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Autore: Saeko_san    27/03/2020    5 recensioni
Un'ombra si risveglia alla Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, a Venezia, qualche giorno dopo l'uccisione di un importante imprenditore della zona.
Un patto di collaborazione viene stretto tra l'ombra e una giovane ragazza, in cerca di vendetta.
| written between 2009 and 2010 |
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2:
Coscienza improvvisa
 
28 gennaio 2002. Venezia, Campo dei Frari, sestiere di San Paolo.
 
Cinque giorni dopo l’omicidio del presidente della Ca’ de Delizie, la più importante casa dolciaria di Venezia.
Tutto il terreno davanti alla basilica era stato ripulito dal sangue ed erano stati fatti tutti i rilievi del caso. Solo due piccole gocce, poco lontane dal portone principale, erano sfuggite ai medici legali. Quelle due piccole gocce sembrarono risvegliarlo.
Non sapeva bene chi o cosa fosse. Quando aprì gli occhi (o quelli che pensava fossero occhi) vide quelle due piccole gocce rosse grandi come laghi.
Richiuse immediatamente gli occhi.
Quando li riaprì si vide sulla cima del crocifisso sopra il portone della chiesa. Era strano: l’odore metallico di quelle due macchie sembrava averlo destato e poi spaventato. Sapeva che non portavano nulla di buono, eppure non sapeva neanche come avesse questa consapevolezza.
La sua curiosità fu attirata dall’enorme oggetto ligneo su cui era poggiato. Come lo guardò, rabbrividì ancora: c’era un giovane uomo con le mani e i piedi inchiodati a seguire la forma della croce. Ma la cosa che lo aveva spaventato di più era la strana forma del suo corpo. Per la verità non aveva forma; era solo un ammasso di materia scura. Chi era? Era sicuro di essere qualcuno perché dentro di sé aveva ricordi, sprazzi di vita. Setacciò la propria memoria.
Un uomo con un anello verde e una mano più giovane dell’altra sparava alla fronte di un uomo in ginocchio, che aveva già un buco rosso nel petto; questo era il ricordo più recente che aveva.
Un altro ricordo era quello di una ragazza bruna e un ragazzo alto, con una lunga cicatrice che gli attraversava il viso, e i capelli biondi, che si baciavano. Poi immagini confuse di persone, barche e movimenti di nuvole.
Un altro ricordo: una donna che implorava un frate di confessarla; un barbone al di fuori di una porta che aveva la stessa fattura di quella principale che aveva intravisto dalla sua posizione, ma più piccola, che chiedeva denaro ai passanti. Un frate grasso che pregava di fronte ad una strana piramide di marmo. Poi altri ricordi.
Gli sembrava di andare sempre più indietro nel tempo man mano che scorreva quelle immagini e quelle emozioni, che però non aveva mai provato, pensieri del momento che non erano i suoi. Vide un uomo coperto di strane piaghe rosse e gialle parlare con un ragazzo dagli occhi blu e i capelli neri e ricci, anch’esso piagato dalla malattia. Vide quel ragazzo farlo entrare nella stessa porta dove aveva visto il barbone. Vide quello stesso uomo inginocchiarsi in una sala enorme dove si trovavano altre persone che sembravano dormire.
Ricordò un odore sgradevole, l’odore della morte, lo stesso che aveva sentito venire dalle due gocce di sangue sotto di lui. Vide l’uomo uscire davanti al portone principale, guardare il cielo nuvoloso e poi voltarsi per andarsene. Vide qualcosa di piccolo e bianco cadere dal polso della sua mano. Poi altri ricordi, sempre più antichi. Vide la chiesa più piccola di quello che era nella realtà, vide un uomo con la barba nera chino su un quadro quasi finito, attorniato da frati vestiti con sai marroni, e poi vide la chiesa ridotta in mattoni, mentre era in costruzione. Quando si ritrovò davanti a questo ricordo avvertì la sensazione di rinascere: non come era successo quando l’odore del sangue lo aveva svegliato poco prima. Era probabilmente più qualcosa di simile al venire al mondo. Cercò altri ricordi, ma dopo questo non ve n’erano altri, segno che quello era l’ultimo.
O il primo.
Provò un grande moto di curiosità verso quell’edificio, attorno al quale vorticavano i numerosi ricordi delle sue mille vite. Capì che quei ricordi non erano del tutto suoi eppure se lì sentiva dentro, come se fosse uno spettatore di varie vite intrecciate l’una all’altra, racchiuse dentro di lui, che si compensavano tra loro. Decise di entrare nella chiesa per vederla dal vivo. Però non sapeva come scendere; qualcosa dentro il suo essere gli disse di saltare e dunque lo fece: si ritrovò sospeso a mezz’aria, capace di volare. Una luce improvvisa lo colse di sorpresa. Si voltò verso l’origine di quella luce. Vide il cielo rischiararsi dall’oscurità che l’avvolgeva. Un enorme disco luminoso comparve da dietro le case.
Il sole” pensò.
Il suo primo pensiero: ne rimase folgorato. Vide la stessa materia scura che componeva il suo corpo allungarsi ai piedi dei palazzi. Capì che cos’erano: ombre, le ombre delle case. Guardò a terra e non vide la sua, di ombra. Scese in picchiata e si posò con leggerezza a terra. Guardò ancora con attenzione, ma rimase deluso.
Lui non aveva ombra.
Ma certo che non posso avere ombra. Io stesso sono un’ombra”.
Quella consapevolezza lo fece sentire subito meglio. Si girò a guardare la facciata della chiesa. Era alta, imponente e aveva un grande finestrone in stile gotico sopra la porta, finemente lavorata. Osservò il crocifisso sul quale era arroccato quando si era svegliato. Poi posò lo sguardo a terra, in cerca delle due piccole gocce rosse; quando le trovò si sentì stupido per averne avuto paura, poiché erano piccolissime. Poi lasciò perdere le gocce di liquido rosso e si avvicinò al portone. Come poteva entrare? Poggiò sul legno quella che sarebbe stata probabilmente una mano (se ne avesse avuta una) e si ritrovò improvvisamente al di là del gigantesco ostacolo ligneo – dunque era anche in grado di attraversare gli oggetti.
Era in una sala incredibilmente grande. Per terra c’era un pavimento a quadri bianchi e color salmone. Fluttuò su quel pavimento rovinato dal tempo. Poi si voltò a sinistra e vide la stessa piramide dove aveva visto, nei suoi ricordi, il frate grasso pregare. C’erano delle statue ad adornarla.
Una specie di angelo che teneva spenta una lucerna dal fusto lungo e che aveva un volto triste; accanto v’era un leone alato imponente con i denti digrignati.
Gli fece quasi paura.
Spostò lo sguardo sulle sue zampe e notò che tenevano chiuso un grosso libro.
Un vangelo”.
Si stupì di quel pensiero, perché non sapeva che cosa fosse un vangelo; era probabilmente il nome di quel libro molto alto. Poi osservò a lungo due angeli scolpiti sulla facciata della piramide che tenevano un nastro e sotto un nome, scritto con delle lettere scure: “Canova”.
Chissà chi era? Poi, ciò che lo incuriosì di più di quella piramide di bianco marmo era la porta semiaperta. Sentì il residuo di un battito. Era una rumore molto strano, arcano, quasi etero, ma presente. Oltre quella porta nera semiaperta c’era qualcosa che un tempo aveva battuto un colpo, o forse di più.
Un cuore. I cuori della gente battono. Come quello bucato di quell’uomo che ho visto” pensò, rincorrendo i suoi ricordi lontani.
Capì che quella piramide aveva la funzione di monumento funerario. Spostò lo sguardo sulle restanti statue: c’era una figura incappucciata che teneva un vaso chiuso e tre donne. Osservò meglio il mantello del figura con il vaso e le vesti delle tre donne: lo scultore era stato un mago nel ricreare le pieghe degli abiti con il marmo, poiché sembravano vere. Rimase lì a osservarle, dopodiché la sua curiosità fu spostata altrove.
Di fronte alla piramide di Canova c’era un gigantesco mausoleo. Alla base c’era un parallelepipedo di marmo. Si avvicinò. Anche lì senti la presenza di un cuore che un tempo aveva battuto.
Ma avvertì anche qualcos’altro, altra materia. Un corpo, un altro morto. Lesse le iscrizioni sotto la tomba. Erano in una strana lingua che inspiegabilmente riconosceva e capiva: il latino. Le iscrizioni parlavano di un certo Tiziano, un pittore.
Guardò sopra la tomba, sulle immagini del mausoleo e delle statue. Al centro, proprio sopra il parallelepipedo di marmo, c’era la statua di un uomo barbuto, con uno sguardo severo, con accanto due uomini.
Quello deve essere questo Tiziano … accidenti, quando era in vita doveva fare paura parlare con lui” pensò.
Poi passò in rassegna le immagini scolpite sul mausoleo; donne, uomini che si ammassavano l’uno sull’altro; al centro c’era un’immagine più grande di una donna in alto e una massa di uomini che cercavano di raggiungerla con le loro mani da appena sotto di lei.
Che strana immagine” pensò ancora. Un rumore lo fece ritornare alla realtà. Un prete era appena uscito da una costruzione di legno che si trovava di fronte alla grande sala. Era magro e aveva gli occhi neri; di capelli ne aveva pochi e bianchi. Doveva essere molto anziano. Il primo impulso che provò fu quello di rifugiarsi su una delle travi del soffitto e fu quello che fece; anche quando vi fluttuò sopra rimase abbagliato dall’altezza del soffitto e dalla bella fattura delle travi, dipinte in oro con motivi rampicanti. Quando si fu seduto su una di queste guardò in basso il prete che sistemava il luogo per l’apertura.
Allora, vediamo, andiamo a salutare i cari Canova e Tiziano. Forse oggi provo a chiudere la porta del Canova. Non mi piace che rimanga aperta. Però se mi scoprissero si arrabbierebbero molto con me. Si tramanda che quella porta deve restare aperta. Chissà perché poi?”.
Udì questi pensieri e capì che venivano dal frate. Come era possibile? Lui opteva percepire i pensieri della gente? Se faceva più attenzione riusciva a sentire altre voci, appena svegliatesi, di uomini e di donne. I loro pensieri erano un garbuglio in sottofondo, un brusio attenuato dalla loro sola lontananza rispetto all’entrata dell’edificio. Era in grado di avvertirli, ma cercò di estraniarsene subito. Non gli sembrava carino spiare la loro mente, anche se non sapeva bene perché; sapeva solo che doveva evitare di sentire i pensieri di quelle persone.
Ma non ci riuscì. Quelle voci, anche se flebili, lo venivano a cercare. Scivolò verso la gigantesca colonna che sosteneva la trave dove si era rifugiato e passò oltre il prete. Si ritrovò davanti alla grande costruzione di legno da dove aveva visto arrivare il frate magro. Salì le tre scale di marmo che portavano al suo interno.
Qui risiedeva il coro” pensò, e di nuovo si stupì dei propri pensieri: possedeva delle consapevolezze che non sapeva riconoscere, di cui non aveva sentore e arrivavano così, improvvise e inaspettate.
Rimase abbagliato dalla finezza di particolari che aveva quella costruzione. Notò i buchi fatti dai tarli nel tempo. Si insinuò nel legno e ne assorbì l’essenza: gli dava un senso di benessere. Vi uscì e si ritrovò davanti un altro prete, uguale al primo che aveva visto; doveva essere il gemello del frate magro. Vide arrivare anche due ragazzi, uno con una lunga maglietta verde fosforescente e un paio di jeans scoloriti e l’altro con una maglietta rossa e un paio di pantaloni grigi; gli indumenti erano chiaramente di seconda mano.
I due ragazzi, che dovevano avere all’incirca quindici anni, erano accompagnati da una suora sorridente e paffuta che li teneva per le spalle. Erano venuti ad aiutare i due frati gemelli a sistemare tutto per la messa del mattino.
Si voltò e continuò la sua gita per la chiesa. Arrivò alla fine del coro e si ritrovò davanti all’altare, coperto da un drappo viola. Guardò un’immensa figura nera dietro quell’altare. Sembrava fatta di ombra, come il suo corpo. Ne fu sorpreso. Decise che dopo sarebbe tornato ad esaminare meglio quel “buco nero”. Proseguì il suo giro esplorativo, andando a destra dell’ultima immagine che aveva intravisto. C’erano altre cappelle come quelle dell’altare, ma più piccole. Le osservò di sfuggita, perché non attiravano la sua attenzione. Arrivò in una stanza. Davanti a lui c’era un’altra entrata. Oltrepassò la soglia e si ritrovò in una sala con il soffitto poco più basso di tutta la chiesa, ma comunque molto alto.
La sala del Capitolo!”. Un altro pensiero del suo subconscio; conosceva il nome di quel luogo e non ne indovinava il motivo.
Sul lato lungo della stanza, c’era una grande vetrata con delle inferriate che dava su un cortile di forma quadrangolare. Il lastricato era preciso, a differenza di quello che aveva visto fuori al portone d’entrata alla navata principale. Al centro c’era un pozzo con un alto arco. Guardò di nuovo dentro la sala del Capitolo. C’era una tomba, con sopra un’iconografia e sotto un’iscrizione in latino, mezzo rovinata dal tempo. Non perse tempo a leggerla. Ci avrebbe pensato in un secondo momento, semmai. Uscì dalla sala del Capitolo e si ritrovò nell’anticamera che la precedeva: v’era un’altra suora, diversa da quella che aveva incontrato prima e uno dei due ragazzini; era quello con la maglietta rossa. Aveva due occhi neri come il fondo di un pozzo e i capelli biondi e corti. La suora invece, che era abbastanza giovane, sui trentacinque anni, aveva i capelli raccolti in una coda alta, non ancora coperti dal velo e dietro la sua nuca poteva intravedere una cascata di riccioli neri come il carbone; aveva la pelle leggermente abbronzata e un paio di occhi verdazzurri. Stavano sistemando quella piccola sala. Per non farsi vedere prese la consistenza dell’ombra che mandava un crocifisso alle sue spalle. Questo crocifisso sembrava essere molto più grande di quello sul quale si era svegliato, o così gli sembrava – in realtà era un effetto ottico dato dalla grandezza della stanza in cui si trovava.
Rientrò nella navata principale, dove c’erano l’altare e il coro.
Iniziavano già ad arrivare i primi fedeli. Scrutò quei volti e sentì i loro pensieri. Questa volta la curiosità aveva avuto un impulso più forte di quello dell’educazione. Tutti pensavano ai loro cari, ai loro problemi e alcuni anche a quelli del mondo; c’era chi pregava per il solo gusto di farlo, chi per noia, chi per professione. Passò nella parte sinistra all’altare. C’erano altre cappelle. L’unica che destò il suo spirito curioso fu l’ultima. C’era una grata che la separava dal resto dell’edificio, a differenza delle altre, separate solo da piccoli cancelletti. Vide la tomba di un uomo. Un’iscrizione diceva “Monteverdi”.
Il musicista”. Ancora questi pensieri che sembravano non appartenergli.
Vide avvicinarsi il ragazzino con la maglietta verde fosforescente, che aveva visto prima. Aveva gli occhi grigi e i capelli rossi. Lo osservò guardarsi intorno, tirare fuori da sotto la maglietta una rosa bianca, allungare la mano oltre la grata di Monteverdi, cogliere la rosa bianca appassita che c’era lì e metterci quella nuova. Ascoltò i suoi pensieri. “Nessuno sa che io sono un tuo discendente. Vorrei poterlo dire a qualcuno, ma non posso. Uscirei fuori dall’anonimato, no? Mi allontanerebbero da qui, dall’unico parente che ho, nonostante sia defunto da qualche secolo. Però mi sento solo. Perché la mamma mi ha lasciato questo segreto?”.
Quel pensiero aveva il tono di chi si è ripetuto quelle parole dentro per tutta una vita e nell’ultima domanda c’era una punta d’incertezza e tristezza. Improvvisamente, il ragazzo venne chiamato da uno dei due preti gemelli e lo vide allontanarsi correndo. Tornò poco dopo con uno dei due frati gemelli e aprirono una grata che chiudeva una saletta e che si trovava accanto alla cappella di Monteverdi.
Curioso come non mai, vi entrò subito dentro. C’era una fontana e un quadro, incorniciato da una cornice di legno dipinta d’oro con uno stile barocco molto fine. Di per sé la stanza era semplice. Le vetrate alle spalle del quadro lo incuriosivano. C’erano immagini di gente malata curata dai frati, frati che pregavano, lo stesso uomo che aveva visto crocifisso attorniato dagli stessi frati. Aveva notato immagini più o meno simili anche nelle altre vetrate. Uscì dalla saletta, gettò un altro sguardo alla cappella di Monteverdi e poi si andò ad appollaiare sopra una trave.
Osservò arrivare il frate grasso dei suoi ricordi, ma molto più vecchio e affaticato, per fare la messa; vide scolaresche in visita, accompagnate da guide che si perdevano nel racconto della storia quell’edificio; osservò curioso il botteghino che faceva pagare le entrate alle scolaresche e ai non fedeli che venivano a visitare la basilica.
Quando il sole raggiunse il culmine della giornata uscì fuori, strisciando tra le ombre della gente per non essere visto. Avvertiva il fatto di essere visibile e capiva che era meglio che non lo vedessero, gli altri. Trovò un’iscrizione in marmo bianco sulla facciata del portone della chiesa che diceva: “Campo dei Frari. Basilica S. Maria Gloriosa dei Frari”.
Doveva essere il nome della chiesa. Rientrò di nuovo nell’edificio, senza ben capire come articolare e immagazzinare tutte le scoperte fatte in quella mezza giornata. Quando il sole si accinse a tramontare, vide rientrare i fedeli in chiesa per la messa del pomeriggio. Vide di nuovo il frate grasso salire sull’altare e iniziare il sermone. Ascoltò i pensieri di speranza dei fedeli che pregavano e ne riconobbe alcuni molto simili a quelli della mattina.
Poi sentì un vuoto, una mancanza profonda, l’assenza di tutto.
Avvertiva qualcosa, ma non i suoi pensieri, indi per cui rimase con un palmo di naso. Cercò tra i credenti che ascoltavano il frate, identificandone i pensieri corrispondenti.
Gli unici che non sentiva erano quelli di una ragazza, alta, con i capelli lunghi fino alle spalle, biondo rossicci. Volle vederla in volto e così si spostò su uno dei mausolei che si trovavano nella cappella dell’altare. Gettò un rapido sguardo al buco nero dietro all’altare e poi cercò con lo sguardo la ragazza. Portava una frangetta disordinata, i suoi capelli erano lisci, perfettamente piatti. Aveva gli occhi chiusi. Le labbra erano ben disegnate e l’ovale del viso era perfetto. Il naso era forse troppo piccolo, ma nel complesso aveva un volto grazioso. Portava le mani congiunte e mormorava qualcosa mentre il prete parlava. Quanto il frate grasso terminò la messa, lei aprì gli occhi. Erano occhi caldi, confortanti e color cioccolato. Per un attimo gli parve che lo avesse visto e lo osservasse. Si spostò subito fluttuando via dal mausoleo e rifugiandosi dietro al frate grasso, perdendosi nella sua ombra. Quando la messa fu del tutto finita, osservò la ragazza gettare uno sguardo al mausoleo dove si era appollaiato poco prima, alzare le spalle e poi uscire frettolosamente dalla chiesa. Quando tutti si furono allontanati dalle panche, tornò sulla trave dove si era rifugiato quella mattina. Cercò di darsi una forma umana, per potersi muovere più liberamente. Gli venne in mente la ragazza che aveva visto prima. Sapeva di non poter assumere quell’aspetto.
Setacciò i suoi ricordi. Gli venne in mente il ragazzo che aveva visto in un tempo lontano, dove ricordava l’odore di morte, e che aveva fatto entrare un uomo in chiesa; immaginò il suo aspetto, fissandolo davanti a quelli che credeva potessero essere i suoi occhi. Si sentì improvvisamente pesante, perse l’equilibrio e cadde.
Atterrò pesantemente sul pavimento alla base della colonna che sosteneva la trave. Si alzò stordito, eppure non si era fatto nulla, tranne un grosso livido arrossato sulla gamba.
Sorrise. Ora poteva farlo.
Poteva camminare come le persone normali, come tutta la gente che aveva visto frequentare l’edificio sacro per tutta quella giornata. Cercò da qualche parte un qualcosa che potesse riflettere la sua immagine.
Mi serve uno specchio”.
Questa volta sapeva che cosa fosse uno specchio, anche se non riconosceva il perché. Corse a perdifiato per l’enorme sala. Era molto sconveniente avere due gambe così pesanti per muoversi, visto che il suo essere ombra gli aveva permesso di scivolare via alla velocità della luce sui pavimenti di quella costruzione. Trovò fortuitamente un piccolo specchietto per bambini nella sala del Capitolo. L’immagine che l’oggetto gli rimandò non era esattamente quella che ricordava: doveva avere all’incirca tredici anni. Era alto per la sua età, aveva i capelli neri come la notte e riccioluti. Però due ciocche di un verde fosforescente, simile al colore della maglietta del discendente di Monteverdi, gli attraversavano il lato sinistro della testa. Se spostava un pochino i riccioli le ciocche verdi si nascondevano. Però quello che lo stupì non erano i capelli, bensì gli occhi. Erano azzurro cielo. Però avevano delle sfumature d’oro brillante, impossibili da nascondere; sembravano piccole pagliuzze di oro grezzo perse nell’acqua di un fiume d’alta montagna. Provò ad immaginarsi con gli occhi della ragazza che aveva visto a messa, ma non ci riuscì.
Diede poi un’occhiata ai suoi vestiti: portava un maglione bianco e dei pantaloni neri; aveva un paio di scarpe azzurre, da ginnastica, malridotte, ai piedi. Si sentì improvvisamente stanco. Posò lo specchio e si rannicchiò a terra. Cinque secondi dopo si addormentò profondamente, tornando ombra e confondendosi con la notte.
 
***

Lixa era andata alla chiesa dei Frari, come ormai faceva da cinque giorni, ogni pomeriggio. Dal quel maledetto giorno, in cui la polizia le aveva detto che suo zio Livio era stato ucciso.
Livio Tosca era di fede cristiana – per la precisione francescano. Lixa Tosca, non conoscendo altra religione che quella del suo amato zio, fratello di suo padre, (aveva frequentato sin da bambina la Chiesa in Campo dei Frari) andava in chiesa tutti i giorni per pregarlo e per pregare che qualcuno la aiutasse a vendicarsi.
Però quel pomeriggio, quando frate Ballon aveva terminato il sermone e lei aveva riaperto gli occhi, le era parso di aver visto un’ombra con due occhi d’oro fissarla. Era stato solo per una frazione di secondo, poi aveva sbattuto le palpebre e l’ombra era sparita. Prima di andarsene aveva guardato di nuovo verso il mausoleo dove l’aveva vista comparire, ma non era riuscita a notare nulla di strano. Allora si era voltata, pensando ai suoi problemi.
Aveva quindici anni, due genitori che erano morti quando ne aveva dieci, ormai completamente sola al mondo, e aveva anche una questione di vendetta da portare a compimento. Non era quella che si diceva una ragazza comune.




















Note di Saeko:
eccomi qui, con un nuovo capitolo, estremamente lungo, di presentazione del vero protagonista della storia; è vero, ancora non ha un nome, ma lo avrà presto. Come si sarà notato, ho descritto in maniera assai particolareggiata la Basilica dei Frari; all'epoca della mia visita in camposcuola durante il quale maturai l'idea per questo racconto, rimasi talmente affascinata dalla storia e dall'aspetto dell'edificio che l'ultimo giorno, che i professori ci lasciarono libero per esplorare la città per conto nostro, decisi di tornare lì per di stamparmi a fuoco nella mente i particolari che mi erano piaciuti di più; in quegli anni i cellulari facevano fotografie molto sgranate, non si collegavano ad internet come lo fanno ora e soprattutto non avevano abbastanza memoria da poter contenere le note di tutti i particolari che volevo riportare, per cui mi sono affidata alla mia memoria e all'aiuto di un'enciclopedia, facendo in modo di conoscere quell'edificio come se fosse casa mia. Spero che l'effetto che volevo ottenere, ovvero quello della completa appartenenza dell'ombra alla chiesa, pur se la sta scoprendo solamente ora, sia riuscito.
Passo ora ad alcuni ringraziamenti: 

a Estel_naMar per aver recensito il secondo capitolo e aver inserito la storia tra le seguite;
a alessandroago_94 per aver commentato il secondo capitolo di questa storia;
Elgas per essere passata a recensire il primo capitolo dell'altro racconto concluso prima di intraprendere la pubblicazione di questo, ossia "Historiae - Il viaggio fantastico".

Ho inoltre aperto un canale telegram dedicato alla mia pagina qui su EFP e su Ao3, per cui se qualcuno fosse interessato e avesse telegram, eccovi il link: https://t.me/VeronicaSaeko

Grazie ancora per avermi sopportato sino a qui e, salvo imprevisti, ritornerò domenica.

Saeko's out!
  
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