To
want is what bodies do
And
now we are ghost
-
Marina Tsvetaeva, from "Poem of the End"
Il
fantasma di suo padre si mostra per la prima volta quando mancano meno di
cinque mesi al suo diciottesimo compleanno. Ha già trascorso sette mesi in
isolamento e penserebbe di essere impazzita se non fosse per il fatto che Jake
Griffin non è il primo fantasma che le sia mai comparso di fronte.
"Ciao,
papà," lei lo saluta con un sorriso tremulo, dopo un attimo di silenzio
interdetto. Le dita con cui stava ritraendo l'ennesimo paesaggio impossibile su
una delle pareti della cella sono attraversate da uno spasmo lieve,
insignificante. Non piange nel vederlo. Perché dovrebbe? Le lacrime sono
destinate a momenti di sconforto. Questo non lo è e al contempo lo è. Sa cosa significa il fatto che lui
sia lì con lei e il petto sembra troppo piccolo per contenere la massa
sconfinata del suo cuore.
Suo
padre sorride e in quel sorriso è contenuto il pentimento di chi si rende conto
di avere commesso un grave torto nei confronti di qualcuno che amava e non sa come espiarlo. A
differenza di sua madre, lui non ha mai rifiutato le sue storie, scusandole
prima come le puerilità di una bambina e poi come stramberie o ricerca di
attenzioni. Però non le hai mai creduto davvero, non fino a quel momento.
"Ciao,
tesoro," lui risponde.
Clarke
chiude gli occhi, la matita le scivola dalla presa allentata, cadendo sul
pavimento con un rumore ridondante.
Non
sa cosa sta provando nello scoprire di essere il rimpianto più grande di suo
padre.
-
-
We
shall not cross into an unfamiliar land
I
fantasmi sono costanti della sua vita da quando aveva cinque anni, o almeno il
suo primo vero ricordo di uno di loro risale a quando aveva cinque anni.
Ricorda una vecchia signora dal viso smunto e le mani scarne, gli occhi tristi
e gentili, con cui fingeva di prendere il tè, che le ha insegnato il concetto
di prospettiva nella rappresentazione dello spazio e i metodi con cui eseguirla
nei suoi disegni.
Per
suo padre ha sempre avuto una fervida immaginazione anche da piccola. Curiosa,
precoce, brillante, hanno sempre detto di lei per cercare di definirla.
E
strana, per colpa dei fantasmi, ma questo nessuno ha mai
avuto il coraggio di dirglielo in faccia. Non che ce ne fosse bisogno. Sguardi
cauti, diffidenti, prevenuti. Negli anni Clarke ci ha fatto il callo. Se una
bambina trova oggetti di valore inestimabile nascosti dagli antenati per i
"giorni di pioggia", mostra come accendere vecchie apparecchiature di
cui persino gli ingegneri hanno dimenticato il funzionamento, presta orecchio a
voci che solo lei può ascoltare e diventa il loro portavoce per far arrivare
nelle mani giuste i rimpianti che li trattiene, dopo un po' la perplessità si
trasforma in un sentimento più tagliente e crudele. Non c'è comprensione per
chi è diverso o eccentrico, per chi non si attiene a schemi prestabiliti, chi
non mostra le attitudini giuste, non rientra nel sistema. Non c'è perdono per
chi spicca in un mondo piramidale in cui ognuno ha un ruolo, un posto preciso
da occupare.
La bambina cresce e il dubbio delle persone quando la guardano diventa il baricentro delle sue insicurezze e la forza propulsiva della sua arditezza temeraria, della sua generosità, del suo altruismo, della sua pertinace abnegazione.
***
-
La
prima cosa che nota di Bellamy Blake non è il sorriso sardonico o il tono
provocatorio con cui le parla, tantomeno la luce derisoria con cui la squadra
da testa a piedi. No, la primissima cosa su cui il suo sguardo si sofferma è il
fantasma della donna alle sue spalle. Dimostra l'età di sua madre, è alta e longilinea.
Bella come può esserlo un'arma da esposizione. Non importa quanto finemente
decorati siano l'elsa e il fodero, la lama è un veleno letale per l'anima.
Quando
Bellamy insiste per aprire il portellone e Clarke cerca di fermarlo, gli occhi
della donna si assottigliano pericolosamente. La vede poggiare una mano sulla
spalla del figlio e ripetere il suo stesso suggerimento. Dopo un attimo di
considerazione Bellamy scrolla la testa e fa l'esatto contrario di quello che
lei e sua madre hanno detto. Apre il maledetto portellone.
Da quel momento, insieme al figlio, Aurora Blake diventa la sua spina nel fianco.
***
-
I
fantasmi vanno e vengono. Clarke è sempre stata curiosa di sapere dove
trascorrono i momenti in cui non sono con lei, tuttavia non ha mai espresso a
voce alta il suo interesse. Teme che sarebbe sgradito e fuori luogo.
-
***
-
I
fantasmi non la rendono una persona migliore, ma la rendono più vecchia e
condividendo con lei le loro esperienze sotto forma di storie della buonanotte,
è cresciuta prima dei suoi anni. Sa segreti di cui non dovrebbe essere a
conoscenza e con la potenza immaginifica della sua mente è stata in posti in
cui non ha mai messo piede, a volte è parte della storia e dei loro ricordi più
del presente.
Si
rende conto di essere diversa dal resto dei Delinquenti. È stato così anche
sull'Arca. Clarke è un'anomalia, lo è sempre stata. Sulla Terra, però, le
differenze si assottigliano come ombre. A chi importa che sia in possesso di
informazioni che a nessun altro di loro è dato conoscere? Che le sue intuizioni
siano sempre per lo più corrette?
I
fantasmi sono i suoi occhi, la sua memoria, la sua coscienza.
Non
è mai andata contro i loro consigli.
C'è
una prima volta per tutto.
Non
sono trascorsi neanche cinque giorni da quando hanno messo piede sulla Terra e
Wells ha appena cercato di parlarle. Clarke ha finto di non notarlo. Suo padre
è con lei e osserva la sua ritirata con occhi incredibilmente tristi. "Dovresti provare a sentire quello che
ha da dire."
Clarke
continua a raccogliere legna da ardere. "Non voglio. So già cosa mi
direbbe e non mi interessa."
"Tesoro-"
"Credi
che voglia sentire le sue scuse?" Lei lo interrompe. "Che possa
perdonarlo per quello che ha fatto? È colpa sua se sei morto."
"Sapevo
a cosa andavo incontro. Conoscevo i rischi."
Certo
che li conosceva. Suo padre ha sempre avuto un piano per tutto e piani di
riserva in caso di fallimento. Era l'uomo capace di riparare l'impensabile. La
coppia con le mani miracolose, li chiamava Wells scherzando. Sua madre, la
donna che salvava vite e suo padre, l'uomo che ricostruiva dal nulla con pezzi
di scarto.
Wells
ammirava suo padre e nonostante questo-
"Anche
lui," risponde. Le sue labbra sono screpolate, la sua bocca secca. È
disidratata. Stringe con maggiore forza i rami che ha raccolto. "Tutti
dobbiamo pagare il prezzo delle nostre scelte."
-
***
-
Non
ci sono rimpianti a trattenere Atom. Il ragazzo scivola nell'Oltre come
un'ombra, i suoi passi sicuri, senza indugi. Qualunque cosa stia osservando, il
suo viso è trasfigurato in un'espressione di pura e assoluta gioia.
"Grazie,"
dice, voltandosi ad osservarla da sopra la spalla. Sta sorridendo e la pelle
attorno al suo sorriso è liscia, non deformata dalle piaghe e dalle bruciature.
Clarke
lo vede scomparire. Il sangue sulle sue mani è ancora caldo, i suoi occhi
spalancati e riversi. Il mormorio della sua voce riecheggia un'ultima nota
prima di spezzarsi.
Gli
chiude gli occhi con tutta la delicatezza che riesce a racimolare. Bellamy le
passa dell'acqua per ripulirsi le mani, la sua espressione criptica e intensa.
Nessuno dei due dice nulla. La morte è morte. Cosa c'è da aggiungere? Qualsiasi
altra parola sarebbe superflua.
-
***
-
Scoprire
che è stata sua madre a consegnare suo padre e non Wells rischia di distruggerla.
Poi qualcosa cambia e la disperazione è sostituita da un sentimento
drasticamente differente. La rabbia risuona dentro il suo corpo come una
melodia stonata, sdegnosa e smodata. Sua madre non è l'unica a cui è destinata.
Comincia a camminare e si allontana dal campo finché l'unico rumore
distinguibile è il suo respiro accelerato. Quando è sicura di essere
completamente sola, urla. Inginocchiata,
le mani affondate nel terreno ad artigliare il nulla in cerca di un appiglio, urla
finché non ha più fiato nei polmoni, finché la gola le brucia come se avesse
trangugiato fuoco liquido.
Quando
volta la testa verso suo padre, non è l'unica ad avere gli occhi arrossati, le
guance umide.
"Perché
non me lo hai detto?" sussurra, ogni parola una stilettata di sofferenza
nella sua laringe.
"Avevi
già perso un genitore."
Annuisce,
ma è un gesto privo di significato. "Perciò sono un'orfana."
"Non
dire così. Tua madre-"
"Ti
ha tradito," lo interrompe. Lo vede indietreggiare di fronte al suo
sguardo. Qualunque espressione ci sia sul suo viso deve essere terrificante.
Abbastanza da far sì che il rimorso scavi nuove rughe sulla fronte e attorno
alla bocca di suo padre. Bene, pensa. Ora che anche la rabbia ha
cominciato a scemare, c'è solo desolazione. La sua mente è una trincea.
"Ha lasciato che tu venissi eiettato e che mandassero me in
quest'inferno."
"Era
per offrirti un futuro migliore. Voi siete l'ultima speranza rimasta."
Sa
cosa sta cercando di fare. Non le importa. Non c'è ragione che tenga, ogni
convinzione crolla sotto il peso crudele della verità. Ci sono azioni
imperdonabili. Razionalmente può accettare le motivazioni che hanno spinto sua
madre a prendere quella decisione. Può come leader, non come figlia.
"È
come se ti avesse ucciso lei. Non mi interessa perché l'ha fatto. Non la
perdonerò mai. Mai."
Mai,
le hanno insegnato i fantasmi, può essere un tempo molto lungo.
-
***
-
"Non
così o ti pungerai," avverte Aurora da sopra la sua spalla.
Clarke
annuisce sovrappensiero e ovviamente è il momento in cui Bellamy decide di sedersi
accanto a lei. Colta di sorpresa, lei sussulta e l'ago le punge l'indice.
"Attenta,
principessa o potrei pensare che ti rendo nervosa."
Non
solleva la testa, ma può praticamente percepire il suo sogghigno canzonatorio
nella penombra.
"Cosa
stai facendo?"
Rotea
gli occhi. "Non si vede?"
"Se
stai provando a rammendare quello strappo, non stai facendo un buon
lavoro," lui commenta e stranamente la sua voce non suona critica né
offensiva.
Questo
la convince a deporre le armi. Si ferma prima di pungersi nuovamente e sospira,
fissando corrucciata il pessimo lavoro fatto fino a quel momento. "Credi
che non lo sappia?" L'ammissione ha un suono mortificato alle sue stesse
orecchie. È talmente ridicolo. Lo è l'intera faccenda. Che sia in grado di suturare
qualsiasi tipo di ferita, ma le sfugga come rammendare uno strappo è umiliante,
tanto per dirne una.
"Da'
qua."
Il
suo sguardo è pesante sul suo viso e per la prima volta, senza l'espressione
belligerante che solitamente sfoggia, la somiglianza con la donna alle sue
spalle diventa innegabile.
"Cosa?"
Tra
i due è lui ad apparire imbarazzato ora. "Ho detto, da' qua."
Presa
in contropiede, lei gli passa la maglietta senza una parola. Lo osserva come
ipnotizzata. L'ago si muove con pazienza e precisione.
"Ho
imparato da mia madre," lui dice a mo' di spiegazione, come se si sentisse
in dovere di giustificarsi. "Era una sarta."
Clarke
azzarda un'occhiata alle sue spalle. Aurora sta guardando suo figlio,
irrigidita al punto da essere un tutt'uno con il tronco dell'albero.
"Era
brava?"
Bellamy
annuisce. Le sue mani sono veloci, ma i suoi occhi sono lontani, smarriti in
vecchie memorie che, a giudicare dal minuscolo sorriso che non riesce a
sopprimere, devono procurargli abbastanza gioia da fargli dimenticare dov'è,
con chi sta parlando. "Tanto che anche voi della stazione Alpha vi
abbassavate a venire alla nostra porta per chiederle di confezionare abiti e
riparare orli. A volte le richieste erano troppe e c'erano giorni in cui le sue
mani-" la sua voce si arresta e all'improvviso l'incantesimo sembra
spezzarsi. Lo vede battere le palpebre velocemente e i ricordi smettono di
mulinare vorticosi nel suo sguardo. Il suo viso si chiude, trincerandosi dietro
la sua maschera preferita di freddo cinismo e ostentato disprezzo.
"Tutto
quello che so, me lo ha insegnato lei," conclude e scrolla le spalle. Il
ragazzo è scomparso di nuovo e Clarke ne sente acutamente la mancanza.
"Esattamente come tu sei la figlia di tuo padre, principessa, io sono il
figlio di mia madre."
Anche
se è in ombra, l'espressione sul viso di Aurora è una che Clarke non
dimenticherà mai.
-
***
-
"Wells?"
Lo
vede uscire dal folto del bosco e il sorriso le muore sulle labbra. La luce
della luna attraversa il suo corpo come una ragnatela ricoperta di rugiada.
Si
sente intorpidita. No, pensa. No. No.
-
***
-
"Non
è stato Murphy," spiega Wells.
Clarke
ha smesso di tremare, ma il freddo le si è incuneato nelle ossa. Il corpo di
Wells è meno traslucido e opalescente nelle prime luci dell'alba. La terra
sulla sua tomba è ancora smossa.
"Allora
chi?" domanda. Chiunque sia stato pagherà. Ci penserà lei se necessario.
"Che
importanza ha?"
Finalmente
si volta a guardarlo. Il suo migliore amico. Un ragazzo che aveva tutta la vita
davanti a sé, un futuro che gli è stato strappato ignobilmente. Chiunque sia
stato, merita la ferocia della punizione che gli spetta. Non è vendetta, è
giustizia.
"Chiunque
sia stato, è un assassino," parla lentamente, inesorabilmente. "Ti ha
ucciso a sangue freddo, colpendoti alle spalle. Merita di pagare le conseguenze
delle sue azioni."
Wells
la guarda come se la vedesse per la prima volta, come se non la riconoscesse.
"Che fine ha fatto la tua compassione?"
Clarke
si morde una guancia, abbastanza forte che il sapore del sangue le invade la
bocca, le sporca i denti. "È morta con te."
-
***
-
"Non
è stato Murphy!" esclama e la veemenza nella sua voce arresta i passi di
Bellamy. Lo sguardo che le rivolge è indecifrabile, le si pianta nel
cranio.
"Come
lo sai?"
Clarke
tace.
-
***
-
"Cosa
è successo? Tu sei morto. Ti ho ucciso. Cosa-" Charlotte si guarda attorno
e il panico nei suoi occhi sbarrati tinge la notte come un incubo. Come se
l'orrore di averla appena vista buttarsi da uno strapiombo non fosse
sufficiente, ora il suo fantasma è in piedi accanto a quello di Wells.
"È
tutto apposto," la rassicura Wells, incredibilmente paziente mentre le
tende una mano. "Ti stavo aspettando."
Dopo
che lei e Bellamy hanno bandito Murphy, dopo che ognuno si è diretto verso la
propria tenda inclusi Bellamy e Finn, Clarke rimane indietro e nel silenzio che
la circonda si avvicina ai due fantasmi che li hanno seguiti e che ora sono
seduti vicino al fuoco, impegnati a conversare, le teste accostate come se si
stessero confidando dei segreti. È un'immagine stranamente confortante, tanto
che per un attimo lei sceglie di sorvolare sul fatto che i loro corpi non
proiettino ombre sul suolo o sullo strano lucore della loro pelle, simile a
quello distante delle stelle, alla bioluminescenza da sogno delle lucciole.
"Sai
cosa ti trattiene?" sta dicendo Wells. Dopo la nottata appena trascorsa la
sua pacatezza è un balsamo per le orecchie. "Il tuo senso di colpa.
Perdona te stessa e potremo andare avanti."
Charlotte
aggrotta le sopracciglia, la confusione che prova è evidente. "Non
capisco. Perché sei così gentile con me? Ti ho portato via ogni cosa."
"No,
non ogni cosa." Wells scuote la testa. "Solo il mio futuro."
Clarke
vorrebbe ridere, invece si ritrova a lottare contro i singhiozzi. Charlotte è
la prima a registrare la sua presenza. "Cosa succederà adesso?"
domanda.
"Puoi
scegliere di rimanere," lei risponde impulsivamente.
"E
se non volessi?"
Clarke
sorride, ma è un sorriso doloroso. Sta cominciando a capire che a poco a poco è
quello che faranno tutti. Wells e Charlotte sono solo i primi a scegliere di
lasciarla, ma presto o tardi anche suo padre e Aurora e tutti quelli che
verranno faranno lo stesso. Cosa ne sarà della ragazza circondata dai fantasmi
allora? Cosa rimarrà oltre alla voragine della loro assenza?
"Puoi
scegliere di andare avanti," dice perché non può mentirle, non può essere
consapevolmente egoista cercando di trattenerla.
Charlotte
appare rincuorata e risponde al suo sorriso con uno incerto. Poi si volta verso
Wells e la sua espressione si accartoccia, la sua voce torna ad essere tremula.
"Mi dispiace per quello che ti ho fatto. Ero spaventata e volevo solo che
gli incubi scomparissero. Resterai con me?"
"Lo
prometto," dice Wells e la sua luce sembra più intensa, più chiara.
Abbraccia quella di Charlotte e la notte si stempera attorno a loro come se i
colori fossero stati diluiti. Quando cominciano a sbiadire, a Clarke manca il
respiro.
"Wells,"
lo chiama, la voce rotta dall'emozione, dalle lacrime che le bagnano le ciglia
e le guance.
Wells
la guarda e la pace nei suoi occhi è l'unico dettaglio su cui lei riesce a
concentrarsi. "Sei la migliore tra di noi. Lo sei sempre stata. Mi mancherai."
So
few grains of happiness
measured
against all the dark
and
still the scales balance.
The
world asks of us
only
the strength we have and we give it.
Then
it asks more, and we give it.
- Jane Hirshfield
ii
Si
sveglia e per un attimo è convinta di essere morta. Ogni sensazione è attutita,
il bianco vivido delle pareti le rende difficile tenere gli occhi aperti. Li
chiude e ricorda. Un anello di fuoco. Bellamy. Finn.
Quando
li riapre Aurora è china su di lei, l'unica macchia di colore e vita nella
sterilità impersonale della stanza e se non è quello un ossimoro.
Si
volta su un fianco, nasconde il viso nel cuscino. "È ancora vivo?"
mormora, la voce soffocata dal tessuto di cotone grezzo, la speranza una cosa
difficile da nascondere.
"Non
lo so."
Un
battito.
"Octavia?"
Una
leggera esitazione. Una carezza gelida e inconsistente sulla fronte. "Al sicuro."
-
***
-
Le
informazioni raccolte da suo padre durante le sue ricognizioni confermano i
timori che nutriva. Sembrava troppo bello per essere vero.
"Non
sono ciò che dicono di essere," dice Jake Griffin, pallido come non è mai
stato neppure in vita, le mani strette a pugno e qualcosa, in fondo ai suoi
occhi insolitamente duri e blu acciaio, la fa tremare per la furia che
contengono, a malapena trattenuta.
"Attenta,"
sussurra quando Dante entra nella stanza. "Non credergli."
Lui
e Aurora sono piantati come due pilastri accanto a lei, ognuno su un fianco.
Suo padre le stringe la spalla. Aurora le sfiora il gomito. Tocchi leggeri come
ali di farfalla, praticamente impercettibili.
Non sei sola,
sembra che stiano dicendo in quel loro modo silenzioso e quieto. Siamo con te. Non sei sola.
Per
la prima volta sente che potrebbe essere vero.
-
***
-
Il
fantasma di Finn non compare. Quella notte Clarke non chiude occhio. Non riesce
a capire se quello che prova è lancinante sollievo. Poi comincia a vederlo
dappertutto.
"È
solo un'eco," le spiega Aurora. "Non abituarti. Scomparirà in un paio
di giorni."
Pensava
che non vederlo fosse una punizione sufficiente, ora scopre che al peggio non
c'è mai fine.
-
***
-
Il
fantasma alle spalle di Lexa non evita più il suo sguardo. I suoi occhi sono grigioverdi,
i suoi capelli hanno una sfumatura ambrata. Clarke scopre il suo nome. Costia.
"Non
ti preoccupa il fatto di non essere la prima?"
Clarke
scuote la testa in modo impercettibile. È diventata efficiente nel portare
avanti conversazioni di questo tipo, fatte di silenzi e gesti e
microespressioni.
No,
non la preoccupa. Non lo è stata neppure per Finn. Non glielo ha fatto amare
meno intensamente, non le ha fatto detestare meno sé stessa per quello che gli
ha fatto.
Dopo
tanti anni, se c'è una verità che ha imparato sui fantasmi è proprio che
l'amore rappresenta il rimpianto più grande.
Con
Lexa impara anche che è una debolezza.
-
***
-
"So
che non approvi," dice. Sono sole nella tenda. Non riesce a guardare Aurora
negli occhi. Ha paura di quello che vi troverebbe. Disappunto, molto
probabilmente.
"Andrò
con lui," la sente dire dopo un intervallo di tempo che le è sembrato
interminabile. Clarke solleva la testa di scatto. Il mezzo sorriso che arcua la
bocca di Aurora le è più familiare del suo stesso riflesso. Gemello di quello
che Bellamy era solito rivolgerle quando la chiamava 'principessa'. "Non
sarà solo."
Esala
un respiro che non si era accorta di aver trattenuto fino a quel momento.
"Ti ringrazio."
Per
cosa la stia ringraziando, però, non è sicura nemmeno lei.
-
***
-
"Mia
figlia sarebbe potuta morire per colpa tua, ma in quel caso forse mio figlio
non sarebbe qui."
Clarke
ripensa al coro di lamenti e urla, al tanfo di carne bruciata, alla marea di
fantasmi ciondolanti tra le macerie di Tondc, a come i suoi stessi genitori
abbiano iniziato a guardarla come se fosse qualcosa di ripugnante, come se non
fosse più la figlia che hanno cresciuto e amato, come se un'estranea avesse
usurpato il suo posto.
Ripensare
a ciò che ha fatto non la fa dormire. Era necessario e lo rifarebbe,
soprattutto considerando l'alternativa. Questo non lo rende meno sbagliato. A
prescindere dalla missione e da ciò che comporta per salvare chi rimane dei cento
da Mount Weather, la vita di Bellamy non dovrebbe avere più valore di quella di
centinaia di sconosciuti. Non è sano. Non cambia la realtà dei fatti. Per lei
lo è. Bellamy è più importante.
"Non
mi perdonerà facilmente," dice.
Specialmente
quando scoprirà che ha messo a repentaglio la vita di Octavia.
"Il
perdono non deve essere facile," risponde Aurora, inesorabile come lo
scorrere del tempo, "altrimenti i nostri peccati smetterebbero di avere il
minimo peso."
-
***
-
Dante
non è la prima persona che uccide. I morti di Tondc pesano sulla sua coscienza
come il masso di Sisifo.
E
ora questo.
"Sei
sicura di quello che fai?" domanda Jake.
Sua
madre compare nello schermo e suo padre non batte ciglio, concentrato com'è su
di lei.
No,
non lo è, ma che scelta ha?
"Non
potrai tornare indietro," lui insiste. "Ti cambierà irreparabilmente,
ti segnerà a vita. Non tornerai mai ad essere la persona che eri prima. Sei
pronta ad accettare il peso delle morti che causerai, del loro sangue sulle tue
mani?"
Tutto
in lei rigetta quello che sta per fare, che sa di dover fare.
"Mia
sorella, una mia responsabilità," dice Bellamy, avvicinandosi a lei e alla
leva. Aurora fa una smorfia, come se le fosse stato inferto un colpo mortale,
ma rimane in silenzio ad osservare in un angolo, a braccia conserte, senza
intervenire. Solenne e rigida, la sua figura è un punto di luce fioca che
stride nel buio che li avvolge.
"Devo
salvarli," lei risponde a entrambi, sia suo padre sia Bellamy.
Suo
padre annuisce e la risoluzione con cui la guarda, in parte orgoglio in parte
cordoglio, le spezza il cuore. Ha già visto quello sguardo, sa già cosa sta per
dirle.
"Allora
non hai più bisogno di me."
È
davvero la fine?
Bellamy
sovrappone la mano alla sua sopra la leva. "Insieme," dice.
"Insieme,"
lei ripete. Suona come una promessa, come un'assoluzione.
Più
tardi, quando i fantasmi che abitavano Mount Weather cominciano ad ammassarsi
in superficie e a scomparire, lei è lì ad osservare. Nelle orecchie
riecheggiano ancora le recriminazioni di Jasper, ogni volta che chiude gli
occhi rivede il volto deturpato di Maya.
Sono
una moltitudine, uomini, donne e bambini uccisi dalle radiazioni - da lei
-, centinaia di Terrestri e di Mietitori. Il prato sembra troppo piccolo per
contenerli tutti. In prima fila, pronto a guidarli, suo padre ha ritrovato il
sorriso. Clarke ricomincia a respirare. Ci sono tutti e nella morte non c'è più
distinzione tra nemici e amici, tra colpevoli e innocenti. La morte li ha resi
uguali. Per un istante il mondo si riempie di luce sfolgorante e si propaga a
perdita d'occhio nel vuoto, incendiando il buio della notte come un'esplosione,
tanto che Clarke ne è accecata e deve coprirsi gli occhi, nasconderli dietro i
palmi delle mani.
Quando
la luce si spegne, si estingue anche il sogno. Il prato ritorna ad essere solo
un prato, i morti tornano ad essere i corpi da seppellire e il viso di suo
padre si trasforma nel ricordo che è sempre stato.
Quando
inizia a piangere, crolla sul prato ormai deserto, circondata dall'abbraccio del
cielo d'un tratto soverchiante. Ha mille ragioni per piangere. Piange per Finn,
per suo padre, per Maya, per Jasper e infine per sé stessa, per la ragazza che
era e che non esiste più, sepolta sotto il peso delle scelte impossibili, del
genocidio che ha appena compiuto.
Il sole può tramontare e poi risorgere.
Noi, invece, una volta che il nostro breve giorno si spegne, abbiamo davanti il
sonno di una notte senza fine.
- Catullo
iii
La
mattina inizia con la solita domanda. È diventato una specie di rito. Dopo aver
raccolto i pochi averi e camuffato il passaggio nella grotta in cui ha
trascorso la notte, Clarke registra le presenze che la perseguitano. Una in
particolare.
"Perché
sei ancora qui?" domanda a Maya, nascondendo poco e male un cipiglio. La
verità è che continua a non capire. Potrebbe essere con Jasper. Dopotutto -
"Non sono io il rimpianto che ti trattiene," dice e sa di essere nel
giusto quando, per la prima volta da quando le è comparsa davanti, Maya
incrocia il suo sguardo con uno fermo, le parole che le rivolge poche, ma
chiare e risolute. "No, ma io sono il tuo."
Niente
di più vero, pensa Clarke e annuisce tra sé. Questa deve essere una mattina
straordinaria sotto molti aspetti perché invece di ammutolirsi e andare a
controllare le trappole come farebbe di solito, lei frena ancora una volta i suoi
passi.
"Mi
odi?" È una domanda stupida. Anche se non la odia per quello che le ha
fatto, non la perdonerà mai per aver sterminato la sua gente. E ciò nonostante
ha bisogno di sentire la sua risposta. Dio, quando è diventata così
autolesionista?
La
sua esitazione è infinitesimale. "Giusto o sbagliato che fosse, è quello
che hai scelto," risponde Maya e scuote la testa. "Nessuno di noi è
innocente. Non scaglierò la prima pietra, Clarke. Non ero quel tipo di persona
quando ero viva. Non voglio diventarlo adesso che sono morta."
Clarke
va a controllare quelle dannate trappole.
-
***
-
La
prima volta che sente il nuovo nome che i Terrestri le hanno dato scoppia a
ridere e non smette finché non assaggia il sapore delle lacrime e le risate si
trasformano in singhiozzi.
-
***
-
"Devi
tornare a casa. Il tuo posto non è qui."
Seduta
vicino alla sponda del ruscello, Clarke continua a fare il bucato, ma arrischia
un'occhiata verso l'alto. Si rende conto all'istante di aver commesso un
errore. Lo sguardo di esasperata frustrazione, le rifrazioni di luce dalla
canopia sopra le loro teste che sembrano far emergere macchioline simili a
minuscole lentiggini sul viso affaticato di Aurora, la postura marziale delle
spalle e del bacino. Tutto grida un nome che lei si è proibita di pensare,
figurarsi nominare.
Deglutisce
a vuoto e chiude le mani a pugno per nascondere il leggero tremore che le
attraversa, riabbassando la testa.
"Non
è neppure con loro," risponde seccamente.
"Solo
perché hai deciso di non meritarlo," lei replica sulla falsariga del suo
tono. Poi si addolcisce considerevolmente. "È tempo di pace anche per
te."
Wanheda
sussurrano gli anziani, il suo nome si è già trasformato in uno spauracchio per
bambini. In una vita diversa sarebbe stata fisa,
una guaritrice. Non in questa, a quanto pare.
"Non
ci sarà mai pace per me." Una volta pronunciata, ha un sapore amaro come
tutte le verità che si preferirebbe dimenticare. "Non capisci?" Le
mani sono strette attorno alla maglietta che stava sciacquando, così forte che i
tendini cominciano a dolerle. "La guerra non è finita, non finirà
mai."
La
sente allontanarsi e conta i passi. Di solito è al decimo che scompare. Cinque. Sei. Sette. All'ottavo la sente
fermarsi. Un refolo di vento trasporta la sua risposta e anche questa fa male,
un bruciore intenso come una puntura di vespa. "Non è finita, è vero. La
porti ancora nel tuo cuore."
-
***
-
Non
smette di lottare. Lotta con le unghie e con i denti, come ha imparato a fare
allenandosi nei villaggi quando si fermava a barattare le sue prede in cambio
di notizie, erbe medicinali e spezie, vestiti.
Aurora
ricompare al suo fianco durante una sosta. "Cinque coltelli nascosti oltre
a quello con cui ti ha minacciato," elenca, in una procedura ormai
consolidata. "I suoi scarponi hanno una punta rinforzata." Scompare
di nuovo.
Ore
più tardi, dopo il terzo tentativo di fuga fallito, Aurora ritorna. Qualcosa
sul suo viso teso le fa battere il cuore più velocemente, ad un ritmo serrato.
Un nome, quello che si rifiuta di pronunciare, occupa con prepotenza ogni spazio
dentro di lei. Bellamy, canta il suo sangue. Bellamy, scricchiolano le sue ossa
indolenzite. Bellamy. Bellamy. Bellamy.
"Ti
sta cercando. Resisti finché puoi. Prendi tempo. Lui è vicino."
-
***
-
Il
vestito cerimoniale che le hanno fatto indossare le aderisce alla pelle come
una guaina. Le hanno intrecciato i capelli in un'acconciatura elaborata,
truccato gli occhi con colori di guerra. Osserva il riflesso nel piatto dorato
e vede un'estranea dall'aspetto ferale. Ha il suo volto, ma il suo sguardo è
freddo come ghiaccio, come una lama piantata a tradimento tra le scapole.
Si
chiede se sia così che la immaginavano quando hanno scelto di darle quel nome.
Wanheda. Una farsa. Solo un titolo senza alcun potere. Si passa le mani sul
vestito, spianando pieghe immaginarie.
Aurora
la osserva come un falco, senza battere ciglio. "Non essere nervosa."
"Non
lo sono," risponde.
"Sei
sicura di quello che fai?"
La
domanda ricorda una situazione analoga, per quanto le circostanze fossero
completamente differenti. Innesca ricordi dolorosi. Stringe le labbra. "Ho
scelta?"
Aurora
indugia. I suoi occhi incrociano i suoi nel riflesso distorto. "Un giorno
l'avrai," promette con un fiero cipiglio e poggia una mano sulla sua
spalla, stringendo leggermente, "e quel giorno sarà glorioso."
At
the start, the end, and in the middle.
Strange
how it mattered so much,
when
now it matters so little.
- Lang Leav
L'ultima
volta che l'ha visto, lei indossava le vestigia del titolo che le hanno
conferito come una maschera, come l'arma a doppio taglio in cui ha scelto di
trasformarsi. Lui le ha chiesto di tornare a casa. Lei ha rifiutato. Non era
pronta. Pensava di dover dimostrare che lo meritasse. Parte di lei lo pensa
ancora.
La
volta successiva che lo vede c'è il fantasma di una ragazza alle sue spalle. Ha
un viso a forma di cuore intelligente e attraente, sopracciglia eleganti e
sottili come ali di rondine. Clarke cerca di ricordare il suo nome, ma la
verità è che non ha idea di chi sia.
Quando
rimane da sola nella stanza, ammanettata e con il cuore spento, non riesce a
capire.
"Non
sono riuscita a convincerlo," mormora, rivolta a nessuno in particolare,
lottando contro il groppo in gola e il senso di abbandono. Perché?
Poi
ricorda la ragazza e ha la risposta che cercava. Senso di colpa. Sofferenza
nascosta dietro la rabbia. Vendetta venduta come giustizia. Ecco come Pike è
riuscito a conquistarsi la lealtà di Bellamy, la sua fiducia.
Le
persone circondate da fantasmi sono persone amate. Questo ha sempre pensato.
Questa convinzione cosa rivela del suo carattere, cosa lascia trapelare del suo
cuore? E cosa rivela di Bellamy che due donne abbiano scelto di rimanere con
lui anche dopo la morte?
-
***
-
"Perché
non è qui?"
Non
ricorda di aver mai provato un dolore simile. O forse sì. Tutti i dolori sono
simili nel profondo, eppure diversi. Come gli amori. I lutti si dimenticano,
impari ad anestetizzarli, addomesticandoli al tuo volere e poi, quando ti
sembra di essere tornato alla normalità, perdi qualcun altro e tutto ricomincia
daccapo, in un ciclo infinito di dolore perpetuo.
Aurora
indica la custodia di latta che contiene la Fiamma. "Perché è lì
dentro."
"E
se la distruggessi?" Si sente annaspare. "Sarebbe come voi?"
Per
la prima volta da quando la conosce, intravede un sentimento di commozione e
compatimento negli occhi di Aurora Blake. "Lo vorresti davvero?"
Quello,
più di qualsiasi altra cosa, rischia di spezzarla. "Non lo so,"
risponde sinceramente. Sotto la gabbia toracica il dolore è acuto e
persistente, come se una costola si fosse rotta e le avesse perforato un
polmone. "Non so più cosa voglio. So solo che sono stanca di essere
sola."
Aurora
annuisce, le labbra strette, il volto illuminato dai riverberi delle candele in
un gioco di chiaroscuri frastagliati. "Torna a casa, Clarke," dice
alla fine e quella semplice affermazione sembra risucchiare l'ossigeno della
stanza e ogni energia residua dal suo corpo. Ferrea ostinazione e adrenalina la
mantengono in piedi oramai.
È
una preghiera e molto, molto di più.
"Ne
ho ancora una?"
"Ne
avrai sempre una," lei risponde. "La tua sono le persone che
disperatamente proteggi."
-
***
-
Il
fantasma di Lincoln è uno dei più luminosi che abbia mai visto. Clarke sente le
lacrime pungerle gli occhi, indesiderate. Potrebbe crollare da un momento
all'altro. Questo, più dell'addio di Wells o di suo padre, è il punto di non
ritorno. Poi Aurora abbandona il suo fianco e stende la mano verso Lincoln, che
la sta osservando con uno sguardo di ammirazione e muta meraviglia. Deve avere
già intuito chi è la donna che gli sta di fronte. La somiglianza è rimarchevole
dopotutto.
"Piacere
di conoscerti, ragazzo," dice e se la piega spigolosa del suo sorriso è
puramente Octavia, il modo in cui lo soppesa, freddo e calcolatore, è
interamente Bellamy, la sua feroce protezione. "Suppongo di essere la
suocera invadente. Farai meglio a metterti al lavoro. Clarke sta provando a
ingraziarmi da mesi."
-
***
-
Un
campo fangoso e trecento cadaveri di Terrestri con ferite causate da armi da
fuoco.
Bruciarli
richiede il lavoro congiunto di trenta uomini.
Alla
fine della giornata è talmente esausta che ogni muscolo del suo corpo reclama
il conforto di un letto. Invece di avviarsi verso la tenda che lei e Lexa
condividono, si lascia cadere con un tonfo dove si trova. I fantasmi sono una
filiera di perle contro l'orizzonte. Troppi per contarli. Troppi per fingere
che non esistano.
Aurora
compare al suo fianco, grigia come un cielo nuvoloso, gli occhi che sembrano
piombo fuso, l'inverno nella spina dorsale.
Quando
vede comparire anche Lincoln, quando lo vede avviarsi verso i fantasmi
accalcati, Clarke capisce. Il suo cuore emette note discordi, come tamburi da
guerra. Gli corre incontro. Ha ricominciato a piovere e le sue lacrime si
mischiano alla pioggia, ripulendo le sue guance striate di terra, sangue e
sudore.
Il
sorriso di Lincoln è lo stesso di suo padre, lo stesso di Wells. Ineffabile.
Enigmatico.
Non
può farlo. Non può. "Cosa mi dici di Octavia?"
Lincoln
si ferma e le mani le prudono per il desiderio che ha di ritrarlo come appare
in quel momento. Un uomo bloccato in una tempesta, nell'unico punto di quiete
mentre il resto del mondo collassa e si sgretola. Gocce di pioggia intrappolate
sulle sue ciglia, sul naso, sulla fronte.
"Il
mio popolo, una mia responsabilità," risponde con un tono ieratico,
fissando lei e Aurora con occhi insondabili come abissi.
Il
mondo brilla di nuovo di fronte a lei, ardendo e divampando e, non per la prima
volta, quando il sogno svanisce, il peso del suo dovere le frana addosso.
Questa volta non crolla. Le sue spalle hanno avuto il tempo di abituarsi a quel
fardello, sono abbastanza larghe da sopportarlo adesso.
"Il
mio popolo, una mia responsabilità," ripete. Ha il sapore sacro di un
giuramento, ma anche di una condanna.
These
mountains that you are carrying, you were only supposed to climb.
- Najwa Zebian
iv
"Perché
non lo hai lasciato parlare?"
Sa
cosa le sta chiedendo davvero.
La
conosce abbastanza bene da afferrare al volo il velato rimprovero che la
domanda lascia solo trapelare. Se esiste una sostenitrice del suo lieto fine,
una più accanita di sua madre, quella è Aurora Blake. Tanto meglio se
sopracitato lieto fine prevede anche Bellamy.
Il
letto è quasi troppo comodo. Dopo mesi trascorsi a dormire su brandine o per
terra o a non dormire affatto, è una sensazione strana sprofondare nella
morbidezza dei cuscini, sentire il copriletto setoso sotto i polpastrelli. La
doccia calda è servita a sciogliere la tensione accumulata dietro il collo,
nella sua schiena. Non è bastata a spegnere la stanchezza che incendia ogni
nervo del suo corpo. I suoi pensieri sono ancora in guerra, non riescono a
trovare un punto d'intesa.
Clarke
non distoglie lo sguardo dal fuoco scoppiettante del camino mentre cerca di
raccogliere le parole che fanno a pugni nella sua testa per trasformarle in
frasi di senso compiuto.
"Voglio
che lo dica perché è la verità," risponde alla fine, la voce poco più alta
di un bisbiglio, "perché pensa che sarà la prima di molte altre volte. Non
perché il mondo sta finendo e perchė potrebbe essere l'ultima occasione per
dirlo." Volta la testa e nell'espressione intensamente vigile di Aurora
trova la boccata d'aria fresca di un prato vuoto e illuminato dalle stelle, di
una pioggia obliqua a ripulirla dall'odore della morte, di un sorriso di pura
luce. "Voglio iniziare la nostra vita insieme in tempo di pace. Sono stanca
di combattere, anche se non so che persona diventerò quando sarò costretta a
deporre le armi."
Aurora
non batte ciglio. Le sue mani le scostano i capelli ancora umidi dal viso. Sono
fredde al tatto come l'acqua ghiacciata di un ruscello di montagna, la canna di
un fucile. Lei non si ritrae al contatto. Il tocco della morte ha smesso di
spaventarla da anni. Negli ultimi mesi è diventato per lei più caro e reale
delle carezze dei vivi.
"Sei
una persona straordinaria," dice Aurora e la sincerità con cui la sta guardando,
l'amore e la tenerezza che brillano nei suoi occhi, sono abbacinanti. "Che
sia tempo di pace o tempo di guerra, non cambia ciò che sei qui dentro e qui
dentro." Una mano si poggia sul suo petto, due dita le sfiorano la fronte.
"La tua testa e il tuo cuore sono nel giusto, lo sono sempre stati."
-
-
I
fantasmi restano indietro per il rimpianto, ma poi rimangono per amore, per
devozione. I fantasmi per lei sono sempre stati quello. La testimonianza che la
morte non uccide l'amore.
Con
Echo è la prima volta che non è così. L'odio brilla spietato nel volto della
ragazzina alle sue spalle, affilato come un rasoio.
"Mi
ha ucciso," spiega la ragazzina con un sorriso ferino. "Mi ha ucciso
e ha rubato il mio nome. Un giorno morirà e io sarò qui ad aspettarla."
Clarke
ha smesso di tremare di fronte alle minacce, agli orrori della guerra. Anche di
fronte alla fine del mondo rimane un guscio vuoto, le sue reazioni edulcorate.
Però prova ancora sgomento. Le promesse dei fantasmi hanno un valore diverso da
quello dei vivi. Sono inviolabili e non si può tornare indietro perché il
prezzo, in caso di spergiuro, è l'anima e un tormento immortale.
-
***
"Non
farai in tempo. Non puoi andare."
È
la fine. Lo capisce nel momento in cui perfino Aurora non riesce a cancellare
l'angoscia dai suoi occhi sbarrati e apprensivi e cerca di intralciarle la
strada. È la prima volta che le rivolge la parola da quando ha chiuso Octavia
fuori dal bunker, da quando ha puntato una pistola contro Bellamy.
Clarke
serra la mandibola, contrae le spalle. Il dolore le riverbera dalla bocca e
dalla base del cranio lungo il collo e la schiena come un serpente di fuoco.
La
sconfitta ha il sapore della cenere e del ferro sotto la lingua. Le gira
attorno e comincia a incamminarsi verso la torre satellitare a testa bassa.
"Devo."
-
***
-
Il
cielo esplode attorno a lei in una deflagrazione che le rimbomba fin dentro le
ossa. La terra trema sotto i suoi piedi dietro l'azione distruttrice delle
radiazioni. Clarke ne respira la violenza e ogni inalazione è un tormento che
diventa più insistente ad ogni secondo che passa, senza offrirle tregue di
alcun genere.
Nella
salvezza del laboratorio di Becca, mentre cerca modi per contenere l'agonia e
alleviare il bruciore diffuso indistintamente su tutto il suo corpo, una voce
la accompagna nelle sue manovre.
Le
pareti continuano a oscillare davanti ai suoi occhi. Il suo respiro suona
simile a un fischio, ha sangue sui denti e sulle gengive. Una voce che lei
conosce, così simile a quella di Bellamy e altrettanto adorata, che a poco a
poco si abbassa e scompare come una marea, la segue nell'oblio.
"Clarke,
respira. Puoi farcela. Hai affrontato cose peggiori. Respira. Respira."
Clarke
respira e quando si risveglia, anche se una parte di lei non vorrebbe, continua
a farlo.
-
v
-
È
completamente sola. Per la prima volta in vita sua non ha neanche un fantasma a
farle compagnia. La sua teoria è che sia colpa delle radiazioni. Devono
interferire o qualcosa di simile.
Si
guarda attorno. Questo mondo che è bruciato e continua a bruciare, che sta
morendo per poter rinascere nella metafora che è la vita stessa. Il cerchio che
si chiude e poi ricomincia daccapo il suo ciclo, in un susseguirsi di azioni e
ripetizioni. Morta viva. Un ossimoro,
pensa. Si gira per condividerlo con –
Il
momento passa, il silenzio resta. La sensazione sottopetto si aggrava.
Non
si è mai sentita così sola.
-
***
-
Ad
Arkadia segue la scia di devastazione fino ai quartieri interni. Supera senza
fermarsi il bar, gli scheletri inceneriti che contiene.
Intasca
la lettera d'addio che Jasper ha lasciato per Monty e se anche è un po' umida,
chi è rimasto per rimarcarlo?
Prima
di andarsene accarezza un'ultima volta gli occhiali di Jasper. Ripensa al
ragazzo trafitto da una lancia e a cui ha salvato la vita, non a quello a cui
ha spezzato il cuore. A una ragazza che amava l'arte come esaltazione della
capacità espressiva dell'uomo e del suo genio, incapace di essere meschina
anche di fronte alla morte.
"Spero
che siate insieme in un posto migliore," bisbiglia e il silenzio intorno a
lei non è mai stato così assordante.
-
***
-
Aurora
ricompare non appena mette piede nella valle. Il suo profilo austero, capace di
dimostrare in qualsiasi occasione una calma composta e serena, subisce un
mutamento repentino nel momento in cui i loro sguardi si incrociano. La
confusione iniziale cede il passo ad un'emozione diversa, più violenta, poi si
incrina.
Dicono
che la morte è imperturbabile e immutabile. Che è la fine di tutto, la nota di
chiusura. Che raccogli ciò che hai seminato in vita. È una spudorata menzogna.
"Grazie
a Dio," boccheggia Clarke tra i singhiozzi. Le braccia di Aurora la
avvolgono ed è come essere abbracciati dalla pietra, dalla foresta stessa. È
come se gli alberi avvertissero nell'aria l'intimità di quella riunione e volessero
condividerla con luce e calore, il verde delle foglie più brillante che mai, la
terra malleabile e cedevole sotto le ginocchia.
-
***
-
L'atmosfera
peculiare che ha percepito mettendo piede nel villaggio ora si spiega,
annichilendola.
Una
bambina circondata da un intero clan di fantasmi. Il pensiero le stringe il
cuore.
"Mi
prenderò cura di lei. Non lascerò che le accada nulla di male. Lo
prometto."
I
fantasmi non parlano inglese, ma afferrano il significato delle sue parole,
dell'impegno che ha appena assunto. Lo ha già visto in passato con Wells, con
suo padre e con Lincoln, ma mai così. È come assistere all'implosione di una
costellazione di stelle. I loro visi pacifici, divorati da una luce di una
purezza impossibile, più abbagliante del sole.
Il
rimpianto di un genitore amorevole, quello di aver abbandonato il proprio
figlio, affrancato dalla consapevolezza di lasciarlo in mani fidate.
-
***
-
"Non
capisco."
Aurora
ha seguito la traiettoria del suo sguardo smarrito. In qualsiasi altra
occasione Clarke troverebbe divertente l'incredulità sul suo viso. Ora invece
le chiude la gola in una morsa. Abbraccia Madi un po' più stretta e distoglie
velocemente gli occhi dal bacio che Bellamy e Echo si stanno scambiando.
Qualcosa dentro di lei si frantuma sotto l'ennesima consapevolezza. Sei anni, dice una voce dentro di lei. Credevi davvero che nulla sarebbe cambiato?
Credevi davvero di poter ricominciare dal punto in cui vi eravate lasciati?
Aurora
le poggia una mano sulla spalla.
Non
capisce neppure lei, vorrebbe dirle, ma l'incomprensione l'ha resa muta come
una tomba, l'ha tramortita.
-
***
-
Ci
sono così tanti fantasmi, troppi per contarli. Le loro espressioni vuote le
fanno accapponare la pelle. Ha già visto quegli sguardi in altri visi emaciati
e il senso di sbigottimento che prova è lo stesso che ha provato allora, quello
scaturito dalle tenebre indotte dai cuori degli uomini.
Ricorda
come se fosse ieri la storia di Ajay. Aveva quindici anni quando ha scoperto
del Blight. Memorie di quando era una bambina e prendeva il tè con una
signora dagli occhi tristi. L'idea che quella fosse stata la sua fine- la bile
le riempie la gola, ora come allora. Questa volta non rigetta e non lascia che
i singhiozzi le squassino la schiena come se potessero spezzarla. Ingoia il
boccone acre e lascia che l'orrore le scorra nelle vene come veleno, come
acido. Pianta con maggiore fermezza i piedi a terra. I suoi occhi bruciano. Non
piange e non distoglie lo sguardo dall'esercito di morti che la attornia, il
loro salmodiante 'Wanheda' quando si accorgono di lei.
"Qualsiasi
cosa sia successo, deve essere stato terribile. Clarke-"
Lo
sa, non serve che Aurora aggiunga altro. Non una parola di questo dovrà
raggiungere Bellamy. Non finché riesce a evitarlo.
-
***
-
"Non
è la figlia che ho cresciuto," dice Aurora e la sua disperazione è come
una lacerazione. Osservarla è un'esperienza più straziante di qualsiasi trauma.
"Nessuno
di noi è rimasto lo stesso," cerca di confortarla, ma Aurora non dà segni
di cedimento. La sua logica è rigorosa, non lascia spazio a inutili
sentimentalismi. Che proprio questa donna, una creatura razionale e dalla mente
pragmatica e poco prone a manifestazioni affettive, abbia scelto
consapevolmente di contravvenire alla sua stessa natura per amore potrebbe
apparire come uno dei più grandi misteri dell'universo conosciuto. Potrebbe e
può per chiunque che non sia Clarke.
"Tu
lo hai fatto in tutto ciò che conta," replica Aurora, il lutto inciso
profondamente nel suo viso irrigidito dalla preoccupazione. "La guerra può
averti indurita, ma il tuo cuore non ha smesso di battere, non ha smesso di
spezzarsi."
A quello Clarke non sa come rispondere. È una delle primissime lezioni che ha imparato dopotutto. Un cuore spezzato continua a battere e a funzionare e niente gli impedisce di spezzarsi più e più volte.
-
***
-
"No,"
dice Bellamy, conciso e brusco, ma Clarke punta lo sguardo oltre la sua spalla,
sulla donna dall'aspetto concentrato e grave che è a braccia conserte dietro di
lui.
"Rimane
mia figlia," lei risponde. "Se lo fai, dovrai dirmi addio."
Clarke
sente il colore defluirle dal volto.
La
sua idea viene prontamente accantonata.
-
***
-
"Sai
che l'ha fatto per salvarti la vita. Octavia ti avrebbe uccisa."
Lo
sa. Certo che lo sa. Ma ci sono avversari più temibili, sorti peggiori. Non
teme la morte. Perché dovrebbe? Ha visto cosa l'attende, sia che decida di
rimanere sia che decida di andare. Non ha motivo di provare paura.
"Ha
preso mia figlia e l'ha resa un bersaglio. L'ho pregato di non farlo e lui l'ha
fatto lo stesso." Sui polsi sono visibili le abrasioni che si è procurata
dopo che lui l'ha lasciata incatenata a un muro a gridare e disperarsi. Se non
le disinfetta a dovere e le fascia con bende sterili potrebbero infettarsi. Ci
sono punti in cui le escoriazioni sono profonde e lasceranno cicatrici. Non che
le importi, non davvero. Cos'è una in più? Soprattutto quando ce ne sono altre
nascoste, sottopelle, che non guariranno mai. "Perché la sua famiglia è
più importante della mia," conclude amaramente.
"Lo
so," dice Aurora e c'è un intero mondo di verità dolorose racchiuso in
quella semplice affermazione. Mia sorella, una mia responsabilità, riecheggia
nella sua testa. Sono trascorsi anni da allora. Certe cose non cambiano e certe
esperienze smettono di essere traumatiche, ma definiscono il tipo di persona
che sei. È tipico di Bellamy sacrificare qualsiasi cosa per salvare coloro che
ama. Fa parte di lui, della sua natura. Un tratto imprescindibile.
Arrischia
un'occhiata alla sua destra per accertarsi di non aver svegliato Madi.
Raggomitolata sul sedile anteriore, è pallida e sudata e la sua espressione non
si è rilassata neppure nel sonno. Clarke digrigna i denti.
"Tu
non lo perdoneresti," dice.
"Ecco
perché sei una persona migliore di me. Il tuo amore ti rende più forte."
Amore.
Sì, lo ha amato un tempo, continua a farlo tuttora. Di un amore disperato e
assolutista. Ha amato il ricordo del ragazzo che conosceva, senza avere la
minima idea dell'uomo che sarebbe tornato dopo sei anni tra le stelle. Animata
dalla cieca fiducia in lui, nel loro rapporto. Ma ora, nell'ora più buia di
tutta la sua vita, non è più convinta di quello che accadrà, che quella fiducia
sia stata ben riposta. Non solo in lui, ma anche in sé stessa. Perché nella
quiete della Rover, mentre guida nel deserto, può finalmente ammetterlo.
Bellamy non è l'unico ad essere cambiato. Anche lei lo è. Forse è questo il
problema. I ruoli si sono ribaltati, le dinamiche devono necessariamente
adattarsi. L’ho amato come uno di voi, come se fosse un fantasma. Ecco,
il suo errore. Non ha mai preso in considerazione la prospettiva del
cambiamento inevitabile operato dal tempo, dalla separazione.
"Non
lo so più."
"Sì
che lo sai o non ti sentiresti così."
"Mi
ha tradita."
"E
tu lo stai abbandonando per questo."
"Octavia
non ucciderà il suo stesso fratello."
"Dovrà
se vuole mantenere il potere. Un tempo lo avresti capito. Certi sacrifici sono
necessari per il bene comune. Ora sei troppo accecata dalla paura di perdere
ciò che ami per salvare tutti loro, per ricordare chi sei."
Chi
è? Wanheda sembra un ricordo lontano. Dopo sei anni trascorsi ad essere
semplicemente Clarke, pensava di essersi sbarazzata di quella parte del suo
passato. Ora capisce che è stata una speranza ingenua. Non andrà mai via, non
la lascerà mai libera. Non smetterà di perseguitarla. "Non voglio più
essere quel tipo di persona. Pensavo -" si zittisce di colpo e comincia a
battere le palpebre per disperdere le lacrime. Ha la vista offuscata. Non serve
che dica altro. Aurora ha già capito. Stringe il volante e preme il pedale
dell'acceleratore.
-
***
-
Sta
osservando Madi e Bellamy. Nella sua mente è già partito il conto alla
rovescia. Clarke stritola la radio come se ne andasse della sua vita. Aurora
sembra distratta e quando capisce il motivo è troppo tardi.
Bellamy
e Madi sono nella stessa posizione, ma all'improvviso non sono più soli.
Centinaia di fantasmi hanno occupato la radura e il loro lucore è pallido e
intermittente. Aurora si allontana da lei e il cuore di Clarke perde un colpo
prima di ricominciare a battere disperatamente, come un uccello in gabbia che
cerchi di uscire. "Cosa stai facendo?"
Aurora
non sorride e forse la ama un po' di più per questo. L'idea di lasciarla non le
provoca alcun piacere. "Io resto qui," risponde.
"No,
non puoi-" devi rimanere con me.
"Qualcuno
deve guidarli nell'Oltre. Sai che è la scelta intelligente. Come Jake e Lincoln
prima di me, ora è il mio turno."
"Non
posso perdere anche te." Non sta sussurrando e non si sta nascondendo. Che
vedano pure, pensa. Che pensino che è impazzita. La grande Wanheda, finalmente
spezzata dal peso delle atrocità che ha commesso in nome della pace. "Non
posso rimanere sola."
"Oh,
tesoro." Aurora ripercorre i passi che le separano. Le poggia una mano
sulla guancia, le sfiora la fronte con un bacio in una dimostrazione d'affetto
più unica che rara. La sua luce, più forte che mai, sembra volerla accogliere
dentro di sé. "Non sarai sola. Guardati attorno. La distanza che vedi è
solo un'illusione. Basterebbe così poco per colmarla."
Come
una falena attratta dalla fiamma, Bellamy si volta in quel momento per
rivolgerle uno sguardo che lei non riesce a decifrare. Clarke riporta la sua
attenzione su Aurora. "Non ne sono in grado." La sua gola è così
gonfia che ogni parola ha un suono raspante.
"Gli
ultimi passi sono sempre i più difficili."
"Ogni
passo lo è per me."
"Non
deve essere così per forza. Digli quello che provi. Non aspettare."
"Mi
odia."
"È
arrabbiato. Gli passerà. Il perdono è il cuore pulsante del vostro rapporto. È
arrabbiato perché tiene a te. Devi solo avere pazienza."
Quando
si scosta e comincia a scendere la rampa, è come se le fosse appena stata
strappata metà di sé stessa. Come può continuare a vivere, come può
sopravvivere dopo qualcosa di simile?
Allunga
una mano per trattenerla, ma Aurora è già fuori dalla sua portata. Non riesce a
respirare e le lacrime le rendono difficile vedere. Tutto è ricoperto da una
patina, come una lastra di vetro. "Non andare. Ti prego."
Anche
il resto dei fantasmi sta cominciando a brillare. Aurora sta piangendo come
lei, ma sta anche sorridendo. Un sorriso rivolto a lei, solo per lei.
"Ti
amo come una figlia. Ti ho vista lottare contro il mondo e contro te stessa.
Crescere nella donna coraggiosa e forte che sei sempre stata destinata a
diventare. Un guerriero. Una guaritrice. Una madre. Sono così orgogliosa di te,
Clarke. Così grata del tempo che abbiamo trascorso insieme. Ma ora quel tempo è
finito e per entrambe è arrivato il momento di voltare pagina."
Tu sei stata la mia pace quando
credevo di non meritarla, pensa.
"Aurora-"
La
luce è più forte. Remotamente sente Raven urlare di chiudere il portellone. Registra
l'ordine, come Bellamy si sia voltato verso di lei, ma non riesce a muoversi, a
parlare. È totalmente estraniata.
La
luce si è trasformata in fuoco, è come osservare le radiazioni espandersi
dall'alto di una torre satellitare. Bianca, accecante, tagliente come una lama
che satura i colori con contorni netti, definiti.
"Questo
non è un addio," dice Aurora, il suo viso una stella che muore.
"Nella speranza di rivederci."
Non
distoglie lo sguardo. Sa che dovrebbe. Il mondo brucia di nuovo attorno a lei,
trema sotto i suoi piedi. Questa volta, quando tutto è finito, lei collassa sul
pavimento e sceglie di rimanere nel sogno ancora un poco. Qualcuno glielo
impedisce.
"Cosa
succede? Clarke?"
Lei
si copre le orecchie, si piega su sé stessa, cercando di rendersi piccola,
invisibile. Non vuole sentire. Non vuole vedere. Tutto ciò che vuole è rimanere
in quella luce che ripulisce ogni peccato, che cancella ogni sofferenza.
"È
andata," ripete, cullandosi. "Se ne è andata."
Minuti
o ore più tardi, qualcuno la prende in braccio. Il suo cervello riconosce
istintivamente il corpo premuto contro il suo. La voce che le sussurra
all'orecchio, promettendole che andrà tutto bene, la fa piangere un po' di più.
Le iniettano qualcosa nel collo.
L'oblio
non è mai stato così dolce.
-
***
-
Attorno
a lei le voci continuano a parlare, accavallandosi l'una all'altra.
"Di
cosa diavolo sta parlando?"
"Amico
delle anime. Keryonlukot. Può vedere gli spiriti dei guerrieri dopo che ci
hanno lasciati.”
“Da
quanto tempo va avanti? È sempre stata così?"
“Non
lo si diventa. Dicono che è qualcosa con cui si nasce.”
"Frena.
Frena. State davvero dicendo che Clarke è capace di vedere i fantasmi?"
"Non
solo vederli. Parlare con loro, fare da tramite tra i vivi e i non-morti. Non
ne avevo mai incontrato uno. L'ultimo di cui rimane traccia è stato ucciso dal
Comandante Oscuro quando ero soltanto era una bambina."
"Ucciso?
Perché?"
"Per
lo stesso motivo per cui davano la caccia a Wanheda. È un potere terrificante
poter vedere non solo gli alleati, ma anche i nemici caduti in battaglia, le
persone che tu stesso hai contribuito a uccidere. È un peso che pochi riescono
a sopportare senza impazzire. Ecco perché sono tanto preziosi ed ecco perché
persone come lei diventano guaritori, mai guerrieri."
Le
voci vanno e vengono. Il dolore resta, non si affievolisce. La sta mangiando
viva.
-
***
-
"Per
tutto questo tempo ha mantenuto un segreto del genere. Perché non mi ha mai
detto nulla?"
Può
percepire la frustrazione che si irradia da lui, la rabbia sorda a malapena contenuta
nella sua voce, il senso di impotenza, il tradimento.
"Le
avresti creduto?" domanda Raven. "Ascolta, siamo tutti colpevoli
qui."
"Non
quanto me."
"Giusto,"
commenta Murphy, "perché il vostro rapporto è unico e speciale."
Come
per Bellamy, non ha bisogno di vederli per immaginare le loro espressioni.
Anche a occhi chiusi riesce a vedere la fronte accigliata di Raven, Murphy
mentre rotea gli occhi. È doloroso sapere di conoscerli così bene per poi
ricordarsi che non li conosce affatto. Non più. Li ha persi e la colpa è solo
sua.
Le
voci tornano ad essere sussurri.
-
***
-
"Chi
altro? Wells?" Il tono di Bellamy è secco, burbero.
Clarke
annuisce, non solleva la testa. Non si fida della sua voce in questo momento.
"Tuo
padre?"
Annuisce
di nuovo.
"Finn."
Il fatto che sia più un'affermazione che una domanda e il modo in cui ha
pronunciato il suo nome, come se stesse pregando che lei neghi e lo rassicuri
del contrario, la convincono ad incrociare il suo sguardo.
Si
rende subito conto di aver commesso un errore. Non perché ha un aspetto
orribile, ombre violacee intorno agli occhi cupi e uno sguardo che potrebbe
uccidere sul posto, ma perché per un attimo lei ha visto altri occhi, un altro
viso. Prova una fitta al cuore.
"Solo
un'eco," si costringe a rispondere.
Questa
volta è lui ad annuire, a distogliere lo sguardo per primo. Bellamy storce la
bocca in una smorfia. Gli dà un'espressione feroce che non vedeva da anni, da
prima del Praimfaya.
"Lexa?"
"È
nella Fiamma," risponde. Rimpianta. Perduta. "Finché quella
cosa esiste, sarà intrappolata lì dentro."
Osserva
il modo in cui i suoi occhi si sgranano leggermente, il momento in cui la
comprensione li attraversa. Può leggere i suoi pensieri come se fossero i suoi.
Ecco perché non voleva che Madi-
Bellamy
deglutisce, poi continua a interrogarla. "Mount Weather. Li hai visti dopo
che -"
Clarke
stringe i pugni sopra le lenzuola. Non vuole pensarci. Non può pensarci. Suo
padre. Un prato troppo piccolo e troppo vasto, tappezzato di fiori
selvatici. Scaccia i ricordi come farebbe con insetti molesti.
"E
Tondc," lo interrompe velocemente. "E-" ma qui tace, mordendosi
la guancia in un rimorso di coscienza che non riguarda lei.
"Cosa?"
la incalza lui. La conosce troppo bene per non capire cosa vuole evitare, cosa
sta cercando di non dire. Così bene che riesce ad unire i puntini facilmente,
mettendo in relazione causa ed effetto. Lo schianto è silenzioso, ma non meno
orribile da osservare. "Il massacro," lui intuisce. Un muscolo guizza
nella sua guancia, mostrando il primo segno di cedimento in una maschera
altrimenti perfetta. "Anche loro?"
"E
Lincoln."
Lui
continua a osservarla come se la vedesse per la prima volta, come se fosse
un'estranea che non conosce, qualcuno da rivalutare. Non dovrebbe ferirla così
tanto eppure mentirebbe se affermasse che è immune al suo disprezzo, alla sua
mancanza di fiducia. "Tutto questo prima del Praimfaya," dice,
recidendo il silenzio di tomba con un colpo di forbici.
Clarke
rimane immobile. Stesa sul letto dell'infermeria, il corpo ancora languido ed
estenuato, la mente frastornata a causa degli effetti del tranquillante non del
tutto smaltito, cerca di non pensare a loro, a tutte le persone che ha perso,
che l'hanno lasciata. È difficile non farlo, soprattutto ripensando alle parole
e ai gesti di conforto che loro le avrebbero riservato in momenti simili. I
morti sono più compassionevoli dei vivi, la loro gentilezza è autentica, non ha
secondi fini. Nei vivi c'è troppo orgoglio, troppa paura. I vivi pensano di
avere tutto il tempo a loro disposizione. I morti sanno che il suo scorrere non
è infinito, che è ingannevole. I vivi si ritengono infallibili, i morti
riconoscono che tutti sono fallibili.
Bellamy
fa un'altra orribile smorfia. Si strofina il volto. "Nel bunker. Hai visto
qualcuno?"
"Non
molti."
"Lascia
che sia a giudicarlo. Quanti?"
"Bellamy,"
sussurra, ma non c'è pietà nei suoi occhi quando si piantano nei suoi. Sono
ferite aperte, foschi e tormentati. "Quanti, Clarke," lui ripete a
voce pericolosamente bassa, minacciosa.
"Più
di un centinaio," ammette.
"Cristo
Santo," lui sbotta, prima di ricomporsi. "La donna per cui stavi
piangendo-"
"Non
voglio parlarne," lei dice in fretta. Pensare ad Aurora non è come pensare
a suo padre, a Wells o a Lexa. Loro li ha conosciuti e amati quando erano vivi,
il tempo trascorso con loro dopo che sono morti è stato un surplus. Nonostante
questo, perdere loro non è nemmeno paragonabile alla perdita di Aurora. Il
lutto per lei è qualcosa che non supererà mai, le è entrato nel sangue come una
tossina. Fa parte di lei.
Bellamy
aggrotta la fronte, si piega in avanti. "Io-"
Lei
non lo lascia finire. "No, non capisci. Non posso parlarne. Non vedi?" Spalanca le braccia. Vuole che lui
veda, che capisca. Aurora l'avrebbe fatto. "Ovunque io vada, porto con me
morte e distruzione. Ogni persona che amo muore. Sono maledetta. Il mio amore è
una maledizione." Chiude gli occhi per nascondere la sua debolezza. Bruciano
come succedeva durante le tempeste di sabbia. Vigliacca, pensa. Non le
importa. "Voglio rimanere da sola." Non è una richiesta e non è
neppure un ordine, ma qualcosa a metà strada.
Lo
sente indugiare e non sa se urlare o piangere.
Cos'altro vuoi da me. Ti ho dato ogni
cosa. Tutto ciò che sono. Tutto ciò che ho fatto. Ogni nome che volevi tranne
uno. Non lei, pensa. Vuole che rimanga sua ancora per
un po'. Solo così potrà cullarsi nell'illusione di non averla persa, che sia
ancora con lei.
-
***
-
La
verità le esplode in faccia e com'era prevedibile, conoscendo la sua fortuna,
viene fuori nel peggior modo possibile.
Durante
la fuga dalla valle qualcuno deve aver avuto il tempo di recuperare alcuni dei
suoi oggetti personali. Non riesce a spiegarsi altrimenti il malconcio libro
nero che Bellamy ha in mano e che le sta agitando davanti al viso. Quello che
Aurora, per prenderla in giro, chiamava il suo diario di bordo.
"Questo
disegno," lui glielo indica e Clarke fissa imbambolata la pagina su cui è
aperto. Nel primo schizzo del foglio Madi ha appena pescato una trota e gliela
sta mostrando con un sorriso di gioia trionfante. La sua figura colta nel
movimento vibra di entusiasmo, esuberanza, vitalità. Nel secondo – il suo cuore
perde un battito - c'è Aurora. Seduta su un masso, un alone di luce a brillarle
attorno, guarda davanti a sé con un'espressione rilassata e stranamente disarmata.
Ricorda distintamente quella giornata e nel ricordare, la nostalgia di quei
giorni la sopraffà. Rari giorni di sole. Sembrava tutto più facile allora. Nell'incertezza
del domani si diventa custodi ed estimatori di momenti come quelli, si impara a
riconoscerne la fragile e dirompente bellezza e a coglierli prima che
avvizziscano, a dare valore a ciò che è davvero importante.
"Come
puoi averlo fatto?" domanda Bellamy. Non ha ancora realizzato l'entità
delle sue omissioni. "Non l'hai mai conosciuta. È morta mentre eri nello
Skybox, prima che ti spedissero sulla Terra. So per certo che non l'hai mai
incontrata. Come-" Ha capito. "Era lei. È stata qui tutto il
tempo?" La rabbia gli ha dilatato le pupille e c'è una vena sulla sua
tempia che pulsa e assomiglia a una radice esposta. "E non hai mai
ritenuto opportuno informarmi?"
Lo
ha già visto arrabbiato in passato. Mai così.
È arrabbiato perché tiene a te, risente
la voce pacata di Aurora. Gli passerà.
"Non
me lo ha permesso," risponde. "Non voleva diventare l'ennesima
responsabilità."
"Era
mia madre! La mia famiglia!"
Clarke
sussulta internamente. Crede che non lo sappia? Crede davvero che non sia uno
dei suoi rimpianti?
Era anche parte della mia. L'ho amata
anch'io, vorrebbe dirgli. Invece sospira, ogni traccia di
lotta l'ha abbandonata. Merita la sua collera, ma - "Non puoi perdonarmi,
vero?"
La
domanda diretta deve averlo colto alla sprovvista. In fondo ai suoi occhi si
agita qualcosa che, velocemente com'è apparso, si è già dileguato l'istante
successivo.
Bellamy
si sfrega la base del collo, ruminando sulle parole successive. La rabbia sta
regredendo, ma è ancora lì. Può vederla nella rigidità delle sue spalle, nel
suo respiro affannoso e nell'accuratezza con cui evita di guardarla, come se
non sopportasse la sua vista.
"Ho
sempre pensato che non ci fossero segreti tra di noi."
Oh,
questo fa male. Sapeva che avrebbe fatto male, ma ora sta scoprendo un livello
di dolore del tutto inedito.
Non
si riferisce unicamente ad Aurora. Lei rappresenta solo la punta del problema.
Sa leggere tra le righe le accuse che lui non pronuncerà mai, ma che sono
talmente evidenti, che si riflettono nella circospezione con cui la tratta,
nella prudenza che non ha mai avuto nei suoi confronti.
Perché non ti sei fidata di me? Questo sembrano dire i suoi occhi. Perché non ti sei confidata?
Da
dove può iniziare per fargli capire? Cosa può raccontargli per rendere
giustificabili le sue scelte, accettabili i suoi errori? E soprattutto, come
può cercare di trasformare in parole quello che è stato il legame con sua madre
quando neppure lei sa come spiegare quello che avevano costruito? Definire è
limitare, significa cercare di circoscrivere un mondo infinito di colori, suoni
e odori travasandolo nello spazio microscopico di una bottiglia.
Il
silenzio si protrae. È un muro che si innalza tra di loro, costruito sulle
incomprensioni, le menzogne, il distacco. Poi, quando crede che sia tutto
finito, succede il miracolo.
Bellamy
riprende il suo quaderno e lo sfoglia lentamente, con la certezza di chi sa
cosa sta facendo, sa cosa sta cercando perché sa già dove trovarlo. È chiaro
che lo abbia sfogliato in privato prima di confrontarsi con lei. Abbastanza a
lungo da averne memorizzato il contenuto. Le sue dita lunghe e affusolate voltano
le pagine con una gentilezza che smuove qualcosa dentro di lei. Il suo sguardo
è diventato morbido e per contro addolcisce le sue fattezze spigolose e
perennemente accigliate. Sta osservando i disegni con qualcosa di simile a rispetto
e un'emozione sfuggente che lei non riconosce, ma che in chiunque altro non
esiterebbe a chiamare ammirazione.
Lei
non ci si sofferma. Non vuole rivedere quei disegni. Ognuno è la testimonianza
di qualcosa che ha fatto, l'unica eredità che le rimane delle persone che ha
perso, oltre ai ricordi e alle malinconie. Ogni pagina è piena di sussurri.
"Credo
che questo sia il mio preferito," dice. Lei lo guarda di nuovo con la coda
dell'occhio. Non può farne a meno. Quel viso che un tempo era costantemente
arcigno, allungato per l'eccessiva magrezza, in cui traspariva un senso di
irrequietezza e impertinenza. Che ora appartiene a un uomo che sta imparando a
conoscere daccapo.
Il
disegno riempie due pagine. Si costringe a osservare i sorrisi pacifici dei
genitori di Madi e degli abitanti del villaggio. Ha tentato di catturare meglio
che ha potuto la luminosità radiosa che emettevano i loro corpi prima che si dissolvessero.
In primo piano ci sono due donne. Sono ritratte di spalle, una accanto all’altra,
così vicine da lambire i rispettivi confini. Clarke sfiora il profilo di Aurora
con i polpastrelli. "Sì," risponde quietamente, "è anche il
mio."
La
mano di Bellamy si sovrappone alla sua e la stringe come se fosse l’ultimo
disperato tentativo di trattenere il passato. Proprio come lei, non è disposto
a rinunciare a quello che sono stati. "Per quel che vale,” lui parla
piano, con lentezza e un po’ raucamente. “Mi dispiace non esserci stato quando
avevi bisogno di me." Ma sono qui
ora, sembra voler dire. Sono qui ora,
se mi vuoi.
La
sensazione è familiare. La ricorda un tempo in cui riusciva a farla felice, e
vuole tornare a quel tempo. Dio, quanto ha amato quest'uomo. Amava il ragazzo
che è stato. Amava perdonarlo.
"Non
importa," dice. Non deve rimediare. Non deve scusarsi. Dopotutto non è mai
stata sola. "Avevo lei."
L'abbraccio
in cui Bellamy l'avvolge non ricorda la pietra né la foresta. Conserva il
calore del sole, di panorami in continuo mutamento, di tutto ciò che è
mutevole, vivo. Sembra riempire gli spazi vuoti dentro di lei, spazzare
via anni di ragnatele e freddo. Il lutto smette di mangiarla viva e per un
lungo, meraviglioso momento riesce a tenere insieme i pezzi di sé stessa.
Aurora aveva ragione. Non è sola.
-
-
-
vi
Quando
si sveglia dal sonno criogenico, batte le palpebre, intontita. Il mondo sono
schegge di luce, le trafigge gli occhi, pulsa nelle orecchie insieme al ronzio forsennato
del sangue.
-
***
-
Segue
il suono della voce e lo vede. Un ragazzo. Sta per chiedergli il nome, ma
qualcosa la trattiene. Due figure emergono dalla penombra, si piantano alle
spalle del ragazzo e in un momento di terrificante lucidità la sensazione di
familiarità che la pervade acquisisce un senso. Visi rugosi, capelli striati di
grigio e il bizzarro, meraviglioso splendore di una bioluminescenza che è
simile a quelle delle lucciole.
Clarke
sente che potrebbe piangere. Monty e Harper condividono un sorriso che parla di
amore e di sacrificio, di scelte sofferte, di perdono nato dal pentimento. Le
loro luci avvolgono il ragazzo amorevolmente nelle sembianze di un abbraccio. L'intuizione
è istantanea e il dolore le toglie il fiato. Se gli anni e le esperienze
passate le hanno insegnato qualcosa, però, è fingere. Gli rivolge tutte le
domande opportune e non dedica più di uno sguardo in tralice a Monty e Harper,
l'addio di Aurora ancora troppo vivido e recente per affrontare un’altra separazione.
Dopo
che Jordan se ne è andato, cerca un appiglio nella capsula criogenica più
vicina. Il suo respiro è sibilante e l'aumento della pressione intratoracica
durante l'espirazione restringe i suoi polmoni come se mani invisibili li
stessero afferrando e pressando come spugne. Il verso strozzato che emette non
sembra umano.
Bellamy
è una presenza immobile alle sue spalle. Rapido nel decidere, energico e
sbrigativo nell'agire. Contrassegnato dal pregio operante e opportuno di un
intuito acuto e sottile. Non ha bisogno di spiegazioni. Come sua madre ha fatto
prima di lui in una miriade di circostanze simili, troppe da contare, le poggia
una mano sulla spalla e l'altra sulla schiena, nello spazio tra le scapole, e
comincia a massaggiare con lenti movimenti circolari. Il calore che si propaga
da quel punto scalza l'insensibilità che si è impossessata del suo corpo,
assorbe il torpore nella veglia del dolore, dell'ennesima perdita. Non sei sola, le sta dicendo. So cosa
provi e non sei sola.
Praticamente
sta vibrando per il nervosismo, per il desiderio di chiederle cosa ha visto, di
sapere se ha visto qualcosa. Nonostante questo, non dice nulla. Perché
dovrebbe? La morte è morte, lei ricorda improvvisamente, pensando a un
altro ragazzo, la prima vita che abbia mai preso. (Erano insieme anche allora.
Sembra successo eoni fa. In un certo senso lo è.)
Per
la prima volta in vita sua ha un'anima viva e respirante con cui condividere
l'onere di quell'asserzione.
E
forse, forse, mentre piega la testa per sfregare la guancia contro la mano che
lui le ha poggiato sulla spalla, questa volta il sapore che assaggia sulle
labbra non è impotenza e il solito disperato senso di avvilimento.
È
speranza.
The days of our ghosthood were these:
When we were children, when we had no
keys
We entered through closed doors, unseen
went out again.
Our souls were the dissolved,
ungathered, filtering rain.
Our bodies sat upon out parents
knees.
In the second of our ghosthood
We went on foot among a moltitude,
In time of drought, in our hard
youth, we winter-born.
And those were visible to men as
flowers in corn
Whose souls were eyes unseen that
gaze from dark.
We entered flesh and took our veil,
our state.
The third days of our ghosthood wait.
When we are stripped by pain, by
coming death far-seen,
Of earthly loves, of earth's fruit,
that came so late to hand,
With that waking or falling into
dream
We shall not cross into an unfamiliar
land.
- E.J. Scovell, "The Ghosts"
N/a:
Questa
storia ha sorpreso me per prima mentre la scrivevo. Non mi succedeva da anni di
essere assorbita a tal punto dalle mie stesse idee, tanto da decidere di
lasciare la fantasia a briglie sciolte per la curiosità di vedere in quali lidi
inesplorati mi avrebbe fatto approdare. Il personaggio di Aurora non era assolutamente
previsto all'inizio e il tutto avrebbe dovuto essere molto più cupo, ma poi l'immagine
della donna piantata alle spalle di Bellamy mi è conficcata nella mente e non è
più andata via. L'ho lasciata parlare, ho lasciato che la storia mi guidasse in
una direzione completamente differente da quella che io le avrei dato. Anche le
ultime scene non erano previste nella stesura originale, ma sarebbe stato un
finale amaro e dopo aver perso Aurora, non potevo non dare a Clarke alcun tipo
di conforto, un assaggio di speranza.
Spero che la lettura abbia riempito il vostro tempo piacevolmente. In questo periodo di quarantena forzata, sto riscoprendo che il tempo è un animale che fa le bizze se lo trascuri. Devi curarlo, dargli da mangiare, fargli le coccole altrimenti ti si rivolta contro. Fortunatamente lavoro da casa al mattino e il pomeriggio, tra piattaforme come Netflix e Disney Plus, la collezione di libri ancora da leggere e perfino un po’ di ginnastica per eliminare la frustrazione nervosa, vola abbastanza velocemente. Sto riscoprendo il piacere dell’essere padrona del mio tempo, imparo a suddividerlo in attività produttive, ma anche ludiche come non ero mai davvero riuscita a fare prima d’oggi. Certo, essere separata dalla mia famiglia (io e i miei fratelli al nord, nel cuore della pandemia, e i miei genitori al sud) non è facile come non lo è per nessuno, ma almeno non sono sola nel mio confinamento ed è qualcosa di cui non smetterò mai di essere grata. Un abbraccio virtuale a tutti!