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Autore: Ghen    28/03/2020    2 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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60. Fuga dalla Casa degli Specchi


Le davano fastidio e Megan strinse per bene i pugni, decisa ad affrontarle. Stavano sul campo a chiacchierare invece di prendere sul serio gli allenamenti assegnati, sparlando di Kara e di come avesse passato il tempo a divertirsi o a cercare un modo per essere migliore di loro trascurando gli impegni con la squadra. Non poteva stare ad ascoltarle per un altro secondo di più: «Siete incredibili», urlò camminando a passo spedito verso di loro. «Ingrate, arroganti, ridicole. Non provate neanche un po' di riconoscimento per tutto quello che ha fatto Kara per noi, per la squadra?».
Una di loro scrollò le spalle, cercando di inquadrare i volti delle compagne per avere manforte. «Oh, beh, e ora ci pianta in asso per una pillolina».
«Non c'è nessuna conferma di questa storia».
«Beh, il coach ci crede», sostenne un'altra ragazza, gonfiando il petto.
Megan alzò gli occhi al cielo, seccata. «Beh, il coach è un idiota», sbottò. Si accorse troppo tardi degli sguardi delle ragazze che le stavano suggerendo, in ritardo, di starsi zitta. Sbiancò, girandosi e trovando Millard a pochi passi, fumante di rabbia. Si stava preparando per l'eruzione del vulcano che un'altra compagna di squadra, camminando verso di loro a testa bassa, le portò con titubanza il cellulare che suonava, chiedendo scusa a entrambi, certa di aver interrotto qualcosa. Ignorava di averle appena salvato la vita. «Devo… devo rispondere», indicò il cellulare e, con un finto e breve sorriso, gli sfuggì. Era quasi certa di averlo visto grondare saliva come un vecchio cane rabbioso, ma ci avrebbe pensato dopo. Portò il cellulare all'orecchio e rispose senza che avesse prima visualizzato il numero. Appena udì la sua voce, le gambe smisero di muoversi.
«È un brutto momento?».
Megan prese un grosso boccone d'aria, per poi serrare le labbra con forza. Eccolo. Dopo giorni e giorni e giorni ad aspettare che si facesse vivo, esordiva con una domanda assurda, dovendo ben immaginare come non aspettasse altro che risentire la sua voce. «… Ho… Ho appena dato dell'idiota al nuovo coach», bofonchiò e lo sentì fare una breve risata.
«Quindi ti stai trovando bene».
Oh, ma naturale, pensava che lo avrebbe salvato il sarcasmo? Giorni trascorsi così nervosa, così in pensiero, e lui faceva del sarcasmo. «Dove sei? Dove sei stato?». Riprese a camminare, allontanandosi dal campo verso gli spalti. L'aveva tagliata dalla sua vita all'improvviso senza una singola parola e ogni secondo in più che passava al cellulare, ogni parola in più che le diceva, la sua rabbia accresceva. Se poi era per dirle di aver trascorso quel tempo a Metropolis e di aver tolto la sim dal cellulare per non essere disturbato, come poteva, John, non prevedere che sarebbe scoppiata? «Ti prendeva così tanto tempo inviarmi un messaggio per dirmi che saresti stato irreperibile? Sono stata in pensiero, John, per giorni», sottolineò, tirando le labbra. «Per-giorni. Avevo bisogno di sapere che stavi bene e tu avevi tolto quella dannata sim».
Lui sospirò. «Non volevo ti preoccupassi».
«E cosa pensavi che sarebbe successo?», si nascose sotto gli spalti vuoti, schiena contro un pilastro.
Lui ci mise un po' a rispondere: «Ci siamo lasciati e tu…».
«E io?».
«Non mi hai dato una seconda possibilità e pensavo non mi avresti cercato. Lo so che ti avevo detto che avremo parlato, ma pensavo… Sei impegnata. Avete le ultime partite e gli esami e-».
«Non parlarmi come se fossi una studentessa qualsiasi», a quel punto inveì, passandosi una mano sui capelli, tirando dietro un orecchio una ciocca sfuggita all'elastico. «Io sono una: non avete, ho». Prese un grosso respiro, stringendo un pugno. «Fammi capire per bene: il fatto che io non ti abbia subito il via libera perché volevo comprendessi come mi sentissi, mi impedisce in qualche modo di preoccuparmi per te?! Ero in pena, John. Soprattutto ora che so che lavoro fai».
«Mi dispiace».
Lei strinse gli occhi un istante. «Vai al diavolo». Chiuse la telefonata senza possibilità di replica, guardando poi il cellulare che tremava, stretto con collera. Lo fece, lo mandò al diavolo. Si sentì liberata di un peso e, allo stesso tempo, triste. I propri occhi apparivano così piccoli sullo schermo del telefono, così sottili e lucidi. Ma non avrebbe pianto. Megan si voltò per appoggiare la fronte contro il pilastro, sconfitta. Le mancava, era l'uomo della sua vita, ma ogni volta che il pensiero di perdonarlo le sfiorava la mente, lui faceva o diceva qualcosa di sbagliato che le permetteva di tirarsi indietro. Dei giorni a Metropolis. Aveva tolto la sim. Era chiaro che, qualsiasi cosa avesse per la testa, ora a lui stava bene che le cose tra loro fossero così. Poteva andare dove voleva e sparire e se lei conosceva almeno in parte quell'organizzazione e il resto contro cui lui indagava, e grazie a Kara e non di sicuro a John, probabilmente stava combinando qualcosa e la voleva fuori, semplice, come se bastasse a non farle pensare a lui di continuo. Di continuo, maledizione.
John Jonzz si si grattò la nuca e, sbuffando, rimise via il telefono in una tasca dei pantaloni neri. Aprì lo sportello dell'auto e uscì, incantandosi a osservare la sua immagine riflessa nello specchietto laterale. Era capace di riconoscersi? Chi era quell'uomo e che ne aveva fatto del John finalmente felice di avere la compagna giusta accanto? Si allontanò mettendo su una faccia seriosa e raggiunse Fort Rozz dall'altra parte della strada. Sapeva che fine gli aveva fatto fare: aveva messo davanti il suo lavoro e non avrebbe avuto il lusso di pensare a un'alternativa. Stare con lui poteva essere rischioso, di questi tempi. La amava e anche per questo avrebbe dovuto lasciarla andare. Non lo sapeva Megan, ma neanche al D.A.O., in effetti, sapevano cosa gli passava per la testa. Per fare il suo lavoro, aveva sposato la drastica decisione di nascondere come lo stava facendo al suo stesso lavoro: c'era almeno una spia al D.A.O., ne era sicuro, e non poteva permettersi azzardi. Aveva detto loro che sarebbe andato a fare una vacanza, lasciando altri a coordinare in sua assenza, e ora era tornato a National City, come niente fosse, solo per chiacchierare con Astra Inze prima della sua imminente scarcerazione. In passato l'aveva già interrogata diverse volte, ma non voleva perdersi l'occasione di farlo per quella che poteva essere l'ultima.
L'uomo si sedette e guardò la donna per un po', prima di proferire parola. Lei fece altrettanto mentre era tenuta stretta dalle manette dal suo lato del tavolo: era pulita, i suoi capelli vaporosi, le labbra piene e una carnagione vivace. La vita in carcere non sembrava così dura, dopotutto. «Ti tratti bene», iniziò spezzando quel silenzio e avvicinandosi con un gomito sul tavolo. «Non ti fanno mancare nulla, bene».
«Cosa insinua, agente Jonzz?».
«Niente», rispose con una scrollata di spalle e una smorfia sul viso. «Non vorrei dire qualcosa di troppo, in verità: qui tutto ha orecchie. Era solo un'osservazione: stai bene, sono contento. Sono solo passato a salutarti». Si sgranchì le dita, andando ad appoggiare la schiena. «L'appello al processo di questo pomeriggio potrebbe essere l'ultimo. Emozionata, suppongo».
Astra piegò le sopracciglia, commossa. «Sono passati dodici anni… sì, sono emozionata».
«Tante cose da fare. Ritrovare ciò che si è lasciato in un mondo che intanto è andato avanti», intrecciò le dita delle mani, dando di nuovo peso sul tavolo. «Come Kara, ad esempio». La tenne d'occhio e sorrise impercettibilmente quando la vide alzare un sopracciglio come colto da una piccola scossa elettrica: il suo nervo scoperto, pensò lui. «Le ho fatto da coach, in questi ultimi anni», incalzò con fierezza, rimettendo dritta la schiena. «Lacrosse. È molto brava».
«Non sapevo che durante il tempo libero, agli agenti del D.A.O. fosse permesso insegnare sport».
«Era una copertura. Dovevo tenerla d'occhio, sai da cosa. Kara Danvers ha sempre vissuto con qualcuno che le guardava le spalle da quando la sua casa è esplosa. E così suo cugino», spiegò. «Prime di me, lo hanno fatto altri. Non lo ha mai saputo ma è da quando Rhea Gand è agli arresti che è libera per la prima volta». Astra Inze sorrise e, con occhi chiusi, lui la adocchiò tirare un sospiro di sollievo. «Eppure…», si interruppe, guardando lei che riapriva gli occhi, «il vento sta cambiando da queste parti. E tu lo sai».
A quel punto lei si irrigidì e, prendendo fiato a narici spalancate, si accostò al tavolo, guardandolo con severità. «Se è vero che sta cambiando lo fa in meglio, agente Jonzz. Non è un pericolo per Kara».
«Così come non era un pericolo per i coniugi El?», le domandò, guardandola dritta negli occhi. «Come non lo era per Faora Hui?».
«Faora Hui è morta per complicanze dovute al coma», riprese lentamente, «E non osi neppure nominare la mia famiglia! Non faccia questo giochetto con me, agente-».
«Continua pure a ripeterti questa favoletta se ti fa sentire meglio», le parlò sopra, «ma tu ed io sappiamo bene qual è la verità e sai», alzò la voce un momento, «sai bene come nessuno può essere ritenuto davvero al sicuro. Pensaci… Astra». La notò deglutire. «Pensa attentamente a dove è riposta la tua fiducia quando uscirai di qui».
«… Sta… Sta di nuovo insinuando qualcosa, agente Jonzz?».
«No. Ti trovo bene, dico davvero». Si alzò e la donna ebbe un sussulto.
«A-Aspetti! Agente Jonzz, la prego», si lasciò andare a un sospiro quando lo vide fermarsi e girarsi ancora. «Posso chiederle un favore?».
«Un favore da me?».
«Non glielo chiederei se non ritenessi che è importante», ingerì saliva. «Mia nipote, Kara… può assicurarsi che stia bene? Connessione familiare, sa? Ho paura stia passando un brutto momento».
Lui uscì dalla saletta. Quella donna era chiusa come dietro spessi muri d'acciaio. Aveva perso la famiglia per conto delle stesse persone per cui ora avrebbe dato la vita e lo trovava fuori da ogni concezione. Il fatto che l'unica responsabile della morte degli El fosse Rhea Gand a John non bastava e non convinceva, soprattutto dal momento che la sua cattura era stata giostrata da Adrian Zod. E quella Gand, ancora più dura, preferiva fare scena muta agli interrogatori più che tradire quell'uomo. Ma come darle torto, pensò: non si sarebbe sorpreso nel sentire se fosse stata minacciata di morte. Davanti alle porte a vetri per uscire, si incantò nell'osservare la sua figura, tirando la giacca in avanti e alzando il mento. Non si sarebbe dato pace fino a quando non avrebbe portato dietro le sbarre di una cella ogni membro di quell'organizzazione, a cominciare proprio da Zod. Avrebbe ristabilito l'ordine delle cose. Uscì, scendendo le scale esterne. La storiella della connessione familiare era interessante: cosa sapeva Astra Inze, dentro Fort Rozz, che lui non sapeva? Le notizie dovevano girare veloci tra i membri dell'organizzazione. Tornò in auto e tolse la modalità aereo dal cellulare, scrivendo Kara Danvers su Google. Kara era famosa nell'ambito sportivo del continente, il nome Supergirl era conosciuto da chiunque si interessasse a sufficienza della materia, ma ultimamente, a causa del matrimonio delle signore Danvers e Luthor, era stata sotto i riflettori per riflesso e questo la rendeva bersaglio di gossip più o meno grandi. Non si stupì infatti di trovare notizie sul suo conto su piccole testate, ma di vederla affiancata a una parola come doping era un altro paio di maniche. John spalancò gli occhi, incredulo. «Danvers», chiamò al telefono. «Alex… Cos'è la storia di tua sorella e di queste pillole che gira sul web? Sì…», sospirò, «Sì, sono tornato ma sono ancora in vacanza ufficiale e tornerò presto a partire per… questioni private».
Alex strinse le labbra. Stava attraversando la strada e le sudavano le mani. Si fermò davanti a un'auto parcheggiata e si nascose appena poco sotto quando, sul marciapiede a pochi metri, Carina Carvex si voltò un'istante. Per poco non la sorprendeva seguirla. «Ho chiamato Kara e…». Allungò lo sguardo, osservandola parlare con un'anziana che vendeva frutta e verdura esposta fuori dal negozio. Alex si tirò il berretto verso gli occhi, assicurandosi, attraverso il finestrino vicino, che bastasse a darle un'aria diversa. «Non posso andare a trovarla, è a Metropolis in questo momento. Lei e Lena dovevano parlare con Lex di… queste pillole, in effetti. È una storia un po' lunga e adesso non posso trattenermi per telefono». La vide andarsene con due sacchetti pieni e si alzò per seguirla, usando i passanti per coprirsi, mentre ascoltava il suo capo quasi imprecare. «Emh, sì… è vero, ma non era doping! I giornali esagerano! Kara passava un brutto periodo e-», si zittì, alzando gli occhi al cielo e gonfiando le guance intanto che lo ascoltava, «No, non lo sapevo… Non era doping», insisté. Carina Carvex svoltò a una curva e Alex pensò bene di controllare il riflesso di una vetrina di un esercizio commerciale davanti prima di girare anche lei: la stradina era libera. Girò, trovando solo cassonetti e una puzza maleodorante. Dove poteva essere entrata? E se si fosse accorta di lei? Lo sperava bene, era un'agente, ma non lo sperava affatto per se stessa. «Mi auguro soltanto che questa voce smetta di girare. Le spiegherò meglio per email». Sospirò. «A quello… sì, ci sto lavorando proprio adesso, dunque… Benissimo. Si goda le vacanze». Chiuse la telefonata e selezionò il numero di sua sorella, ricominciando a camminare; era meglio non farsi trovare lì, in ogni caso. Stava squillando, squillava ancora, era tutta la mattina che ci provava. In realtà, non era per niente riuscita a sentire Kara dal giorno prima e, dopo ore che provava inutilmente, cominciava a preoccuparsi sul serio. Le inviò un altro messaggio, pensando che forse avrebbe dovuto sforzarsi per inviarne uno anche a Lena e parlare con lei. Si fermò e ansimò seccata, inquadrando con curiosità la vetrina di un negozio di elettronica.

Com'era perdere tutto? Ritrovarsi in un attimo smarriti; sentirsi piccoli, esclusi, rinnegati, soli. Kara non era nuova a quelle sensazioni e la scoperta del suo mondo che le crollava sotto i piedi un'altra volta non le lasciava respiro. E conscia che erano state le sue stesse azioni a compiere quell'infausta vicenda, era ciò che le dava il colpo di grazia.
Il cellulare continuava a vibrare sopra il lenzuolo. Smetteva qualche secondo e ricominciava. E così da ore.
Era seduta sul centro del letto a gambe incrociate. Si pizzicava e tirava il labbro inferiore con due dita, intenta a fissare il vuoto. Non sapeva per quale motivo si ostinasse a tenere il cellulare accanto nonostante non volesse leggere messaggi né ricevere chiamate. Da nessuno. Aveva intravisto i nomi di Megs, Leslie, Lucy, quello di alcune compagne di squadra e naturalmente Alex. Ringraziava il cielo che sua madre non leggesse certe riviste online. Cosa ne sarebbe stato del suo futuro? L'unica cosa che voleva davvero era lavorare alla CatCo e Cat Grant aveva deciso di tagliarla fuori. E del suo presente? Come sarebbe stato il suo presente? Millard non le avrebbe fatto giocare la finale, era fuori dalla squadra. Per quanto tempo ancora avrebbe avuto la possibilità di giocare e ora non poteva più? Il tempo scorreva, nuove cose avrebbero preso il posto del lacrosse una volta lasciata la Sunrise. Era stato davvero Maxwell Lord a farle questo? La voce si era propagata così in fretta che non aveva avuto il tempo di prepararsi a ciò che sarebbe accaduto. E poteva dare la colpa a Lord, a Millard, o a Cat Grant, ma era solo sua. Pensava di rimediare bloccando la vendita di quelle pillole, ma le conseguenze si erano estese a macchia d'olio prima che avesse il tempo di comprenderle. Si guardò intorno, osservando quei mobili dall'aspetto freddo tirandosi il labbro inferiore tanto da farsi male. C'erano libri, dischi, dadi, alcuni peluche in alto, un orologio da tavolo dall'aspetto antico, chissà quanto era costato. Altri libri, una scacchiera portatile chiusa, soprammobili in vetro, bamboline di porcellana. Sul comò davanti al letto, al centro della stanza, c'era un cofanetto portagioie aperto con all'interno tre piccoli specchi: riusciva a vedere il suo riflesso su tre angolazioni differenti e in ognuno faticava a guardarsi, doveva distogliere gli occhi. Aveva le occhiaie, era spenta; odiava sentirsi così ma non aveva le forze per farne a meno. Non adesso. E più osservava con attenzione quella camera che era il doppio della sua a casa Danvers-Luthor, quasi il quadruplo del suo dormitorio al campus che divideva con Megan, e più un pensiero in qualche angolino remoto della sua mente si rimpolpava di nuove certezze. Si lasciò il labbro e abbassò gli occhi, scoprendo una chiamata persa da un numero aziendale. Questo era nuovo. Si passò una mano sulla fronte e ansimò, sentendo bussare alla porta.
«Ehi… Posso entrare?».
Kara scrollò le spalle. «È camera tua».
Lena chiuse la porta dietro di lei, aggrottando lo sguardo: il tono con cui le aveva rivolto la parola era così duro che Kara doveva essere ancora lontano dal riprendersi. Si sedette sul letto davanti a lei, le adocchiò il cellulare un istante e glielo mise più lontano per appoggiare meglio una gamba e, così, prenderle le mani con le proprie, spostandole le dita che aveva riposto sul labbro. «Ti porto qualcosa da mangiare? Puoi ordinare quello che preferisci, non hai che da chiedere. Hai mangiato pochissimo e Indigo si sta già atteggiando come se avesse vinto chissà quale gara ci fosse tra voi due».
Kara abbassò gli occhi e allungò uno sguardo al suo telefono che, ancora, non accennava a smettere di vibrare. «Non lo dubito…», boccheggiò soprappensiero. «Ma non ho fame, adesso. Grazie lo stesso». Abbassò lo sguardo, prendendo fiato.
«Lo so che adesso tutto ti sembrerà nero, Kara, ma sono certa che si sistemerà. Non posso dirti che sarà facile, o che non cambierà niente, ma sono sicura, davvero sicura, che tutto si sistemerà. In un modo o nell'altro. Col tempo», le sorrise, allungando la mano destra per carezzarle una guancia. «Hai tutto il diritto di sentirti giù e puoi stare qui tutto il tempo che vorrai».
«No, no», scosse la testa, «Ho solo bisogno di un altro momento, uno soltanto, e dopo…», le parole vennero meno e accartocciò le labbra, prima che Lena la stringesse a sé. Avrebbe voluto mostrarsi forte di fronte a lei, ma non riusciva a pensare a un modo per risolvere le cose. Sapeva che sarebbe uscita da quella porta a testa alta e che avrebbe trovato un modo per tirarsi su e ricominciare perché era quello che riusciva a fare meglio, ma ora come ora non era che un miraggio. Scelse di separarsi da lei allungando le braccia ma, appena si accorse dello strano sguardo dell'altra, pensò di scusarsi. «È che… che ho bisogno-».
«Di stare da sola». Lena annuì e si alzò.
A Kara mancò il fiato e la fermò in un lampo: «Non è colpa tua».
«… lo so», mormorò, riavvicinandosi di nuovo. «Ti stai punendo, Kara, e non sei pronta a parlarne con me. Lo capisco. Quando vuoi, sarò qui».
«È che… è che ho rovinato tutto, Lena».
«Non è vero. Ci sei già passata, avevi già affrontato tutto questo per quelle pillole, non tornare lì con la testa. Non fartelo».
Lei tirò su con il naso e, prima che potesse trattenerle, sputò quelle parole con naturalezza: «Non è per le pillole». L'altra si fece curiosa, corrugando lo sguardo. Kara si passò una mano sulla fronte, come se stesse usando quei secondi, quei secondi velocissimi, per decidere se condividere o meno con lei ciò che le passava per la testa. Infine si alzò come una molla e la raggiunse, posando lo sguardo indietro solo per assicurarsi che quel cellulare, che ancora vibrava, fosse ben sepolto da almeno tre cuscini. E ora come spiegarsi? Si fregò convulsamente le mani, oramai davanti a lei. Si guardarono e Lena scrollò le spalle, invitandola a dire qualcosa. Bene, aveva lanciato la pietra e non poteva tirare indietro la mano. «Le pillole… Non è solo questo. I-Io ho sbagliato ad affidarmi a Maxwell Lord e preferirei dimenticarmi di quel periodo, davvero, ma non riesco a togliermi dalla testa che…», la guardò negli occhi, trattenendo il respiro, «che-che se fossi stata più presente, non sarebbe successo».
«Più presente? In che modo?».
Alzò gli occhi, mordendo un labbro. «Beh, ho saltato gli allenamenti, ad esempio. E mi sono fatta odiare da Millard quando avrei potuto tentare di… di-», si fermò, bloccando le mani a mezz'aria, «beh, lui mi avrebbe odiata comunque, ma avrei almeno potuto fare qualcosa per rimediare, se ci fossi stata! E la CatCo… fo-forse non mi sono impegnata abbastanza, e lo so che non essendoci Siobhan che è in malattia… però, però avrei potuto chiederle di darmi altri compiti, qualcosa», alzò la voce, chiuse gli occhi e li ingigantì, stringendo i denti e i pugni, «per far capire alla signora Grant che davvero tenevo a quel lavoro». Scosse la testa. «Invece ho lasciato che accadesse! Ho… Ho…», si guardò intorno un'altra volta, ai libri, alle bambole, agli orologi, a quel portagioie aperto che rifletteva lei e Lena sui piccoli specchi. «Non…». Non trovava le parole. «Mi sono accorta di… di aver dato per scontate molte cose».
Lena annuì lentamente e avvicinò la mano destra alla sua sinistra, le sfiorò le dita e, come colta da un pensiero veloce, si allontanò bruscamente, mettendo le braccia a conserte. «Ti sei distratta», mormorò, procedendo verso la porta. Quasi le era mancata la voce.
«No… No! Non intendevo come se…». Lena delineò un mesto sorriso e Kara sentì di aver sbagliato qualcosa. «Lena, aspetta! Non è-».
«Non me la sto prendendo, Kara».
«Oh, e perché», si tirò in su gli occhiali, mettendo su una smorfia, «a me sembra il contrario?».
Lei sospirò. «Ti ho chiesto io di venire qui e tu avevi gli allenamenti».
«E tu avevi da studiare», scrollò le spalle. «Lo hai fatto per me: io volevo venire qui a parlare con Lex. Ho dato alle pillole la priorità, era quello che volevo», continuò velocemente, aggrottando lo sguardo e andandole incontro.
«Ma non è tutto qui, giusto?», riprese secca. «Quante volte ti ho chiesto di restare in villa».
«Non sono mai stata male in villa con te», si guardò in giro un istante, uno solo, ma non sfuggì allo sguardo attento dell'altra.
«Però lo vedo che c'è qualcosa. Parla. È questo che dovremmo fare», insisté. «Sei stata da me più di quanto io…», sorrise di nuovo, puntando lo sguardo a un punto vuoto: «In realtà, proprio io non sono mai stata tanto in villa come in quest'ultimo periodo con te. Perfino quando ero bambina cercavo una scusa qualsiasi per uscire. Tu ed io, e Indigo, stiamo vivendo insieme e questo… questo è… è stato bello».
Kara restò immobile qualche secondo, tornando un passo indietro e infine sputando il rospo: «È bello, m-ma… Ma mi sono accorta solo adesso che… Non volevo che fraintendessi».
«La villa non è casa tua, Kara. Cosa devo fraintendere? Anche se Eliza e Lillian lo vorrebbero, stavi vivendo da me, trascurando la tua…», lasciò di nuovo la frase a mezz'aria, irrigidendo le labbra.
«È casa tua, è vero», si arrese Kara. «E io sto davvero bene lì con te, non smetterò di dirlo. Ma…», serrò le labbra anche lei, dopo averle inumidite.
«Abbiamo stili di vita molto diversi, Kara. E non ti ho mai chiesto di venire a vivere con me».
«Io l'ho pensato», le sorrise, corrugando lo sguardo. «I-Io ho pensato di lasciare il campus per andare a vivere con te».
Pensò di sorridere anche lei, ma il desiderio le si spense in fretta, aprendo la porta di scatto. «Beh, adesso sai che sarebbe un errore», chiosò. «Mi trovi di sotto se-», era già fuori dalla porta quando udì il campanello dell'appartamento suonare. «Deve essere Lucy Lane», bisbigliò, girandosi di nuovo verso l'interno. «Voleva parlare con Lex delle pillole, spero non sia già uscito. Ha provato a cercarti per dirtelo ma non rispondi al telefono, dunque… ha chiamato me».
«Cosa-», la fermò con la mano sulla maniglia per richiudere, «Cosa mi stavi dicendo?».
Lena scosse la testa, formando un sorriso. «Se ti venisse fame, sai dove trovarmi». Uscì e si appoggiò alla porta chiusa alle sue spalle, prendendo grosse boccate d'aria. In quel momento, l'unica cosa che avrebbe voluto era scappare. Il campanello la destò e si coprì rapidamente il volto con una mano quando vide il suo riflesso sullo specchio di fronte: non poteva sopportare la sua immagine dura ora, così scese le scale. Si guardò attorno e in salone non c'era nessuno. Adocchiò Lucy Lane nello schermo che riprendeva il portone del palazzo e, premendo un pulsante, ordinò al custode di farla salire. Lasciò la porta dell'appartamento socchiusa e squadrò Indigo da capo a piedi quando la notò arrivare per sedersi con pigrizia su uno dei divani. «Dove sei stata?».
Lei alzò le spalle. Dov'era stata? Aveva aperto la porta del bagno e Lex l'aveva chiusa, spingendo lei contro il muro. Con la mano destra a premerle il mento e la sinistra a stringerle un polso, il giovane aveva affondato la bocca nella sua, lasciando il mento solo per avvicinarle un fianco contro il suo corpo. Con gli occhi ancora chiusi, Indigo era riuscita a trovare la forza di liberare entrambe le mani e a spingerlo per le spalle, chiedendogli di smetterla.
«Ieri notte non eri dello stesso avviso», l'aveva guardata, col fiatone.
«Ieri notte era ieri notte, ora è ora», gli aveva risposto a voce ferma, adocchiando le sue labbra calde. «Non puoi pensare che se ti do il permesso di toccarmi una volta, quello valga per sempre».
Lex aveva sorriso, scuotendo la testa a breve. «Questa notte, se…», anche lui si era incantato a osservare le sue labbra, rimettendosi dritto con la schiena, «se mi darai il permesso di toccarti, ovviamente, sei cortesemente invitata a trascorrere le ore in mia compagnia. Desidererei davvero riprovarci».
«Voi uomini non amate proprio che vi si rifiuti, eh?».
«Non equivocare le mie intenzioni: non è una rivincita per come mi hai piantato in asso la notte scorsa, quella che voglio, Indigo», aveva sorriso di nuovo, «Sono davvero irrimediabilmente attratto da te e ti odierò quando te ne sarai andata. Sempre che siano ancora quelle le intenzioni».
«Lo sono».
«Allora ritorna», l'aveva pregata, alzando una mano verso il suo viso, bloccandola per scoprire se, da parte sua, ci sarebbe stato il permesso di toccarla. Aveva seguito il suo sguardo verso la mano e dopo al suo viso. Era un sì? Le aveva portato lentamente le dita dietro l'orecchio sinistro, accarezzandole la guancia col pollice. «Puoi venire a trovarmi quando vuoi».
«Lo avevo capito, fratello di Lena».
Lui aveva abbozzato una risata. «Raggiungimi, questa notte». Le aveva dato un veloce bacio a stampo sul collo e se n'era andato, lasciando la porta aperta alle spalle.
«In bagno», rispose con nonchalance a Lena, alzando gli occhi dal cellulare.
In quel momento entrò Lex, intento a sistemarsi la cravatta, e Lena gli lanciò un'occhiataccia.
«Tutto a posto con Kara?», chiese il fratello spezzando l'insolito silenzio. Nemmeno il tempo di chiedergli a cosa si riferisse, che Indigo riprese:
«La tua faccia: non sembra derivante da coccole».
Sbuffò. «Ebbene, siete pregati tutti e due di farvi gli affari vostri».
La porta si aprì pian piano proprio in quel momento, mentre sbucava la testa di Lucy Lane chiedendo di poter entrare.
Lena la squadrò: alta, capelli un poco mossi tirati indietro da un fermaglio, labbra piene con un accenno di rossetto color carne; si teneva in forma, il top bianco che indossava non lasciava molto spazio all'immaginazione. La famosa figlia di Lane che aveva deciso di seguire le sue orme: non l'avrebbe riconosciuta senza la divisa ed era comunque da tempo non si incontravano dal vivo. Si tirò dietro le spalle i lisci e lunghi capelli corvini, mettendo su una delle sue espressioni più fredde. «È un piacere rivederti», le allungò la mano destra e l'altra la accolse subito, non mancando di sorriderle.
«Il piacere è mio». Diede una sbirciata al salone e strinse la mano a Lex, poi a Indigo, che si presentò come Linda, suo malgrado. Chiese di Kara e Lena si distrasse dal fissarla, spiegandole che in quel momento stava riposando. «Posso capire, avrà tanto per la testa… Beh», si voltò verso il ragazzo, stringendosi le mani, «credi che potremmo parlare in privato?».
Allora, Lex le fece cenno di seguirlo. «Sarà un enorme piacere per me sentire le ennesime motivazioni per cui dovrebbe valere la pena andare a processo».
I due salirono di sopra e Lena si sedette accanto a Indigo, reggendosi la testa e ritrovando il suo cellulare dietro un cuscino. Si sentì osservata ma, quando la guardò, lei aveva già riportato gli occhi sullo schermo del cellulare. «Ti senti ancora con Winn?».
«Ogni tanto».
Le sorrise e l'altra la fissò con espressione curiosa. «Sai una cosa? Stai meglio. Da quando ti ho conosciuta, intendo».
Il cuore le mancò un battito. «Tu dici?».
«Sì. Ed è per questo che devi promettermi una cosa». Aspettò che la guardasse di nuovo per continuare: «Stai lontano da mio fratello, per favore. Vedo come ti guarda e non mi piace».
«Non ti piace tuo fratello?».
Lena inspirò pesantemente e allontanò lo sguardo per finire su un punto vuoto, reggendosi di nuovo la testa. «Una volta avrei risposto a questa domanda in modo differente. Gli voglio bene, ma ci sono lati di Lex, Indigo, che avrei preferito non scoprire e», scosse la testa, «temo potrebbe avere brutta influenza su di te».
Indigo abbassò gli occhi, ritrovandoli sullo schermo del telefono. Lena credeva di poterla guarire, salvare, cambiare… Strinse l'apparecchio, finché non decise di prendere fiato. «Farò ciò che posso».

Com'era perdere tutto? Megan non lo sapeva. Si era sempre considerata come una ragazza normale con dei problemi e, a dispetto di Kara che aveva perso la famiglia, o di altre persone, anche fortunata. Il fatto che il dubbio di aver perso definitivamente John non le desse modo per pensare ad altro, né le lasciasse in pace lo stomaco che sentiva restringersi, non le faceva cambiare idea. Era solo un uomo, avevano avuto una relazione ed era giovane, non avrebbe lasciato che questo le condizionasse la vita. Non più. Non era come perdere tutto, aver perso solo lui. Cominciò a correre intorno al campus per allenarsi, da sola.
Intanto, Kara aveva trascorso il tempo a leggere di se stessa online. Non aveva ancora avuto il coraggio di riprendere in mano il cellulare, ma ne aveva avuto a sufficienza per farsi del male dando uno sguardo ai commenti sotto le notizie accedendo al portatile di Lena: alcuni erano delle sue compagne di squadra che la accusavano di aver barato, quando quella volta giocò una partita quasi interamente da sola. Ci aveva messo un po' per riconquistarle, da poco aveva perfino portato per tutte loro dei biscotti, e adesso la odiavano di nuovo; ci sarebbe voluto un miracolo. Gonfiò le guance. Per di più, probabilmente aveva ferito Lena. Si portò entrambe le mani sul viso, scivolando, reggendosi la fronte. E non sapeva ancora esattamente come avesse fatto a ferirla. Non era il vivere con lei il problema, ma di averlo fatto in quel modo e in una casa dove non si sarebbe mai sentita pienamente a casa, nonostante si stesse abituando. Proprio come quella camera, anche quella in villa era un luogo che di lei non aveva niente. Non si era minimamente accorta di come, pian piano, stesse tralasciando alcune cose importanti per… non per stare con lei ma, in un certo senso, quasi. L'aver perso tutto le aveva aperto gli occhi. «È colpa mia, solo mia», sussurrò al telefono: si era decisa. «Non avrei mai dato le colpe a Lena, eppure in qualche modo, da come si è comportata, è come se gliele avessi date. Se anche lei mi avesse chiesto di restare, e a volte lo ha fatto, sono sempre stata io a voler restare. Non mi ha costretto. Come io volevo venire qui a parlare con Lex a discapito degli allenamenti. Ho scelto cos'era più importante… No-Non che me ne penta, sia chiaro, è solo che non mi ero resa conto di come stessi lasciando la presa sul resto della mia vita. E anche», deglutì, «stare da lei. Io voglio vivere con Lena, solo magari non… non a casa sua, Alex». Irrigidì la bocca perché qualcosa la infastidiva, ma non poteva fare altrimenti e scrollò gli occhi.
«Vuoi una casa vostra», la sentì risponderle. «Come potrei non comprenderti, Kara: Maggie ed io abitiamo attualmente in due case, ricordi?», ridacchiò.
«Come siete riuscite a far quadrare le cose per tutto questo tempo?». Si alzò dalla scrivania e si gettò a sedere sul letto, riguardando quel portagioie. «A bilanciare le vostre carriere, le vostre cose, e-e c'è Jamie», sorrise, «Avete una bambina che vuole anche lei il suo spazio, tra giochi, e impegni, la babysitter. Come… ?».
«Nessun segreto, sorellina. Pensi che sia sempre stato come lo vedi adesso? All'inizio neppure sapevo di Jamie, ricordi? Abbiamo costruito le nostre vite insieme, ci siamo messe d'accordo sui singoli impegni e quelli di Jamie. Ci siamo sbagliate spesso e abbiamo litigato; a volte la mia carriera è venuta prima e altre quella di Maggie, ma siamo sopravvissute. Devi avere pazienza, Kara. Adesso ti è successo questo e ti sei accorta all'improvviso di cosa stavi facendo, ma te ne saresti accorta in ogni caso più tardi o… avresti sistemato il tiro senza neppure costruirci un caso sopra», la sentì ridere ancora, senza ombra di presa in giro. «Non avere fretta. Tutto troverà il modo di andare al posto giusto. E sono contenta che tu abbia deciso di chiamarmi, finalmente, cominciavo a stare davvero in pensiero».
Si sdraiò, non trattenendo un altro sorriso. Sapeva che sua sorella non aveva potuto telefonare a Lena per sapere di lei e la cosa non le piaceva per niente, ma anche in quel caso avrebbe dovuto portare pazienza.
«E come ti senti, a proposito? Pensi ancora che sia stato Maxwell Lord?».
«Beh, è… Lui avrebbe avuto un motivo per farlo. Me la vedrò io. E ora va meglio, comunque, mi sto riprendendo. Prima ero giù, è vero, ho passato letteralmente le mie ore a trovare una ragione per cui tutto è successo ma adesso, adesso devo venirne fuori». La sentì tirare un sospiro di sollievo. «Devo perché… devo capire come fare a riottenere tutto quanto». Era strano, ma si sentiva davvero molto meglio. Tanto tempo trascorso a piangere su ciò che aveva perso, senza rendersi conto di un peso che era sparito.
«Vedi come tutto cambia quando ne parli con la tua sorellona?». Si fermò quando sentì Kara ridere. «E dimmi una cosa: umh, Lena è uscita, per caso?».
«No», aggrottò la fronte, «No, non credo…». Il suo istinto la portò a non chiederle il perché e si zittì, deglutendo. «Ah, Alex! Oggi c'è…».
«Sì».
«Andrai?».
«Sono già qui, sto aspettando una collega. Il processo è a porte chiuse, ma come agenti ci siamo fatte dare il permesso», la sua voce cambiò, facendosi più tenue. «Inizierà tra mezzora. Ti farò sapere più tardi».
La ringraziò e, dopo aver staccato la chiamata, si portò il cellulare sul ventre e prese un grosso respiro. Sua zia non starà nelle pelle, pensò. Oggi il giudizio finale. Appena in tempo per scrollarsi quel pensiero di dosso che il cellulare vibrò a lungo. Chi la chiamava con tanta veemenza? Ancora il numero aziendale e gonfiò le guance.
«Ehi, Danvers».
Carina Carvex le toccò una spalla e Alex si voltò, notando che aveva il fiatone.
«Ho ancora le cose del mio ex a casa e stavo sistemando, non mi ero accorta dell'orario», si scusò. Captò i suoi brividi al tocco e non poté che esserne, almeno un po', soddisfatta. «Siamo in tempo?», si sistemò accuratamente il colletto della camicia.
Carina aveva una macchia violacea intorno al collo: Alex non poté che constatarla, furtiva. «Sì… Sì, sei arrivata giusto in tempo, stanno aprendo ora le porte. Cos'hai fatto al collo?».
Lei abbassò la testa d'istinto e accennò uno spento sorriso. «Oh, nulla… Ho avuto un-», si ritrovò a non sapere cosa dire, non credeva che se ne sarebbe accorta. Fu una fortuna che, procedendo verso l'entrata, videro Astra Inze passare in corridoio, scortata da due guardie. Ancora in manette, la divisa blu da carcerata, aveva un'aria paradisiaca e un sorriso smagliante. «Si vede già fuori di qui», sibilò lei e Alex non poté che concordare.
«Andiamo a prendere posto».

Com'era perdere tutto? Indigo non lo sapeva. Non si era mai accorta di avere qualcosa e di averla persa se non dopo tempo che era successo. Aveva una famiglia e l'aveva persa come l'aveva persa Kara, anche se in modi diversi, ma non ci aveva dato il giusto peso. Indigo si era abituata presto a stare da sola, a contare su se stessa, a non fidarsi degli altri neanche quando erano gentili. Perché nessuno era gentile senza volere qualcosa in cambio. Si era seduta davanti al pianoforte, osservando i tasti bianchi e quelli neri. Sentiva lo sguardo di Lena addosso, anche se si era allontanata di qualche metro per rispondere al telefono. Si comportava in modo strano, pensò, e non era solo per aver avuto una discussione con Kara o quel che fosse. Lo avrebbe scoperto quella notte ascoltando le loro conversazioni dal suo cellulare. Stava per premere un tasto che fermò l'indice a mezz'aria, fulminandola con un'occhiata svelta e improvvisa. Non lo aveva: Lena aveva lasciato il telefono in salone, sul divano, per salire al piano delle camere da Kara. Se lo portava sempre dietro per via del lavoro e lo aveva lasciato per andare da Kara? Curioso. Tanto curioso.
Kara scese le scale di casa Luthor soprappensiero. Di sicuro, si sarebbe aspettata di tutto men che quello e non vedeva l'ora di parlarne con Lena, ma era al cellulare. Davanti al pianoforte, Indigo sembrava molto annoiata. E Lex e Lucy… Oh, li sentì scendere in quel momento, con la ragazza che lo sollecitava di chiamarla per ogni domanda o dubbio gli fosse venuto in mente. Lui sospirava rumorosamente come al solito, probabilmente non ancora abbastanza convinto di andare a processo. Lo sarebbe mai stato?
«Kara». Si abbracciarono appena la vide e allora sia Indigo che Lena, nonostante fosse ancora al telefono, si voltarono per fissarle. «Come stai? La voce si è sparsa nel giro di ore, mi dispiace così tanto», scosse la testa e lei le sorrise.
Si toccavano: inquadrò Lena. Lucy le teneva le spalle e Kara le braccia. I loro corpi erano a pochi centimetri di distanza. Oh, ma cosa andava a pensare. Chiuse la chiamata e si accostò a loro, intanto che Lex chiedeva a Lucy Lane, e così a tutte, se voleva bere qualcosa. Indigo lo raggiunse scattante. «Devo avvicinarmi alla Luthor Corp», si posizionò tra le due costringendole a separarsi, e così guardò Kara. «Mi assenterò qualche minuto. Mi hanno chiamato per dirmi che sono arrivati dei documenti, cose che non possono aspettare». La sua voce era così ferma e dura. Notò Lucy sorriderle ancora e dopo sorridere alla sua ragazza: a che gioco stava giocando? No. Doveva smetterla di fare così: si rimproverò tra sé e sé.
«O-Okay…», Kara si tolse un capello dal viso, pensandoci. «Vuoi che venga con-».
«No. Ci impiegherò qualche minuto appena, tu avrai da… aggiornarti con la tua amica, probabilmente».
Lucy cambiò espressione di colpo e Kara s'imbrunì. «Oh, veramente io devo andare! Non pensavo di-».
«Ma no», Lena forzò un sorriso. Talmente forzato da mettere soggezione in entrambe. «Trattieniti ancora, sarai di compagnia. Non sei forse in vacanza?».
«Ma, Lena», Kara cercò di prendere parola, «Dobbiamo parlare».
«Parleremo dopo», finì, dando loro le spalle.
Kara roteò gli occhi e allora scandì per bene la voce: «Mi ha chiamato Maxwell Lord». Tutti si voltarono e ci fu silenzio, anche da parte di Lex e Indigo al bancone del piano-bar. «Non è stato lui, o… o almeno così ha detto. Anzi, ha colto l'occasione per propormi di essere la sua testimonial». Ingigantì gli occhi e guardò i volti dei presenti, sorpresi, uno per uno. «Una testimonial… per le pillole di cui io voglio fermare la vendita. Notate anche voi il paradosso in questa storia?».
Lena si portò una mano sulla fronte e iniziò a ridere, e così Lucy, dopo Lex, gettandosi ancora da bere. Indigo invece sospirò, portando gli occhi al soffitto per poi inquadrarle di nuovo: l'aria si era fatta tesa fino a qualche secondo fa. Studiò Lucy Lane poiché era lei a rendere Lena nervosa.
«Maxwell Lord non ha perso tempo», commentò Lena, per poi dare uno sguardo all'ora sul polso. «Comunque sono contenta di sapere che hai ripreso a controllare il cellulare poiché Leslie Willis ti sta cercando». Vide lo sguardo di Kara mutare. «Mi è sembrata gentile, il che è strano: cerca di non rompere la magia».
Indigo osservò Kara Danvers annuire, ma non ne era entusiasta. Ora era una sua ex collega, dopotutto. E, in un attimo, Lucy Lane scrollò le spalle e si strinse nelle mani: adesso era lei quella nervosa. Forse doveva sentirsi di troppo in quel teatrino.
«Colgo l'occasione per dire che sono davvero, davvero felice che voi due», quest'ultima prese parola, passando lo sguardo da una all'altra, «stiate insieme. Non so cosa ti abbia raccontato Kara, ma sono una grande sostenitrice della vostra relazione».
Ci aveva provato, pensò ancora Indigo, ma non sembrò andare a buon fine, dato lo sguardo duro di Lena e quello impacciato di Kara.
«Sì», la prima alzò il mento, mostrando un freddo sorriso. «Kara me lo ha detto».
E così vide Lena andarsene, Kara allontanarsi per fare quella telefonata e Lucy Lane che non accennava a smettere di fregarsi le mani, guardandosi intorno con l'aria di una bimba spaurita. E adesso veniva verso di loro: certo, ora lo avrebbe accettato quel bicchierino. C'era stata tensione, una tenera agitazione, imbarazzo, probabilmente una gelosia preesistente, analizzò, poggiando un bicchiere, già vuoto, alle labbra. Doveva esserci stato qualcosa tra quella Kara Danvers e la figlia minore di Lane, e Lena ne era al corrente. Riafferrò il bicchiere, ritrovando gli occhi di Lucy Lane a poco dai suoi.
«Non so… Hai una faccia già vista, è possibile?», le puntò contro un dito e Lex rumoreggiò con la gola.
«Lane. Perché non mi parli nel dettaglio dei rischi di espormi a un processo».
Non si poteva dire che il giovane non fosse intervenuto per tempo ma, quando Kara scese le scale e si affacciò al salone, corse ad aiutarlo nel separarle.

Alex Danvers uscì dall'aula con un gran mal di testa. Una volta in corridoio si affacciò di sotto, alle scale, prendendo fiato. Era fatta, Astra Inze era libera. O meglio lo sarebbe stata tra pochi giorni, il tempo dato alla burocrazia di avviarsi. Non ci sarebbe stato altro modo di trattenerla, l'organizzazione aveva vinto. Libera e pulita, pronta per rientrare nella vita di sua sorella. E adesso come sarebbe riuscita a dirglielo?
«Caz-». Carina ci si gettò a fianco contro il corrimano, trattenendosi dallo sbraitare non appena si ricordò di dove fosse, voltandosi indietro per assicurarsi che nessuno la stesse guardando male. Strinse i denti. «È fatta, partner. Siamo fottute», aggiunse in un bisbiglio. «Sono la prima a voler essere positiva, ma quella donna, Danvers, quella donna fa parte dell'organizzazione al cento per cento e la lasceranno andare perché non abbiamo prove sufficienti. Questa non è davvero una buona giornata», si rimise dritta e osservò alle loro spalle l'avvocato e altri stringersi la mano. Alex si stette zitta e Carina non mancò di pensare a come stesse cercando di capire qualcosa di lei. «E il marito?», le chiese. «Cosa ne sappiamo del marito?».
«Verrà rilasciato», rispose con sicurezza. La fissò, per poi scuotere la testa. «Se è stata rilasciata lei, non ci sono speranze. È finita, Carina. Non ci resta che tornare a casa a leccarci le ferite e prepararci per il prossimo round».
Le sorrise. «Completamente d'accordo. Vediamo di prepararci a dovere, stavolta! Quei due torneranno dietro le sbarre prima di arredare casa».
Anche Alex provò a sorriderle e insieme scesero le scale. Non capiva davvero se parlasse seriamente o se stesse solo fingendo. O Carvex era davvero brava, o stava perdendo tempo a starle dietro e avrebbe dovuto cominciare ad analizzare qualche altro collega.
«Senti, casa mia non è lontana. Ti vuoi riposare un po'?», Carina le batté amichevolmente una spalla. «Potremo approfittarne per digerire i dispiaceri insieme, oppure devi già tornare?».
«Sì, mi dispiace», mise su una smorfia mortificata, «Devo andare a prendere la bambina da casa di un'amichetta».
«Oh, giusto. Doveri da mamma», sorrise di nuovo.
«Sì, sarà per-».
«Un'altra volta, certo», le batté di nuovo una spalla.
«Ah… E-», allungò lo sguardo verso il suo collo coperto dal colletto e si indicò il proprio. «So che non sono affari miei, ma…. se avrai bisogno di parlarne, puoi contare su di me».
Carina Carvex si toccò il collo e abbassò il capo. «Non è niente. Ci vediamo domani, partner». Attraversò la strada. Anche se Danvers si era diretta verso la macchina, sentiva il suo sguardo addosso. Si aspettava che la seguisse, invece si allontanò subito e le dispiacque un po'. Forse diceva il vero, per la bambina. O forse aveva usato una scusa, pensò ancora, perché della giornata ne aveva avuto abbastanza. Si affacciò di fronte a una vetrina e aprì il colletto della camicia, tastando con un polpastrello il livido, ancora ben visibile. Stava diventando più piccolo, sarebbe sparito presto. Non faceva più male e in fondo l'aveva in qualche modo deliziata lo sguardo allarmato della collega. Sorrise, richiudendo il colletto.

Com'era perdere tutto? Astra Inze lo sapeva, lo sapeva eccome. Una stimata sergente di polizia, membro di un'organizzazione segreta che poteva cambiare National City, zia di un'adorabile bambina che l'amava alla follia, moglie di un uomo intraprendente, sorella di una giudice affermata, tutto perso in poco tempo, senza che avesse la possibilità di capire come uscirne. Era tutto il suo mondo e sapeva, lo sapeva bene che non avrebbe mai riavuto tutto ciò che aveva perso, ma una parte di quelle cose si sarebbero sistemate, col tempo. Ne era sicura e rise con piacere quando la riportarono dentro la sua cella.
Kara chiuse la chiamata perdendosi in un punto vacuo, venendo inglobata da esso. Sentiva le voci degli altri come echi lontani, le gambe molli tanto da non essere sicura di essere ancora in piedi, la testa leggera, vuota, grande. Guardava, ma non vedeva. Sentiva, ma non capiva. Doveva svegliarsi.
«Kara?». Lena la prese per le spalle. «Kara, cos'è successo? Era Alex, vero?».
Annuì e mise a fuoco stringendo gli occhi e sistemando gli occhiali sul naso, scoprendo che tutti la fissavano. «Quando sei tornata?».
«Adesso».
Lena la circondò con un braccio e Indigo le tenne d'occhio mentre la portava vicino alle scale per un po' di privacy. Avevano lasciato entrambe i loro cellulari su un mobiletto. Un gesto spontaneo, allontanarsi e appoggiarlo, ma non era da loro. Non lo era. Prese fiato, a labbra chiuse. Stava per tornare verso il piano-bar che Lucy Lane le stava di nuovo dietro.
«Quindi? Questo garante com'è?».
«Non lo so», alzò gli occhi al cielo. «Mai visto».
«Scusa, ma… non ti credo».
Si sedette su uno sgabello, alzando un bicchiere per farselo riempire da Lex che le porgeva la bottiglia, cominciando a lamentare ironicamente di non essere un barman. «Che novità, tesorina».
Arcuò un sopracciglio. «Tesorina, prego?».
Lena la strinse tra le braccia e Kara si lasciò prendere da quel tepore; sentiva il suo cuore battere agitato, forse ce l'aveva ancora con lei per la discussione avvenuta nella sua camera, ma non se la sentiva di chiederglielo.
«Come ti senti? Vuoi parlarne?».
Kara ingurgitò saliva, rannicchiandosi tra i suoi seni. Lena poteva davvero diventare molto alta con i tacchi ai piedi. «No, voglio dire, no-non so di cosa parlare… Aspettavo questo momento, sapevo che sarebbe successo, che era solo questione di-», la strinse più forte. «Mi ha fatto sentire strana, ma in realtà nemmeno so come dovrei sentirmi».
Lena si abbassò il tanto per lasciarle un bacio sui capelli. Intravide Lucy Lane a qualche metro, con il bicchiere pieno e una mano sotto un gomito; si scambiarono uno sguardo. Non avrebbe saputo descriverlo, ma la convinse a trattenere Kara di più con lei. Poi un'illuminazione: «Ricordi il parco divertimenti di quando rapirono Jamie? Andiamo». La guardò alzare il volto arrossato. «C'ero stata solo con la videocamera del tuo cellulare, ricordi? Anche Indigo… In quel periodo, non la conoscevamo di persona e ci aveva aiutato a ritrovarla. Non so quante volte ci sarà stata in un parco simile, potrebbe farle piacere. Potrebbe farlo a tutte. Prendere un po' d'aria. Andiamo».
«Vuoi andare davvero?».
Lei annuì. «Mi faresti compagnia, Olaf?».
Kara sorrise, guardando per un attimo le proprie calzette raffiguranti il famoso pupazzo di neve abbracciato a un ombrellone da spiaggia. Le lasciò un bacio, slanciandosi. «Andiamo»: glielo sussurrò a fior di labbra e si allontanò per proporlo a Lucy Lane.
«Si prospetta una bella serata tra ragazze. Vi auguro che sia così». Lex afferrò la giacca da infilare sopra la camicia da un appendiabiti, incamminandosi lento verso la porta con il cellulare in mano pronto per chiamare la macchina che lo venisse a prendere.
Lena lo scrutò e si appoggiò a un tavolino con le braccia sul grembo. «Vieni con noi. Cos'hai da perdere? Alla Luthor Corp sopravviveranno senza di te». Kara concordò, facendogli cenno di aggregarsi.
«Non sono un tipo da luna park. Dovresti saperlo, sorellina».
Fu Indigo a prendere la sua attenzione: «Fai uno strappo alla regola. Non ci sono mai stata, può essere divertente», lanciò uno sguardo a Lena. «Siamo esseri umani, Lex Luthor. Hai paura di scoprirti tale anche tu?».
Lex spezzò lo sguardo enigmatico sul volto, abbozzando una risata e prendendo fiato mentre scuoteva brevemente la testa. «E sia. Mi avete convinto, verrò con voi. Ma non siederò su alcuna attrazione».

Il parco divertimenti era pieno di visitatori, talmente che era possibile passeggiare senza essere quasi riconosciuti, cavandosela con qualche occhiata e tutt'al più l'imbarazzo del personale degli stand. Gli occhi di Kara parevano brillare e si fermava dal tirare Lena da una parte all'altra solo perché si vergognava a farlo di fronte a Lucy. Veniva investita da uno strano imbarazzo. L'ultima volta che era stata lì aveva un altro stato mentale, adesso il parco sembrava ancora più bello.
«Allora?», Lena sorrise a Lex che, mani nelle tasche dei pantaloni, le camminava a fianco. «Sei vivo».
Lui arcuò le sopracciglia, sollevando le spalle. «Così pare». In realtà, non si sentiva per niente a suo agio, ma aveva deciso non di dare a quel posto un'occasione, ma di darla a lei, sua sorella, a Kara e perché no a quella Indigo. Alla compagnia. Magari anche alla sua aspirante avvocata. Ci tenevano disperatamente al fermare quell'accordo e ci avrebbe scommesso che era per quel motivo e per quello soltanto che Lena l'aveva invitato ad andare con loro. Da quando aveva preso a pugni quel ragazzo nella sua università e si era trasferito a Metropolis lontano da lei, le cose tra loro erano cambiate, dopotutto.
E forse Lex non se lo aspettava, ma si divertì davvero.
Kara trascinò Indigo sui seggiolini volanti. Come promesso, Lex si astenne, ma anche Lena si tirò indietro e restò in basso ad aspettarle. Appena la giostra iniziò a girare vorticosamente e Indigo capì che Kara e quell'altra cercavano di acchiappare un peluche appeso a un palo, tentò con ogni sua forza di darsi lo slancio necessario muovendo le catene del suo seggiolino per arrivarci per prima e, a convenienza, dietro Kara, di calciare il suo per impedirle di prenderlo.
«Indigo è competitiva», commentò Lex, ma la sorella non lo stava ascoltando, inquadrando Kara e quella Lucy Lane che si prendevano la mano per aiutarsi a darsi lo slancio.
Indigo mise su il broncio quando vide Kara riuscirci e sventolare il peluche come un trofeo. E così al secondo giro. E al terzo. Al quarto, il bigliettaio le regalò il peluche.
Al momento degli autoscontri, fu Indigo a fregarsi le mani con soddisfazione, gongolando come fosse l'unica attrazione su cui aveva già seduto da ragazzina e che Kara non avrebbe potuto batterla sull'inesperienza. «Non mi sconfiggerai». Appena fu data carica alle macchine, quella blu di Indigo partì alla riscossa, sbattendo con violenza contro la gialla ancor prima che Kara avesse premuto piede sull'acceleratore. Le stette dietro, maledicendo gli altri giocatori che le venivano addosso, sabotandole i piani. Quando fu quella rossa di Lucy Lane a sbatterle contro lo prese come un affronto personale.
Dopo salirono sulla piovra e Kara convinse Lena a sedere con lei, lasciando a Lex il compito di scattare foto. Il tentacolo portava la navetta in alto di qualche metro e Kara le sorrise, stringendole una mano e intrecciando un braccio sotto il suo. Quando iniziò ad abbassarsi e alzarsi velocemente, sentì la mano di Lena aggrapparsi con le unghie. «Non hai ancora visto niente».
«Kara…», la fissò, «no».
Sorrise a trentadue denti, avvicinandosi a un orecchio: «Ti fidi di me?».
«No».
Kara mise svelta il broncio.
«Non mi trascinerai su un ottovolante».
Le ultime parole famose: sapeva che neanche quella secca risposta le avrebbe dato quella certezza. Aveva i piedi di marmo, le gambe faticavano a piegarsi per camminare e Kara l'aveva presa per mano per essere sicura che non le sfuggisse, facendo ridere Lex dietro di loro.
«Non dirmi che hai paura di qualche curva, Lena», la interpellò Lucy.
Oh, sicuro, e così non l'avevano ingannata i suoi occhi che si facevano piccoli dal terrore?! «E non ne ho… difatti», la voce le tremò, ma forse la musica degli altoparlanti l'avrebbero coperta, perché non poteva mostrarsi debole di fronte a lei.
«È che preferisce stare coi piedi per terra», chiarì Kara. Deglutì e sorrise con impaccio quando Lucy le sorrise a propria volta. «Ma lei non ha paura». Strinse con più sicurezza la mano di Lena con la sua: al bando l'imbarazzo, sapeva che Lucy era solo felice per loro poiché quando le aveva parlato della sua relazione con lei, le cose sembravano più complicate di com'erano davvero.
Indigo ridacchiò. «È risaputo che i Luthor non hanno paura di nulla, no?», inquadrò Lex e lui sbiancò, quando si accorse che non era la sola a essersi voltata per osservarlo.
«Ah… Ragazze, i Luthor non hanno paura di nulla, sono tutti gli altri ad avere paura dei Luthor, è vero. Ma ricordate, io sono qui per non salire su alcuna attrazione».
«Quindi», Kara scrollò le spalle, «hai paura».
«No, non ho-».
«Ha chiaramente paura», aggiunse Lena.
«So cosa state cercando di fare», ridacchiò.
«Non sei all'altezza», serrò le labbra Indigo. «Ad alcuni uomini può succedere».
Lex puntò gli occhi al cielo e a quel punto sospirò, gonfiando appena la bocca. «Siete delle carogne», le sorpassò, andando a fare i biglietti. «Delle carogne infami».
Si misero in fila e, adocchiando il volto paonazzo di Lena, Kara scosse la mano con lei. «Fai delle belle foto quando saremo in alto», le sussurrò, lasciandola. Avrebbe voluto baciarla, ma sapeva di non poter rischiare.
Lena abbassò lo sguardo, prendendo una grossa boccata d'aria. «Se mi stringerai a te», la guardò, «possiamo lasciar perdere le foto».
Aveva paura, aveva chiaramente paura e Kara non l'avrebbe costretta davvero, ma Lena decise di provarci. Chiuse gli occhi per la maggior parte del tempo, reggendosi a Kara al suo fianco così come avrebbe fatto un gatto su un parapetto, tirando fuori le unghie. Lucy alzò le mani e Indigo rise così tanto da farle male fa faccia. La fortuna del giovane Lex aveva impedito a tutte di voltarsi e notare il bluastro del suo viso tinteggiato dall'orrore.
«È stato bellissimo», Indigo si lasciò andare a un'esclamazione di gioia quando scesero dall'attrazione, «mi sento leggerissima, mi sembra ancora di essere lì sopra». Lucy le batté due pacche sulla schiena e Kara rise, non ricordando di averla mai sentita comportarsi in quel modo, cercando uno sguardo con Lena che… oh, Lena faticava a non sbandare, reggendosi a una ringhiera, e Lex, per ultimo, si teneva lo stomaco, guardando in avanti con occhi spalancati. Il sangue doveva essersi ritirato, se lo sentiva.
Quando ormai stava per scendere sera, il gruppo si fermò davanti al tiro a segno e mentre Kara vinceva tutti i quadri uno dopo l'altro con le freccette, Lucy sparava ai barattoli col fucile a pallini. Anche Indigo provò, lasciandosi spiegare da quest'ultima come fare. Vinsero altri peluche da fare compagnia al lemure dei seggiolini volanti. Anche Lex decise di tentare la sorte e, quando vinse solo un paperotto, decise di comprare la tigre bianca di peluche dietro a tutti gli altri, quella più grande. Il giostraio gliela concesse con titubanza. La regalò a Indigo e Lena scrollò gli occhi al cielo dal fastidio.
«Non ti potevi esimere, giusto?».
«Non so se hai notato, sorellina, ma non ho mai avuto grandi capacità se non per gli affari. E se in questo modo posso far felice una ragazza che è sempre triste, allora perché no?». Gliela indicò con lo sguardo e Lena sospirò: Indigo scompariva dal momento che abbracciava quella tigre.
Sedettero sulle tazze da tè, Kara e Lucy urlarono dall'alto della torre verticale a caduta libera, si fecero un giro all'interno della Casa dei Fantasmi e Indigo si divertì a far paura Kara alle sue spalle, Kara vinse il toro meccanico, e dopo lo vinse Lucy, salirono su un altro ottovolante e, con la pancia che brontolava un po' a tutti, si fermarono ai pressi del furgoncino della pizza. Lex pensò di offrirla a tutte e Indigo ne approfittò per farsi aggiungere due di tutto. A uno sguardo smarrito di Kara, Lex diede anche a lei il permesso di farlo.
«No, io non posso accettare». Lucy era di un altro pensiero.
«Lascia perdere i convenevoli, Lane», replicò, «Oggi non sei la mia avvocata, ma un'amica della mia sorellina acquisita».
Alla sua aria ancora incerta, fu Lena a spingerla: «Accetta, è solo una pizza».
Solo una pizza. Una pizza offerta da un Luthor. Se qualcuno una volta le avesse detto Lex Luthor un giorno le avrebbe offerto un trancio di pizza, lei lo avrebbe preso per matto.
«Non farti problemi». Lena gliene passò uno quando prese il suo, ordinando altri due tranci al gestore.
Si allontanarono e, appena Kara finì il suo in tempo record, Lena le passò prontamente uno dei due extra che aveva riposto in un sacchetto che teneva in braccio con qualcuno dei peluche vinti. Mangiarono seduti su due panchine e si alzarono per fare una passeggiata. Il parco, con il buio, era diventato un mare di colori e suoni diversi, di lampi di luce e risate. La leggera brezza della sera trascinava nell'aria odore di popcorn caramellati. Si stava bene. Considerando che tutti avevano mangiato meno che Lex, Indigo lo sfidò ad assaggiare qualcosa che non avrebbe mai toccato, indicandogli una bancherella.
«Sai, non lo pensavo così buono. Ne avevo sentito parlare ma ne sono sempre stato scettico; dopotutto», passò uno sguardo sulle mani, «ci si sporca più del dovuto. Ma è buono, buono davvero. Dovrò darle questa soddisfazione. Mi sfugge il nome».
«Hot dog», sibilò Lena, accanto.
«Giusto. Allora, vuoi parlarne o pensi di risolvere le cose con lo sguardo?». Sua sorella studiava insistentemente le altre, davanti a loro: si divertivano davanti al Gioco del Martello, cercando monete per farlo partire. «Cos'è successo? È tutto il giorno che ci rimugini».
Lena ci pensò poco prima di confidarsi, in realtà. Era vero che molti lati del fratello non le piacevano e avrebbe preferito non scoprirli, ma era pur sempre il suo Lex, da qualche parte là in fondo. «La mia ragazza dà la colpa alla nostra relazione se ha perso la squadra e l'impiego alla CatCo».
«Mh, fatico a crederlo, conoscendola», fece una smorfia, accortosi di una macchia di ketchup sulla camicia. Alzò gli occhi al cielo e imprecò per sé, cercando di mangiare in fretta e finendo per sbrodolarsi di salse sul mento.
«No, infatti», sospirò. «Dà la colpa a sé stessa per non aver saputo gestire il tutto».
«E tu invece pensi che la colpa sia tua».
Non rispose, mordendosi un labbro. «Sono stata egoista con lei. Le chiedevo di restare, si è abituata a vivere in villa, trascurando il campus».
Lex prese fiato a pieni polmoni dopo aver ingurgitato l'ultimo boccone, ricercando in fretta, con due dita, un fazzoletto dal taschino: era la prima volta che ne usava uno e si sentì improvvisamente un temerario. «Disperato, imprescindibile impulso… Lo so, sorellina, sono un Luthor anch'io», abbozzò un sorriso, «È un bisogno d'amore. Un sentirsi compresi e desiderati. La paura che, se se ne andrà, capirà di non aver bisogno di te».
Lo sguardo di Lena si mostrò particolarmente scocciato da quella affermazione. «Lo so che è una cosa che non ha senso. Oggettivamente lo riconosco».
«Ma siamo persone: capita che i pensieri viaggino dove non vorresti», strinse i denti disgustato poiché, dalla luce dei lampioni e delle attrazioni, la macchia sulla camicia parve essersi dilatata. Sapeva che passarci il fazzoletto era una procedura delicata e difatti era stato prudente, ma non abbastanza. «Tu e Kara siete una bella coppia, Lena. Hai con te delle salviette umide?». La ringraziò, strappando la salvietta dalla confezione tirata fuori dalla borsa. «Cosa ti fa credere che potrebbe stancarsi di te?».
La ragazza mise su una smorfia seccata e alzò l'indice, in silenzio, puntando davanti a loro: Kara saltellava dalla gioia, abbracciando Lucy Lane.
«Oh oooh, guarda quanto hai fatto», esultò lei, con un sorriso splendente.
«Va bene», l'altra sorrideva compiaciuta del risultato, «vi sfido a fare meglio di me, bellezze».
Kara prese subito il martello, accettando. Si portò in posizione e colpì forte la tabella, facendo schizzare il punteggio. Lucy Lane rimase senza fiato.
«Non ci voglio… Non ci voglio credere! Ti hanno svezzato con latte e ambrosia, da bambina?». Risero e passò il martello a Indigo, che era dubbiosa sul provarlo.
Lex rise appena, sollevando le spalle. «Adesso ha senso».
«No, non lo ha», ribatté svelta. «So che è stupido essere gelosi, Kara sta con me».
«Beh, sono decisamente affiatate: comprendo e condivido la perplessità. Ma sì, Kara sta con te e vi correte dietro da diverso tempo, dunque non credo che tu abbia di che preoccuparti per davvero, sorellina».
Le ragazze attirarono la loro attenzione, dopo aver fatto giocare Indigo. Sarebbe stata infastidita di non aver fatto un punteggio più alto se non fosse che era la prima volta che giocava e non usava delle videocamere e l'immaginazione per farlo. Mise da parte l'orgoglio e, quando Kara le chiese se volesse provarlo ancora, non esitò a ripetere l'esperienza. Lena e Lex li raggiunsero e, dopo aver colpito la tabella, Indigo guardò il ragazzo ed emise una smorfia divertita.
«Oh, Lestat. Chi hai massacrato per avere quell'hot dog?».
Lex guardò lei, la camicia, Lena, poi strinse le labbra fini. «Torno a casa», chiosò secco. «Indigo, vuoi-?».
«Indigo resta qui». Lena fu lapidale.
«Neanche un po' di compagnia…». Si avvicinò furtivamente alla sorella, assottigliando un sorriso: «Sì, sei decisamente un'egoista». Stava per girarsi, tornando indietro di scatto. «Hai una sciarpetta, per caso?».
Lena aprì la borsa, ci guardò dentro e- «Siamo a giugno», lo guardò torva.
Lui sbuffò. «Non sono abituato. Qualcuno solitamente porta le cose per me e non so come-». Se ne andò, bofonchiando infastidito nel cercare di coprire quella macchia sulla camicia.
Erano in fila alla Casa degli Specchi quando Kara notò, tra i volti di una folla, quello di una persona conosciuta. Indigo era già entrata e Lena la seguì, mentre lei e Lucy tornavano indietro. Non avrebbe mai pensato di trovarlo così facilmente, per caso, ben sapendo come Megan lo considerasse ormai scomparso. «… coach Jonzz?».
L'uomo sobbalzò, trovandosela davanti. «Kara!», le passò una mano su una spalla, formando un sorriso. «Come ti senti? Tua sorella mi ha spiegato cos'è successo». Dopodiché si accorse dell'altra ragazza, porgendole una mano. «Tenente Lane. Non sapevo vi conosceste».
Kara abbassò lo sguardo e, dopo aver deglutito, tirò un sospiro. «Bene. Le chiedo scusa, ho-ho perso la squadra e tutto ciò per cui abbiamo lavorato, ma-».
«Non devi chiedere scusa a me», lui scosse la testa, cercando di essere comprensivo. «Ammetto di essere rimasto spiazzato dalla notizia-».
«Lavorerò sodo», continuò lei e lui la fissò. «Ho fatto uno sbaglio, ma sono pronta a ricominciare».
John sorrise, annuendo pacato. «C'è solo una cosa che può fare una persona dopo aver perso tutto», le disse, fissandole dritta negli occhi, «rimboccarsi le maniche. Fare di meglio. E se c'è qualcuno che può farlo, quella sei proprio tu… Supergirl».
Lucy abbozzò una risata a quelle parole. «SuperNon fatico a capire perché», le lanciò un'occhiata e la vide sorridere.
«Riguardo…», John riprese, più serio, e Kara ben sapeva a cosa si riferisse: meglio ancora, a chi. «Le cose sono fatte, Kara, ma eravamo pronti a questo. Vai per la tua strada, non lasciarti condizionare. Ci siamo capiti?».
Lei annuì. Stavano per tornare verso la Casa degli Specchi che si fermò sui suoi passi. «Uh, coach Jonzz?». L'uomo la guardò di nuovo. «Chiami Megan. La prego». Lui le riservò un sorriso spento, non avrebbe saputo come interpretarlo. Ma era tardi, si era girato e loro tornarono verso la Casa degli Specchi, pensando che avrebbero perso quelle due.
Il trenino girava ancora intorno alla pista, fortunatamente. John sorrise fiero e due bambine lo salutarono da una delle piccole carrozze, così inviò loro un bacio.
«Facci una foto, papà», urlò la maggiore.
«Stringi bene Tanya, tesoro. Non la mollare, tienila forte per mano». Prese il cellulare, scattando una foto all'ennesimo giro.

Com'era perdere tutto? Lui lo sapeva, il suo angelo custode. Indigo ne era a conoscenza, lo aveva scoperto. Dopo aver compreso chi fosse e chi Howard, l'uomo che Carol e Noah tenevano in casa con loro, era stato tutto in discesa. Per quel motivo odiava i Luthor: aveva bisogno di un capro espiatorio, un colpevole da colpire, da distruggere per vendicare le sue sofferenze. Le loro sofferenze. Eppure, doveva sapere che una vendetta non gli averebbe ridato niente.
Indigo guardò lontano e indietro. Si era persa. La sua immagine rifletteva ovunque, distorta in più modi. Provò a chiamare Lena ma non la sentì, non ricordava di essersi spinta tanto oltre. Era colpa sua, si era lasciata prendere dall'entusiasmo; mai avrebbe creduto che quel posto le sarebbe piaciuto fino a quel punto. Aveva riso, giocato, vinto un portachiavi peluche sparando con un fucile a pallini. Non aveva rubato niente, non aveva sentito l'impulso di hackerare quel posto. A parte forse i seggiolini volanti. Ora sì che suo fratello non l'avrebbe riconosciuta. Chiamò di nuovo Lena e tentò di tornare sui suoi passi, trovando un vicolo cieco. Quel Lex Luthor le aveva regalato una tigre bianca peluche talmente grande che avrebbe potuto farle da letto. Udì le risate e le voci di un gruppo, ma non le riconosceva. Le avevano offerto la pizza. Da quando era con loro, viveva a spese dei Luthor. Non sarebbe dovuta entrare in quel posto da sola, diamine. Strinse i denti e camminò toccando il vetro, trovando un altro vicolo cieco. Prese il cellulare ma la linea era assente. Certo, mica poteva essere così semplice. Sbuffò, ricominciando a camminare. Era abituata ad aspettarsi sempre qualcosa in cambio, ma Lena le aveva offerto un lavoro. Più rivedeva il suo volto che via via si faceva più deformato e disperato, e più non poteva non pensare a come se ne sarebbe dovuta andare e basta. Scappare lontano da Lena e Kara Danvers, da Winslow che voleva esserle amico, da quello che le stavano facendo. Non avrebbe dovuto aspettare che tutto finisse, ma farlo finire e basta.
E lui l'avrebbe trovata.
Il respiro le si fece corto e deglutì, voltandosi di scatto sentendo un rumore. Il suo angelo custode avrebbe pagato quell'autista per farle del male. Se fosse scappata, Noah che era un investigatore l'avrebbe trovata. Se avesse voluto farla uccidere perché lei sapeva di lui e sapeva di Howard, avrebbe lasciato che Carol facesse il lavoro sporco. Magari che la torturasse con gli attrezzi trovati in garage e, dopo, avrebbero tinteggiato il sangue con pennellate bianche. Sentì la tachicardia salire, la gola restringersi. Si voltò di nuovo, e di nuovo, ma ritrovava solo se stessa ancora e ancora.
E ne sarebbe valsa la pensa di farsi uccidere per loro? A chi voleva prendere in giro? Lena le aveva offerto un lavoro perché si sentiva in colpa a chiederle di fare delle cose per lei. Lex Luthor le aveva regalato la tigre peluche perché voleva fare sesso. Appena era successo l'irreparabile, Kara Danvers l'aveva subito accusata. Aveva già deciso, strinse i pugni. Doveva seguire il suo piano e se la sarebbe cavata, sarebbe sopravvissuta come aveva sempre fatto. Da sola. Era inutile ripensarci. Una spia, una traditrice. I cellulari lasciati su un mobiletto. Si portò le mani sui capelli e si piegò su se stessa, stringendo i denti.
«Indigo! Indi, cosa ti succede?». Lena le corse incontro e insieme scivolarono sul pavimento. Lei piangeva e Lena era sicura che si fosse divertita, cosa le era successo all'improvviso?
«Mi dispiace, Lena…», scosse la testa, piegando le labbra in una smorfia. «Ho paura, non sono forte abbastanza, non posso», singhiozzò, stringendosi sulle sue braccia. «Non posso… Devi scusarmi».
«Indigo, di cosa stai parlando?», l'avvicinò sul suo petto, cercando un modo per calmarla. Ma sapeva di cosa stava parlando. «Kara ha ragione, vero?», le domandò poi a bassa voce, senza che ci fosse ombra di accusa, sperando nella confessione. «Non sei scappata». La vide scuotere la testa e singhiozzare ancora e a Lena si seccò la gola.
«Mi ha lasciato andare… Voleva che andassi da te», ammise, «Che ti trovassi. Mi dispiace così tanto», la guardò, tirando su con il naso. Non si arrabbiò, parve capirla. Nei suoi occhi trasmetteva comprensione. Perché doveva renderle le cose così complicate con quell'indulgenza… falsa? Era falsa. Doveva esserlo.
«Cosa vuole da me, Indigo? Qual è il suo scopo?».
«Vuole solo», si fregò gli occhi, «vuole solo che tu sappia la verità sulla tua famiglia, i Luthor. Il mio compito è quello ti farti aprire gli occhi su chi sono. E chi erano», aggiunse, con la voce strozzata.
«Bene», la ragazza si lasciò andare a uno sguardo duro. «Sono io a volerne sapere di più. È perfetto».
Le persone erano sempre un problema. Imprevedibili, inaffidabili, i sentimenti così sopravvalutati. Indigo ne era ancora convinta, ma non si era resa conto di come, nel tempo trascorso con loro, si stava riscoprendo in quel modo anche lei.
Gliel'ho detto. Scrisse per messaggio, una volta tornata a casa Luthor. Ho detto a Lena qual è il tuo scopo, angelo custode. Hanno capito che le spio dai cellulari e sto seguendo un nuovo piano. Uno mio, questa volta.
Da X a Me
Stai giocando col fuoco, Indigo. Devi stare molto attenta, ti avevo pregato di non fare di testa tua.
Anche lui, come una qualsiasi banale persona, si stava lasciando guidare dai sentimenti. Ma lei non aveva intenzione di restarci in mezzo.
«Tieni».
Kara Danvers la sorprese alle spalle e spense subito il monitor del cellulare, voltandosi. Il lemure peluche vinto sui seggiolini volanti le stava a un palmo dal naso, scrutandola con i suoi vivaci occhi rossi. «Cioè?».
«Cioè te lo regalo», le sorrise, infilandoglielo sotto un braccio. «Ci siamo divertite, giusto?».
«Lo fai perché», biascicò, «vuoi che ti perdoni per avermi aggredita ieri. Fatto! Felice?».
Kara fece una smorfia con le labbra. «Ci siamo divertite. Non devi perdonami per forza, insomma, m-mi piacerebbe, ma», gesticolò, «sei un'amica. Te lo regalo per questo». Si allontanò e Indigo fissò il lemure.


***


In camera di Lena, quest'ultima parlò a Kara di cosa le aveva rivelato Indigo nella Casa degli Specchi. I cellulari vicino, sopra il letto. Lasciando che Kara parlasse di come non si stupisse affatto della cosa, Lena tirò fuori un piccola agenda dalla borsa, aprendo al segnalibro.
«Non sono sicura sia tutto qui, Kara. Ma possiamo contare su Indigo». Prese una penna, scrivendo qualcosa.
Lei sospirò. «Sì, beh, forse. Indigo non…», guardò il cellulare, sospirando ancora, «non è come vuole farci credere di essere».
LUI ODIA I LUTHOR. INDIGO NE HA PAURA: LO SO PER CERTO
Le mostrò il foglio dell'agenda e Kara la guardò negli occhi, serrando le labbra. Sui fogli prima, si erano appuntante tutto ciò che sapevano o credevano di sapere sul fantomatico garante di Indigo. Dovevano raccogliere ogni dettaglio. «Dovremo stilare una lista di nomi per capire…», mormorò, facendole cenno di passarle l'agenda e iniziando a scrivere. «Chi può avercela tanto coi Luthor da volere che tu ne sappia di più su di loro?!». SA CHI È?, le mostrò e Lena scrollò le spalle.
«Sarà una lunga lista, Kara».
Lei gonfiò il petto e sospirò, per poi sussurrare: «E poi perché proprio tu…?!». DEVE SAPERLO
STIAMO AL PIANO, CI PENSEREMO DOPO, le scrisse Lena di rimando, giocando con la penna in mano.
Indigo sistemò la tigre bianca di peluche sul letto e, sotto una zampa simulando un abbraccio, il lemure che le aveva dato Kara Danvers. Ascoltava ciò che dicevano ma sapeva di dover stare molto più attenta da quel momento in avanti, conscia che, le cose importanti, se le sarebbero tenute per loro. Cercò di riposare un po' e dopo uscì dalla camera. Loro non c'erano: dopo aver sentito Kara parlare con l'amica Megan al telefono, erano salite di sopra, sul terrazzo del tetto. Indigo salì le scale e si affacciò alla porta a vetri: erano in piscina entrambe. Parlavano. I telefoni distanti, sugli sdraio. Scaltre.
«Mi ha consigliato di andarci appena possibile, prima che parta in vacanza», annuì Kara. «A mani vuote o-».
«Cat Grant penserà che cerchi di corromperla», finì Lena per lei, appoggiandosi al bordo con le spalle. «È stato carino da parte di Leslie. Si sarà affezionata a te», le sorrise. «Chi non lo sarebbe?».
Kara arrossì e la raggiunse galleggiando, rimettendosi dritta a poco dal suo corpo e, così, esaminarle le labbra. Si baciarono teneramente e finirono per guardarsi ancora. «Lena…», prese fiato, abbozzando un altro sorriso. «Per quanto riguarda-».
«No, lascia perdere. È tutto a posto», le passò una mano sul viso, spostandole un ciuffo bagnato attaccato a una guancia. «Anche io voglio andare a vivere con te». Ricambiò il suo sorriso. «Quando saremo pronte, intendo».
«In una casa nostra», saltellò fino ad appoggiarsi alle sue spalle, affondando con un altro bacio sulle sue labbra. «Ne avevo parlato con Alex e… Oh, Alex!», esclamò, intanto che lei le passava le mani sott'acqua per reggerla sui fianchi. «Sei sicura che non devi dirmi niente?», arcuò le sopracciglia e l'altra non trattenne una mezza risata.
«Ha spedito un cellulare alla Luthor Corp».
«Sì, lo sapevo», esultò. «È proprio da mia sorella».
«È questo che sono andata a prendere. Indigo non potrà hackerarlo, zero internet: lode ai vecchi modelli. Così potrò continuare a stare in contatto con lei».
«Quanto ti amo».
«Ha fatto tutto Alex», la guardò torva e Kara rise.
«Quindi non va bene che io sia così… beh, se… ssualmente attratta da te in questo momento», si morse un labbro e finse di pensarci, facendo ridere e arrossire l'altra.
«Eccome se va bene: sai quanto ami quando sei se-ssualmente attratta da me», la prese in giro e cambiò espressione di colpo, addolcendosi. «Vieni qui». Si baciarono di nuovo, e di nuovo, sentendo i respiri caldi dell'una sull'altra. «Sono contenta di vedere che ti sei ripresa, a proposito. Cominciavo a credere che ci sarebbe voluto un po'».
«Anch'io», confessò, reggendosi alle sue spalle. «Quando ho smesso di cercare di capire come ho lasciato che succedesse, mi sono resa conto di esserne sollevata», rise quando l'altra la fissò con curiosità. «Era un peso, cercavo costantemente di correggere ciò che avevo fatto, tenendolo dentro e-e ora… è andato! Ora non mi resta che rimboccarmi le maniche», le vennero in mente le parole di John, mai più azzeccate, «e questo lo so fare. Ce la farò». Lena si avvicinò per baciarla e Kara ricambiò, pulendole il volto dall'acqua. «E dovrò trovare il modo di dirlo a Eliza. Lei…», si morse un labbro, «Questo sarà un po' più difficile, per lei sono quasi una santa, non so come…».
«Farai anche questo. Trova il momento giusto, non aver fretta», le sussurrò dolcemente, baciandole una guancia e facendola ridere e arrossire. Non che volesse ricordarglielo, ma… «E tua zia? Cos'hai deciso di fare?».
«Niente», si strinse nelle spalle. «Lei farà la sua vita e io la mia. Cercherà di parlarmi, saprò in quel momento cosa fare. Ora voglio solo… essere positiva. Ti sembra che abbia senso?».
Si era tormentata così tanto… «Mi sembra l'unica cosa che ne abbia, ora».
«Sì?».
Era tornata a essere il suo sole. «Oh, sì».
I loro corpi abbracciati, uniti, le loro bocche una sull'altra. Lontano, Indigo le guardava con espressione spenta, non sapendo descrivere cosa provasse. Si allontanò e scese le scale, fermandosi alla porta chiusa di Lex Luthor. Lo aveva promesso a Lena, ma aveva davvero senso mantenerla? E a quale scopo? Voleva Lex Luthor quanto lui voleva lei, non serviva nient'altro.
«Finalmente», lui posò il suo telefono sul comodino. «Solitamente non amo aspettare, ma per te…».
«Non ti è saltato in mente che non sarei venuta?». Chiuse la porta e avanzò verso il letto.
«No». Si sedette e il lenzuolo gli scivolò addosso. «Sapevo che lo avresti fatto». Appena Indigo si fermò, lui si alzò, nudo, afferrandole il mento per arrivare alle sue labbra con le proprie, talmente fredde dal farle provare i brividi. Li sentì, dal contatto. Chiusero gli occhi e Indigo lo strinse per le spalle con forza, intanto che il ragazzo le sollevava la maglietta. Si separarono per permettergli di gettarla sul pavimento e lei lo baciò con foga, inspirando. «Cosa ti è successo, oggi, Indigo Brainer?», sorrise lui, passando le mani per slacciarle il jeans. «Non che mi dispiaccia, si intende, ma credevo di essere il solo a non vedere l'ora di averti, questa notte. È che volevo chiederti un favore prima che l'aria inizi a scaldarsi troppo».
Per un attimo, lei alzò gli occhi al soffitto. «Non farò nulla contro Maxwell Lord».
Fu categorica e il ragazzo rise. «Pensi davvero che te lo avrei chiesto? Credo di poterlo sconfiggere senza ricorrere a certi trucchetti, no, non ha a che vedere… È che da tempo sto cercando di mettermi in contatto con una ragazza e, nonostante ogni mio tentativo, non fa che ignorarmi».
«Dovresti porti due domande».
Lui rise ancora, baciandola sotto la mandibola. «Sì, naturalmente me le sono fatte, ma», si fermò, leccandosi un labbro. «il fatto che è odio quando mi si ignora e sto davvero cercando di evitare di usare le maniere forti. Ha fatto una cosa imperdonabile e devo parlarle di persona. Pensi di poterla convincere?».
«Una ex», capì.
«Gelosa?».
Lei abbozzò una risata sarcastica. «Come se me ne importasse», gli morse il labbro inferiore dopo un bacio, scoccandolo. «Lo farò».
Lex sorrise e le involse il volto con le mani piene, abbassandosi dopo essersi guardati negli occhi, per spalancare la bocca e accogliere così la sua lingua, inspirando.






























***

Anf, anf, anf! Quanto è lungo questo capitolo! Vi ho fatto aspettare parecchio, sì, ma c'è così tanta roba da leggere, no? :)
E ora… ah, vi ricordate quando, alla fine dello scorso capitolo, vi ho chiesto cosa c'era che non tornava? Ne parleremo nelle note qua sotto ~
Intanto, cos'è successo? Indigo ha confessato! È stressata, è stremata, e Kara e Lena stanno evidentemente giocando sporco, ma se n'è accorta. Come poteva essere altrimenti se, sapendo di essere spiate dai cellulari, avevano iniziato a “dimenticarli” per avere privacy? E a nasconderli sotto i cuscini! A spostarli, a stare attente alle parole da usare durante le conversazioni, ecc… Cosa succederà adesso? Chi avrà la meglio fra le le due “fazioni”?
Frattanto abbiamo un Lex sempre più invaghito di Indigo, e la ragazza che da parte sua non vuole stargli lontana, nemmeno dopo averne parlato con Lena. Ed è arrivata Lucy per parlare con Lex delle pillole, rendendo Lena piuttosto gelosa, anche se la trova una cosa assurda. Ma d'altronde Lena era per le sue, in quel momento, dopo aver discusso con Kara che si è accorta ora di aver dato poco peso e spazio ad alcuni aspetti della sua vita. Voi ve ne eravate accorti? Ormai stava vivendo in villa, aveva perfino pensato di trasferirsi lì, ha saltato gli allenamenti con la squadra, ha trascurato il campus: prima o poi doveva farsi due calcoli. Cosa ne pensate di questa discussione, come la vedete?
Beh, se non altro ora che si è liberata di quel peso non deve far altro che ricominciare!
Uh! nel frattempo Astra Inze è libera, processo vinto, sarà un personaggio giocabile sul tabellone molto presto! Cosa ne pensate? E di Carina e Alex? O meglio ancora, cosa di Megan che pensa di aver perso John, e John che è… padre? Ve l'aspettavate? Quest'uomo è così misterioso… Dopotutto, è tornato a farsi sentire, ed era ora, e non sappiamo esattamente cosa stia combinando durante quella che lui chiama “vacanza”. Insomma, c'è almeno una spia al D.A.O. e probabilmente è meglio lavorare da soli, la prudenza non è mai troppa.
In soldoni, cosa ne pensate di questo lunghissimo capitolo?
Oh, non vi preoccupate, anche il prossimo sarà decisamente lungo… ma sarà uno stand alone!


Arriviamo alle note ~

- C'era qualcosa che non tornava… Qualcosa di grande, in effetti, che potrebbe dare una lettura diversa a gran parte delle cose successe nel capitolo precedente! Ah, questi cellulari, sempre in giro… :P Ripassiamo insieme dei punti importanti del capitolo scorso:

Ricordate? Durante la notte, Lillian Luthor aveva sorpreso Indigo ancora in villa e la ragazza, per togliersela dai piedi, le aveva offerto una bizzarra conversazione in cui le ha fatto credere, dicendole la sua verità, ciò che voleva. Era bastato poco.

Lena ne rimase colpita perché Lillian Luthor, di certo, non era un'ingenua. CI AVEVA PENSATO E RIPENSATO a lungo, sistemando la valigetta, E QUANDO KARA TORNÒ dalla corsa mattutina, LA PRESE IN DISPARTE PER DIRGLIELO prima che le venisse in mente di sbattere Indigo fuori di casa. […] «Non importa, ci ho pensato io», le sorrise e le scoccò il labbro inferiore con l'indice destro, CON UN'IDEA IN TESTA, avvicinandosi al suo viso con il proprio. «Indigo doveva mantenere la sua copertura, non è grave. Adesso DOVRESTI PENSARE AD ALTRO». […]
«E-Ehi, pensavo… pensavo andassimo a fare colazione», le scoccò un'occhiata, «ma sto cambiando idea».
«Cambiala. Ho voglia di prendere UN ALTRO TIPO DI DISCORSO, con te». La baciò, passandole le mani SUI FIANCHI e FINO AL SEDERE, […]

Ebbene sì: Lena l'ha perquisita. Tutto molto romantico ma, se avesse avuto con sé il cellulare, avrebbe dovuto sfilarglielo.
Lo so, lo so, era difficile intuirlo da queste parole ma, emh, spiegatemi una cosa: sì che la Lena della mia fan fiction a volte sente il bisogno di fare cosacce in momenti poco opportuni, ma così dal nulla? Stava pensando a Indigo e alla discussione tra lei e sua madre, come le era salita la voglia di stare con Kara?

«In bagno…?».
«Shh. PARLO IO, tu potrai farlo dopo».
Quando la porta si riaprì, Lena si muoveva i capelli con le dita, stringendo un elastico. «Allora sistemati. Ti aspetto di sotto». PRESE IL TELEFONO e le sorrise.
Kara SOSPIRÒ, appoggiandosi allo stipite.

Kara sospira, certo, ha molto a cui pensare.
Portarla in bagno per fare le cose sconce, senza i telefoni, era una buona copertura se Indigo stava ascoltando, e avrebbero avuto un tempo indefinito per discutere in perfetta privacy.

Cosa le era passato per la testa?

Ora sì che aveva complicato le cose: sarebbe stata la giusta strada da seguire?

Non riuscì proprio a resistere e ora avrebbe dovuto mettersi d'impegno per parlarle di quei dati sulla chiavetta e la loro cancellazione. […] Era un po' nervosa perché non poteva permettersi che quella discussione andasse male.

Doveva mettersi d'impegno per parlare a Kara dei dati di quella chiavetta fingendo di farlo per la prima volta. E dovevano essere convincenti. Che grandi attrici. Ma non del tutto…

[…] una parte di lei era pronta a sentirla predicare che era sbagliato, e chissà che cosa ne avrebbero pensato suo cugino e quella Lane, che avrebbero trovato un altro modo per proteggere Lillian dalle accuse che ne sarebbero conseguite, ma la sorprese, restando ferma a pensarci.
Abbassò il volto e dopo, ricercando Lillian ed Eliza al di là del vetro che affacciava al cortile, strinse i denti. «Facciamolo», si rivoltò a osservare Lena. «Facciamolo, va bene. […]

What?! Ne avevano parlato in privato, ma evidentemente non così nel dettaglio… Kara non stava recitando:

Lena la sentì deglutire e un brivido gelido le attraversò il corpo. «Sei sicura? […]

Eh, no, non stava recitando.
Anche per questo motivo una discussione tra le due, più avanti, sul terrazzo del tetto di casa Luthor, si era fatta particolarmente strana. Ma dobbiamo necessariamente trattenere questa parte e altre sospese nel tempo perché ci arriveremo più avanti, promesso, in un altro capitolo. È davvero difficile estrapolare una diversa chiave di lettura, altrimenti, senza delle informazioni importanti che si avranno solo successivamente. In questo, focalizziamoci sul “lavoro” sotto copertura.

«Non abbiamo scelta. LO DIRÒ AD ALEX, più tardi, così non avremo problemi! Lei capirà perché».
Lena lo sperava. «Ah, A PROPOSITO, HAI SISTEMATO? Per il lacrosse?».
Si stava voltando per lasciarla e si fermò, in un sorriso. «TUTTO FATTO», annuì COMPLICE. «Ho chiamato e ho lasciato alle ragazze della squadra dei compiti per allenarsi», dichiarò,[…]

A proposito di Alex, hai sistemato?”, ah, “e per il lacrosse?”.
Tutto fatto”, le ha detto con complicità, “E sì, anche per il lacrosse”.
Che complicato dover parlare in modo che Indigo, dai cellulari, non potesse capire.
Poi sappiamo che Kara ha sbottato! Non sappiamo ancora che cosa si sono dette precisamente Lena e Kara nel bagno la mattina, ma evidentemente dovevano tenere con lei un certo comportamento, comportamento che è andato a farsi benedire quando Kara ha scoperto da Leslie che l'organizzazione sapeva delle pillole di cui aveva fatto uso.

«Torniamo di sotto, adesso», Lena la tirò per mano, […]
«Indigo è riuscita a…», si zittì, ricordando di come l'avesse aggredita.
«Sì, è riuscita», le prese anche l'altra mano, fermando i suoi passi. «Ti perdonerà, Kara, tornerete come prima».
Increspò le labbra. «Lei…», SOFFIÒ INFASTIDITA di colpo e l'abbracciò, pensando di SUSSURRARLE una cosa ALL'ORECCHIO, così Lena sorrise.

Che cosa le avrà detto? Non lo sapete, esatto, così come non lo sa Indigo. Cosa bisogna fare pur di trovare un modo per parlare liberamente…?! Specie se si vuole parlare di una persona che, si sa, sta ascoltando o lo farà in tempi brevi.

«Non hai rovinato nulla», la rincuorò, vedendola annuire.

Non ha rovinato una parte del piano? Oh, chissà, lei lo spera.
E comunque…

[...] Sarai sempre una sua spia… una traditrice»

Cosa, cosa, cosa? In pratica, Kara aveva già rivelato a Indigo che lei e Lena sapevano che stava lavorando col garante e la cosa ci calzava così a pennello, dato che Kara l'aveva sempre accusata, che neppure lei se n'è accorta, dandole ragione. Perché in quel momento Kara era perfettamente in sé, non stava recitando nessuna parte. Era seriamente arrabbiata e Lena preoccupata, per quello si era lasciata andare a un sospiro quando Kara aveva pensato di abbracciare Indigo per salvare baracca e burattini.

In poche parole: vi ho preso in giro, cari lettori, così come Lena e Kara (e Alex) stanno “prendendo in giro” Indigo. Ma è stato davvero, davvero complicato scrivere quel capitolo “fondendo” verità e bugia in modo che ci fossero piccoli indizi per scoprire la seconda pur lasciando che, a una lettura normale, passasse per la prima. Non è detto che mi sia venuto bene, ho cancellato e riscritto così spesso, e alcune cose come ho detto sono ancora da “risolvere”, ci torneremo più avanti, quindi… boh, fatemi sapere cosa ne pensate!
no, please, non tiratemi pomodori, su! Che mi creano acidità XD


Bene, ringrazio chi mi ha letta fin qui (anche se mi ha tirato pomodori? Mmh, su questo dovrò rifletterci…) e segniamoci il prossimo appuntamento con Our home per sabato 18 aprile. Il prossimo capitolo si intitola Marsington, nome curioso, e come ho detto sarà un lungo stand alone! Di chi si parlerà? Teorie? ~
Non ne ho parlato prima perché mi sembrava fuori contesto e ritenevo questo sito di scrittura amatoriale come un piccolo spazio “libero” da ansie di sorta, ma stavolta mi permetto di dire solo una cosa: siate attenti e responsabili e, se potete, state a casa. Al momento, è l'unica “arma” che abbiamo.


   
 
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