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Autore: kenjina    07/08/2009    4 recensioni
"Non seppe bene dove stava andando. Si ricordò di aver vagabondato per stradine mal illuminate, di esser passato accanto a portici oscuri e a case dall'aspetto sinistro. Donne dalla voce rauca e dalle aspre risate lo avevano richiamato. Ubriachi vacillavano bestemmiando e parlando con se stessi come scimmie mostruose." [Il Ritratto di Dorian Grey]
Partecipante al Challenge indetto da Frøzen, "Il Ritratto di Dorian Grey & Wilde"
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Citazione wilde:

Salve gente! E’ la prima volta che mi cimento in qualcosa sul Fantasma dell’Opera (cioè, ho due fanfiction quasi concluse, ma non ho mai pubblicato niente, ecco XD), ma ho trovato Challenge indetto da Frøzen su Oscar Wilde [ancora complimenti per l’idea!] e l’ispirazione è arrivata istantanea! *-* Forse sarò un po’ banale, ma come ho letto queste splendide frasi ho pensato subito a lui.

Le citazioni utilizzate sono fondamentalmente due (una da Il Ritratto di Dorian Grey e l’altra generale di Wilde) e le potete leggere all’inizio della one shot. L’ultima, in particolare, l’ho trovata perfetta per il Fantasma. *_*

E il luogo che va in coppia con la prima citazione è: strade di bassifondi.

Spero sia di vostro gradimento. :)

Marta.

The Phantom of the Opera.

Nessuno.

Non seppe bene dove stava andando. Si ricordò di aver vagabondato per stradine mal illuminate, di esser passato accanto a portici oscuri e a case dall'aspetto sinistro. Donne dalla voce rauca e dalle aspre risate lo avevano richiamato. Ubriachi vacillavano bestemmiando e parlando con se stessi come scimmie mostruose.

[Il Ritratto di Dorian Grey]

 

Non vi è alcuna ragione per cui un uomo debba mostrare la sua vita al mondo. Il mondo non capisce.

[Oscar Wilde]

C’era una cosa che lo faceva sentire piacevolmente rilassato quando usciva dalla sua dimora e lasciava tutto alle spalle: non era più l’uomo che tutti odiavano, non era più il Fantasma che infestava il teatro, seminando il terrore tra le ballerine ed i manager.

Semplicemente era Nessuno.

Il buio e le ombre erano sempre stati i suoi più fidi compagni durante la sua vita, lui stesso vi si mimetizzava per passare inosservato e non farsi scoprire ad origliare e spiare chiunque potesse ostacolargli il cammino. Non c’era giorno e luce per lui, ma solo un’infinita notte scura che sperava in un timido raggio di sole.

Ma quale alba avrebbe potuto illuminargli la vita?

Era un’anima dannata, costretto a vivere all’ombra di un mondo che ignorava la sua sofferenza e il suo genio, e che proseguiva per la sua via, fatta di ipocrisia e beni materiali. Uomini e donne dell’alta aristocrazia lottavano ogni giorno per ostentare ricchezza e sfarzi, sacrificavano la loro liquidità per acquistare gioielli e tenute di lusso, cavalli e abiti sontuosi, per prepararsi al meglio alla successiva serata lirica di Parigi.

Per assistere a cosa? Alla sua musica. Al suo genio.

Se solo avessero saputo che tutto quel teatro era sotto il suo più totale controllo… Forse sarebbe scoppiato a ridere di sincero divertimento per la prima volta in vita sua nel vedere i loro volti scioccati per la notizia.

Ma quegli uomini che di giorno erano impeccabili nei loro panciotti ricamati e nei loro completi di seta tirati a lucido, quegli uomini che erano i primi a sputare sentenze su chiunque osasse fare o dire qualcosa fuori dalla consuetudine, ebbene, quelli erano gli stessi che passeggiavano furtivamente per le stradine più sporche e nascoste alla vita diurna. Quelle stradine illuminate da fioche luci dai colori caldi che indicavano l’ingresso di qualche circolo del piacere; quelle stradine silenziose, dove solo i gemiti soffocati dei clienti e le risate di qualche ubriaco risuonavano come delle eco lontane. Sembrava quasi che Parigi fosse lontana chilometri e chilometri, che addirittura quella non fosse la Parigi che ognuno credeva di conoscere.

Gli uomini che vedeva, ma che non lo vedevano, erano Conti, uomini d’affari, avvocati e medici in vista, che di notte lasciavano sul letto di casa il loro appellativo, per dedicarsi a ciò che di più proibito ci fosse.

Chi, allora, poteva curarsi di un altro uomo incappucciato, ammantato di nero, i cui occhi erano la sola cosa che brillavano nel buio?

Nessuno, si rispondeva. Nessuno avrebbe fatto caso a lui, neanche i gendarmi che scopriva in qualche bettola a divertirsi, anziché lavorare al servizio della sicurezza cittadina. Con che coraggio, poi, osavano dargli la caccia?

Lo disgustava sapere che chi pareva essere il migliore e rispettabile uomo, con una bellissima donna al proprio fianco, potesse distruggere tutto così, per la sciocchezza di una notte, o il desiderio di evadere da quella vita che andava troppo stretta.

Anche lui odiava la sua vita, odiava Dio per avergliela affidata. Anche lui avrebbe preferito essere al posto di quegli uomini che potevano permettersi di uscire alla luce del sole senza essere giudicati per il loro aspetto mostruoso, senza dover nascondere il proprio volto dietro una maschera. Ma a differenza loro, lui non avrebbe tradito la donna amata, viceversa se solo avesse potuto amare alla luce del sole la sua piccola Christine, il suo Angelo, era certo che le avrebbe donato la vita prima di farlo od osare anche solo pensarlo.

Ma chi era lui per giudicarli?                                                                                

Nessuno.

Una voce femminile, sensuale e roca, lo richiamò da una finestra, mentre la ragazza fumava languidamente una sigaretta consumata. Lui si fermò in mezzo al vicolo a guardarla, senza una parola. Era giovane, troppo giovane, si disse, e bella; ma di una bellezza sciupata e una gioventù volata via prima del tempo. Forse aveva la stessa età della sua bimba smarrita.

 Riprese il cammino, mentre quella rideva sommessamente, probabilmente ubriaca e sotto l’effetto di qualche sostanza. Girò l’angolo e si ritrovò nell’ennesimo vicolo buio, incorniciato da palazzi fatiscenti e cadenti. Neanche lui sapeva bene dove stesse andando; erano i suoi piedi che per inerzia camminavano su quei ciottoli sporchi e umidi, indicandogli la via da seguire. I suoi passi erano lenti e cadenzati, come se avesse tutto il tempo a disposizione davanti a se. E in un certo senso era così.

Alzò lo sguardo al cielo plumbeo e scuro, senza l’illuminazione della luna e delle stelle. Probabilmente sarebbe piovuto a momenti, proprio come faceva da una settimana a quella parte. Aveva sentito dire che l’acqua di quei giorni aveva inzuppato troppo i terreni delle campagne, rovinando i raccolti e le vigne. E lui che avrebbe dovuto dire del fatto che avesse l’acqua in casa tutto l’anno?

Si ritrovò a sollevare un sopracciglio nel guardare un uomo seduto per terra, contro il muro di uno dei tanti palazzi anonimi di quel quartiere. Era vecchio, o almeno sembrava, con una lunga barba grigia e sporca, gli abiti altrettanto luridi e una bottiglia di alcol che agitava pericolosamente in una mano. E, tra un insulto e un esclamazione contro qualcuno invisibile accanto a lui, canticchiava una canzoncina che non aveva mai sentito e che con molte probabilità era inventata sul momento.

«Ehi… tu… incappucciato!», lo richiamò il vecchio. Gli mostrò una sigaretta rovinata e sciupata. «Hai da accendere?»

Storse il naso nel sentire l’alito puzzolente del vecchio arrivargli alle narici; tuttavia gli rispose che no, non aveva da accendere. Neanche fumava, lui.

Il barbone abbassò lo sguardo e guardò con espressione vacua la sua sigaretta spenta. Borbottò qualcosa tra se e se che lui non capì, ma non osò fiatare. Non seppe il perché rimase lì a guardarlo per minuti, senza che il vecchio se ne accorgesse, ubriaco fradicio com’era, ma quel povero disgraziato lo fece riflettere.

Cos’era la sua vita, se non un vagabondare continuo nella speranza di racimolare qualche soldo per vivere? Quell’uomo sarebbe potuto diventare importante, se solo il mondo si fosse accorto di lui, se solo la società non l’avesse rifiutato per qualche assurda ragione. Eppure lui era lì, apparentemente disinteressato alla vita altrui che gli scorreva davanti agli occhi, umiliandosi con le sue stesse mani nel mostrarsi agli altri in quello stato pietoso. Così come indifferente era chi lo guardava con pietà o con orrore, senza alzare un dito per aiutarlo in qualche modo.

No, lui non avrebbe mai sopportato una situazione del genere. Preferiva nascondersi nella sua dimora sotto il teatro, la sua vera casa, e dedicarsi a tutto ciò per cui viveva: la musica. Non c’era ragione alcuna per cui uno come lui dovesse mostrare al mondo la propria vita, fatta di sofferenze e sacrifici. Il mondo non capiva, ne mai avrebbe capito l’uomo che si nascondeva dietro il mostro.

Quando decise di tornare a Teatro erano le quattro del mattino. Pioveva leggermente, ma lui non se ne curò, continuando a camminare lento, fuori da quel meandro di strade dimenticate da Dio.

Nessuno era sparito, come tutte le volte, e lui era semplicemente tornato ad essere il Fantasma che tutti temevano, che dovevano temere.

Anche se, a ben vedere, non c’era poi così tanta differenza.

Note dell’autrice.

Ho sempre immaginato che il Fantasma, nelle sue lunghe ed infinite notti passate a comporre la sua splendida musica, desiderasse anche fare due passi nel momento del giorno in cui nessuno avrebbe fatto caso a lui o al suo viso nascosto; ma non perché volesse toccare con mano la vita fuori dal teatro, ne perché sentisse il bisogno di avvicinarsi a quel genere di cose, ma forse solo per auto convincersi che il mondo da cui si era allontanato quando ancora era un ragazzino non era poi tanto cambiato e che lì, nel suo teatro, era più che al sicuro. Del resto, non ce lo vedo Erik che si piange addosso perché non può essere un uomo aristocratico o desiderabile dalle donne, piuttosto credo che possa solo essere arrabbiato ed infuriato con quello che sta fuori dalla sua casa. Quindi non leggete la sua “scappatella” come la voglia di evadere, ecco, ma solo il suo modo orgoglioso di dirsi: “Avevo ragione”.

Tanti giri di parole e magari non ho detto nulla, vabbè. XD

Spero di non aver fatto così schifo, è la prima volta che mi cimento in un personaggio caratterialmente difficile come lui :°

Sparisco, gente! Ci si legge, e un grazie a chi leggerà o addirittura azzarderà un commento! ;)

Marta.
PS: grazie a Frozen per avermi fatto notare le sviste e l'orrore che ho scritto (mi sto ancora chiedendo come diavolo mi è venuto in mente di scrivere "avrebbe piovuto"!), e ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno letto e rinnovo il ringraziamento anche ai tre angioletti che hanno lasciato una recensione (a cui ho risposto con una mail ;) )!
Grazie carissime! :*

   
 
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