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Autore: Lady I H V E Byron    27/03/2020    1 recensioni
"Shredder, Stockman, Hun, i Dragoni Purpurei, gli Utron, i Triceraton, Savanti Romero, Karai, Bishop, Sh'Okanabo, Viral, Khan… tutti nomi che ormai appartenevano al passato."
Sono passati quattro anni dalla battaglia finale contro lo Shredder virtuale, ma non è ancora finita, per le Tartarughe Ninja. Presto si troveranno coinvolti in una nuova avventura, che riguarderà una coppa di fattura umile, Cavalieri Templari, Dimensioni Mistiche, visioni di un passato lontano, un nuovo nemico e un nuovo alleato.
Quale destino attende le Tartarughe Ninja?
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Nuovo personaggio, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Note dell'autrice: vi avverto, qui ci sono scene più da rating rosso che arancione. D'altronde, avevo già segnalato "Violenza". E scusate per la lunghezza XD

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-Di nuovo, Leonardo.-
Leonardo faceva il possibile per mantenere l’equilibrio. I kata dovevano essere lenti e precisi.
Era il suo metodo per ripristinare l’ordine nella sua mente, quando era turbato. E Splinter lo aiutava come poteva.
Il suo sogno gli turbava il sonno e anche il risveglio. Non era più concentrato come prima.
Per questo, il suo equilibrio stava stranamente vacillando, quella mattina. Non per le urla di Raffaello per i colpi che stava sferrando al suo manichino da allenamento.
Ma non era il solo, nel rifugio, a provare turbamento.
Non passava mattina senza che Donatello analizzasse il Trofeo del Nexus, appena sveglio. C’era qualcosa al suo interno. Lo intravedeva, lo percepiva. Ma gli scanner si ostinavano a dare un’immagine distorta e presentare interferenze. Elisabetta era con lui, quella mattina.
-Ancora niente dagli scan?- domandò lei, seria e con le braccia incrociate. Sembrava interessata alla ricerca della tartaruga.
Donatello sospirò.
-Niente da fare. Ci provo e ci riprovo, ma i risultati sono sempre gli stessi. Non riesco a vedere cosa c’è dentro. E’ come se qualcosa mi stesse impedendo di scavare più a fondo. E quel vetro è di un materiale che non ho mai visto. Sembra indistruttibile, ma a quanto pare non lo è, visto che ha quelle crepe che mi stanno facendo letteralmente impazzire!- si mise la testa sul cranio -L’unica soluzione sarebbe tentare nuovamente un viaggio interdimensionale e vedere come cambia la sua struttura, ma non possiamo, perché non abbiamo il permesso! E ora io sono di nuovo al punto di partenza!-
Forse la scienza di Donatello non aveva soluzioni. Ma nemmeno l’educazione teologica templare di Elisabetta sarebbe servita. Lei ne sapeva meno di lui, su come scalfire quel vetro. Ma sul contenuto aveva solo la teoria del suo Magister. Teoria che aveva già rivelato alle Tartarughe dalla sera del massacro. Ma solo pura teoria, non fatti, come voleva Donatello.
Dopotutto, non c’erano prove sufficienti per dimostrare che dentro al Trofeo del Nexus ci fosse il Graal.
Ma per scoprirlo, doveva mantenere la sua copertura: doveva instaurare un legame con le Tartarughe e Splinter, senza compromettere l’ordine.
Mentire. Fingere.
Per l’ordine templare.
-Io te lo dico sempre, Don.- commentò Michelangelo, con indosso il suo grembiule e il cappello da chef; stava girando un impasto dentro una ciotola –A furia di lavorare con i tuoi laser, ti lesserai il cervello. E a noi ci servi con il cervellino intatto, fratellino. Comunque, tra dieci minuti è pronto. Ah, Eli, stamani ti leccherai i baffi.-
Ovviamente, come succedeva ogni mattina da quando Elisabetta si era stabilita nel rifugio delle Tartarughe, Michelangelo litigò con lei per la sua colazione troppo salutare, reputando la sua fetta di pane al burro e marmellata un insulto ai pancakes che lui aveva cucinato con tanto amore per lei.
Erano comunque litigi che facevano sorridere, se non proprio ridere i fratelli e un po’ anche Splinter.
Alla fine, i due facevano sempre pace.
-Almeno oggi fai di nuovo la tua deliziosa pasta al sugo?- chiese Michelangelo.
Lei sorrise e annuì. Aveva vinto la scommessa: il giorno precedente aveva preparato il ragù bolognese, bollendo e pelando i pomodori lei stessa e facendo rosolare il macinato comprato fresco dal macellaio.
Alla prima forchettata di quel ragù fatto in casa e gli spaghetti lievemente al dente, Michelangelo per poco non superò il record di salto in alto da quanto li trovò “deliziosi”. Leccò persino il fondo del piatto, assaporando quella “delizia italiana” fino all’ultima goccia.
Michelangelo non amava perdere alle scommesse, ma in quel momento non fu più felice di aver perso: aveva scoperto un vero sapore italiano, rigettando tutte le imitazioni americane dei piatti italiani. Decise, da quel giorno, di affidare la cucina alla ragazza, per “deliziarli tutti i giorni con le pietanze italiane”. Ma sulla colazione non voleva sentire ragioni. Lì era inflessibile.
Quella mattina, avevano persino giocato ai videogiochi, passione che scoprirono avere in comune, oltre ai fumetti ed ai film.
-Nell’ordine non ci è consentito avere intrattenimento elettronico.- spiegò Elisabetta, mentre continuava a pigiare il tasto del joystick per sparare –Sono quattro anni che non tocco una consolle. Kyrie Eleison, quanto mi è mancato!-
Michelangelo osservò la ragazza, sgomento: -MONDO PIZZA! Quattro anni senza videogiochi?! Io non avrei resistito un giorno!-
Il giorno, Elisabetta tentò un allenamento particolare, con Donatello, tra le altre cose, per distrarlo e distoglierlo dal suo scan: combattimento con i bastoni in equilibrio su un’asse di legno a quasi due metri di distanza dal pavimento.
Tra i due, ovviamente Donatello era il più avvantaggiato, abituato ad allenamenti simili; la ragazza, invece, ebbe difficoltà nel trovare equilibrio. L’azza la stava sbilanciando, non sapeva come mettere i piedi e più volte vicina a cadere. Non scontrarono molto i bastoni. Ogni colpo faceva oscillare Elisabetta. Alla fine, Donatello, per sbaglio, diede un colpo troppo forte all’azza e lei si piegò troppo di lato. Infatti cadde, facendo spaventare la tartaruga e Splinter, sottostante. Per fortuna, Michelangelo era passato appena in tempo, prendendo Elisabetta tra le braccia.
-Mademoiselle…- disse, con accento francese –Ancora una volta siete caduta tra le mie braccia…-
Lei si dimenò, come la sera in cui l’avevano “salvata” dai Thai Weasels. La scena si era ripetuta.
-Mettimi giù!-
-Ok, ok… che modi…-
Persino Raffaello si innervosì all’accento francese di Michelangelo, da lui considerato “fastidioso”.
La sera, invece, Elisabetta e Leonardo si allenarono insieme: la ragazza gli aveva promesso che gli avrebbe mostrato ed insegnato le posizioni di combattimento contemplate nel “Flos Duellatorum”, il libro-guida dei templari, dopo la Bibbia. Non si sarebbe sottoposta a strani allenamenti ninja, almeno.
-Allora, porta di ferro… Posta reale… Posta longa… posta di donna… posta breve… posta di coda longa… posta di donna soprana… mezzana pian terreno… posta di corona… dente ‘e zenghial… posta breve… e bicornio.-
Ad ogni nome, la templare posizionava Hesperia in punti diversi. E Leonardo la seguiva. Sembrava entusiasta. Tutto ciò che lei raccontava sulla sua cultura lo affascinava. Talvolta viceversa.
-Notevole.- commentò, rinfoderando la katana -Non è così diverso dalle posizioni samurai. O dal mio stile con le katana.-
Anche Elisabetta ripose Hesperia nel fodero.
-Sì, l’ho notato anche io. Sono curiose, queste coincidenze. Dimmi, Leo, quali sono le qualità di un ninja?-
Elisabetta e Leonardo, ogni giorno, si concedevano un’ora di quello che chiamavano “Scambio culturale”: lui le parlava del Bushido e lei delle usanze templari. Oltre a proseguire le lezioni di latino e italiano. E se non parlava con lui, nei momenti di pausa giocava a scacchi con Donatello o ai videogiochi con Michelangelo. Tutti passatempi piacevoli e rilassanti, e un ottimo modo per legare con le Tartarughe. Raffaello ancora si ostinava a tenerla a distanza. Ma non per antipatia.
-Beh, velocità, invisibilità e onore.- spiegò Leonardo, assumendo varie pose con le katana. Un po’ per mettersi in mostra.
-Ma pensa, anche noi cavalieri abbiamo la velocità, tra le qualità.-
-Davvero? E poi?-
-Beh… coraggio, forza e prudenza. I nostri quattro pilastri.-
La mano della tartaruga diede una lieve pacca sulla schiena della templare.
-Allora forse non siamo così diversi.- disse, sorridendo.
Anche Elisabetta sorrise.
-E avete un giuramento o qualcosa di simile?- domandò, infine, lei.
Anche Raffaello si stava allenando: stava dando calci e pugni al sacco da boxe. Non era distante dai due, ma ignorava i loro discorsi, per non perdere la concentrazione.
Tuttavia, un piccolo impeto di rabbia guidò il suo pugno, l’ultimo contro il sacco da boxe.
-BASTA!- tuonò; Leonardo ed Elisabetta si voltarono verso di lui, sorpresi; Michelangelo smise di grattare la pancia a Klunk e Donatello interruppe l’ennesima scannerizzazione del trofeo del Nexus incrinato -Sono stufo di tutte queste chiacchiere! Non fate altro che parlare, parlare, parlare, come due casalinghe a un mercatino dell’usato! Siamo guerrieri, non filoso-qualunque-cosa-siano! E tu, Eli, ti ho sentita, stamani, mentre ti allenavi con il mio sacco da boxe! Non facevi altro che dire “Non è abbastanza, non è abbastanza!”!- c’era uno strano tono di insolenza, nella sua voce; questo irritò la ragazza, oltre alle parole velenose che le stava rivolgendo -Se continui a chiocciare, invece di allenarti, per forza non sarai mai forte!-
Le Tartarughe erano impegnate con i loro, di allenamenti. Per l’equilibrio, la concentrazione.
Per fortuna, Raffaello aveva due sacchi da boxe, uno nella sala di allenamento, l’altra in camera sua; Elisabetta dovette usare quello in camera sua, per non disturbare.
O forse sarebbe meglio specificare che era lei quella che non doveva essere disturbata: stava ancora pensando allo scontro tenuto la sera prima con Walhalla.
I colpi sferrati al sacco erano uno più forte e veloce dell’altro.
-Non è abbastanza…- mormorava; non pensava o mormorava altro, dal combattimento contro Walhalla; c’era una luce strana nei suoi occhi; aveva gli occhi spalancati e digrignava i denti -Non è abbastanza… non è abbastanza… non è abbastanza… non è abbastanza…- sferrò tutta una serie di pugni rapidi sul sacco, mentre la rabbia le cresceva dentro; e delusione; poi, diede il pugno più forte, per concludere la serie -NON E’ ABBASTANZA!- tuonò, quasi come un singhiozzo; fece una breve pausa, ma non si sentiva stanca, o soddisfatta, o calma; tutto il contrario; batté la fronte più volte sul sacco –Non è abbastanza… non è abbastanza… non è abbastanza…-
Non era soddisfatta del combattimento. Lei sentiva che avrebbe potuto fare di meglio. Doveva essere in grado di sconfiggere Walhalla in poco tempo. Ma ci aveva messo troppo, addirittura facendo crollare un intero edificio, invece di finirla con le sue mani.
Si sentiva inadeguata e debole. E Raffaello glielo stava facendo pesare. Strinse la presa sull’impugnatura di Hesperia. La rabbia le stava salendo in gola.
-Interessante…- mormorò, cercando di contenerla; ma i suoi occhi erano un libro aperto -A quanto pare qualcuno sente il bisogno di esaltare se stesso tale da provare un piacere sadico sminuire una persona per lui inferiore solo perché ha commesso un piccolo errore di valutazione. Tipico degli individui che vogliono nascondere l’insicurezza per paura di essere giudicati da chi li circonda.-
Raffaello sentì un sopracciglio ballare. Era una provocazione. Una risposta alla sua provocazione. E ciò che la rendeva affilata, era la punta di verità ivi presente.
I fratelli alternavano gli sguardi tra Elisabetta e Raffaello, con il medesimo pensiero: che sarebbe tutto convertito in una rissa, se non proprio in uno scontro.
-Oh, sentitela, lei!- schernì lui, infatti, accompagnandolo con un gesto delle mani; si era avvicinato a lei, girandole intorno; Leonardo si era allontanato, per sicurezza -È così arrabbiata, delusa, inadeguata e sente un bisogno così di sfogare la sua rabbia perché contro la Valchiria non ha dato il massimo! Vuoi essere forte e imbattibile? Allora allenati e parla poco, sorella! Poi non lamentarti che non è abbastanza! Ti serve un avversario? Eccomi qui! Armi in pugno! E non con i pugnali! Ma con la tua spada e lo scudo! Mostrami la tua vera forza!-
Una vera e propria sfida. Raffaello era già in posizione, sul tatami.
Leonardo non poté fare più nulla per impedirlo. E Splinter non era lì con loro.
Hesperia rischiò di non essere più dotata di un’impugnatura, da quanto, ormai, la sua portatrice stava stringendo.
Sì, dentro di lei c’era ancora molta rabbia. E delusione. Per se stessa. Non ce l’aveva con Raffaello. Ma la sua rabbia le stava accecando persino il giudizio. Nella sua mente, ormai, Raffaello era diventato un mero oggetto su cui sfogare i suoi sentimenti negativi.
-Va bene…- ringhiò; con passi pesanti tornò in cucina, aprì il frigo e bevve metà bottiglia di vino in un sorso solo; le gocce scendevano sui lati della bocca; da lontano sembrava sangue; poi prese Hellas ed appese la cinghia al collo –E combattimento sia.- la sua voce era simile ad un ruggito –Niente trucchi. Niente regole.- si sfilò l’anello dal dito, lanciandola a Leonardo; si mise sul tatami, in posizione di combattimento –Un combattimento all’ultimo sangue. Chi cade, perde.-
Anche Raffaello si mise in posizione.
Soffiò dal naso, sicuro di sé.
-Ho già sconfitto un templare al Nexus.- ricordò, sorridendo soddisfatto –Posso sconfiggere anche te.-
Anche Donatello si unì ai tre fratelli, come spettatore.
-Cielo, non andrà molto bene…- mormorò, preoccupato. I fratelli erano dello stesso pensiero.
Hesperia era puntata verso l’avversario: stavano girando in tondo, studiandosi.
-Fatti avanti, se ne sei capace…- sibilò lei, con sguardo freddo.
-Non credere che mi tirerò indietro solo perché sei una ragazza!-
Quella parola le fece perdere il lume della ragione: ragazza.
Odiava essere una donna. Non riusciva ad accettare la sua identità. Ogni volta che si spogliava per lavarsi, le era difficile guardare il suo corpo, da lei giudicato ripugnante. Vedere i segni. I segni che le dimostravano che non sarebbe mai stata completamente Eliseo.
-NON CHIAMARMI IN QUEL MODO!- tuonò, scattando in avanti, urlando.
Era davvero spaventosa e minacciosa, anche senza anello. Persino Raffaello, il più impavido delle Tartarughe Ninja, provò timore, sorpresa ed inquietudine.
Per fortuna, fu abbastanza rapido da parare il colpo verticale. Sentì le sue braccia piegarsi. C’era tanta forza in quel colpo. Se avesse avuto l’anello e avesse attivato il suo potere, sarebbe stato già morto.
Riuscì a guardarle gli occhi: rabbia. Molta rabbia. La stessa rabbia che conosceva bene anche lui, specie ogni volta che doveva affrontare Michelangelo.
Anche lui doveva ricorrere a quella rabbia, per affrontare la templare. Poco importava, a lui, affrontare una donna. Bastava che fosse alla sua altezza.
Hesperia era quasi incastrata nei ganci del sai. A Raffaello bastò piegare i pugnali obliquamente in basso, per deviare il colpo e rotolare di lato. Elisabetta venne spinta quasi con forza verso il basso, ma non cadde.
Era tenace. Raramente cadeva, nei combattimenti.
Raffaello aveva già affrontato un templare, nel Nexus, Giacomo: i colpi che sferrava Elisabetta erano simili, ma più forti e impulsivi. All’inizio, pensava che sarebbe riuscita a batterla come il confratello templare.
Ma per quanto gli attacchi fossero gli stessi, non era la stessa mano a guidarli.
Entrambi il ninja e la templare optarono per una strategia di attacco. I colpi sferrati dai sai di Raffaello venivano parati da Hellas, ma Hesperia passava subito al contrattacco. Quei contrattacchi venivano schivati, poi seguiti da un calcio della tartaruga, ascendente o laterali.
Elisabetta subiva quei calci, ma non cadeva, anzi. La sua rabbia continuava a salire ad ogni colpo che subiva.
Era come se stesse entrando nel suo stato di Furia anche senza l’anello.
Anche Raffaello si impegnava nel combattimento. Non si stava tirando indietro, tantomeno controllando i suoi colpi, solo perché la sua avversaria era una donna. La stava affrontando da suo pari, come promesso.
Ogni colpo che si scambiavano sembrava provocare un terremoto nelle fogne. Erano entrambi molto forti.
Leonardo, Donatello e Michelangelo erano preoccupati. Per entrambi. Persino Splinter si unì ad assistere il combattimento, inquieto.
-Che sta succedendo qui? Cos’è questo rumore?- domandò.
Leonardo gli raccontò quanto avvenuto e l’inquietudine nel maestro si accentuò.
Raffaello sentiva le forze venirgli sempre di meno, ad ogni colpo che parava. La rabbia di Elisabetta superava di netto la sua. Le sue gambe stavano cedendo, come le sue braccia.
Decise, quindi, di concentrare tutte le sue forze in un colpo simultaneo con i sai, come se volesse pugnalarla. Hesperia si posizionò su Hellas, parando il colpo. Di nuovo, la lama si incastrò nei ganci.
Raffaello esercitò pressione sui sai con tutta la forza che gli era rimasta. Anche Elisabetta stava facendo la stessa cosa con la spada e lo scudo. Si guardarono di nuovo negli occhi. Si stavano osservando, ma non vedendo. Era come se fossero divenuti ciechi. Come se la loro rabbia avesse coperto i loro occhi con un velo.
Nella mente di Elisabetta si balenarono delle immagini e dei suoni: persone che inveivano contro di lei, umiliandola; la condanna a morte del suo amico Francesco all’impiccagione, e poi il suo corpo che oscillava con una corda intorno al collo; e poi il suo combattimento contro Walhalla, e la delusione che aveva provato. Fu come un carburante per la sua rabbia.
Tirò Hesperia ed Hellas, facendo sbilanciare Raffaello in avanti. Poi gli diede un calcio sul ventre, mentre deviò i due sai da un lato, spingendo con l’elsa.
La tartaruga si trovò disarmata e il calcio fece scontrare la sua testa e il suo guscio contro una colonna.
I fratelli e Splinter erano sempre più preoccupati per lui.
Non provò dolore per l’impatto, quanto, piuttosto, per la scarpa che sentì premere con forza contro la sua gola, facendolo urlare.
Guardò in avanti: Elisabetta stava caricando Hesperia contro di lui! E aveva ancora quello sguardo carico di rabbia e delusione.
La spada era messa in modo da attaccare di punta.
-NON CHIAMARMI MAI PIÙ “RAGAZZA”!- tuonò lei, con tono di minaccia.
La spada era sferrata in direzione della sua testa.
Raffaello chiuse gli occhi.
Un’altra spada, una katana, però, deviò il colpo, ad appena pochi centimetri.
-FERMA!- esclamò Leonardo, dando un calcio al ventre della ragazza; lei indietreggiò di molti passi, facendo cadere Hesperia; Michelangelo riuscì a bloccarla, prendendola sotto le ascelle -Sei impazzita?! Così lo uccidi!-
Donatello e Splinter, nel frattempo, erano andati a soccorrere Raffaello, che tossì.
La mente di Elisabetta era ormai annebbiata dalla rabbia; vedeva solo Leonardo. Tutto il resto era sfocato.
-Mi ha chiamato “ragazza”!- protestò lei, dimenandosi; ma Michelangelo non mollava –Devo ucciderlo!-
Aveva un tono strano, quasi demoniaco. La sua voce era leggermente roca, per la rabbia.
-E vale davvero la pena uccidere un amico per questo?-
Un amico?
Cosa intendeva?
La rabbia stava svanendo. E non tentò più di dimenarsi tra le braccia della tartaruga dalla benda arancione, che lasciò la presa. Riuscì a vedere nitidamente il mondo intorno a lei: Raffaello era piegato di lato, che continuava a tossire, con una mano sulla gola. E Leonardo, Donatello, persino Michelangelo, la stavano osservando terrorizzati, come se avessero di fronte un mostro.
Non più rabbia, ma senso di colpa riempì il cuore di Elisabetta. Impallidì, nel realizzare la conseguenza delle sue azioni: stava per uccidere Raffaello. Guidata dalla rabbia.
-Io… Raph… mi dispiace…-
Qualcosa stava per uscire dai suoi occhi.
-Povera figliola…- mormorò Splinter, mettendole una mano dietro la schiena, più dispiaciuto che deluso -Vedo molta, troppa rabbia in te. David non ha saputo liberarti da essa. Anzi, ha fatto in modo che crescesse e diventasse dominante su tutto il resto. La via del Bushido ci insegna a liberarci dei sentimenti negativi e deleteri. Ma questo, tuttavia, non è la via del cavaliere, che comporta omicidi, massacri e razzie. Ma insegna anche a rivolgere la spada su un’anima amica?-
Senso di colpa. Rimorso. Tristezza. Pentimento.
Sentimenti negativi che avevano scacciato la rabbia. O ciò che la rabbia aveva provocato.
Un fastidioso nodo allo stomaco stava tormentando Elisabetta. Le sue mani tremavano. E, per una volta, non stava mentendo. Stava davvero provando quelle sensazioni.
-Che cosa ho fatto…?- mormorò, in italiano; si coprì il volto con le mani, tremando e correndo al centro del tatami, dando le spalle alle Tartarughe –CHE COSA HO FATTO?!-
Gli unici rumori nel rifugio erano i suoi respiri pesanti e la tosse di Raffaello.
Leonardo fu l’unico ad avere il coraggio di avvicinarsi e metterle una mano sulla spalla.
-Ehi, non è successo niente.- disse, cercando di consolarla –Adesso calmati.-
-STAI LONTANO DA ME!-
Lei scacciò quella mano, rifiutando la compassione; si liberò di Hellas, gettandolo sul tatami con forza; poi prese il suo rosario e si diresse all’uscita.
In quel momento, fu Michelangelo a seguirla.
-Eli, aspetta! Dove vai?-
-LASCIAMI SOLA!- esclamò lei, salendo le scale verso la rimessa.
-Lasciala andare.- ripeté Splinter, ormai vicino a Raffaello –È sconvolta. Lasciala un po’ da sola. Tornerà quando si sarà calmata, vedrai.-
Michelangelo storse la bocca, sospirando. Vederla così arrabbiata, anche senza anello, l’aveva terrorizzato, ma aveva provato una morsa sul cuore a sentire i suoi singhiozzi. Non voleva lasciarla andare. Nessuno in quella stanza lo voleva. Ma Splinter, un’altra volta, aveva suggerito l’idea migliore, non necessariamente quella più piacevole.
-Raph! Stai bene?- si premurò Leonardo, avvicinandosi al fratello.
-Figliolo, riesci a parlare?-
Raffaello finì di tossire. Riprese fiato.
-Ha… cercato di uccidermi…- disse, con voce soffocata e la mano sulla gola. Era come se la scarpa di Elisabetta stesse ancora premendo su di essa.
-Già…- commentò Michelangelo, con le braccia incrociate –Bella idea quella di farla arrabbiare. Sei sempre il solito genio, Raph.-
Il suo era chiaramente un rimprovero velato di sarcasmo. Scomodo, come al solito. E come al solito portò ad uno scapaccione sulla nuca da parte di Donatello.
-Michelangelo, non parlare così a tuo fratello!- rimproverò Splinter.
-No, ha ragione.- tagliò corto Raffaello; si rialzò, con gambe tremanti –È colpa mia. Devo cercarla e scusarmi.-
I suoi fratelli erano già sorpresi del fatto che avesse dato ragione a Michelangelo. Ma non si sarebbero mai aspettati che l’iniziativa delle scuse sarebbe partita da lui.
-Deve aver battuto la testa più forte di quanto pensassi...- mormorò Michelangelo, il più basito di tutti.
Solitamente, il suo orgoglio prendeva il sopravvento sul suo buonsenso. Ma Raffaello sapeva essere altrettanto giudizioso, quando voleva.
-Raph, aspetta!- lo esortò Donatello, sorreggendolo per le braccia; il suo equilibrio ancora vacillava, a causa del combattimento –Tu non ti reggi in piedi e lei è ancora sconvolta. Lascia che si calmi e torni da sola. Avrete modo di rivolgervi tutte le scuse del mondo.-
-No, non capite. Quella scema è lassù, da sola, senza armi e senza il suo stupido anello.- fece notare, riprendendo i suoi sai; timore condiviso da tutti.
Non temevano che Elisabetta li avrebbe abbandonati, con la sua fuga improvvisa; erano preoccupati per il suo stato: da sola, a New York, di notte, senza armi e senza anello. Dubitavano che sarebbe sopravvissuta.
-Devo riportarla qui, prima che qualcuno le faccia del male o che uno del suo ordine la rapisca per torturarla.- annunciò, salendo anche lui le scale per la rimessa.
-Raph, aspetta!- cercò di fermarlo Donatello, ma era troppo tardi; il fratello era già entrato nella rimessa e chiuso la botola; soffiò dal naso e si mise le mani sui fianchi –È davvero cocciuto, quello!-
Era così.
Raffaello era cocciuto. Ma era altrettanto preoccupato.
Mise il casco sulla testa, accese la moto ed uscì dalla rimessa. Avrebbe setacciato ogni angolo, per trovare la ragazza.
Mentre viaggiava, pensò al combattimento. E lo sguardo furioso di Elisabetta. Provò un profondo senso di amarezza. E di rabbia verso se stesso.
-Davvero un ottimo lavoro, genio.- borbottò, per poco battendo un pugno contro il quadro –Rischiare di farti uccidere per una sciocchezza che hai fatto. Però anche lei dovrebbe controllarsi...- sospirò, scuotendo la testa -Shell, chi sono io per giudicarla…? E chissà dove sarà ora, quella scema… Quando è sconvolta dice che va sempre in chiesa. Ma ci sono tipo tre chiese qui nei dintorni e io di certo non posso setacciarle tutte.-
Un rombo sospetto lo distolse dai suoi pensieri. Delle Harley Davidson. Di fronte a lui. Montate da uomini con caschi neri e disegni infuocati e giacche di pelle nera con un teschio infuocato sulla schiena.
Anche sulle moto vi era il medesimo motivo. E brandivano catene e spranghe di ferro.
-I Ghost Riders!- si insospettì Raffaello. Era una banda di motociclisti nota per i loro vandalismi, consistenti soprattutto nel danneggiare auto, vetri e talvolta scippare persone.
Le Tartarughe si erano scontrati anche con loro, più volte.
Non uscivano molte persone, a quell’ora. Ma venivano sempre trovate dai Ghost Riders. Ed Elisabetta poteva essere a rischio. Era una preda facile. Senza armi e senza anello. L’avrebbe protetta lui, se fosse riuscito a trovarla.
Con questo pensiero, li seguì, mantenendo una debita distanza, deciso a dare loro una sonora lezione, più dell’ultima volta.
Non erano molti, una decina. Avrebbe tenuto loro testa senza problemi.
Sperò solo che Elisabetta non finisse nella loro traiettoria.
Li trovò in un vicolo, contro dei poveri mendicanti, che non avevano fatto nulla di male, solo riunirsi intorno al loro falò.
Ma stavano loro intralciando la strada e questo per i Riders era un reato. E li picchiavano con le spranghe e le catene, consci del fatto che fossero incapaci di difendersi.
Raffaello non poteva restare fermo a guardare. Se Elisabetta era in una chiesa, era al sicuro. Ma quei mendicanti no.
-Ehi, cervelli di gallina!-
I Riders notarono una figura mastodontica in controluce della luna. Stava roteando dei Sai, avanzando verso di loro. I mendicanti fecero in tempo a scappare e rifugiarsi da un’altra parte.
-È uno di quei tizi vestiti da tartaruga gigante!- esclamò uno di loro, probabilmente il capo –Ed è da solo! Sarà un giochetto sbarazzarcene!-
Raffaello si mise in posizione, sorridendo.
-Fatevi avanti!-
Si mossero in massa contro di lui. Erano privi di allenamento e di tecnica. Le risse da strada non erano una vera arte marziale. Per questo Raffaello sapeva di partire più avvantaggiato di loro.
Deviò una spranga con un sai ed infilò l’altro in un anello di una catena, facendo leva verso di sé e prendendone possesso. La catena divenne la sua nuova arma.
La roteava, facendo indietreggiare gli avversari. E rideva.
-Allora? Come la mettiamo?- diceva.
Con essa colpì tutti coloro che osavano avvicinarsi a lui. Uno dei Riders era persino riuscito a prendere l’altro capo e fare una prova di forza e resistenza con la tartaruga.
Ma Raffaello sfruttò la trazione dell’altro per saltare verso di lui, travolgendolo con il suo peso e farlo cadere. Tornò a combattere con i sai, usando soprattutto l’impugnatura per colpire i suoi avversari.
Concluse con un calcio rotante, che li mise a tappeto.
Sì, era riuscito a tenere testa a dieci Riders. Da solo.
-Oh, sì! Oh, yeah! Beccatevi questa!- esultò, con posa da vincitore; le sue urla lo resero sordo dal rumore di passi che si facevano sempre più forti; dall’angolo spuntarono due anfibi neri, e si avvicinavano sempre più a Raffaello –Allora? Qualcun altro vuole farsi avanti? Nessuno?- ripose i sai e si mise in posa fiera -Magari ora ci penserete due volte, prima di mettervi contro nemici più forti di voi!-
Poi sentì una forte fitta alla testa. Un dolore lancinante. Una scossa elettrica percorrergli il cervello, che lo fece urlare e scuotere.
Poi cadde, privo di sensi.
Dietro di lui, un uomo con le mani alzate ed i palmi aperti uno verso l’altro, che abbassò. Portava la mimetica nera e un gilet antiproiettile bianco con una croce rossa in mezzo. Uno sguardo fiero illuminato dalla luce della luna. E le iridi crociate che tornarono verdi.
-Oh, messer Galvano. Mio signore…- disse il capo dei Ghost Riders, rialzandosi e mettendosi in ginocchio –Non ti aspettavamo. Grazie per il tuo intervento.-
Ma Giacomo aveva attenzione solo per la tartaruga gigante che giaceva priva di sensi ai suoi piedi. Allo sguardo fiero si aggiunse un sorriso soddisfatto.
-Legate questa feccia alle vostre moto.- ordinò –Lo portiamo al vostro rifugio.-
Elisabetta era in una chiesa, non molto distante dal rifugio. Al sicuro. Almeno la preghiera di Raffaello si era esaudita.
Era di fronte ad un dipinto dell’arcangelo Michele e stava accendendo una candela per i defunti.
La luce della candela illuminò il suo volto, ancora pallido e sconvolto da quello che aveva fatto.
Prese il suo rosario e pregò. Recitò un Pater Noster e una Aeterna Requiem.
Non riusciva a smettere di pensare allo sguardo terrorizzato delle Tartarughe, specialmente quello di Raffaello. Lo stava per uccidere. Ma non voleva farlo. Aveva di nuovo permesso alla sua rabbia di prevalere.
Stava per uccidere un amico. Sì, amico. La sua copertura implicava che divenisse amica delle Tartarughe.
Ma la sensazione che stava provando era vera. Stava dunque recitando o si stava facendo coinvolgere emotivamente?
Pensò e sperò di trovare conforto nella preghiera, quale dovere di cristiana e di templare.
-Cosa avresti fatto, Fran?- domandò, a bassa voce, rivolta all’unica candela accesa di fronte a lei; era per Francesco, il templare accusato di tradimento dall’ordine, grande amico suo e di Federico; almeno lì, in quella chiesa, nessuno l’avrebbe rimproverata di pregare per un traditore –Tu sapevi sempre cosa fare. Eri il mio pilastro e quello di Fede. Siamo perduti senza di te. Se mi senti, mandami un segno, ovunque tu sia. In Paradiso, all’Inferno, non mi importa.- stava ancora lacrimando, di pentimento –Non volevo uccidere Raph. Non volevo fargli del male. Ma come farò a chiedergli scusa? Lui mi perdonerà? E ora anche gli altri avranno paura di me? Tu non ne avevi, Fran. Riuscivi sempre a consolarmi ed eri l’unico in grado di calmarmi e annullare il mio stato di furia soltanto puntandomi l’anello contro. Eri la mia Benedizione. Ora ho paura di me stessa, Fran. Sto peggiorando, da quando sei morto. E anche Fede. Sento di averlo abbandonato. Lo sento, nel suo volto, nella sua voce, ogni volta che ci parliamo, e mi sento una stupida. Perché sei morto, Fran? Abbiamo così tanto bisogno di te. Io ho bisogno di te. Se ci fossi stato tu, al posto mio, avresti risolto le cose in modo diverso…-
Se avesse proferito queste parole alla Base templare, David l’avrebbe obbligata a fustigarsi. Ma David non c’era. Nemmeno Andrea. O Giacomo. O Luigi. Nessuno a dirle che non doveva pregare al traditore.
Restò qualche altro minuto, inginocchiata di fronte alla candela, con il rosario in mano, con le lacrime agli occhi.
La sensazione non se ne andò dal suo cuore. Era ancora lì. A tormentarla.
Ogni volta che si sentiva triste, oltre a pregare, chiamava Federico e parlava con lui.
Si sentì stupida ed opportunista a pensarlo, ma in quel momento era l’unico con cui poteva confidarsi e sfogarsi.
Era in procinto di strofinare il dito sull’anello, quando udì il rombo di motori, che la fece sobbalzare.
Corse per tutta la navata fino al portone. Di norma, non si sarebbe allarmata. Ma sentiva ancora quella sensazione strana. Pericolo.
Aprì poco il portone, guardando da una fessura. Notò dei motociclisti su delle Harley Davidson muoversi in gruppo. Gli ultimi stavano trainando qualcosa.
Elisabetta impallidì.
-Oh, no, Raph!-
Lo avevano legato per le caviglie e lo stavano trascinando con il guscio posteriore a contatto con l’asfalto, come Achille con Ettore. Non tentava la fuga: era privo di sensi.
Doveva liberarlo. Incanalò tutta la rabbia, ma non accadde nulla.
Aveva forse liberato tutta la rabbia durante lo scontro con Raffaello?
Poi si guardò le mani: vuote. Si guardò le tasche: niente.
Sgranò gli occhi.
-Kyrie Eleison!- esclamò, battendo la mano contro la fronte –Ho lasciato l’anello a Leo!-
E non aveva armi. Non avrebbe potuto comunque salvare Raffaello.
Per la prima volta, non sapeva cosa fare. A parte una cosa.
-Devo chiamare gli altri! Devi avvertirli! Oh, Raph, mi dispiace tanto!-
Uscì per strada. Vuoto. I motociclisti erano già lontani. Ma avevano lasciato qualcosa.
Nel rifugio delle tartarughe, attendevano tutti il ritorno del fratello e della ragazza.
Leonardo stava lucidando le sue katana con mano tremante e sguardo inquieto, Donatello aveva ripreso ad analizzare il trofeo del Nexus e Michelangelo stava guardando distrattamente un film, con Klunk addormentato sulle sue gambe. Splinter si era dato alla meditazione, scacciando ogni preoccupazione.
Ma non ci riusciva: maestro severo quanto padre premuroso. Era impossibile, per lui, non preoccuparsi per uno dei suoi figli.
Il sollievo arrivò al suono della botola che si chiudeva.
-Ragazzi! Ragazzi!- era Elisabetta.
Interruppero tutti le proprie attività per accoglierla.
Il primo a salutarla fu Michelangelo.
-Eli! Grazie al cielo sei qui! Temevamo che qualche cattivone ti avesse rapita e portata via da noi- disse, abbracciandola e simulando un pianto.
Lei fu grata di quelle attenzioni e accarezzò la testa della tartaruga, ma non ricambiò il sollievo.
E Leonardo si guardò intorno.
-Dov’è Raph?- domandò, quasi allarmato -Non è con te?-
-È per questo che sono tornata!- avvertì lei, porgendogli i sai –Raffaello è stato rapito!-
I fratelli e Splinter sentirono i loro cuori sussultare.
-Cosa?!- esclamarono, all’unisono.
-E da chi?- aggiunse Leonardo.
-Non lo so. Erano dei motociclisti su delle Harley Davidson. I loro caschi avevano un motivo di fuoco, come la carrozzeria di lato.-
-I Ghost Riders…- mormorò Donatello, serrando le labbra.
-Quei bambocci in motocicletta!- tuonò Michelangelo, alzando i pugni –Come si permettono di rapire il nostro fratellino?!-
-Non so dove l’abbiano portato, mi dispiace tantissimo. Non sapevo cosa fare, senza il mio anello e senza armi. Pensavo che chiedere aiuto fosse la cosa giusta da fare.-
-E hai fatto bene, figliola.- la rincuorò Splinter, toccandole una spalla, calmo, nonostante la preoccupazione per il figlio.
-Trovarlo non sarà complicato.- avvertì Donatello, correndo verso il computer e cominciando a digitare –Basterà rintracciare il segnale del suo Tarta-Cellulare.- lo schermo era acceso; era trasmessa la piantina dell’intera città; in un determinato punto c’erano quattro puntini, uno blu, uno viola, uno arancione e uno giallo –Poi devo ricordarmi di fare un segnale anche per te, Eli, quando avrai il tuo Tarta-Cellulare. Allora, vediamo dove sta Raph… ah, laggiù!-
Un puntino rosso, infatti, stava lampeggiando in una zona della cartina.
Elisabetta tirò un sospiro di sollievo: almeno sapevano dov’era.
-Ehi, il segnale è sparito!- notò Michelangelo, allarmato.
Infatti, il puntino rosso era svanito all’improvviso.
-Devono aver scoperto il Tarta-Cellulare e distrutto…- ipotizzò Donatello –Non importa. So dove lo hanno portato. Presto, al Tarta-Corazzato, prima che mi dimentichi le coordinate!-
-Sperando non sia troppo tardi per Raph…- mormorò Leonardo, preoccupato.
Essendo praticamente nati lo stesso giorno, erano come i gemelli, mentalmente collegati. Percepivano quando uno di loro era in pericolo. E quella percezione era aumentata con l’allenamento presso il Tribunale Ninja.
Una violenta secchiata di acqua gelida destò Raffaello.
Tossì e rabbrividì.
Non era solo l’acqua, ma anche l’ambiente circostante era freddo.
Dove si trovava? Ricordava poco. Stava combattendo contro i Ghost Riders. Poi, il buio.
E aveva un dolore atroce alla testa e al guscio. E vedeva tutto sfocato. Non riusciva ad inquadrare bene il posto circostante. Notò delle sagome sfocate. Dovevano essere delle persone. Brandivano qualcosa.
-Dove sono…?-
La stanza era fredda, umida, piena di muffa. Sembravano servizi igienici dismessi. Come fossero all’interno di una stanza del film “Saw”.
Cercò di alzarsi, ma qualcosa lo tratteneva per terra. Guardò in basso: catene. Sui polsi. E anche sulle caviglie.
Stringevano.
Non aveva nulla addosso: le sue protezioni, i suoi sai, la sua benda, spariti. Senza la tenuta ninja era solo una tartaruga mutante gigante.
-Ben svegliato, Raffaello…-
Alzò solo la testa.
Vedeva ancora sfocato, ma scorse dei pantaloni mimetici. E delle mani robuste. Su una di esse notò un anello crociato. Come quello di Elisabetta.
-Quell’anello…!- esclamò, sforzandosi di guardare ancora più in alto –Tu sei un templare!-
La persona di fronte a lui afferrò con forza il cranio della tartaruga, costringendolo a guardarlo negli occhi.
Iridi con la croce rossa.
Il corpo di Raffaello venne di nuovo percorso da una forte scarica elettrica, che lo fece urlare.
-No. Sono IL templare!- puntualizzò Giacomo, con sguardo freddo, gettando la testa sul pavimento –Il templare che tu hai eliminato dal Nexus!-
Raffaello rimase sul pavimento, quasi immobile, tremante. Sul cranio erano presenti bruciature da scosse elettriche. E il danno si era rivelato maggiore con la presenza di acqua nel corpo del rettile gigante.
-E io non amo perdere! Proprio per niente!-
Il dolore da shock fu più forte dell’impatto che subì al volto. Dalla sua bocca stava già uscendo del sangue, anche dal suo naso.
Voleva parlare, ma non ci riusciva. Emetteva solo grugniti.
Giacomo stava camminando intorno a lui. Il rumore degli anfibi riecheggiava per tutta la stanza.
-Mi hai umiliato, essere inferiore…- proseguì, sibilando; aveva una mano sul guscio, pronto a scagliare una nuova scarica elettrica –E questo è persino peggio di perdere. Sono uno dei templari più forti dell’ordine. Non posso permettermi di perdere contro… un abominio!- si abbassò, e costrinse nuovamente il prigioniero a guardarlo negli occhi –È da quel giorno che pianifico di fartela pagare per avermi sconfitto. Mi godrò tanto questi momenti insieme. Oh, quanto me la godrò.-
Raffaello continuava a tremare, per gli spasmi. I suoi movimenti erano inibiti dalle scosse elettriche.
Ma riuscì comunque a sorridere.
-Tu sarai pure il più forte…- disse, ridacchiando –Eppure ti sei lasciato sconfiggere da una creatura inferiore. Se non ti sei allenato abbastanza, non è colpa mia.-
Una provocazione. Che lo portò ad essere di nuovo folgorato. Poi subì un pugno sulla mandibola. Cadde, quasi privo di sensi, sul pavimento.
-Non osare parlarmi in questo modo! Ma devo ammettere che il vostro ninjutsu non è male. Quel ratto… come si chiama? Splinter? Vi ha davvero insegnato bene. Il Magister ci aveva avvertito di voi. Il mio è stato solo un errore di valutazione, te ne do atto. Ma ora sono pronto a rimediare.-
-Puoi… puoi torturarmi quanto vuoi, templare…- mormorò Raffaello, cercando di rialzarsi, invano; le sue mani tremavano –I miei fratelli verranno a salvarmi.-
Giacomo inclinò la testa, con sguardo da innocente.
-Oh… ti riferisci a questo?- aveva il suo Tarta-Cellulare, in mano; delle scintille lo percorsero, provocandogli lo spegnimento da corto circuito; poi fu fatto cadere e Giacomo lo calpestò con il suo anfibio –Che peccato. A quanto pare i tuoi fratellini non verranno più a salvarti. Pare resteremo soli io e te, Raffaello…-
Un impeto di rabbia si impossessò della tartaruga. Se non avesse avuto le catene e non fosse ancora sotto l’effetto dello shock, gli avrebbe dato un pugno. A malapena aveva la forza per parlare.
-Non-non è così!- esclamò -Loro troveranno comunque un modo per trovarmi! Siamo inseparabili! Non come voi, che avete scomunicato Elisabetta e abbandonata in mezzo alla gente di strada al primo sbaglio commesso!-
-Oh… allora deduco vi stiate prendendo cura del nostro Flagello?- si finse sorpreso Giacomo; in realtà, sapeva che la consorella era infiltrata nel rifugio delle Tartarughe –E, dimmi, mangia bene? La trattate bene? Spero proprio di sì, sai, quando si arrabbia è davvero incontenibile. Bisogna essere minimo in quattro per tenerla ferma, specie quando entra nel suo stato di Furia.-
Raffaello lo sapeva benissimo. Lo aveva provato sulla sua pelle. Era per quel motivo se si trovava lì.
-Ci ha detto tutto di voi.- proseguì –Ci ha detto il vostro modus operandi, abbiamo visto con i nostri occhi cosa fate con le bande criminali. Dite che volete stabilire l’ordine, ma quello che state facendo non è meglio di quello che faceva Shredder! Usare i criminali per il proprio tornaconto e fare i prepotenti con chi credete inferiore a voi!-
Anche Giacomo venne colto da un impeto di rabbia: era tanto fiero quanto permaloso. E odiava chi osava tenergli testa, sia che fosse un confratello sia un avversario.
Allungò una mano verso Raffaello, senza toccarlo. Il corpo della tartaruga venne di nuovo scosso da una scarica elettrica. Stavolta, persino il suo corpo si illuminò, dalla potenza della scarica. Urlò di nuovo. Durò di più delle precedenti. Era come essere colpito da un fulmine vero e proprio.
Giacomo lo osservava impassibile.
-Sì… urla come l’animale che sei…- sibilò, provando un certo piacere nell’udire le urla del torturato.
Gli scappò persino un sorriso.
I Riders intorno a lui, inizialmente ridevano alle prime torture contro la tartaruga. Ma arretrarono, di fronte al vero potere del loro nuovo capo. Avevano paura di lui. Si resero conto che non dovevano mai contraddirlo, per nessun motivo. Non volevano fare la fine del prigioniero.
Giacomo prese una pausa, per riprendere fiato. Poi riprese a folgorare Raffaello. Questi non aveva più forze nemmeno per reggersi in ginocchio, e la sua pelle ormai era bruciacchiata.
Continuava a pensare ai fratelli, a Splinter. Erano la sua forza. Cercò di invocare il loro aiuto, ma non ci riuscì. La meditazione zen e l’addestramento nel Bushido non sarebbero risultati efficaci contro il potere di un templare.
Giacomo prese un’altra pausa. Il corpo di Raffaello, ormai, giaceva privo di sensi. Il respiro era sempre più debole, come il battito cardiaco.
L’anello del templare si illuminò, mentre stava per sferrare un altro fulmine.
Toccò la croce e le sue iridi e pupille svanirono, lasciando solo il cristallino.
Passò poco meno di un minuto, prima che i suoi occhi tornassero normali.
-Signori, qui ho finito.- annunciò ai Riders intorno a lui -Altri impegni richiedono la mia attenzione.- diede le spalle alla tartaruga, uscendo dalla stanza; sorrise in modo maligno -Ora è tutto vostro, se volete.-
L’ordine fu eseguito all’istante: spranghe di metallo e catene furono sferrate contro il corpo esanime di Raffaello.
Aveva gli occhi aperti, ma non poteva muoversi o reagire. Come se fosse morto. Subiva i colpi senza lamentarsi. Il dolore che stava provando non era nulla in confronto alle torture.
Pensava ai suoi fratelli. La sua forza.

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Le Tartarughe ed Elisabetta arriveranno in tempo?
E Raffaello troverà la forza di perdonare Elisabetta?
Elisabetta starà fingendo o sarà davvero preoccupata per Raffaello?
   
 
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