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Autore: FDFlames    26/03/2020    1 recensioni
La Valle Verde era sempre stata un luogo pacifico, abitata da persone umili e semplici - contadini, pastori e mercanti. Ma è proprio la loro ingenuità che il malvagio Lord Vyde intende sfruttare.
Stabilitosi all'estremo ovest, è riuscito ad unire i clan belligeranti sotto l'unico simbolo e nome di Ideev. E ora gli Ideev, come edera su un albero, si arrampicano sulla Valle Verde, soffocando la vita e la libertà.
Aera non intende sottomettersi. Spinta dal suo coraggio, dall'amore per il suo clan, e dal desiderio di giustizia, decide di intraprendere un pericoloso viaggio, che la porterà dritta nella tana del suo nemico. Ed è disposta anche al sacrificio, pur di restituire al suo mondo la libertà.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
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Capitolo Quattro

Quando raggiunsero un punto in cui il terreno era più pianeggiante – si trattava di un sentiero parallelo a quello che il clan aveva percorso – i tre si fermarono a prendere fiato, e si guardarono attorno, alla ricerca degli arcieri Ideev. Tutto quel verde li avrebbe resi completamente invisibili, visto che erano di quel colore anche le loro uniformi – semplici mantelli con cappuccio che riproducevano le sfumature tipiche delle foglie. Nel cuore del Bosco delle Frecce, dove gli alberi di Wass erano di più, il contrasto tra il verde dei loro indumenti e il colore quasi dorato delle foglie li avrebbe resi più visibili, e probabilmente era anche per questo che i mercenari avevano aspettato a colpire; perché, anche se visti, per i membri del clan sarebbe stato troppo tardi, avendo un'unica direzione in cui scappare, che era per giunta quella da cui erano arrivati.
«Dici che li abbiamo seminati, Zalcen?» chiese Aera, il respiro ancora affannoso per la lunga corsa e per la paura.
«Non credo proprio,» rispose il ragazzo, negativo, «Ci saranno alle costole in men che non si dica se non ci muoviamo immediatamente.»
Ma che senso aveva, correre ancora? Certo, dentro di sé Zalcen avrebbe voluto vivere, ma ciò che era accaduto non rispecchiava la sua previsione, e da un lato voleva anche avere ragione. Guardando dentro se stesso, tuttavia, gli veniva più facile accettare un torto, accettare tutti i torti e le colpe che poteva ricordare di aver evitato con il suo saggio uso delle parole, piuttosto che acconsentire a morire e a condannare alla morte anche Aniène e Aera.
«Ma dove dovremmo andare?» domandò la giovane, «Se seguiamo il sentiero verso est, terminerà in un burrone, come quello che abbiamo preso poco prima, e a ovest ci saranno solo altri Ideev ad attenderci.»
«Non seguiremo il sentiero.» risolse il problema Zalcen.
«Lasceremo delle tracce!» si preoccupò Aera.
«Se continuiamo verso nord, gli alberi si diraderanno, e i nostri passi non saranno più così rumorosi, perché sul terreno ci saranno meno foglie.» prese a spiegare il ragazzo, «A quel punto ci nasconderemo tra i cespugli, o da qualche parte, e aspetteremo che cali la notte e che gli Ideev se ne vadano, convinti di aver ucciso tutti i componenti del clan.»
«Ma non credi che dei cespugli siano il nascondiglio migliore proprio per gli arcieri?»
«È un rischio che dobbiamo correre, Aera.»
«No, è più sicuro seguire il sentiero verso est. Non si aspetteranno di vederci camminare verso un vicolo cieco per la seconda volta.»
«Più sicuro...» ripeté Zalcen, sorridendo per l’ironia di quell’espressione. «Non è nemmeno sicuro che arriveremo a questa notte!»
Aera lo fulminò con lo sguardo; come poteva permettersi di dire certe cose di fronte ad Aniène?
Zalcen sostenne i suoi occhi accusatori; Aniène aveva il diritto di sapere, e non poteva continuare a vivere tra quelle soffici bugie. Ma Aera non aveva tutti i torti.
«E sia, andremo a est,» acconsentì il ragazzo, «Quindi seguitemi.» decise poi.
«Come se sapessi dove stiamo andando.» ribatté Aera.
«Vuoi condurre tu il gruppo?» la invitò Zalcen.
«Non intendo questo, solo non vedo il motivo per cui tu senta il bisogno autoproclamarti capogruppo.» disse Aera, «Come dire che non ti seguiremmo, anche se avessimo scelta.»
«Sto solo cercando di mettere le cose in chiaro, perché l’ultima cosa che vogliamo è che scoppino litigi tra di noi.» spiegò il ragazzo, calmo, «Quella in cui siamo è una situazione già abbastanza difficile, e abbiamo bisogno di poter contare l’uno sull’altra.»
La discussione dei due ragazzi fu interrotta dal suono di passi sulle foglie secche, che li fece trasalire. Aniène si nascose dietro ad Aera, a cercare protezione, mentre la ragazza tentava di non tremare, fallendo. Voltandosi, notò che Zalcen aveva sfoderato il pugnale, mai usato, pronto a difendersi contro qualunque aggressore, anche a costo della vita, che era ciò che avrebbe preferito perdere, potendo scegliere tra essa, Aera e Aniène.
Aera fu svelta nel copiarlo e, pugnale alla mano, lo seguì lentamente mentre il ragazzo si avvicinava furtivo alla fonte del rumore. Chiunque fosse, non si trovava sul sentiero. Forse erano degli Ideev in agguato, e il fatto che non li avessero ancora attaccati poteva significare due cose: o non riuscivano a vederli, dal luogo in cui erano appostati, oppure la loro attenzione era focalizzata su qualcosa d’altro.
Era proprio in quest’ultima possibilità che i due ragazzi riponevano le loro speranze. Che almeno fossero Ideev abbastanza distratti, abbastanza impegnati in altre faccende, che un colpo, inflitto da mani incerte e tremanti alla schiena, bastasse a fermarli.
Si sentì un altro fruscio, poco più a monte di dove lo avevano udito in precedenza. Aera e Zalcen si scambiarono uno sguardo, come a decidere sul da farsi, ma la realtà era che nessuno dei due ne aveva idea.
Il ragazzo allora procedette, seppur titubante. Il suo pugnale rifletté la luce del sole che già si nascondeva tra le nuvole ad ovest, rivelando la scritta sulla lama: Souro hyor Zalcen tentou, in lingua Antica. Veloce come il vento.
E proprio veloce come il vento che era il suo nome, Zalcen si fiondò sul cespuglio dal quale aveva dedotto che provenisse il rumore, solo per ritrovarsi di fronte non a un Ideev ma a una volpe, che dapprima sembrò scappare, alla vista dell’arma nella mano del ragazzo, ma poi ringhiò. Zalcen indietreggiò, insicuro, notando che tuttavia l’animale l’aveva ormai puntato e identificato come ostile.
D’istinto si sarebbe gettato sulla volpe sperando che un colpo fosse abbastanza per ucciderla, ma la realtà era che non voleva fare del male alla povera bestia. Avrebbe esitato molto meno se davvero si fosse trovato di fronte a un Ideev, probabilmente.
Fu allora che Aera intervenne, rinfoderando il suo pugnale, semplicemente avvicinandosi alla volpe, che distolse l’attenzione da Zalcen per concentrarsi su di lei, sentendosi accerchiata e vulnerabile, ma non c’era ombra di aggressività nella figura di Aera, così le si avvicinò di quanto bastava perché Zalcen potesse allontanarsi inosservato, e raggiungere Aniène.
La ragazza provò una strana sensazione; non che avesse mai provato a entrare in contatto con gli animali selvatici delle Foreste di Wass, ma credeva che non fosse una cosa semplice o da tutti, e che l’evento di un incontro con quella giovane volpe innocua avesse come un secondo significato, simile a quello di un sogno premonitore.
Tuttavia, non diede peso a questi suoi pensieri – quale errore! – e anche lei ripercorse i suoi passi, ricongiungendosi con Zalcen e Aniène, mentre la volpe scomparve di nuovo tra i cespugli, in silenzio.
***
Più volte, durante il cammino, si udì il fruscio delle foglie, e ogni volta i ragazzi trasalivano, temendo il peggio, ma Zalcen identificava quasi subito il rumore come quello prodotto dalle zampe di qualche animale predatore. E, per quanto fosse ironico, questo li tranquillizzava.
Stava calando la sera, e fu allora che il giovane ebbe un lampo di genio: gli animali vivono in tane, spesso grotte naturali, e in quella zona della Valle Verde, tanto vicina alle Montagne, le insenature sicuramente non mancavano.
«Ehi,» prese in braccio Aniène, che era ancora spaventata, a causa del rumore, «Tranquilla, piccola, so dove andare.»
«Ma Aera ha ragione...» si lamentò la piccola, pensando che Zalcen si riferisse a quella sua idea campata in aria di poco prima. In effetti non aveva escogitato un vero e proprio piano di fuga, sia perché non conosceva abbastanza bene quelle foreste, sia perché non credeva possibile riuscire a sopravvivere agli Ideev per così tanto tempo.
«No, Aniène, non preoccuparti,» ripeté, «Non avere paura. So davvero che cosa fare, e ho bisogno del tuo aiuto.»
Il ragazzo si abbassò, e fece salire la bambina sulle sue spalle. Aniène si divertiva sempre, quando Zalcen la portava in giro in quel modo. Durante il viaggio dall’accampamento base del clan al Bosco delle Frecce, Zalcen aveva evitato di farlo, perché temeva che una figura troppo alta sarebbe stata troppo ben visibile dagli Ideev, e anche perché gli alberi di Wass, così bassi, avevano rami che avrebbero rischiato di ferire la bambina. Aniène gli aveva chiesto molte volte di farle il favore di portarla sulle spalle, ma Zalcen si era sempre opposto, promettendole che l’avrebbe fatto di nuovo quando sarebbero arrivati.
Le serie di bugie che erano state raccontate alla piccola, ora la riempivano di gioia, perché Zalcen che la portava in spalla era la conseguenza logica, nella sua mente, di ciò che aveva detto Ikaon quel giorno, ossia che erano quasi arrivati.
Aniène sorrise e ridacchiò, e si trattenne dall’urlare la sua gioia solo quando Aera ricordò a Zalcen che avrebbero dovuto fare in fretta, e che qualunque fosse la sua idea doveva metterla in atto al più presto. Le piaceva così tanto, guardare il mondo dall’alto, e soprattutto avere la possibilità di giocherellare con la coda bassa in cui erano raccolti i capelli di Zalcen.
«E quante volte devo dirti di non toccare il nastro!» la riprese il ragazzo, sottovoce.
La bambina rise.
«Avanti, dimmi se vedi qualche grotta, un buco nella roccia dove possiamo nasconderci.»
Aniène rifletté, aguzzò la vista, poi puntò il dito, in direzione ovest. Dietro una curva si trovava una piccola insenatura. Non era un granché, ma lì sarebbero risultati invisibili agli Ideev. E il fatto che solo da quell’altezza Aniène avesse notato la grotta ne era la conferma.
Si incamminarono, a passo svelto.
Aera si rendeva conto, con un’ansia crescente, che quelle foglie sul sentiero erano da un lato la copertura perfetta per le loro tracce, ma dall’altro il peggior modo per rendersi conto della presenza di chiunque altro nella foresta. Udiva solo il rumore dei propri passi e quelli di Zalcen. E se gli Ideev fossero stati dietro l’angolo? Oppure proprio in quella grotta?
 
Era un’insenatura troppo poco profonda per potervi passare la notte, ma sarebbe stato un ottimo rifugio temporaneo.
«Aniène, tu e Aera aspettate qui, va bene?» chiese Zalcen, facendo scendere la bambina.
«Sì!» rispose lei, obbediente, sedendosi accanto ad Aera.
«No!» si oppose invece la ragazza, preoccupata. «Che cosa hai intenzione di fare, ora?»
«I combattimenti, a valle, saranno cessati, ormai.» Il giovane si accovacciò, e la guardò negli occhi, «Potrei recuperare delle armi, o delle uniformi.»
«Ma sei impazzito? Certo che saranno cessati i combattimenti, ma è altrettanto sicuro che siano stati gli Ideev ad avere la meglio, quindi saranno ancora in quella zona, e staranno setacciando tutto il Bosco delle Frecce. Dobbiamo aspettare, prima di fare qualsiasi altra cosa.»
«So bene che è più probabile che gli Ideev siano laggiù che qui intorno, in questo preciso momento, ed è proprio per questo che voglio andare e fare il possibile per aiutarvi.» ribatté Zalcen, «Da solo.» aggiunse poi.
Queste ultime sue parole furono come una ventata d’aria fredda, invernale, che minacciò di congelare il cuore di Aera. «In altre parole, vuoi abbandonarci.» Formulò quella frase nonostante la sua voce fosse stata più volte sul punto di spezzarsi e lasciare spazio a una cascata di lacrime.
«No, Aera, io sto solo cercando di fare il possibile per aiutarti, per dimostrarti che...»
«Tu vuoi morire!» lo interruppe la ragazza, privandolo ancora una volta dell’occasione di rivelarle i suoi sentimenti. «E pensi che questo mi aiuterebbe? Non saprei nemmeno da dove iniziare per accendere un fuoco. E come potrei badare ad Aniène? Evitare che si faccia male? Evitare di compromettere tutto e di rendere vani i tuoi sforzi?»
Zalcen le venne più vicino, e le asciugò quella lacrima che, ostinata, aveva combattuto ed era scivolata giù dalla sua guancia.
«Zalcen,» lo chiamò, come a pregarlo di restare ancora, solo qualche momento, accanto a lei, «Che cosa pensi che sarei in grado di fare, se tu non fossi con me?»
Ancora una volta, per Zalcen fu impossibile resistere a quell’istinto che gli gridava all’orecchio di stringere quella ragazza a sé. E mentre l’istinto gli parlava, una mano fredda si era posata sulla sua spalla. Fu solo una sensazione, ma quella era la Morte. Pregò con tutto se stesso che Aera e Aniène non avessero provato quello stesso brivido.
 
Aera e Zalcen lasciarono Aniène al riparo della piccola grotta, e ripercorsero i loro passi, andando, come avvoltoi, alla ricerca di cadaveri.
Con grande sorpresa, non dovettero faticare molto. C’era un Ideev a terra, sul sentiero che avevano percorso poco prima sotto l’indicazione di Aniène.
«Non è strano?» si chiese Aera, «Lo scontro con il clan non è stato qui.»
«Deve essere stato colpito da uno dei nostri arcieri.» ipotizzò il ragazzo.
«Ma, in quel caso, il suo corpo sarebbe riverso sul terreno. Questo Ideev è caduto in avanti. Qualcuno l’ha colpito alla schiena, o alla testa.» ribatté la giovane, sempre meno convinta. «E non ha nemmeno usato un’arma come una spada, un pugnale, arco e frecce. Non c’è una goccia di sangue. Forse un bastone?»
«Be’, anche tra gli Ideev ci sono dei traditori.» concluse Zalcen, abbassandosi a sciogliere il nodo del mantello dell’uomo. «E sarà su quelli come loro che dovremo fare affidamento, per sopravvivere.»
Il corpo dell’Ideev non riportava alcuna ferita. Non un livido o segni di strangolamento. Nulla. Forse era solo svenuto? Ma se non si trattava di traditori, allora perché i suoi compagni l’avevano lasciato indietro? Era anche vero che i lunghi capelli biondi e lisci, tipici della zona settentrionale della quale l’uomo doveva essere originario, nascondevano il viso e parte del collo.
Ora Aera sarebbe potuta tornare nella grotta e aspettare insieme ad Aniène il ritorno di Zalcen, che sarebbe stato relativamente al sicuro, grazie a quel mantello. Il ragazzo lo indossò, sistemando il cappuccio e i capelli.
«È un po’ sbrindellato.» notò Aera, indicando il braccio destro del ragazzo, dove il tessuto era sfilacciato nella parte terminale.
«Si sarà strappato, a forza di correre per questi boschi.» ipotizzò Zalcen, alzando le spalle, «Tanto meglio, così sembrerò davvero un Ideev. Cerchiamo di recuperare dell’equipaggiamento anche per te, ora.» decise, e si incamminò lungo il sentiero.
Aera fece per seguirlo, ma accadde il prevedibile imprevisto: il morto, che non era altro che un diversivo, una trappola tesa dagli altri Ideev, si alzò e chiamò i suoi compagni.
Si udì un rumore di passi in corsa sulle foglie secche, crescente, sempre più vicino.
Aera e Zalcen capirono di non aver altra scelta se non quella di correre verso la grotta. Ancora una volta, quel giorno, fuggivano aggrappati a una sottile speranza, per vedere il domani, che più che una promessa appariva come una minaccia.
Raggiunsero Aniène con un discreto distacco dagli Ideev. Si strinsero tutti e tre contro la fredda parete di roccia e rimasero rintanati nell’ombra.
«Non fiatate!» ordinò Zalcen.
Un gruppo di Ideev, correndo, li superò e continuò a correre lungo il sentiero che si inoltrava nel Bosco delle Frecce.
«Siamo vivi,» cercò di trovare un lato positivo in ciò che era appena successo, «Per poco, ma siamo ancora vivi. Avanti, andiamocene di qui.»
 
Ripresero la loro corsa verso nord; Aera apriva la fila, teneva per mano Aniène, e Zalcen era al loro seguito. Forse qualche Ideev avrebbe creduto che si trattasse di un inseguimento e avrebbe lasciato perdere.
Ma chiunque li stesse osservando in quel momento aveva altri piani.
Una freccia si conficcò nella corteccia di un giovane albero alla destra di Aera – era l’inizio della fine.
I tre corsero a rotta di collo su per una salita erbosa, che li fece rallentare notevolmente, e che era fuori dalla portata di Aniène. Venne colpita da una freccia, ma Zalcen e Aera non avevano né il tempo né il coraggio di voltarsi. Sentirono solo un lieve gemito, simile a un pianto, che forse, in qualche modo, diede loro la spinta per correre ancora più veloci.
La bambina era ferma a terra – non ce l’aveva fatta.
Tutte quelle promesse non valevano più nulla; ora ciò che era più importante per entrambi era la Vita, e avrebbero corso a perdifiato, avrebbero dato quasi qualsiasi cosa, pur di tenersela stretta.
Vennero scoccate altre frecce in direzione dei due ragazzi. Una passò tra le loro teste, così vicina a Zalcen che il giovane si sentì graffiare la guancia dalle penne della coda.
Il ragazzo volle credere che si trattasse di Aniène. Era stata lei a deviare quella freccia, era diventata il suo angelo custode.
Aera e Zalcen si infiltrarono in una boscaglia ancora più fitta. Il ritmo dei loro respiri era quasi più veloce dei battiti dei loro cuori.
I due ragazzi sentirono di doversi sforzare ancora più, di andare ancora più veloci, lasciare che i rami più piccoli e bassi degli alberi di Wass graffiassero i loro volti, che i rovi ferissero le loro gambe, ma correre. La fine sembrava così lontana, eppure era così maledettamente vicina.
Zalcen tese la mano e raggiunse quella di Aera, che non si voltò, ma capì ugualmente ciò che stava pensando l’amico, in quel momento.
Uno. Soltanto uno, aveva faticato a dire la ragazza, la notte precedente. E sarebbe stata la stessa fatica con la quale avrebbe pronunciato il suo stesso nome, da quel giorno.
Gli occhi dei due giovani si riempirono di lacrime. Era un addio senza parole e privo di sguardi.
Un’altra freccia venne scoccata, poi un’altra, e altre ancora.
La mano di Zalcen, prima stretta e forte, si fece d’un tratto leggera, e cadde. Anche Aera si lasciò cadere, a un paio di passi da una piccola grotta nella roccia, nella quale avrebbero potuto trovare riparo.
Gli arcieri Ideev la lasciarono sola, forse credendola morta, forse non curandosi di aver lasciato una ragazzina indifesa nelle Foreste di Wass.
Aera rimase immobile, singhiozzante, finché l’aria non si fece più fredda e sorse la luna.

 
   
 
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