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Autore: skorpion    27/03/2020    2 recensioni
Da un anno aveva affittato un appartamento in pieno centro, il che significava essere costretto a condividere i mesi estivi con una folla di turisti inferociti che assaltavano puntualmente tutti gli alberghi e le locande di Atene, ma significava anche mettere a distanza di sicurezza tutta la parte della sua vita precedente che si sarebbe volentieri lasciato alle spalle. Quella era la distanza massima che il suo ruolo gli consentiva: non poteva andare oltre, era pur sempre un cavaliere d’oro e il suo tempio non poteva restare completamente senza custode. Un compromesso, questa era la sua vita ora: un patto, un continuo contrattare condizioni, obblighi e doveri.
..... Universi paralleli, ecco cosa erano diventate ora le loro esistenze: due mondi incompatibili che non si sarebbero più incrociati.
Nota: Ambientazione post Hades
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gemini Kanon, Gold Saints, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 28

Capitolo 28

 
Kanon fissava da ore un punto indefinito dell’orizzonte, nel quale il confine del mare si perdeva con l’azzurro del cielo, rendendo impossibile comprendere dove finisse l’uno e dove iniziasse l’altro. Era sempre stato così, da che ne aveva memoria: la vista da Capo Sounion, nelle giornate sgombre da nubi, dava l’illusione di un mare che si riversava direttamente in cielo, o forse era il contrario, non l’aveva mai capito davvero.

Seduto sulla roccia intiepidita dal calore del sole greco, la sua mente non riusciva a focalizzarsi su niente che non fosse il susseguirsi degli eventi che lo avevano suo malgrado coinvolto negli ultimi giorni, le cui conseguenze erano oramai totalmente fuori dal suo controllo.

Si era sforzato, da quando Athena gli aveva concesso una possibilità di redenzione, di cancellare quella dannazione che si era sempre sentito addosso come un’ombra nella sua precedente vita, fino ad illudersi di esserci riuscito.

Che stolto! Distolse per un attimo lo sguardo dall’orizzonte per rivolgerlo con disprezzo alle sue mani. Aveva abbassato la guardia e si era esposto al fato, consentendo ad altri di decidere per lui, andando contro il suo proprio sentire, che gli urlava di non lanciare il suo colpo contro una ragazza inerme, per quanto gli venisse richiesto di farlo da chi, in quel momento, pareva avere in mano solo certezze e verità assolute. Ma la rabbia che provava non era rivolta agli altri, per quanto li ritenesse corresponsabili dell’accaduto. Tutti, Alexander compreso. Ma, se l’anima di Juliet si fosse davvero persa per sempre, avrebbe potuto biasimare solo se stesso, l’unico a non meritare perdono alcuno.

Si chiedeva come avesse potuto trascinare le cose fino al punto del non ritorno, senza essersi reso conto di quello che stava accadendo. Julian Solo e Pandora sostenevano ci fosse stata un’interferenza. E lui non si dava pace per non essere stato in grado di percepirla, di contrastarla e di tirarla fuori in tempo da quella dannata spirale dimensionale.

Lady Isabel aveva disposto l’immediato e urgente trasferimento del corpo di Juliet al tredicesimo tempio, effettuato con l’aiuto del cavaliere della prima casa, e aveva immediatamente convocato il cavaliere di Virgo, nella speranza che il suo consulto potesse essere in qualche modo d’aiuto.

Kanon, che era rimasto in disparte per la maggior parte del tempo, ad un certo punto non aveva retto la tensione e si era allontanato senza nemmeno congedarsi. Non era in vena di formalità. Ma soprattutto voleva evitare ad ogni costo di incrociare qualcuno dei suoi due fratelli, che sapeva essere entrambi al Santuario.    

Kanon non era un vigliacco, il suo passato dava più di una dimostrazione della sua capacità di assumersi le proprie responsabilità, ma al solo pensiero di un confronto con loro, sentiva venir meno tutto il suo coraggio.

Non sapeva se qualcuno si fosse degnato di informare dell’accaduto i diretti interessati, premurandosi di specificare la sussistenza di un legame di sangue che li portava ad essere i parenti a lei più prossimi attualmente in vita. Certo, senza contare il padre, che però solo pochi giorni prima le aveva sparato addosso dopo 12 anni che non si vedevano, per poi scomparire di nuovo nel nulla.

Una risata amara gli sfuggì dalle labbra, quando gli venne in mente che forse il suo disastroso rapporto con Saga non era più da considerare il peggior esempio di legame familiare distorto di cui era a conoscenza.

“Sapevo di trovarti qui, Kanon, ma non avrei immaginato di trovarti a ridere da solo di fronte al niente. Devo preoccuparmi?”

La voce arrivò chiara alle sue orecchie, superando il rumore della brezza marina e delle onde che si infrangevano sugli scogli e, immediatamente, tutti i muscoli di Kanon si tesero fino allo spasmo, bloccandogli la respirazione.

Il nuovo arrivato, avvicinandosi da dietro, posò una mano sopra la sua spalla

“Rilassati cavaliere. E respira. Qualcuno si è già preso la briga di raccontarmi l’accaduto, con tutti i dettagli annessi e connessi”.

“…” Kanon cercava invano di articolare qualche parola che gli consentisse di esprimere, se non altro, la sua costernazione.

“E soprattutto, smettila di sentirti in colpa, di cercare il castigo divino o la dannazione eterna. La tua aura è insopportabilmente deprimente, ancor più di quanto lo sia questo luogo” gli disse mentre scivolava nella roccia per sedersi al suo fianco.

Kanon ebbe finalmente il coraggio di voltarsi e guardarlo in faccia. Ciò che lesse nello sguardo del cavaliere della Fenice era tutto fuorché quello che si sarebbe aspettato.

Una risata profonda, sincera e priva di qualsiasi ostilità o recriminazione, scaturì dalla bocca di Phoenix, che prontamente commentò lo sguardo di stupore che gli veniva rivolto da Kanon.

“Che c’è? Sembri quasi sorpreso di vedermi. Eppure avrei giurato che la tua fuga dal Santuario avesse in qualche modo a che vedere con me. O mi sbaglio, Kanon?”

“Mhmpf” Kanon si riprese in fretta dallo stupore e, in perfetta sintonia con il tono canzonatorio dell’altro, si apprestò a rispondere “Può essere che non ti sbagli, cavaliere. Come non credo di sbagliarmi nemmeno io se presumo che tu sia qui per sfuggire ad una situazione che al momento ti risulta, passami il termine, emotivamente destabilizzante”.

“Vedo che il tuo acume è rimasto intatto, e me ne compiaccio” rispose ironicamente Phoenix, per poi farsi più serio “L’emotività di Andromeda al momento basta e avanza. Come sai non sono fatto per questo tipo di sentimentalismi, io”.

Kanon non potè fare altro che annuire, rivolgendo nuovamente lo sguardo di fronte a se.

“Come procede?” riuscì a chiedere dopo qualche minuto. In realtà avrebbe voluto dire “Come sta lei?” ma qualcosa dentro di lui impediva alle parole di defluire. 

“Virgo e Athena sono con lei. Non credo sinceramente che né io, né tu, né nessun altro presente al Santuario potrebbe in questo momento essere più d’aiuto di loro.

E sebbene mi costi ammetterlo, anche il contributo di Pandora potrebbe rivelarsi significativo”.

“Beh, lei farebbe bene a rendersi utile, vista la sua insistenza nel farmi lanciare quel maledetto colpo. Per non parlare di Julian Solo, che ben sapendo che io …” 

“Kanon” lo interruppe l’altro “Le recriminazioni non porteranno a niente. Tutti hanno agito in buona fede, di questo sono certo. Lady Isabel me lo ha assicurato, è stata lei a dare il benestare”.

“Già, lo so bene. Solo che io dovrò sopportare il peso di essere stato l’esecutore materiale. Lei si è fidata di me e io l’ho colpita, dopo averle detto di chiudere gli occhi. Non sono nemmeno riuscito a sostenere il suo sguardo mentre…”

“Come sono?”

“Cosa?”

“I suoi occhi. Ho visto per un attimo il suo corpo disteso, ma non sono riuscito ad immaginare il suo sguardo”.

Kanon esitò un attimo, riflettendo e cercando i dettagli nella sua memoria. Si stupì di quanto questi fossero rimasti vividi e impressi nella sua mente.

“…. Sono verdi. Dello stesso colore di quelli di tuo fratello. Ma lo sguardo è esattamente come il tuo: caparbio, sfrontato, impertinente e …”

La risata spontanea di Phoenix lo interruppe “Noto che hai sempre un’alta considerazione della mia persona”.

“Sai perfettamente che la mia considerazione nei tuoi riguardi non si fa influenzare dal fatto che tu abbia oggettivamente un pessimo carattere, Phoenix”.

“Oh, lo so bene, ma è grazie al mio pessimo carattere che noi due ci intendiamo al volo, Kanon. Com’è che si dice, chi si somiglia si piglia, no?”.

Kanon stava per rispondere piccato alla battuta, quando l’espandersi di un cosmo conosciuto catturò tutta la sua attenzione e mise in allerta i suoi sensi. Non poteva essere, non aveva alcun senso, ma per un attimo fu convinto di avere percepito il cosmo di suo fratello Saga. Fu per un istante, solo per un impercettibile istante, ma era sicuro di averlo sentito.

“L’hai sentito anche tu?” gli chiese Phoenix, il corpo teso in posizione di allerta.

E questa fu per Kanon la conferma che non era stato solo uno scherzo della sua immaginazione.  

 

Quando Juliet aprì gli occhi, la prima cosa di cui si rese conto era che stava sudando. Sentiva caldo. Troppo caldo per essere a Berlino.

La seconda era che non aveva contezza del tempo che era trascorso dall’ultima volta in cui ricordava di avere avuto gli occhi aperti.

La terza era che non ricordava esattamente tutti i dettagli di quanto era successo durante quel tempo indefinito. La sua memoria le rimandava in maniera sovrapposta due volti uguali: entrambi, in circostanze diverse, le avevano chiesto di chiudere gli occhi. Ricordava le loro diverse sfumature di voce e soprattutto ricordava perfettamente i nomi di entrambi: Kanon e Saga.

Qualcuno intorno a lei si mosse, rendendola improvvisamente consapevole di non essere sola nella stanza. La prima persona che vide fu una ragazza, con lunghi capelli portati sciolti sulle spalle. Pensò che non potevano essere naturali. I riflessi viola erano troppo intensi.

Quando si accorse che appena dietro la ragazza c’era un tizio biondissimo, che sembrava dormire in piedi, si chiese se non fosse morta e quelli non fossero traghettatori venuti a prendere la sua anima.

Non percepiva nessuna minaccia evidente da parte loro, ma non sapendo esattamente come interagire con degli sconosciuti e sentendosi piuttosto a disagio, oltre che spossata e priva di energie, si limitò ad osservarli, restando silenziosamente in attesa che uno dei due facesse una qualche mossa. 

“Bentornata Juliet” la ragazza dai capelli viola parlò per prima, con un tono di voce piuttosto rassicurante.

“Grazie”si sentì in dovere di rispondere qualcosa, se non altro per ricambiare il tono cortese con cui le si era rivolta.

“Posso comprendere la tua confusione nel ritrovarti improvvisamente in un ambiente nuovo, circondata da persone sconosciute. Ma non temere, Alexander è qui fuori e se ti fa stare più tranquilla, posso mandarlo a chiamare”.

Al solo sentir nominare Alexander, il volto di Juliet si contrasse in una smorfia involontaria. E si affrettò a rispondere

“Non c’è bisogno grazie. Piuttosto Claire è con lui? L’hanno recuperata?”

La ragazza dai capelli viola scosse leggermente la testa, e rispose con un tono che sembrava sinceramente affranto.

“Non ancora, mi dispiace. Ma non devi stare in pensiero, l’Agenzia sta portando avanti la missione di recupero a San Pietroburgo, con l’aiuto del Cavaliere dello Scorpione”.

Juliet ricordava di avere espressamente richiesto ad Alexander che Milo, Walt e Lucas lasciassero Berlino per andare in Russia a cercare Claire.  
Si guardò attorno con più attenzione e si rese conto che la stanza in cui si trovava era infinitamente più ampia di quella del Park Inn. E la vista che si intravedeva dall’ampia finestra non era neanche lontanamente simile a quella che ricordava. A meno che a Berlino non avessero portato il mare.

“Mi avete trasferita in un altro albergo?” articolò la domanda in maniera razionale, sebbene si aspettasse una risposta totalmente irrazionale.

“Siamo in Grecia” le rispose infatti “E ti chiedo scusa se ancora non ci siamo presentati. Io sono Isabel e lui è Shaka, cavaliere d’oro della sesta casa di Virgo”.

Juliet associò immediatamente il nome di Isabel alla Fondazione, ricordava benissimo il suo ruolo dal periodo in cui Claire era stata in Grecia, anni prima. 
Poi fissò il tizio che, nonostante avesse impercettibilmente mosso il capo, quasi a voler mimare un gesto di saluto, continuava imperterrito a tenere gli occhi chiusi. 

“Siamo a casa sua dunque?” chiese indicandolo.

“Siamo al Tredicesimo Tempio del Santuario di Athena” rispose direttamente lui, sempre senza aprire gli occhi. Poi le si avvicinò e improvvisamente aprì gli occhi. Aveva gli occhi più azzurri che Juliet avesse mai visto. E il suo sguardo la metteva decisamente in soggezione.

“Non temere, qui sei al sicuro” Isabel intuì forse il suo disagio e cercò di rassicurarla. Poi si rivolse all’altro, con tono che a Juliet sembrò amichevole e confidenziale, ma allo stesso tempo fermo e risoluto “Shaka, devo allontanarmi per qualche istante. Preferisco che Juliet non resti sola, e sarei più tranquilla a saperti qui con lei, in mia assenza”.

L’altro assentì, chinando il capo in maniera reverenziale “Certamente Milady, al suo rientro mi troverà qui”. 

Quindi Isabel si voltò verso Juliet e con un sorriso le disse “Mi assenterò solo per breve tempo, certa di lasciarti al sicuro e in ottime mani. Più tardi spero di farmi perdonare per questa scortesia”.

Juliet era interdetta dai modi in cui si rivolgeva a lei. Avrebbe voluto sottolineare che non era una poppante che non sapeva stare sola qualche minuto e aveva bisogno della baby sitter, ma qualcosa nell’estrema gentilezza di quella ragazza le impediva di risponderle in maniera rude. Per cui si limitò ad assentire.

Non appena Isabel lasciò la stanza, Shaka si diresse verso la finestra, accanto alla quale c’era una bella panca di legno decorato, ricoperta di cuscini di velluto, e si sedette sopra uno di quei cuscini.

“Dunque hai conosciuto il Cavaliere di Gemini” fu il primo a spezzare il silenzio imbarazzante che si era venuto a creare nella stanza.

“Chi?”Juliet ebbe l’impressione che la sua domanda nascondesse delle insidie.

“Kanon, ovviamente. Chi altri, se no?” si sentì gli occhi azzurri di Shaka puntati addosso.

La sua risposta le diede la conferma. E decise di fare la finta ingenua, per vedere cosa in realtà quel cavaliere volesse sapere. 

“In realtà la parola Kanon e la parola cavaliere nella stessa frase suonano come un ossimoro”.

Lui la scrutò con un’intensità tale che Juliet fece fatica a non distogliere lo sguardo. Quando pensò che le avrebbe letto anche l’anima, lui proseguì “Provi rancore nei suoi confronti, dopo quello che è successo?”

Juliet pensò attentamente alla risposta. La domanda la portò a riflettere sull’accaduto e in tutta sincerità doveva ammettere che Kanon si era dimostrato fin da subito assolutamente contrario all’esperimento. L’avevano praticamente trascinato in una situazione che lui aveva chiaramente dichiarato essere troppo rischiosa. In qualche modo si era preoccupato per lei. Non poteva prendersela con lui.

“No. Non ce l’ho con lui per avermi lanciato quella specie di macumba. E’ tutto quello che ha detto e fatto prima, che ha fatto si che io mi costruissi un’opinione abbastanza precisa di lui”.

Shaka non si scompose per niente, e pacatamente proseguì

“A volte i nostri comportamenti o le nostre parole non rispecchiano ciò che in realtà siamo. Conoscere l’animo di una persona nel profondo non è impresa semplice, soprattutto quando si hanno solo poche ore a disposizione”.

Juliet rimase colpita dalle sue parole, consapevole che in esse ci fosse una grande verità. Ma soprattutto perché le riportarono alla memoria le parole di Saga, che durante il suo “soggiorno” nell’altra dimensione le aveva fatto delle sconcertanti rivelazioni. Rivelazioni che coinvolgevano anche Kanon e che forse lei avrebbe preferito non conoscere.

Improvvisamente le venne in mente che Saga le aveva esplicitamente chiesto di non far parola con nessuno del loro incontro e del suo viaggio nell’altra dimensione, almeno fino a quando il nemico che incombeva su di loro non si fosse rivelato. A quel punto, e solo in caso di estremo pericolo e necessità, lei avrebbe dovuto richiedere a Kanon di lanciare nuovamente il suo colpo contro di lei, e Saga sarebbe stato pronto a fare il resto.

Ciò faceva scaturire in lei un forte senso di colpa nei confronti di Kanon, che sarebbe dovuto rimanere ignaro di tutto, mentre lei ora era a conoscenza di dettagli della sua vita che probabilmente lui non avrebbe mai condiviso con lei, nemmeno sotto tortura. Lo avrebbe dovuto semplicemente usare, in caso di estrema necessità, per consentirle di tornare in un’altra dimensione, senza poter condividere con lui niente di ciò che era accaduto e stava accadendo.   

  
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