certo della sua decisione, perché privo di prove certe.
Il caso vuole che proprio nello stesso giorno, Wyatt, incontra una ragazza che lo scambia per un altro ragazzo e allora lì, Wyatt, non ha più dubbi.
Dopo averla invitata a pranzare a un ristorante, è certo che il suo pensiero è pieno di fondamento.
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

"-E lei chi è? -Diana! Un'amica."


 


 

Camminarono per un tratto di strada corto e quando Wyatt vide la macchina sollevò il braccio con lo scopo di segnalare la sua presenza all'autista.
«E lei chi è?» interrogò l'autista sorpreso. Non rimembrava la minuta figura della ragazza ed era più che certo di vederla per la prima volta.
Wyatt stava per pronunciare il suo nome, ma Diana lo anticipò.
«Diana» disse porgendogli la mano.
«Come andiamo?» aggiunse trattandolo come se fosse uno zio venuto dall’altro continente. L’autista guardo Wyatt scombussolato.
«Lei è Diana» ribadì questo scuotendo la testa come per dire «E’ Diana che vuoi farci?»
«Si! Già! Ma può venire con noi?» si accertò l'auto - amico riferendosi forse al suo aspetto esteriore che si mostrava con la fisionomia di una diciassettenne.
«Già! Ma quanti anni hai?» le domandò Wyatt intrigato. l'auto - amico gli mise quel dubbio in testa. Diana sollevo la testa dal cellulare che aveva appena preso e con un’intonazione pungente replicò.
«Diciamo che sono tua sorella maggiore. Ok? Così ti va bene?» capirai quanti scrupoli si sarebbero fatti se avesse avuto diciassette anni. L'avrebbero per caso scaricata sull'autostrada?
«Mi va bene!» ripeté Wyatt facendo spallucce.
«E com'è che sai parlare e capisci così bene l'inglese?» la domanda del giovane famoso cantante era nata per curiosità, ma anche diretta ad avere qualche succosa informazione sul suo conto.
«Scuola, corso serale e anche un pizzico di talento» si vantò velatamente lei.
Poi la macchina partì e Wyatt allungò la mano verso la radio.
«Oh questa è curiosa! Sono davvero impaziente di scoprire che musica ascoltate voi» si entusiasmò Diana, ma non appena pronunciò l'ultima vocale, avvertì che ci fosse qualche nota discordante.
«Cioè, mi sono espressa male! Volevo dire: non dirmi che durante un viaggio in macchina gli artisti che ascoltate siete voi stessi! Perché è una cosa alquanto ridicola!» adesso si che suonava proprio come doveva essere.
«È ridicolo» commentò Wyatt leggermente agro.
«Cosa che ascoltiate voi stessi o quello che ho detto?» l’espressione di Diiana si mutò in qualcosa di assolutamente innocente.
«Tu che musica ascolti?» anziché rispondere, Wyatt le fece una domanda eco.
«Mi piace lo stile di Katy Perry» nel dirlo il sorriso di Diana si allungo fin su alle orecchie e nel suo sguardo si generò una distesa celeste dove si potevano perfino contare la quantità di stelle in suo possesso.
«Io la adoro» Diana era fan di Katy Perry da ormai due anni. Non la riteneva un'artista dal talento innato solo per ciò che era, bensì perché le sue canzoni contenevano una scarica di positività inesauribile.
Le sue canzoni avevano il potere di trasmettere quell'emozione chiamata speranza. A far realizzare che credere nei propri sogni non era stupido, ma equivaleva semplicemente al vivere.
«Lei è, una grandissima artista» la riaffermazione del cantante aveva avuto una modesta accentuazione di perversione.
Diana assottigliò lo sguardo come a giudicarlo mutamente.
«E questo rimarcato apprezzamento alluderebbe a qualcosa di più oltre a quello che si è già visto?» Amando l’artista, era immaginabile che Diana seguisse anche i profili Twitter dedicategli.
E quei due, i favolosi Heart sounds”, comparivano nella qualunque notizia ed evento in cui andava Katy Perry.
Lei sapeva che i tre avevano un rapporto molto intimo – voci a parte che narravano di loro flirt improponibili – ma loro aveva giustamente evidenziato che si trattasse di semplice amicizia professionale. Prescindendo dalle selvagge bevute ai karaoke. 
«Comunque lei è fottutamente brava» lo corresse dopo assumendosi l'identità di un gangster.
«Oh! Oh!» i due - Wyatt e l’autista - si fissarono con un espressione esaltata sul volto.
«Credo proprio che tu hai trovato la tua Great Girl»
«Yeah! Sei la mia “Great Girl"» avvalorò mentre ancora soffocava una risata divertito dalla virilità di cui la ragazza era in padronanza.
«E tu il mio “pink dimples"» amorevolmente Diana, gli associò il soprannome che aveva dato al suo forse gemello.
«Umh!» ci fu un leggero dissapore da parte di quest'ultimo.
«Sa di infantile» lo bocciò arricciando il naso.
«No! Sa di miele» lo zittì lei con un'altra dose esagerata di zucchero.
Poi finalmente quel suo dannato dito raggiunse il tasto di accensione.
Quando Wyatt lo premette lasciarono che il fantasma di Michael Jackson li conquistasse per ancora una volta tramite radio. Le note della canzone erano morbide e man mano che la musica scorreva, la loro rigorosità si alzava di qualche scala.
Diana si spostò alla sua sinistra e perdendosi nei tratti di quella grossa scia grigia.
Stimando il principio prendendo come esempio Michael Jackson, realizzò per la cinquantesima volta quello che già aveva appurato da un po’: i soldi non facevano la felicità.
Cantanti e attori arci miliardari si inabissavano nella vastità della fama mostrando al loro pubblico solo la parte lingottata di gloria, ma alcuni, isolati nelle loro camere di albergo o case, penavano di dipendenze e percussioni mentali che la maggior parte delle volte ne spezzavano le giovani vite.
Per quei due, ancora adolescenti e catapultati nell’alluvione della popolarità sembrava tutto così meramente incrollabile.
Producevano canzoni come se fossero alberi di arance. Vivevano come ogni loro giorno fosse l’ultimo e la loro anima immortale.
Per non esprimersi sulla nota dell’estetica: Wyatt il caldo. Noah il freddo.
Si erano fatti lo stesso taglio addizionandoci una sofisticata decolorazione argentata e broux colpevole di svenimenti a rotta di collo.
Anche se a Diana apparivano uno come il cosplayer di Jack Frost pre quinto guardiano, l’altro Jack Frost post quinti guardiano.
A capirgli gli artisti. Si disse Diana.
Esiliandosi da tutto il resto, entrò per qualche ora, in un mondo parallelo alla terra.
«Allora perché l'hai portata con te?» l'autista proferì parola solo dopo aver sbirciato dallo specchietto e visto la ragazza dormire.
«Lei è la persona che stavo cercando» Wyatt guardava fuori dal finestrino perso nel pensiero del suo gemello. Diana aveva detto che anche lui spendeva parte del suo tempo fisso su pensieri costanti, forse come lui, si chiedeva da cosa derivasse quel senso di vuoto che non riusciva a riempire con nessun metodo.
Nemmeno con i comuni vizi proibiti che una persona si passava generalmente per sopprimere quel struggente senso di mancanza.
Vizi spesi principalmente a distruggere se stessi e il proprio corpo, nonostante sapessero che l'unica cura fosse proprio quella che continuava a chiamarli incessantemente e avrebbe continuato a farlo in eterno. Perché era una cosa che andava oltre quei confini chiamati vita e morte. Semplicemente, qualcosa che non avrebbe mai smesso di esistere.
«Ascolta Wyatt non ho intenzione di farti la paternale o prendere la posizione di un padre, ma se hai intenzione di fare qualcosa di azzardato, è bene che ti fermi a pensare per un attimo»
«Cinque anni bastano e avanzano per farti riflettere» il suo tono era stato duramente contratto dal ricordo di quei cinque anni, in cui avrebbe voluto agire, tuttavia, per delle paure che adesso gli sembravano così futili, aveva persistito a rimanere nella sua posizione ordinaria.
«Che intendi scusa?» l’auto – amico non riusciva a cogliere neanche un minimo di significato nelle sue parole.
«Se tutto va come deve andare, lo saprai presto»
«Sei strano lo sai?» l’auto amico lo guardò come se fosse pazzo.
«A volte è proprio la pazzia che ci porta davanti alla realtà» filosofò Wyatt.
Voltandosi verso Diana non poté fare a meno di accennare un sorriso.
La sua figura serena e persa tra i sensi di una chissà quale sogno, la testa posata su un braccio e le cuffie alle orecchie, gli attribuivano l’aspetto di una neonata dentro la culla anziché quella di una teppista squilibrata.
Non sapeva il perché, ma sentiva che lei sarebbe diventata qualcosa di cui non avrebbe più potuto fare a meno. Non una dipendenza, ma una di quelle persone che vuoi che a ogni costo siano presenti nella tua vita. Che ti accompagnino ad ogni passo da te fatto nel suo corso.
Wyatt avvertì il vento pizzicargli il viso e voltandosi verso il finestrino, si distese delimitando la sua vista.
Successivamente, non passò molto che Wyatt seguì Diana nel suo stesso cosmo sospeso nel mondo dei sogni.
La macchina sfrecciava sull'autostrada laddove il sole cominciava a calare. La sua luce diveniva sempre più fioca e il tramonto era lì ad accompagnarli in quel loro viaggio che sua destinazione avrebbe dato loro delle risposte a domande ancora apparentemente bislacche.





L'auto ci mise tre lunghissime ore ad arrivare a dovuta meta.
Quando toccarono terra, Diana si stiracchio le ossa in modo esageratamente eccessivo.
Per poter raggiungere l’abitazione di Wyatt dovettero proseguire dritti per un paio di case e notare che il sole avesse già lasciato il posto alla sua tanto amata sorella luna.
L'aria era serena, il cinguettio degli uccelli suonava una melodia pacifica che manteneva entrambi nel più totale dei silenzi. In quanto ancora intontiti dal viaggio.
Una volta raggiunto il cancello desiderato, Wyatt precedette Diana e appena lo aprì, fu come una tradizione in pieno agosto. Tutti i famigliari gli corsero incontro quasi fosse il santo da festeggiare.
Peccato che lui con i santi avesse poco a che fare e forse non si poteva neanche definire tale.
Però Diana riusciva a comprenderli.
Doveva essere un'esperienza dura vedersi portare via il proprio figlio da una motivazione che senza alcuna giustificazione, né ricompensa, aveva reso vero il desiderio identificativo di quest’ultimo.
Margaret era grata al suo dio per avergli dato l'opportunità di realizzare il sogno del figlio, ma rimpiangeva sempre il fatto di non poter dimostrare il suo orgoglio abbracciandolo nei momenti più significativi della sua carriera. O al non averlo più accanto a se nel divano a vedere la televisione e limitarsi a guardarlo tramite proprio quello schermo rettangolare,privata dalla facoltà di parlargli.
E poi, arrivava la parte più dolorosa che si ripeteva ogni volta.
La malinconia trovava sede nel suo cuore proprio in quel momento. In Tutte quelle volte che lo accompagnava alla soglia del portone lasciandolo andare incontro alla sua aspirazione.
Margaret seguiva la macchina finché non fosse scomparsa, e sempre lì, attendava il suo ritorno che avvolte avveniva dopo mesi di tour promozionali.
Wyatt abbracciò le sue sorelline – più il fratellino - e diede uno smacco alla spalla del padre facendo intuire quanto anche lui ricambiasse il loro sentimento. Per ultima lasciò la madre.
«Figlio mio» Margaret lo strinse forte a se lasciando che i loro cuori comunicassero silenziosamente. Diana sentì qualcosa di caldo al cuore che la fece sentire in pace con il resto del mondo.
Vedere una madre abbracciare il proprio figlio era sempre stata una scena che l'aveva colpita. L'amore di una madre per un figlio emergeva superiore a quello degli amici, di un fidanzato e di due fratelli.
L'amore di una madre era capace di sacrificarsi per te.
Di guidarti e mostrare la futura persona che diventerai.
L’amore di una padre poteva darti e toglierti tutto.
«E tu chi sei?» fu un attimo che Diana si ritrovò sei occhi di fronte a se.
«Fai parte dello staff? Sei la sua nuova manager?» interrogò la prima sorella. 
«O la truccatrice?» fu il turno della seconda.
«N..no! i..» le due femminucce non la fecero neanche finire di parlare che subito ricominciarono con la considerazione di possibilità.
«Allora una fortunata fans! O la sua ragazza?» sbraitarono accendendo i loro occhi come una lampadina.
«Sei la sua nuova ragazza?» ripeté il maschietto. Le altre due erano ancora visibilmente sorprese da quest'ultima considerazione.
Tutte quelle domande avevano messo così sotto pressione Diana che neanche lei sapeva più chi fosse.
Quindi smosse il braccio e richiamò l’attenzione del tipetto con cui era arrivata.
«Oh, lei è» disse Wyatt e la guardò cercando un termine da addossargli mentre Diana si mordeva il labbro inferiore agitata.
«Diana» riferì movimentando il braccio verso la sua spalla per fasciarla deciso.
«Un..un'amica» stabilì. Dopodiché accostò la guancia alla sua e la vezzeggiò quasi fosse un gatto.
Quell'impensabile vicinanza per poco non la uccise.
Il suo cervello era stato annientato. I suoi occhi si erano sbarrati.
Non poteva credere che Xavier fosse praticamente addosso a lei. Suonava come qualcosa di strettamente surreale. O astrattamente reale?
Deglutendo priva di respiro spostò gli occhi a destra e lo vide ancora.
Il suo cuore malato, alla sola consapevolezza, aveva ricominciato ad emettere vibrazioni capaci perfino di scuotere il suolo sottostante e fu proprio li che Diana arrestò la sua marcia appena avviata.
Doveva fermarla. Doveva annientarla prima che raggiungesse il cervello, rendendola schiava di quei ricordi.
Ragion per cui si scansò da lui in maniera barbare e in maniera ancor più rozza lo gettò lontano da sé. 
«Hey ragazzo vacci piano! È ancora troppo presto per dire amica» quello che ci fu a seguire fu uno di quei silenzi che non si avvertono neanche al cimitero.
L'unico ad essere stato in grado di interpretare il bruto rifiuto di Diana, era stato Wyatt.
Forse quando all’ora del loro incontro lei aveva pronunciato quel nome quasi come se fosse una malattia letale, o forse, quando l’aveva udito e le sue mani si erano agitate lasciando cadere il cucchiaino dal tavolo, però Wyatt comprendeva cosa si nascondesse all'interno di quei suoi grandi occhi colmi di dolore.
E di certo, stare accanto a qualcuno che è praticamente il riflesso di quella persona che in qualche modo è stata importante per te, non era un’esperienza esemplare da augurare al prossimo.
«D..diciamo che per adesso sono solamente Diana ok?» chiarì la ragazza una volta notate le loro facce.
Margaret che aveva già visto i primi segnali di fumo che avrebbero scatenato un incendio, lasciò perdere il discorso. L'avrebbe ripreso più in là, quando tutte le argomentazioni di primo genere avrebbero trovato la loro stazione di arrivo.
«Come mai sei venuto?» gli chiese smaniosa di sentire la voce di Wyatt. Perdersi in stupide chiacchiere accorciava il tempo con il suo amato figlio e lei non ne voleva spendere ancora un attimo di più.
«Mi sono ritrovato un po' di tempo libero tra le mani e voi sapete che uno dei miei modi migliori di trascorrerlo è stare con voi» spiegò lui. 
«Si! Dai andiamo! Sarete stanchi, vi preparo una buona cena» la madre li incitò a seguirla con una mano nel contempo che apriva la porta.
Chissà quali sorprese gli avrebbe servito loro quella casa.
Entrambi vi si immersero sperando in quell'unica sorpresa accertatrice della loro sanità mentale.

NOTE AUTRICE: ma ciaooo a tutti. Eccomi qui a farvi compagnia in questa quarantena con questo mio secondo capitolo. 
L'Italia e il mondo in generale non se la stanno passando bene, ma spero che le mie storie possano darvi un po ' di serenità e staccare la spina (anche se per poco) da tutti i problemi che stanno incorrendo. 
Quindi che mi dite di questo secondo capitolo? Vi è piaciuto?  Cosa ne pensate dei pensieri di Wyatt?  E la storia in generale?
Vi aspetto con il prossimo capitolo e ringrazio tutti quelli che leggeranno silenziosamente o commenteranno. 
Grazie mille. Alla prossima.

   
 
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