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Autore: Sky_7    28/03/2020    0 recensioni
Perché qualcuno sceglierebbe mai di essere il cattivo di una storia? Da che esiste la divisione tra bene e male, nessuno si è mai definito cattivo, esistono solo due schieramenti dovuti a due opinioni contrastanti. è sufficiente questo a definire chi è il cattivo e chi il buono? E chi lo decide? Perché, da che mondo è mondo, sono i vincitori a scrivere la storia, che siano buoni o cattivi.
Se non fosse mai stato capitan Hook il cattivo? Se fosse solo stato una vittima delle circostanze, reso folle dai pensieri che non gli fanno trascorrere notti serene, dalla ricerca di quella vendetta contro un demone immortale che gli ha portato via non solo la mano destra ma anche la vita.
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Una storia in cui le cose sono andate diversamente rispetto a come le conosciamo.
Una storia che racconta il passato, presente e futuro del capitano James Hook, con tutti i retroscena e elementi inediti che racconteranno la sua storia e aspirano a dare un lieto fine a questo personaggio che nella sua lunga, lunghissima vita ha conosciuto solo dolore.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Wendy Darling
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

Fu il dolore a ridestarlo e fu lo stesso dolore ad obbligarlo in quella fastidiosa condizione di vaglia immobile. Non aveva la forza di muovere un muscolo, neppure di aprire gli occhi, eppure aveva la percezione di tutto
“Accidenti!”
“Cosa?”
“Ha come una ferita di morso alla gamba... Di qualunque animale sia sono sicura che è andata in cancrena”
“Dobbiamo tagliarla!” NO! In nome di qualsiasi divinità in cui credessero questi selvaggi che l’avevano salvato, non avrebbero dovuto neppure provare ad avvicinarsi alla sua gamba
“NO, santo Iddio no. Non credo riuscirei a fare una cosa del genere... La gamba resta dov’è ma la ferita va pulita a dovere” tirò mentalmente un sospiro di sollievo alle parole di quella che aveva capito essere una donna che parlava in quello che, poi, aveva riconosciuto essere inglese. Una mano fredda si posò sulla sua fronte e dopo essersi sentito attraversato dai brividi per il contrasto con la sua pelle bollente si trovò a sospirare quasi di piacere.
“Ha la febbre alta e non andrà migliorando dopo aver pulito l’infezione” era ancora la donna a parlare e il suo tono questa volta era tra il preoccupato e l’addolorato “Chi mai renderebbe qualcuno in queste condizioni?! Con tutte le cicatrici che ha, avrà sofferto da cani”
“Ti sfugge, donna, che tra noi pirati si combatte per tutto. Non siamo donnicciole che si dilettano al ricamo, la maggior parte delle cose qualcuno di noi abbia mai cucito è stata la pelle umana” eccome se aveva ragione, a James ancora si accapponava la pelle al ricordo di quando Cecco aveva cucito il moncherino del polso.
Non si stupiva che la temperatura fosse salita al punto da preoccupare i suoi salvatori. Quando fu la volta della mano destra l’infezione fu così brutta che furono costretti a, letteralmente, grattarla via dal polso. La febbre, già di per sé alta, aumentò ulteriormente a causa di quel dolore lancinante. Rimase bloccato a letto, più morto che vivo, tormentato da sogni e ricordi.
“Spero non si svegli ora, farà male” e aveva ragione. Fece un male cane

James, Owen e Mary si erano conosciuti da bambini. Il primo era un ragazzo qualunque, cresciuto in una famiglia qualunque. Non erano benestanti, ma non se la cavavano neppure male, avevano un piccolo appezzamento di terra che gli permetteva di vivere e anche mettere da parte qualcosa vendendo le eccedenze.
Owen e Mary erano orfani, alcuni come tanti scappati dall’orfanotrofio di zona. Ladruncoli da quattro soldi che rubavano il necessario per sopravvivere. Owen aveva conosciuto James una mattina al mercato, il biondino si era intascato una mela sotto il naso del venditore, James aveva visto tutta la scena, aveva affiancato Owen e, dopo avergli fatto notare il gesto, acquistò due mele, prendendone solo una che gli consegnò una volta allontanatisi. James ancora adesso non era in grado di spiegare come divennero amici, anzi proprio fratelli, e fu proprio Owen a presentargli anche la piccola Mary, una bambina dai capelli biondi e gli occhi marroni che dal primo sorriso di James si innamorò di lui.
Furono i due orfani ad essere trovati per primi da Pan, che li stregò con il racconto di Neverland, dell’isola magica in cui i bambini non crescono mai. Accettarono immediatamente di seguire quell’insolito ragazzino in calzamaglia e stavano per volare via quando il ragazzino biondo lasciò la presa e guardò gli altri due ad occhi sgranati
“E James?”
“Chi?”
“James. Mio fratello. Non verrò da nessuna parte senza mio fratello” e così erano andati a prendere il ragazzo che chiuso nel suo alloggio a Eton, nonostante l’ora tarda, era immerso nella lettura di un libro di poesie preso in biblioteca quel pomeriggio.
Neverland era il sogno di ogni bambino, un’isola magica dove nessun bambino sarebbe mai cresciuto, dove non esistevano le responsabilità, dove avrebbero potuto sempre giocare. Come detto, un sogno, per tutti meno che per James. James che aveva già scritto il suo futuro, James che sognava di completare i suoi studi a Eton e andare poi al college. James che fu strappato da tutto ciò che lo rendeva felice.
James non era più felice a Neverland, restare un bambino non gli interessava, non a lui che voleva diventare adulto e far conoscere il suo nome al mondo. Per questo cominciò a pensare alla sua fuga, ma come si fugge da un’isola che si trova nei cieli?
Mentre Peter era sempre più stizzito e irritabile dal comportamento di James, Owen fu l’unico a decidere di indagare e James decise di confidarsi con colui che considerava suo fratello. Owen amava Neverland, amava la bella vita, il non dover lottare per un tozzo di pane, non andare a dormire con i crampi allo stomaco, ma James era suo fratello e così lo aiutò a ideare un piano di fuga. Pan li scoprì e decise di punire quella ribellione, sarebbe stato facile colpire James che ormai non aveva più nulla da perdere, meglio lasciarlo in vita con la colpa di aver condannato il suo migliore amico.
“Jimmy perché non sei felice qui? Non dobbiamo rubare per avere da mangiare, né andare a dormire con i crampi allo stomaco per il digiuno. Nessuno ti obbliga ad andare a scuola, né ti fa stare senza cena quando i tuoi voti non sono buoni. Niente frustate...”
“Owen ma io ero felice lì. Non mi pesava non mangiare per una o due sere, né prendermi le punizioni per aver fatto tardi a lezione. Mi piaceva passare le notti a leggere e imparare cose nuove... Ma non mi aspetto che tu capisca Owen, né che tu mi appoggi, ma io devo andare via” detto ciò caricò su quella zattera arrangiata anche un paio di remi ricavati dagli steli di palma, Owen abbassò lo sguardo e rimase in silenzio alcuni secondi prima di avvicinarsi all’amico per aiutarlo a caricare le scorte sulla zattera.
“Hai ragione, non capisco, ma non ti impedirò neanche di andartene... Sei mio fratello, James, e non vorrò mai il tuo male” si bloccarono entrambi, il maggiore sorpreso, il minore per imitare il primo, ma ancora non lo guardava in faccia, preferendo giocherellare con il ciondolo che portava al collo. Senza perdere altro tempo, se lo tolse e lo chiuse nella mano del suo migliore amico “Promettimi solo che, quando sarai cresciuto, non ti dimenticherai di me, Jimmy. Altrimenti te la faccio pagare cara”
“Non potrei mai dimenticarmi di un rompiscatole come te”
Avrebbero voluto abbracciarsi, dirsi addio con qualcosa di più che parole al vento, ma il tempo era poco. Purtroppo James non fece in tempo a fare niente che una voce li anticipò.
“Che scena toccante” i due ragazzini sobbalzarono voltandosi di scatto alla loro destra. Peter Pan se ne stava in piedi sulla zattera di James, anche se in realtà le piante dei piedi non la toccavano, e le braccia incrociate al petto, sul viso un’espressione che non prometteva nulla di buono.
“Vai da qualche parte James? Senza avvisarmi per giunta? Lo sai che nessuno lascia l’isola che non c’è se non sono io a volerlo”
“Io non volevo venire qui e non ho intenzione di restarci. Levati di torno Pan!” James non era di certo un tipo pacato, tutto il contrario: era irruento, istintivo eppure, paradossalmente, un abile stratega. La sua mente era una perenne partita a scacchi in cui cercava di prevedere tutte le possibili mosse dell’avversario. Era scontato che Peter avrebbe provato a fermarlo, ma sperava di avere più tempo per allontanarsi dall’isola.
“Ah è così?” Peter si alzò in volo, togliendosi del tutto da sopra la zattera su cui la sua ombra si proiettò ingigantendosi, fino ad avvolgerla completamente poi fu tutto troppo veloce per capire cosa fosse successo: semplicemente la zattera si sollevò di poco dalla superficie dell’acqua e si schiantò sugli scogli, distruggendosi.
“NOOO! Che cosa hai fatto!” James avrebbe voluto correre su quei resti, quanto meno per evitare che la marea li portasse via, nella vana speranza che fossero in qualche maniera recuperabili, ma non riuscì neppure in questo. Sempre restando collegata al suo proprietario, l’ombra di Pan lo travolse obbligandolo, tramite una mano premuta sulla gola, con la schiena contro il tronco di un albero. James non riusciva a respirare e Owen in preda alla paura si mordeva convulsamente la punta del pollice, come faceva sempre quando era nervoso. Solo allora il folletto sembrò notare la presenza dell’altro bambino con il cappuccio a forma di testa di coccodrillo, che se ne stava in dispare esattamente a metà strada tra i due litiganti.
“E tu l’avresti aiutato a fuggire? Ma che razza di amico sei?!” ghignò seraficamente, il piccolo despota, voltandosi di nuovo verso il ragazzo dagli occhi chiari
“Adesso vedrai cosa succede quando mi arrabbio sul serio” l’ombra, come obbedendo a un ordine che solo lei poteva sentire, si staccò da James e si fiondò su Owen, avvolgendolo ma passandogli attraverso. Adesso era James con gli occhi piedi di orrore alla vista del suo amico contorcersi e urlare dal dolore. Non ebbe bisogno di pensarci prima di fiondarsi su di lui per aiutarlo, o quantomeno capire cosa gli stesse succedendo, ma il suo corpo stava cambiando e in poco tempo di Owen non rimase niente. Al suo posto vi era un coccodrillo con la pelle squamosa e gli occhi di ambra che, sibilando, si fiondò su James come se si trattasse del più prelibato dei pasti.
“Owen! Owen smettila! Sono io, sono James” nessuna risposta se non quel continuo sibilo. James, camminando, quasi saltando o talvolta strisciando all’indietro, riuscì ad allontanarsi quanto basta per far desistere il coccodrillo dal suo intento. Il grosso rettile infatti si andò ad immergere nelle acque scure dell’oceano sprofondando nei suoi abissi, non prima però di aver distrutto con un colpo di coda tutto ciò che fosse ancora recuperabile dalla zattera del suo amico.
“Che ti serva da lezione, James. Sulla mia isola non succede nulla senza il mio consenso. Hai visto di cosa sono capace ma voglio darti un’ultima possibilità: con me o contro di me. Pensaci bene” non gli serviva aspettare una risposta, per questo volò semplicemente via, lasciando James con il viso rigato di lacrime e gli occhi rivolti verso il punto in cui il suo amico, tramutato in grosso rettile, era scomparso.
“Owen”
Quella fu la prima volta che vide le fate. Non seppe dire in quante erano, sicuramente tante perché si trovò circondato. In un primo momento pensò che si potesse trattare di lucciole, poi una di esse si avvicinò al suo viso abbastanza da essere vista per intero in ogni suo dettaglio. James si stropicciò gli occhi più di una volta credendo di star sognando, dimentico che a Neverland tutto era possibile. La fata aprì la bocca e scandì qualche parola ma non produsse alcun suono, la sua voce James la sentì nella sua mente.

“Non irrigidire quel braccio, per Nettuno non stai strangolando qualcuno!”
“Se non tengo il braccio teso la spada mi cade di mano” per un perfezionista come James Hook vedere un tale disastroso tentativo di tenere una lezione di scherma era un pugno in un occhio, ma con Wendy aveva trovato pane per i suoi denti. La ragazzina, infatti, non tremava terrorizzata ogni qualvolta alzava la voce, al contrario si inviperiva di più sostenendo che il capitano pretendesse la perfezione senza spiegare come raggiungerla. Non c’era dubbio che Hook fosse colpito da questo temperamento e come lui molti membri della ciurma che più di una volta si erano presi un rimprovero dal capitano per avere interrotto il loro lavoro e, soprattutto, essersi fatti beccare ad osservarli.
“Questo perché è pesante per te, la tua massa muscolare basta a malapena per tenerti in piedi” era tutta la mattina che i due erano in quella situazione: Hook non sapeva come avesse fatto a lasciarsi convincere ad insegnarle a combattere sul serio, forse il colpo di grazia fu, per il capitano, il voler dimostrare di essere un insegnante migliore di Pan che le aveva semplicemente messo in mano una spada e le aveva detto di combattere. Beh, se l’intento era quello James Hook stava facendo un clamoroso buco nell’acqua. Si portò la mano a stringere le tempie e sbuffò sonoramente.
“Ricominciamo d’accapo. Ripeti la sequenza che ti ho spiegato prima e non fermarti” pazientemente, Wendy replicò con precisione gli affondi che aveva appena imparato, in apparenza molto semplici.
“Trova il baricentro prima di affondare. Se non sei in equilibrio ora che il mare è calmo, non potrai mai sperare di trovarlo in un duello in pieno abbordaggio” lo sguardo ceruleo del capitano non perdeva di vista neppure un movimento della ragazza finché, non la fermò nel mezzo di un affondo
“Sai perché ti trema il braccio?”
“No”
“Sei troppo rigida e di conseguenza esegui l’esercizio in modo troppo meccanico... La scherma è un arte e come tutte le arti ha una propria armonia” spiegò il capitano con tono paziente, un tono che nessuno gli aveva mai sentito usare e che, quindi, attirò l’attenzione di tutto l’equipaggio che si fermò a guardare. Sotto gli occhi stupefatti del suo pubblico, James sguainò la propria spada e si pose di fronte a Wendy in posizione di base: schiena dritta, posto a tre quarti, un piede dietro l’altro adeguatamente distanziati e l’altro braccio dietro la schiena
“Immagina la scherma come se fosse una danza in cui ogni posizione è studiata a dovere per assicurare l’equilibrio. Il braccio sinistro che ti ostini a tenere con la mano sul fianco non dovrebbe stare lì durante un affondo, bensì teso nella direzione opposta a quella della lama. Il suo scopo è permetterti di trovare il baricentro esattamente al centro del tuo corpo e, logicamente, di impedirti di sbilanciarti in avanti per il peso della lama” Wendy lo ascoltava come incantata, memorizzando le sue parole e tutto ciò che le stava insegnando.
“Ora mettiti in posizione” la bambina eseguì l’ordine e con mosse lente studiate, fatte di affondi e parate, iniziarono una sorta di duello che, come aveva detto Hook, sembrava davvero una danza accompagnata dal suono delle lame che si scontrano.
“Questo non è qualcosa che vedrai mai durante un abbordaggio, ma è un ottimo modo di confondere l’avversario. Impara la tecnica e, ti garantisco, non ci sarà nessuno in questa ciurma che riuscirà a tenerti testa. Adesso concentrati” in un certo senso Hook cambiò lo stile del duello. Per spiegarlo la ragazzina rifletté che erano passati da un valzer studiato e prevedibile a una danza più personale. James sembrava riuscire a prevedere quello che avrebbe fatto prima ancora che ci pensasse lei.
“Non è stregoneria, né so cosa farai perché sono io il tuo insegnante. Con il tempo e tanto esercizio imparerai un’altra importante tecnica non solo della scherma ma di qualsiasi tipo di lotta: prevedere le mosse dell’avversario prima che lui anche solo la contempli. Appreso questo, sarà una passeggiata pilotare le sue decisioni per fargli fare esattamente quello che vuoi”
Wendy lasciò cadere la spada con un tonfo quando sentì quella del suo avversario spostarle i capelli un po’ troppo vicino al suo collo, la lama di Hook a quel punto la recuperò passando nell’elsa e scendendo in discesa fino a far scontrare le due impugnature. Solo allora Wendy lo guardò di nuovo negli occhi, due tonalità d’azzurro simili ma diverse fisse l’una nell’altra
“Funziona con tutti”
“Meno che con Peter Pan” lo disse senza rifletterci e non le sfuggì il cambio di espressione del capitano che da tranquillo si fece cupo e, probabilmente, arrabbiato.
“Solo per il momento” le fece scivolare la spada davanti ai piedi e rinfoderò la sua “La lezione è finita per oggi, continua pure ad allenarti se ti va oppure fa quel che ti pare. Voi altri tornate a lavoro, avete perso abbastanza tempo per oggi” di nuovo era tornato a galla il severo capitano alle cui parole scattarono tutti i suoi sottoposti, meno che Wendy.
Continuò quegli esercizi per oltre un’ora finché, esausta, non decise di tornare nella cabina che il capitano le aveva assegnato per riposare un po’ prima di pranzo. Era rimasta non poco sorpresa quando Spugna, che l’aveva accompagnata, le disse che sarebbe stata la sua cabina personale.
“Credevo che sulle navi solo il capitano e i gli ufficiali più importanti avessero una cabina personale” contrariamente alle aspettative, non fu il nostromo a rispondere bensì lo stesso capitano che li seguiva silenziosamente a qualche metro di distanza.
“Credevi forse ti sarebbe toccato dormire sul ponte? Oppure con la ciurma?” Wendy sgranò gli occhi per lo spavento e Hook fece fatica a non ridacchiare “Per Nettuno ragazza, siamo pirati non barbari e da che mondo è mondo mi sono sempre considerato un gentiluomo. Avrai una tua cabina in cui stare per conto tuo e rifugiarti ogni volta lo riterrai necessario”
Non era chissà quanto spaziosa o ordinata ma agli occhi di Wendy sembrò perfetta. Era situata sotto il ponte di poppa, sullo stesso livello in cui si trovava la cabina del capitano; Wendy non ci avrebbe mai pensato ma quella era un’ulteriore assicurazione di protezione per la ragazza: nemmeno il più folle degli uomini si sarebbe mai sognato di avvicinarsi alla ragazzina che dormiva a un uomo con il sonno leggero come il capitano James Hook. Il colore predominane era il verde acqua per via della coperta di broccato, il tappeto e il velluto della sedia imbottita posta davanti allo scrittoio. Il mobilio era essenziale, come detto c’era un letto, uno scrittoio, la sedia e un armadio, c’era una sola finestra che si affacciava sul fianco della nave.
“Non capisco capitano. Mi era parso di capire che il piano fosse alimentare i dubbi della ragazza, farci portare al nascondiglio di Peter Pan e-”
“Il piano è cambiato, Spugna, e non devo giustificarmi con te”
“Ma capitano, la ciurma fa domande”
“Che facessero tutte le domande che vogliono! Non mi interessa e non sono costretto rispondere a nulla. Nessuno, e ripeto nessuno, deve provare ad alzare un solo dito su di lei o, parola mia, arriveranno a desiderare la morte”
“Ri-riferirò capitano. Nessuno si sognerebbe mai di darvi contro”
“Bene” Wendy sapeva che non stava bene origliare, eppure non riuscì a impedirselo. Col senno di poi, si disse, non è origliare se il tono della conversazione era perfettamente udibile dalla sua camera. Nel corridoio, intanto, il capitano era sul punto di entrare nella sua cabina e lasciarsi il discorso alle spalle, ma la voce di Spugna lo fermò dal suo intento.
“Sono stati i suoi occhi, non è vero capitano?” Hook deglutì chiudendo gli occhi per qualche secondo.
“Non ho mai visto occhi così, Spugna, se non quando mi guardo allo specchio”
“Ma potrebbe essere solo un caso. Sono passati anni e non è detto che possa essere sua figlia”
“Mia o no, resta la figlia di Mary e ucciderò chiunque osi torcerle un solo capello”
Wendy sentì il sangue gelarsi nelle vene.

Non aveva battuto ciglio quando Hook aveva fatto rapire i bimbi sperduti, i suoi fratelli compresi, e fatti portare sulla Jolly Roger. Almeno in apparenza, Wendy non aveva battuto ciglio, dentro di sé, invece, cominciò a crescere la paura. Era stata lei l’esca, i bimbi sperduti si erano avventurati fin lì, in pieno territorio dei pirati, per convincerla a tornare, cadendo nella trappola come allocchi. Non voleva che gli fosse fatto del male, ed era stata la sua unica richiesta al capitano non appena finirono i bambini furono tutti legati. Hook aveva acconsentito, lei non poteva saperlo ma lui era certo che non sarebbe mai stato in grado di negarle qualcosa. Aveva quindi ribadito che Pan era il suo unico obiettivo, degli altri non gli importava, così Wendy era riuscita a strappargli una promessa: una volta attuata la sua vendetta avrebbe riportato i suoi fratelli a Londra, dai loro genitori. Non incluse sé stessa in questa richiesta, James le stava insegnando a diventare una pirata ma, soprattutto, un’adulta e la prima cosa che aveva imparato era il valore dato alla parola data. Wendy aveva accettato di diventare una piratessa e ne aveva accettato gli annessi e connessi, non sarebbe venuta a mancare a quella promessa.
Peter era accorso, con Trilli al seguito, e Wendy non interferì nel combattimento con il capitano, si limitò ad assistervi con il resto della ciurma, trattenendo il fiato ad uno o l’altro affondo di lama.
Quando si diventa ufficialmente adulti? Quando il proprio aspetto cambia, abbandonando le fattezze infantili per lasciare il posto a nuove? Wendy non lo sapeva, perché il giorno in cui divenne adulta aveva ancora l’aspetto di una bambina. Capì di non essere la stessa quella notte a bordo della Jolly Roger, quando le risate dei bimbi sperduti per le sorti dello scontro che si volgevano a favore di Pan le chiusero lo stomaco in una morsa. L’amore e l’odio erano sentimenti da adulti, troppo complessi perché un bambino potesse capirli, ma allo stesso tempo solo i bambini riuscivano a scinderli. Wendy era certa di aver già conosciuto l’amore, era ciò che le illuminava quei pezzi di cielo che aveva negli occhi ogni qualvolta si posavano su Peter. E aveva viso anche l’odio, era quello che accendeva di rosso gli occhi di Capitan Hook al solo pensiero di Peter Pan. Wendy aveva raccontato decine di volte quella storia ai suoi fratelli, storia in cui Hook era il cattivo indiscusso, ma quante volte si era soffermata a riflettere sul perché di tanto odio? Mai, ma ci stava pensando ora.
L’ultima volta che avevano combattuto, alla roccia del teschio, Hook lottava con la forza di dieci uomini, animato da quella rabbia che lo faceva sopravvivere. Pan, invece, rideva, si prendeva gioco di lui in tutto. Persino davanti alla minaccia dell’imminente vendetta del capitano per la mano che gli aveva tagliato, il folletto aveva risposto, con uno sguardo strafottente, “Pronto a perdere l’altra?”. Per lui era solo un gioco, per quanto pericoloso, un gioco in cui era lui a decidere per la vita o la morte del suo avversario.
Sentì una rabbia cieca montarle da dentro, nel giro di un paio di secondi la persona a cui poco prima aveva dichiarato amore era diventata destinatario del suo odio.
Cos’è l’odio se non un eccesso di amore? La vera punizione non è l’odio, ma l’indifferenza.
Hook era ormai in prossimità dell’asse di legno, le urla dei bambini la riportarono alla realtà e si stupì di avere gli occhi pieni di lacrime.
“Vecchio. Solo. Defunto.” Ogni ripetizione era un passo indietro per il capitano e uno in avanti per Peter. “NO!” Wendy agì d’istinto. Si asciugò le lacrime con la manica della giacca troppo grande per lei che ancora indossava e si pose tra Hook e la lama della spada che Peter gli aveva sottratto. I suoi occhi infuriati fissarono quelli verdi e confusi di Peter. Le voci che li circondavano cessarono immediatamente
“No” ripeté questa volta con voce ferma e delusa.
“Fatti da pare Wendy. È mio” cercava di fare la voce grossa Peter, troppo orgoglioso per farsi vedere debole davanti al comportamento della ragazza che non riusciva più a confondere.
“Perché tu possa prendere la vita di qualcuno che vuole la tua testa solo per una vendetta giusta e meritata? No, dovrai passare sul mio cadavere” come Peter, neppure Hook si capacitava di un tale cambio di schieramento. Perché lo difendeva? Lui che l’ha usata come esca per catturare il suo nemico giurato...
“Apri gli occhi Peter. Questo non è più un gioco! Non lo è mai stato. Non puoi giocare con la vita altrui, non puoi sguinzagliare un coccodrillo contro qualcuno con l’ordine di divorarlo. Questo non è giusto” ma a Peter non interessava ciò che era giusto e ciò che non lo era, lo sapeva Wendy e, meglio di lei, lo sapeva Hook.
Nel frattempo, però, stava accadendo qualcosa dall’altra parte del ponte, qualcosa che Peter non poteva prevedere.
Starkey, il primo ufficiale della Jolly Roger, non visto nelle retrovie, aveva caricato la sua pistola e la stava puntando verso Pan. Hook sgranò impercettibilmente gli occhi, stando ben attento a non far rendere conto a nessun altro di ciò che accadeva, sia che Starkey avesse premuto il grilletto sia che Pan o chi per lui li avesse scoperti non sarebbe finita bene. In qualsiasi altra circostanza si sarebbe fidato del primo ufficiale che era stato il suo maestro d’armi a bordo della Queen Anne’s Revenge, ma non in quella circostanza, non con Wendy a qualche passo di distanza da Pan. Non era un colpo facile; una distrazione, un movimento del braccio o della nave avrebbe potuto cambiare l’esito della vicenda e il proiettile destinato al folletto avrebbe potuto colpire Wendy. Anche Hook agì d’istinto, afferrando Wendy per un braccio con la mano e puntandole l’uncino alla gola. Stranamente Wendy non reagì in nessun modo mentre Pan e i suoi trattennero il fiato.
“Giù dalla mia nave, Pan, tu e i tuoi mocciosi o il prossimo pasto della bestia sarà questa bella bambolina a cui sembri tenere molto. Scendete e lei vi raggiungerà sana e salva sulle sue gambe” la sua voce glaciale gelò il sangue nelle vene degli altri due Darling
“WENDY!” “NO!”
“Nz-nz” mormorò il capitano “Io non lo farei”
“Come posso essere certo che non appena mi sarò voltato non le farai del male?” quando Pan riprese la parola, attirando di nuovo l’attenzione del capitano, la sua voce tremò leggermente. Centro.
“Sono un uomo di parola, moscerino, non credo che tu possa dire lo stesso” Peter stava per ribattere, sempre più arrabbiato e a questo punto fu Wendy a intervenire
“Per una volta Peter, una sola volta nella tua vita, fa come ti viene detto” esordì con voce ferma e lo sguardo di chi non ammetteva repliche
“Non ti lascio qui”
“Devi, perché io non voglio venire con te” tutti i presenti trattennero il respiro “Ma non sempre si può fare ciò che si desidera, è una cosa che sanno tanto i bambini quanto gli adulti. Verrò con te, non perché lo desideri, ma solo perché è la cosa giusta da fare. Il fine giustifica i mezzi e il mio fine è che tu vada via da qui, adesso” Hook non la teneva più in ostaggio, il suo braccio era tornato lungo il busto, in un tacito accordo con Wendy.
“Come desideri. Ti aspetto giù e ti riporterò a casa insieme ai tuoi fratelli” il tono di un bambino offeso, di un bambino cui viene negato un nuovo giocattolo e a cui viene chiesto di comportarsi da ometto. Era così che ora Peter appariva ai suoi occhi, come un bambino che fingeva una maturità da adulto ma che nel complesso lo faceva sembrare più infantile. Non appena il folletto sparì dal loro campo visivo, Wendy si voltò verso il capitano. Gli occhi lucidi accesi d’ira.
“Perché hai detto ai tuoi di non farmi del male. Perché sei convinto di essere mio padre?” Hook spalancò gli occhi a quella rivelazione. Lei sapeva? Com’era potuto succedere...
“È una storia lunga, Jackie, e noi non abbiamo molto tempo. Scendi adesso”
“Ma io voglio sapere!” Hook sorrise amaramente
“Come hai detto prima, non sempre si può avere tutto ciò che si vuole” fece in tempo solo a lasciarle in mano un fischietto d’argento fino ad allora tenuto sotto il polsino destro tra la sua pelle e la struttura che reggeva la protesi di ferro. Il progetto iniziare era di darglielo per localizzare la posizione del rifugio di Pan, ma vi aveva rinunciato subito.
“Questo me lo diedero le fate, tanti anni fa... Non solo Pan ha il potere di portare qui gli altri, ci sono le fate. L’ultima parola sarà sempre la loro... Se mai vorrai tornare, soffia in questo fischietto e desideralo con tutta te stessa. Loro ti sentiranno ovunque tu sia. Adesso vai” Wendy camminò all’indietro stringendo l’oggetto d’argento nel pungo destro, ma dopo qualche passo decise di dargli le spalle, più per non fargli notare le sue lacrime che per paura di inciampare
“Noi ci rivedremo, e quando ci rivedremo mi racconterai quest’altra parte della storia”
“Certo che ci rivedremo, gli addii non sono mai per sempre”

Quella fu l’ultima frase pronunciata da James Hook che udì, poi si privò della giacca rossa, che lasciò sul corrimano della scala che portava all’altura su cui si trovava in timone, e scese.
Una volta tornata a casa abbracciò stretti i suoi genitori, inspirò a pieni polmoni il profumo della sua camera, ma non guardò mai una volta in faccia i suoi fratelli. Poi, una volta che le luci furono spente e fu certe che John e Michael si fossero addormentati, pianse tutte le sue lacrime.
Fu un’insolita sorpresa per i signori Darling quando la primogenita comunicò loro il desiderio di voler una stanza tutta per sé, ma accolsero la notizia con gioia. A sua volta, la ragazza si era fermata più di una volta a guardare di sottecchi suo padre. Perché solo ora notava quell’assurda somiglianza con il capitano? Aveva trascorso quegli ultimi due giorni sull’isola accanto a lui, le aveva insegnato a tirare di scherma, avevano parlato tanto, eppure Wendy non aveva mai associato, prima d’ora, i due volti che sembravano due facce di una stessa medaglia.
Quel pomeriggio di metà aprile, Wendy dipingeva nella sua camera, un nuovo passatempo che aveva scoperto piacerle molto da quanto era tornata. I soggetti di per sé erano sempre gli stessi, ma quel giorno sembrava essere finalmente riuscita a mettere su carta quella che era l’immagine che aveva in mente.
Un lieve bussare le fece spostare lo sguardo sulla porta, dove suo padre stava con un braccio poggiato allo stipite, in una posa molto più simile a quelle di James Hook che nello stile di George Darling
“Posso?”
“Certo, entra pure”
“Vedo che ti piace tanto dipingere, mi fa piacere”
“Sì, è rilassante”
“Sono davvero belli” Wendy sorrise teneramente guardando suo padre, che a sua volta guardava i vari disegni fatti in periodi diversi sparsi per la camera, tutti più o meno simili poiché ritraevano luoghi diversi di Neverland che aveva visto.
“Vieni a vedere questo, così mi fai un parere” il signor Darling non se lo fece ripeter due volte. Si posizionò dietro le spalle di sua figlia e spostò lo sguardo sulla tela. Sgranò gli occhi e avanzò di un passo, come se si trovasse davanti a una delle più belle meraviglie del mondo.
“Che ne dici papà? Ti piace?” la tela, che Wendy considerava quasi il suo capolavoro fino a quel momento, ritraeva la Jolly Roger ormeggiata nella laguna, avvolta dalla foschia tipica dell’alba.
“I-io... Credo di aver già visto quel vascello, tanti anni fa... Quando ero un ragazzo” la ragazzina guardò suo padre con un’espressione stupita e confusa allo stesso tempo mentre l’uomo continuava a guardare la tela in cui era ritratta la Jolly Roger che volava nel cielo notturno, circondata da nuvole e stelle.
Wendy non poteva sapere che il pensiero del signor Darling era andato a un vascello pirata dalle vele bianche sostenute da tre alberi, due file di cannoni per lato per un totale di quaranta bocche; il timone di mogano intarsiato; e una bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate. E soprattutto, pensò al capitano di quel vascello, troppo giovane per essere a capo di un equipaggio, troppo impulsivo e cocciuto per essere agli ordini altrui; all’epoca aveva da poco superato i vent’anni sebbene ne dimostrasse di più e, se ne stupì, non aveva altri ricordi di quel’uomo se non quello che lo vedeva febbricitante, con gli occhi stretti per il dolore al polso dovuto all’irruenta amputazione; solo la manica sinistra della giacca a reggere l’indumento sulle spalle. Nonostante tutto, però, era in piedi a reggere con tutte le sue forze il timone della sua nave in una traversata quasi disperata nei cieli.
   
 
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