Storie originali > Soprannaturale > Licantropi
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Autore: BabaYagaIsBack    28/03/2020    0 recensioni
● Book II ●
In una notte Aralyn ha compiuto nuovamente l'impossibile, mettendo in ginocchio l'intero clan Menalcan. Ha visto ogni cosa intorno a sé macchiarsi del colore del sangue e andare distrutto - forse per sempre. Così, in fuga dai sensi di colpa e dal dolore che le schiaccia il petto, si ritrova a essere ancora una volta l'eroina del suo branco e il mastino al servizio del Duca, ma anche il nemico più odiato dai lupi del vecchio Douglas e l'oggetto di maggior interesse per il Concilio che, conscio di quale pericolo possano ora rappresentare i seguaci di Arwen, è intenzionato a fargliela pagare.
Ma qualcuno, tra i Purosangue, è disposto a tutto pur d'impedire che la giovane Aralyn Calhum venga punita; anche mettere a punto un "Colpo di Stato".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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6. A jerk will never change

Ripulito da cima a fondo, l'enorme tavolo di marmo a cui i figli di Douglas erano seduti, non era mai apparso tanto luccicante: una sorta di bijoux in mezzo all'austerità di quell'angusta sala in cui la famiglia dell'Alpha si riuniva per i pasti. E a furia di fissarlo, a Joseph fecero male gli occhi.

Era la quarta cena che li vedeva lì riuniti, avvolti in un silenzio intervallato di tanto in tanto da qualche chiacchiera di circostanza. Nessuno aveva parlato né dell'eredità del vecchio lupo, né di ciò che era accaduto a Villa Menalcan nell'ultimo mese, ma qualcosa, quella sera, aveva aizzato il sesto senso del ragazzo, facendogli temere il peggio.

Per rispetto, essendo ancora in lutto, nessuno si era seduto al posto del padre defunto, ma i tre licantropi si erano piuttosto schierati sui due lati opposti della tavolata: Gabriel da una parte, solo come lo era da una vita, fronteggiato dal secondogenito e Leah, uniti ora da un dolore che stavano cercando di tener segreto, ma al contempo divisi da ciò che Joseph si era rifiutato di dire.

Se il ricordo di Kyle era per entrambi, quello di Aralyn era solo suo - non era certo sua sorella potesse capire il loro amore, l'imprinting che li legava in modo indissolubile e che stava cercando di ribaltare le regole del mondo che avevano sempre conosciuto. Così aveva taciuto tutto, creando un piccola ferita nella loro alleanza.

Gabe alzò il calice di cristallo, scuotendone la sangria all'interno. Ogni tanto qualche minuscolo pezzo di mela, pera oppure di ciliegia, sbatteva contro il vetro per venir poi risucchiato nel turbinio del vino, provando a distrarre i presenti dall'espressione eccessivamente soddisfatta dell'uomo che, finalmente, era riuscito a infilarsi nuovamente addosso uno dei suoi tanto amati completi dal colore improbabile. Le ferite procurategli dalla ragazza dovevano aver iniziato a far la crosta, pensò l'altro, e ciò gli permetteva una maggiore mobilità e sopportazione del fastidio.

«Ancora una manciata di giorni» lo si sentì constatare.

Leah da sotto al tavolo allungò una mano, aggrappandosi con le dita all'orlo della giacca del fratello. Lui la sentì tirare e non ci volle altro per fargli capire che, anche lei, stava temendo l'ultima notte di Luna - dal giorno seguente, la guerra per il potere sarebbe iniziata senza alcuna pietà.
Però, nonostante si sapessero in svantaggio, non potevano in alcun modo fargli capire quanto lo temessero: «Al momento in cui ti leverai di torno?» la domanda del giovane arrivò con uno schiocco della lingua, ma al posto di infastidire l'altro, come aveva sperato, generò in lui una sottospecie di ilarità.

Gli angoli della bocca del più grande tra i figli dell'Alpha si alzarono, così come la mano che teneva il calice. L'arto mimò il movimento di un brindisi e, ciò, non fece altro che confondere il secondogenito. Perché mai Gabriel era così tranquillo? Quale piano stava architettando in quella sua mente da animale?
Immaginarlo fu quasi impossibile.

Dopotutto lui era quello più incline ad agire con minor razionalità, quindi seguire una qualsivoglia logica per comprendere le sue azioni diveniva inutile.

L'omone prese un sorso dal calice, diluendo l'attesa fingendo di gustare il vino aromatizzato. La sua riluttanza nel voler dar loro una risposta prese a innervosire Joseph, tanto che per un momento pensò di conficcargli la forchetta che teneva tra le dita nel dorso della mano - in fin dei conti, dopo tutto ciò che aveva fatto per rovinargli la vita sarebbe stato il male minore.

«No, affatto... quanto più al momento in cui potremmo finalmente dire addio ai Calhum».

Il cuore del ragazzo perse un colpo. Aveva sentito bene? E cosa significava quell'affermazione?
La presa di Leah si fece più pesante sul bordo della giacca e per la prima volta volle scrollarsela di dosso e guizzare al collo del fratello maggiore, cercando di estorcergli informazioni il più in fretta possibile; ma doveva attendere, desistere dal mostrare il tradimento che aveva involontariamente perpetrato nei confronti del proprio sangue.

Con lo stomaco stretto in una morsa nauseante provò a ottenere qualche dettaglio in più: perché se Gabe aveva intenzione di attaccare i lupi di Arwen, nelle condizioni in cui era il loro stesso clan, era un folle. Da una sessantina di licantropi, i Menalcan si erano ridotti a una quarantina, mentre il branco del Nord poteva vantare al proprio fianco gli alleati del Duca. Carlyle non avrebbe permesso che i suoi pupilli venissero messi in ginocchio, altrimenti non li avrebbe sostenuti anche durante l'attacco di qualche notte prima.

«Non abbiamo abbastanza uomini per affrontarli con così poco preavviso...»
L'altro allargò maggiormente il sorriso, poggiando il calice. Nella sua espressione vi era qualcosa che metteva i brividi e Joseph pregò con tutto sé stesso che il fratello parlasse, spiegando nei dettagli come volesse agire - almeno avrebbe potuto escogitare un piano per mettergli i bastoni tra le ruote, per cercare di salvare Aralyn; dopotutto era per quel motivo che stava restando, per lei che non aveva abbandonato la famiglia e, sempre per lei, che avrebbe impedito a Gabriel di diventare Alpha.

«E se ti dicessi che ce ne basteranno molti meno?»

Un nuovo sussulto del cuore, seguito da una sorta di apnea. Di che diamine stava parlando? Voleva forse assoldare dei cacciatori o degli assassini? Voleva affidarsi a mani umane per dar forma alla propria vendetta?

Leah si protese in avanti, incurante del fatto che i propri ricci perfetti stessero finendo nel piatto - oh, ma chi se ne fregava dei capelli di sua sorella! C'era la vita della sua compagna nel mezzo e nulla aveva la stessa importanza.

«Di che stai parlando?» domandò lei e, quando con la coda dell'occhio Joseph ne vide l'espressione, quasi si sentì sopraffare. Nello sguardo della ragazza c'era una sorta di luce famelica, il fantasma della bestia che anche lei serbava dentro di sé e che, certamente, doveva aver iniziato a reclamare sangue come quella di chiunque facesse parte del loro clan.

Ma come era possibile?

Non si ricordava che Kyle, il suo amato Kyle, aveva dato la vita per i nemici? Si era già scordata che lui stesso le aveva confessato di essere dalla loro parte?

Però, nonostante quella reazione al commento di Gabe, la giovane non aveva staccato le proprie dita dalla sua giacca: era ancora aggrappata a lui. Che stesse fingendo, quindi?

L'uomo si lasciò andare sullo schienale della seduta, una nuova aggiunta all'arredamento visti i danni riportati, e da lì sogghignò per qualche istante, senza però dare spiegazioni. Il fatto che si stesse crogiolando tanto nella propria auto-celebrazione pareva voler indicare le cose peggiori - ma quale fosse il metro di valutazione, quando si trattava di lui, era ancora un mistero.

«Hai studiato il Codice, in quel puzzolente collegio umano, Leah?» chiese all'unica dei fratelli che pareva dargli realmente corda; e lei in risposta annuì, restando in attesa. Ogni istante che passava però, aumentava la stretta che Joseph sentiva allo stomaco e, se non si fosse imposto di non vomitare, avrebbe rigurgitato il filetto appena divorato.
Gabriel non aveva citato qualcosa di irrilevante, anzi, si stava facendo forte delle leggi più antiche del loro mondo e, questo, altro non era che monito di atroci sventure.

«Ebbene, la quinta regola».

La sorella sembrò non afferrare subito ciò che quel commento stesse a indicare, ma lui invece lo fece e, di conseguenza, avvertì il sangue defluirgli dal viso, mentre il lupo cercava di montare verso la sua coscienza e prenderne possesso, in modo da infilare la forchetta non solo nel dorso della mano di Gabe, ma anche nel torace, nel collo, negli occhi e in qualsiasi altro punto gli andasse di farlo.

Bastardo.
Bastardo, bastardo, bastardo!

Non riuscì a pensare ad altro. Suo fratello era vera feccia, un mostro, il più vile tra gli uomini che avesse avuto mai il dispiacere di incontrare - ma a renderlo ancora più schifoso ai suoi occhi, c'era il fatto che condividesse il suo stesso sangue.

Joseph non riuscì a far altro che guardarlo per interminabili minuti. Rimase muto a fissarlo, mentre con la mente immaginava i modi più atroci per ammazzarlo.

Quel verme aveva convocato il giudizio del Concilio.

Leah d'un tratto parve capire e, nel farlo, allentò la presa: «Ma Arwen Calhum è un Alpha... la legge parla chiaro: nonostante sia Impuro la sua posizione gli permette di uccidere un capoclan, anche Nobile». L'ignoranza trapelò da tutta l'innocenza di quel commento, dal modo in cui il suo finto ghigno si trasformò in rinnovata confusione. Lei non sapeva, non aveva alcuna idea di quanto complicate fossero le cose in realtà e, ripensandoci, riportando alla mente solo alcuni stralci dell'intricata rete di eventi che erano intercorsi in quell'anno, Joseph non riuscì a controllarsi.

Con un pugno picchiò forte contro il marmo, facendo sobbalzare la ragazza al suo fianco poi, con un ringhio, si rivolse al fratello più grande: «Stai scherzando, vero? Non hai mai usato un neurone in tutta la tua schifosissima vita e, ora, magicamente ti ricordi di averne?» Le unghie del suo sé animale presero a raschiare le viscere, graffiarono con violenza l'interno del corpo nel tentativo di trovare una via d'uscita ed emergere per piantonarsi nel viso che avevano di fronte.

Gabriel però di quella reazione ne fece tesoro, se la rimirò con una lentezza fastidiosa: «Cos'è che ti infastidisce tanto, moccioso? Non è forse questo il modo corretto di agire?» si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sul tavolo e sfidandolo: «Nessun uomo sacrificato, nessun piano da escogitare... è la soluzione perfetta! E poi, riunire il Concilio per quella sgualdrina tornerà utile anche a noi, per onorare Douglas ed eleggere il suo erede».

Sgualdrina...

Avrebbe tanto voluto inciderglielo in fronte, quel termine. Lo ripeteva così tante volte quando si rivolgeva a lei che avrebbe dovuto far sapere a tutti essere il suo aggettivo preferito. Eppure, quella che lui paragonava tanto a una prostituta, aveva più morale e valori di quanti Gabe potesse raccogliere in un'esistenza intera - ma soprattutto aveva più palle di quelle che lui amava tanto sventolare ai quattro venti, visto che era riuscita sia a metterlo in difficoltà, sia a uccidere un Alpha; anche se quest'ultimo particolare, ora, le sarebbe costato fin troppo caro.

«Era una nostra battaglia» sibilò, giusto per riuscire a mantenere una facciata di finta lealtà - anche se l'altro maschio aveva fin troppi sospetti su cosa vi si nascondesse dietro.

«Dici?» il primogenito alzò le spalle, poi le riabbassò in un gesto teatrale, troppo tronfio per rendersi conto di quanto stesse portando il fratellino al limite della sopportazione e a un passo da un possibile massacro - dopotutto Gabriel era certo di essergli superiore, non lo aveva temuto in passato, figurarsi nel presente e se mai lo avesse fatto in futuro.
«Io invece credo che fosse la battaglia dei Menalcan, ma non la tua» disse poi, trasformando il proprio sguardo in una lama affilata, tanto tagliente da far sentire Joseph minacciato, ormai con le spalle al muro. Era perso, confuso. 
Come obbiettare? Come far credere di non essere ferito o coinvolto da tutta quella situazione?

Grazie al cielo però, Leah si mise in mezzo distraendo l'uomo, anche se lo fece con il commento peggiore: «Di che state farneticando? Chi ha ucciso papà?»

E fu dapprima silenzio, poi gelo. Da un lato forse Gabe voleva udire come, il suo "adorato" fratellino, avrebbe descritto la questione, o magari Aralyn stessa, mentre dall'altro, il secondogenito si ritrovò con il cuore in gola. Una parola sbagliata, sarebbe bastata quella a muovere contro di lui un'accusa di tradimento e, se il branco fosse stato d'accordo, finire a sua volta in ginocchio di fronte al Concilio - un dettaglio che non poteva sottovalutare se voleva essere in qualche modo d'aiuto alla sua amata.

La ragazza ringhiò ancora, questa volta convincendo il meno rabbioso dei due a darle spiegazioni: «Non te lo hanno detto? A uccidere Douglas è stata la sorellina dell'Alpha del Nord,» di nuovo, il suo sguardo calò su Joseph: «nonché la proprietaria delle ultime cosce in cui tuo fratello si è infilato».

L'interpellato sentì la sorpresa di Leah schiacciarlo, percepì i suoi occhi su di sé al pari di macigni e seppe, con assoluta certezza, che ne rimase sconvolta.

Chissà cosa aveva pensato la sua mente fanciullesca. Chissà quali scenari contorti si era figurata per spiegare il sacrificio di Kyle.

Ma di fronte a Gabe non potevano concedersi il lusso di spiegazioni, così, costringendosi in una smorfia divertita, il ragazzo si prese il viso in una mano: «Che male c'è? Ho solo colpito Arwen nell'orgoglio, gli ho fatto vedere chi dei due è il vero Lupo, qui», ma quelle parole raschiarono la gola, brucianti. Ciò che aveva appena pronunciato aveva lo stesso sapore dell'acido - e non gli piacque affatto avvertirlo in bocca.
Forse, in un passato nemmeno così lontano, avrebbe sentito quel commento suo, veritiero, ma ora aveva tutt'altro significato; era l'ennesimo piccolo tradimento che si permetteva di compiere nei confronti della più giovane tra i Calhum. Era l'equivalente di gettare sale sulle ferite aperte di un cuore che finalmente aveva capito come sentirsi completo.

«Beh, ma a quanto pare lei non ha capito il tuo intento, oppure ha la certezza che non vi sia un secondo fine, visto il modo in cui è corsa da te quella sera...»

L'energumeno non demorse, cercando d'infliggere ancora qualche colpo basso.

«Cosa ti urta maggiormente, Gabe?» la voce di Leah, seppur lieve, sembrò tuonare per la stanza, spezzando quell'insistente, ma soprattutto infinito, lancio di frecciatine tra l'uno e l'altro fratello.

Joseph volse lo sguardo verso di lei, sorpreso dalla sua capacità di resistere e nascondere le proprie emozioni per riuscire a sostenerlo al cospetto di un contesto tanto ostile, seppur fosse certo che, in realtà, la sorella non desiderasse altro che saltargli al collo e provare a strozzarlo per ciò che, alla fine, aveva scoperto essere successo.

Sicuramente, si disse, la ragazza doveva provare per lui una sorta di ribrezzo ora che era stato svelato il motivo che aveva portato tanta tragedia - e con lei non avrebbe potuto mentire, né trovare scuse. Aveva ammesso di aver tradito il clan, di averlo fatto per una persona cara e, adesso che Gabriel aveva aperto bocca, quella che era stata per ben due giorni una chimera tra i pensieri di Leah, prendeva il nome di Aralyn Calhum.

Il giovane però non fu il solo a girarsi verso di lei, anche il maggiore tra di loro posò i propri occhi curiosi sul viso della lupa, restando in attesa di un proseguo che erano certi sarebbe arrivato. E nessuno di loro sbagliò.

La figlia più piccola dell'Alpha si bagnò le labbra con la sangria, evidenziandone il rossore, poi prese a muovere il calice di fronte all'ovale perfetto che era la sua faccia: «Perché è palese che tu sia ferito nell'orgoglio e che, per la prima volta nei tuoi trentaquattro anni di vita, ti stia sentendo impreparato ad affrontare i nemici. Ammettilo,» la sua espressione si aprì in un sorriso a metà tra l'ovvietà e la riluttanza: «I Calhum ti hanno messo in ginocchio non una, ma ben due volte» aggiunse, allargando le braccia e sporgendosi un poco in avanti. Pareva non temere in alcun modo il primogenito, forse a causa della rabbia che le stava montando dentro - perché Joseph lo sapeva, seppur si sentissero diversi dal quel vichingo bruno tutto muscoli e niente cervello, avevano alcuni aspetti del carattere simili: Leah era eccessivamente incline all'arrabbiatura, orgogliosa quanto bastava per renderla un vero e proprio peperino, mentre lui sapeva di condividerne l'indole animale.

«Quindi cosa ti infastidisce tanto? Il fatto che a differenza tua Joseph possa essere amato, anche se si tratta di un gioco, oppure il fatto di non poter sopravvivere a quei due meticci senza un aiuto? Perché sai bene come la pensava papà sui poveri Impuri: ricorrere al Concilio con loro vuol dire non saperli gestire da sé» e, inaspettatamente, il ragazzo accanto a lei si ritrovò ad alzare le sopracciglia in completa sorpresa. Sua sorella aveva davvero fatto ricorso alle parole di quel vecchio? Aveva realmente ascoltato uno dei suoi mille sproloqui sulla supremazia dei Nobili?

Fu stupefacente vedere con quanta sicurezza la giovane si fosse fatta forte dei concetti di un uomo che detestava, ma al contempo li legava, trasformando quelle frasi in spilli da conficcare nell'armatura di sicurezze del mannaro che avevano di fronte. In due anni era cresciuta moltissimo, ma soprattutto era diventata una buona erede di quel casato.

Il viso di Gabriel divenne una maschera di disprezzo. Il suo odio per la sorellina divenne palpabile nell'aria e, con quel commento, Leah si era assicurata di non venir compresa nei suoi piani per il futuro. La sua era una velata conferma sul fatto che avrebbe sostenuto Joseph in quella battaglia interna alla famiglia; che sì, forse appena avessero avuto un momento da soli lo avrebbe aggredito, ma che non lo avrebbe tradito per il primogenito: nessuno dei due voleva vederlo diventare Alpha. 

Ad ogni modo, ancora una volta era stata una ragazzetta grande la metà di Gabe a metterlo con le spalle al muro - ma il suo orgoglio non volle cedere, così dal fondo della gola sbottò: «Perché sporcarmi le mani, quando posso punirli entrambi, pubblicamente e privare quel verme di Arwen del suo tesoro più grande?» domandò, anche se fu difficile capire se fosse un quesito diretto a lei o a sé stesso, quasi per giustificazione. E, quando dopo alcuni minuti nessuno gli rispose, con un movimento brusco si alzò dalla tavola, mimando il gesto di uno sputo e incamminandosi poi verso l'uscita.

Non era una vittoria, ma sicuramente un punto di partenza - anche se ciò che li aspettava sarebbe stato molto più difficoltoso di quanto potessero immaginare.

 



 
   
 
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