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Autore: HachiBLOOD    07/08/2009    1 recensioni
E se improvvisamente tutte le sicurezze di un rapporto crollassero? E se una volta dimenticato il passato, riaffiorasse il presente con le sue complicazioni? Una ragazza comune con un'improvvisa complicazione da affrontare.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sesso oramai era diventato quasi un’abitudine, dopo le litigate. Ci ammazzavamo quasi, per motivi assolutamente stupidi e insignificanti, per poi sfociare sempre lì, credendo che con al massimo un’ora di piacere e di abbandono dal resto del mondo, avessimo risolto tutti i nostri problemi. Ma in realtà, era già da tanto tempo che qualcosa si ostinava a non andare tra me e Riccardo. Se mi sforzo, riesco a ricordare perfettamente il primo periodo della nostra storia. Addirittura prima. Io, una ragazzina apparentemente ingenua che ogni volta che lo vedeva sentiva un incredibile tuffo al cuore. I nostri sguardi che si intrecciavano fra i passanti della nostra piccola città, i sorrisi sghembi scambiati durante le varie cene fatte insieme. Il nostro primo bacio. La sensazione umida e dolce della sua lingua sulle mie labbra, il suo esplorare quasi famelico della mia bocca, le sue dita che rincorrevano morbidamente i capelli fini e morbidi sulla mia nuca. I nostri baci, li ricordo tutti, più o meno. Ricordo quando, presi dalla voglia l’uno dell’altro, cercavamo di concederci di più. Così lui mi prendeva e mi attaccava al muro, cominciando a divorarmi le labbra amorevolmente, senza mai smettere di accarezzarmi le braccia e la parte bassa della schiena, procurandomi brividi dappertutto. Ricordo la nostra prima volta, circa due anni fa. Non volevo farmi vedere nuda da lui, così lo facemmo a luce spenta, mentre lui mi sussurrava all’orecchio “Sei bellissima”. Quella notte credo non la scorderò mai. Il suo entrare dentro di me così controllato e dolce, mentre cercava di non spingersi di più per non farmi del male, i suoi baci non propriamente casti sul collo, alternati a morsi, saliva e lingua. I nostri gemiti che riempivano la stanza, soffocati dalle labbra dell’altro, il mio aggrapparmi a lui, mentre il primo orgasmo della mia vita mi travolgeva come una grande onda. La sua espressione di estasi leggermente visibile all’interno della stanza oscurata grazie alla luce della luna che filtrava attraverso i vetri e le tende della finestra. Ricordo che mi sdraiai, stremata sopra di lui, pensando che in quel momento, dovessimo sembrare proprio una di quelle coppie felici che si vedono negli sceneggiati rosa, quelle coppie che dopo aver fatto l’amore, si dicevano “Ti amo” e si giuravano amore eterno. Appunto, sembrava. Noi, invece, ci addormentammo subito, troppo stanchi per lasciarci andare a simili sdolcinatezze. Non so come, da quello, fossimo finiti a questo punto. L’unica cosa che ci accomunava e ci teneva collegati, era appunto il sesso. Forse avevamo semplicemente bisogno di quello, per sentirci noi stessi, per sentirci felici e quantomeno appagati. Non credo che in questi due anni e mezzo un solo “Ti amo” da parte mia sia mai stato completamente sincero. Forse sono io che non so provare amore verso nessuno. Forse quello che sentivo, credevo stupidamente che fosse amore, mentre invece era solo un grande affetto, come quello che si può provare per un amico qualsiasi. La mia freddezza, probabilmente, era ancora più profonda di ciò che mi aspettavo. È incredibile come una persona impari a conoscere meglio se stessa a volte, anche grazie ad esperienze poco piacevoli. Mi chiedo se la causa di tutta questa situazione sia solo e soltanto io, domandandomi anche se, in questi anni, sia cresciuta almeno un po’. Evidentemente no; evidentemente sono rimasta la solita ragazzina stupida e innamorata di un tempo passato, intrappolata nel corpo di una diciottenne.

*

-Sì…- Sospirai, mentre lui si muoveva più velocemente dentro di me, stringendomi i seni fra le mani. Si chinò, prendendomi il lobo sinistro dell’orecchio fra i denti, cominciando a morderlo forte e a succhiarlo all’interno della sua bocca, facendo formare leggere brividi sul mio collo. Spostò le mani dal mio petto, afferrandomi i fianchi, invogliandomi ad accompagnare con maggiore forza i movimenti del suo bacino. Mi ritrovai, ancora una volta, ad avvolgere le mie lunghe braccia intorno al suo collo, puntando i miei occhi nei suoi, leggermente socchiusi per il piacere. Un gemito più forte degli altri mi scappò dalle labbra, facendomi inarcare la schiena e affondare di più la testa nel morbido cuscino. Si avvicinò per un bacio che non esitai a concedergli, che di tenero e casto aveva ben molto poco. Grugnì forte all’interno della mia bocca, staccandosi in modo da urlare con più libertà. Scese a leccarmi il collo, e finalmente venni, con un gemito forte e prolungato. Continuò a spingersi dentro di me, finché non sentii il calore del suo rilascio. Strano, visto che aveva messo il profilattico. Non ci pensai più di tanto, ero fin troppo stanca dall’incredibile scopata appena fatta. Rimanemmo a guardarci, respirando irregolarmente. Completamente sudato, mi guardava da dietro quelle lunghe ciglia bagnate, respirandomi addosso. Uscì da me, lasciandomi un’incredibile sensazione di vuoto a circondarmi. Si sdraiò accanto a me, mettendosi di lato e voltandomi le spalle. Feci lo stesso, così da ritrovarci entrambi schiena a schiena. -Giù, non possiamo continuare così…- lo sentii dire, la voce ovattata probabilmente dal cuscino. -E cosa intendi fare a tal proposito?- risposi. Lo sentii muoversi e, pochi attimi dopo, mi ritrovai la sua mano che mi accarezzava leggera il braccio umido di sudore, arrivando fino al collo, dove spostò i capelli lunghi attaccati alla pelle. -Non lo so.- soffiò sul mio collo. Mi girai anch’io verso di lui, guardandolo negli occhi. -Non so nulla neanche io, sinceramente parlando. Mi sembra di vivere come in uno stato di stand-by continuo con te. Non so mai come parlarti, come comportarmi. Litighiamo in continuazione e dopo, ogni fottutissima volta, ci ritroviamo a scopare come due ragazzini arrapati! Ma dico, ti pare normale?- risposi scontrosa. Forse lo ero stata un po’ troppo, dopo tutto lui mi aveva solo fatto una domanda. Una domanda, quella domanda che frullava in testa ad entrambi da mesi. -Forse dovremmo provare a controllarci di più.- disse con voce attenuata, probabilmente conscio del fatto che, se avesse controbattuto al mio attacco d’ira, avrei avuto un altro scatto. -E come facciamo, Riccardo? Oggi abbiamo litigato per un pacchetto di sigarette, ti rendi conto? Neanche fossimo bambini di cinque anni, cazzo. Abbiamo quasi vent’anni all’anagrafe, mentre sembra che la nostra età celebrale sia pari a quella di un bambino dell’asilo.- Mi alzai a sedere, rannicchiando le gambe al petto e prendendomi la testa fra le mani, poggiando i gomiti alle ginocchia e tirandomi i capelli. -Dai, non fare così…- disse lui, abbracciandomi. Ricademmo sul letto sfatto e caldo, abbracciati. In quel momento quel materasso, mi sembrava il giaciglio più scomodo e insensato della terra. -Forse sarebbe meglio se chiudessimo qua, definitivamente.- Sentii il suo peso spostarsi dalla mia spalla e il suo sguardo che bruciava su di me, mentre io ero impegnata ad analizzare le macchie formate dall’umidità sul soffitto bianco e ricco di crepe della mia stanza. -Che cazzo dici, Giulia?- sbraitò, scavalcandomi e mettendosi in piedi al lato del letto, completamente nudo. E bellissimo. -Dico semplicemente ciò che vuoi sentirti dire anche tu. Basta, è meglio finirla qua una volta per tutte, senza troppi ripensamenti. Te la senti?- Mi accorsi che, mentre pronunciavo quelle parole, con una freddezza ed un controllo tale da far invidia a chiunque, una sensazione di nausea e smarrimento si era fatta strada dentro di me, precisamente all’altezza dello sterno, quasi come fosse una lastra di metallo che insiste e spinge, in modo da poter penetrare all’interno. Nonostante ciò, mantenevo lo sguardo fisso in alto, evitando di guardarlo negli occhi, sentendo il suo respiro leggermente accelerato, probabilmente per l’agitazione del momento. -Okay, facciamo come vuoi tu, tanto finisce sempre così, ogni volta.- Non replicai, semplicemente non ne avevo voglia. Lo sentii raccogliere i suoi vestiti da terra e infilarseli lentamente, lanciandomi qualche occhiata ogni tanto. Io semplicemente avevo disconnesso il cervello, lasciando navigare lo sguardo da una parte all’altra del soffitto. Spostai lo sguardo alla mia destra, nello stesso momento in cui lo fece lui. E in quell’ attimo fui presa da un moto di tristezza mai provato. Si avvicinò e, chinandosi, mi bacio con impeto e dolcezza. Il nostro ultimo bacio. -Ci sentiamo Giù.- mi disse, per poi aprire la porta della mia stanza e dirigersi verso quella d’ingresso. Non so quanto tempo stetti immobile, sdraiata sul letto, dopo aver sentito lo sbattere della porta chiusa. So solo che, quando mi alzai per fare una doccia, era già sera e mia madre sarebbe tornata a momenti dal lavoro.

*

Due settimane. Due maledettissime settimane di ritardo. Cazzo. Forse quel test di gravidanza era il caso di comprarlo, dovevo dare retta a Sara. Mi alzai dal letto, spegnendo nel portacenere l’ennesima sigaretta della giornata. Tutto quel fumare non mi avrebbe fatto per niente bene, ma era l’unico modo per scacciare il nervoso. In salotto, mia madre, mio padre e mio fratello, stavano seduti sul divano, impegnati a guardare un film di Carlo Verdone, scoppiando a ridere ad ogni minima battuta. Sorrisi. Almeno loro, sembravano felici. -Dove vai piccola?- chiese mio padre, distogliendo l’attenzione dallo schermo. -Esco con Sara, torno verso sera.- risposi annoiata. In realtà Sara non sarebbe venuta, doveva rimettersi in pari con lo studio, cosa che io avevo già fatto in precedenza, visto i miei archi di tempo vuoti da quando lui non era più nella mia vita. -Okay, mi raccomando.- Che voleva dire “ok, mi raccomando”? Forse era un’abitudine oramai, dire quella frase. Presi le chiavi dal mobiletto d’ingresso e uscii di casa. Appena misi piede sul pianerottolo, subito il forte odore di fritto, proveniente dalle altre abitazioni, mischiato al deodorante per ambienti, mi provocò un leggero conato di vomito. Così scesi le scale di fretta, con una mano a tapparmi il naso e parte della bocca. Appena fuori, all’aria aperta, mi accesi una Camel, aspirando la prima boccata, quella che, dicono, faccia più male di tutte. Ma a me non interessava un gran ché, era decisamente il tiro più appagante. Raggiunsi a passo spedito il centro commerciale, intravedendo da lontano la croce verde illuminata ad intermittenza della farmacia. Buttai il mozzicone a terra, ragionando sull’idea che, se probabilmente fossi rimasta incinta, avrei dovuto rinunciare alla santa nicotina. Feci una smorfia di disappunto ed entrai. Non c’era nessuno a fare la fila stranamente, quindi potevo prendermi un po’ di tempo per riflettere dietro lo scaffale degli omogeneizzati. Gli omogeneizzati, quelli con cui si svezzano i bambini. Ma allora, lo facevano a posta? Sbuffando mi avvicinai al bancone, dove il dottore era intento a mettere in ordine alcuni medicinali sullo scaffale più alto, voltandomi le spalle. -Ehm…- pronunciai, tentando di farmi notare. Un paio di occhi azzurri ed un viso, incorniciato da capelli leggermente brizzolati, si voltò verso di me, sorridendomi cordialmente. -Desidera, signorina?- -Io, ecco…- ma che cavolo, non c’era una donna? -…vorrei un test di gravidanza.- buttai fuori tutto di un fiato, abbassando la testa e nascondendo il rossore delle guance sotto la coltre di capelli biondi. -Vuole quello economico o ne preferisce uno che costi di più, ma che sia più affidabile?- Ma che domanda era? Io volevo sapere se ero incinta cazzo, non i costi dei test di gravidanza! -Il secondo.- risposi. Nonostante le perplessità, volevo essere sicura al ceno per cento del mio stato, una volta per tutte. -Sono diciotto euro.- -Sì…- risposi, tirando fuori il borsello dalla sacca. Presi il pacchetto con il test e mi avviai verso casa, quando mi ricordai di aver detto ai miei che sarei tornata verso sera. Presi il cellulare e composi il numero di Sara. Un paio di squilli e rispose. -Sei incinta?- la solita imbecille. -Non lo so, ancora non ho fatto il test e anzi, mi chiedevo se potevo venire a farlo da te.- -E perché, casa tua è infestata?- -No, ci sono i miei e ho detto loro che uscivo con te e tornavo verso sera.- -Ah, okay, allora vieni qua. Ti aspetto e intanto ti preparo la cioccolata calda.- -Grazie.- le risposi, sorridendo. Attaccai la chiamata, raggiungendo casa di Sara in meno di quindici minuti. Suonai il campanello e subito lei mi aprì, sorridente, sporgendo le braccia verso il mio collo per abbracciarmi. Affondai la testa fra i suoi capelli riccioli e profumati di shampoo, trovando un minimo di conforto nell’abbraccio della mia migliore amica. -Dai, vai subito in bagno, così ti togli il pensiero.- mi disse, staccandosi dall’abbraccio. Annuii, strascicando i piedi in corridoio, fino al piccolo bagno, stringendo fra le dita la busta oramai dal bordo logora e stropicciata a causa dell’ansia. Chiusi a chiave la porta e mi ci appoggiai contro, cercando di perdere tempo. Constatai che era completamente inutile girarci intorno, prima o poi la realtà dei fatti andava affrontata. Ed io, stavo per farlo. Tirai fuori la scatolina bianca e buttai il sacchetto a terra, vicino al water, mentre mi accingevo a tirarmi giù i jeans, ripetendomi mentalmente che tutto sarebbe andato bene, benissimo. Che era solo un fottuto falso allarme. Che non potevo, non dovevo essere incinta di Riccardo. Quel minuto fu il minuto più straziante della mia vita. Mentre aspettavo, guardando insistentemente l’orologio, battevo insistentemente il piede a terra, seduta sul bordo della vasca. E quando finalmente finì, non avevo minimamente il coraggio di avvicinarmi al lavandino dove era appoggiata la provetta. Piano, quasi impercettibilmente, mi alzai, guardando a terra. Lo presi in mano, chiudendo istintivamente gli occhi. Solo quando li aprii notai quel maledetto “+”, rosa, troneggiante all’interno del minuscolo quadratino. Ero fottuta.

*

-Allora?- mi chiese Sara, quando finalmente feci ritorno in cucina, bianca come un lenzuolo. -Sono incinta.- le riposi, piatta e rassegnata, come se parlassi della lista della spesa. -Come?! Stai scherzando vero?- -No,- risposi, sbuffando una risata leggermente malinconica. -E adesso…?- Già, e adesso. Fu in quell’istante, dopo la sua frase che mi sentii letteralmente crollare il mondo addosso. Una lacrima, piccola e lucente, scese a solcare la mia guancia destra. Quanto tempo era che non piangevo? Scoppia in lacrime, accasciandomi in ginocchio sul pavimento freddo, mettendomi le mani fra i capelli, mentre la gola bruciava e un senso di nausea saliva dallo stomaco. Già… E adesso?
  
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