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Autore: T612    31/03/2020    0 recensioni
È scientificamente provato che anche l’organismo apparentemente più perfetto al mondo – con tutte le contraddizioni del caso e le implicazioni scomode delle singole parti – può raggiungere il collasso, basta trascurare un singolo tassello infinitesimale per far strada ad un’infezione così ramificata da poter raggiungere ogni singolo centimetro dell’ospite, spingendo l’anima a ribellarsi ad un corpo asmatico, psicotico e tachicardico.
È semplice, è basilare… è Anatomia, per risolvere il problema basta solo sapere dovere incidere ed intervenire. L’unico dilemma è il chi tiene il bisturi dalla parte del manico.
[Avvertenze: cinematograficamente canonico fino a TWS, Civil War (Comic Verse // Fix-it), “Infinity War/Endgame” sono un miraggio lontano lontano che non scriverò mai.]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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SECONDA PARTE - CERVELLO

 

PSICOSI: Sintomi
Difficoltà di concentrazione, insonnia, depressione, deliri, ansia, allucinazioni, pensieri o azioni suicide.





 

Tony spegne il suo sorriso insieme alla caduta della linea telefonica, abbandonando il cellulare con lo schermo all'ingiú sopra il proprio stomaco, respirando profondamente mettendosi nell'ordine delle idee di dormire… ma non ci riesce in nessun modo, forse perché il materasso singolo che gli hanno assegnato è troppo duro, forse perché la camera da letto in cui l'hanno confinato è claustrofobica o, semplicemente, forse perché ha appena terminato una telefonata con le sue donne di casa e si era guardato bene dal menzionare il fatto che la cugina fosse tenuta in ostaggio per non farle preoccupare. 

Se voleva essere sincero con sé stesso Tony non avrebbe dovuto preoccuparsi affatto lui per primo, in un qualche modo Sharon era riuscita ad appropriarsi di un telefono e gli aveva spedito un SMS con un resoconto dettagliato sul vento che tirava tra le mura della residenza del Leader Supremo, stilando un piano d'azione che prevedeva delle ricerche sul campo in solitaria e richiedeva la loro completa fiducia nelle sue capacità, oltre ad una dose sostanziosa di pazienza – inesistente, per quanto lo riguardava. Era ancora tutto sotto controllo, l'incarcerazione era una delle possibilità vagliate ed avevano concordato tutti insieme delle direttive precise da seguire per ogni scenario ipotizzato – principalmente per evitare di richiamare l’attenzione indesiderata di Ross, tramutando la faccenda in un caso nazionale declinabile in una reiterazione degli Accordi ormai aboliti da anni –… Tony prova di nuovo a ripeterselo mentalmente nella speranza di riuscire a convincersene, ma l'intento fallisce miseramente di fronte all'ennesimo dubbio che gli attraversa il cervello, minando la sua tranquillità ed attentando volutamente alla propria psiche ripensando alla Legge di Murphy con un accanimento che aveva del allarmante.

Tony rinuncia definitivamente a tentare di dormirci sopra buttando giù i piedi dal letto, defilandosi silenzioso dall'ala dei dormitori in punta di piedi puntando alla zona giorno dell'orfanotrofio, tristemente sprovvisto di un laboratorio in cui rifugiarsi a lavorare e non trovando altra soluzione se non quella di ripiegare in una missione esplorativa della cucina alla ricerca della macchinetta del caffè, imbattendosi in una Natasha insonne quando si affaccia sul cortile interno, la quale si stava concedendo una sigaretta seduta sul muretto e puntellata ad una delle colonne del chiostro. 

«Non riesci a chiudere occhio nemmeno tu?» lo interroga la donna illuminando il mozzicone con un gesto svogliato, facendo cenno di un'offerta sfilando il pacchetto di Marlboro da una tasca. 

«La cosa ti sorprende in che modo?» chiede scrollando la testa rifiutando il tabacco, prendendo posto accanto a lei adocchiando il thermos abbandonato lì affianco, requisendolo e sgraffignando un sorso di caffè tiepido, sollevando il recipiente in segno esplicativo. «Cercavo questo, grazie.» 

Natasha si limita a sorridere enigmatica, portandosi nuovamente il filtro alle labbra, assaporando il silenzio denso senza dar segno di volerlo spezzare nuovamente in tempi brevi. 

«Dalla mia ho un'insonnia cronica e un probabile jet-lag, ma tu perché sei in piedi Nat?» si ritrova a chiedere Tony quando l'assenza di rumore diventa insopportabile, iniziando a tamburellare con le dita contro il thermos placando l'ansia latente che gli intorpidisce i nervi tesi fino allo spasmo, osservando il modo composto in cui la donna disintegra il mozzicone contro il muretto. 

«Turno di guardia, ho dato il cambio a Yelena mezz'ora fa.» riassume spiccia, indicando prima il cortile vuoto e poi le porte d'uscita dalle camerate. «Clint è appostato sul tetto a controllare che le ragazzine non sgattaiolino fuori dalle finestre… l'asservimento di Steve non garantisce che ora la Dark Room non abbia più bisogno di reclute, Anya è un pericolo che non va sottovalutato.»

«Perché non mi avete detto dei turni di guardia?» chiede Tony sorpreso sorvolando sulla spiegazione, bruciando le tappe traendo le conclusioni sbagliate, restando interdetto quando Natasha si stringe nelle spalle con aria di scuse. «Potrei dare una mano… fare qualcosa

«Tony… anch'io sono preoccupata per Sharon, okay?» afferma la donna con tono conciliante, allungando una mano verso la sua spalla sobbalzando appena, stranito dalla situazione e dal gesto improvviso in sé, ma ritrovandosi a rilassarsi sotto il tocco delle sue dita. «Ma siamo a Madripoor, se un'armatura stacca i piedi da terra la abbattono in meno di dieci minuti.»

«È che odio non poter far nullal'immobilità.» brontola puntando lo sguardo sul thermos che stringeva ancora tra le dita, scoccandole uno sguardo di sbieco da sotto le ciglia. «Tu come fai a sopportarlo?» 

«Abitudine, credo.» afferma Natasha con una scrollata di spalle, tradendo un sottotono rassegnato a colorarle la voce mentre stacca i polpastrelli dalla sua spalla, raddrizzandosi contro la colonna chiudendo gli occhi e respirando a fondo. «Ultimamente le cose mi sono un po' sfuggite di mano… ma l'hanno sempre fatto e continueranno a farlo, quindi…» 

«Quindi aspetti?» chiede confuso, ottenendo un cenno affermativo in risposta che sembra servire a convincere più se stessa che lui. 

«Forse le cose si sistemeranno da sole.» afferma facendo spallucce, strappandogli il thermos di mano e prendendo un lungo sorso di caffè prima di terminare la frase. «Forse Sharon sa davvero quello che fa e dobbiamo solo fidarci, Tony.»

«Non è che non mi fido…»

«È che sei in pensiero, è normale.» lo interrompe colpendo nel segno, sbuffando spazientito per averle permesso di leggerlo come un libro aperto, notando con la coda dell'occhio il come si mordicchia le labbra di nascosto quando dopo un paio di minuti sfila il cellulare dalla tasca per controllare le notifiche trovandone nessuna. 

«Le cose non si sistemano mai da sole, vero?» ironizza Tony con tono spento, cogliendola in flagrante mentre tenta di riporre nelle tasche il cellulare con nonchalance, giocando d'astuzia inchiodandola con lo sguardo ed obbligandola a fornirgli una risposta. 

«A volte devono… perché non ci è permesso fare altrimenti.» concede restia svicolando con lo sguardo, dipingendosi un sorriso triste sulle labbra mentre recupera una seconda sigaretta, incendiando lo zolfo di un fiammifero per accenderla, aspirando appieno e rilasciando sottili nuvole di fumo dal naso nella degna incarnazione di una draghessa vagamente adirata. 

«Sai che quella porcheria a lungo andare può ucciderti, vero?» chiede Tony con ironia latente facendole il verso, cadendo con lo sguardo all'anulare sinistro istigandola di proposto, dipingendosi un sorriso da schiaffi sul volto.

«Disse l'uomo che ha passato metà della sua vita a distruggersi il fegato.» lo rimbecca Natasha sollevando gli occhi al cielo, rispondendo alla sua tacita domanda con uno sbuffo, celando la fede al dito per automatismo inconscio nascondendo la mano sinistra sotto la piega del ginocchio. «Non abbiamo litigato.»

«Non ho insinuato questo.» si difende Tony mettendo le mani avanti, studiando Natasha mentre respira a fondo, afferrando la sigaretta tra l'indice e il medio della mano libera picchiettando la cenere nel vuoto… vacillando, concedendogli uno spiraglio, sentendosi in dovere di ricambiare il favore mitigando la sua preoccupazione. «L'hai detto tu prima, essere in pensiero è normale… dov'è ora? Dubito che Barnes sia confinato in camera da letto, considerato che non ci sei tu a trattenerlo tra le lenzuola.»

Il calcio da parte di Natasha era prevedibile quanto scontato, schivando la traiettoria del piede arretrando dal muretto solamente di una decina di centimetri, spostandosi fuori portata in forma preventiva smorzando una risata sulla soglia delle labbra, riproponendo la domanda con intonazione seria. 

«Sta studiando un modo per entrare nel Palazzo della Sinclair… nel caso Sharon dovesse aver bisogno di un aiuto dall'esterno.» ammette scrollando le spalle, prendendo a morsi la continuazione della frase prima di esprimerla ad alta voce. «O meglio, è ciò che presumo stia facendo, dato che non ha ancora visualizzato i miei messaggi.»

«Come ha preso la situazione con Steve?» si sorprende di ritrovarsi a chiederle, ammettendo a sé stesso di aver sconfinato dalla semplice educazione ed aver posto la domanda con vivo interesse… Tony aveva tutte le ragioni del mondo per limitarsi a tollerare James, ma una piccola parte di lui spingeva per mettersi nei suoi panni e capire davvero che cosa stesse succedendo, soprattutto se tale situazione coinvolgeva in prima persona anche la cugina. 

«Come diavolo vuoi che l'abbia presa, Tony?» lo interroga Natasha con tono seccato, tradendo una punta di colpa nell'essersi espressa con così tanta irruenza senza filtri, sorridendo triste in una parvenza di scuse concedendogli una blanda spiegazione. «È come se avessero ritorto contro di te Sharon o Rhodey… come se avessero distrutto qualunque legame vi possa mai unire, tenendo in considerazione che ci hanno provato già per sei decenni a spingerti ad odiare ed uccidere Pepper.»

Tony si sofferma a riflettere sullo scenario appena descritto da Natasha, ripensando a quel terribile momento dopo la battaglia di New York in cui aveva creduto di aver perso irrimediabilmente sua moglie a causa dei propri errori [1], facendo uno sforzo di fantasia figurandosi gli occhi freddi di Rhodey che lo osservano senza riconoscerlo ed immaginando la cugina mentre gli punta la pistola contro la testa con il chiaro intento di sparargli… rabbrividendo, spaventato dal gelo che si diffonde dalla bocca del suo stomaco fino a bloccare il suo cuore alla sola ipotesi, mentre una rabbia sorda e viscerale gli satura le vene alimentando un'impazienza che esclude qualunque cosa lo circondi, obbligandosi a ritornare presente a sé stesso ricordandosi che Pepper e Rhodey sono al sicuro dall'altra parte del mondo e che Sharon gli ha garantito di sapersela cavare da sola. 

«Ti ha tagliata fuori.» realizza quando posa nuovamente lo sguardo su Natasha, con le gambe abbracciate al busto, il cellulare in bilico sulle ginocchia ed una sigaretta tra le labbra, ritrovandosi due smeraldi taglienti puntati addosso appena apre bocca mentre la donna sbuffa nuovamente fumo dalle narici, correndo ai ripari nascondendosi dietro all'ironia quando si rende conto di essersi espresso ad alta voce. «Non incenerirmi, o temibile Smaug.»

«È il primo drago che ti viene in mente, davvero?» replica la donna divertita, limitandosi a celare sull'angolo delle labbra un sorriso che ha del mortifero. 

«No, ma ti si addice… tu saresti davvero in grado di dare alle fiamme un'intera città se hai motivo di sentirti minacciata.» afferma Tony con logica inattaccabile ripescando dalla propria memoria una delle tante nozioni futili assorbite da Peter, concedendosi di tendere le labbra in un sorriso. «Oppure preferivi Mushu e i draghi dei Targaryen?» 

«Smaug mi va benissimo… incarna perfettamente il mio stato d’animo.» annuncia Natasha sadicamente divertita dalla battuta, scrollando le spalle tornando seria, picchiettando nuovamente la cenere nel vuoto rispondendo alla sua considerazione incauta, reputando inutile nascondergli una ovvietà del genere. «James mi taglia fuori in continuazione, Tony… ma torna sempre a "fare rapporto", in un certo senso. È che-…»

«"Siamo a Madripoor", ho capito.» taglia il discorso anticipandola ripetendo il mantra da cui non riusciva a liberarsi, ricevendo in cambio il sorriso grato di Natasha per averle evitato di addentrarsi in una conversazione scomoda.

«Vedo che impari in fretta.» scherza la donna con tono spento, mettendo in pausa il discorso quando il cellulare vibra in una risposta, tradendo un microscopico sorriso che scompare subito dopo quando solleva la testa sentendosi osservata, finendo per incrociare la traiettoria dei suoi occhi. «Abbiamo almeno due vie di fuga, giusto perchè tu lo sappia.»

«E una via d’entrata?» ribatte con tono fiducioso, inarcando un sopracciglio avvertendo la tensione allentarsi di poco. 

«Deve lavorarci.» lo rassicura Natasha tradendo uno sguardo cupo, disintegrando il secondo mozzicone contro il muretto ostentando nonchalance. 

«Perchè non ti piace stare qui a Madripoor, Nat?» chiede Tony a bruciapelo, ormai stanco di quelle conversazioni allusive sul filo del rasoio, accartocciando il fiato sulla lingua in contemplazione della reazione diffidente della donna, che blocca il thermos di caffè a metà strada dalle sue labbra soppesandolo con lo sguardo in attesa di una continuazione alla domanda. «Perchè non ti lascia… indifferente come al solito, intendo. Sembra sempre che tu, Barnes e la piccola siberiana vogliate darvela a gambe da un momento all’altro.»

«Perchè tu no?» ribatte spigliata minando la sua affermazione di dubbi, non per la mancata negazione, ma per l’incapacità di percepire a sua volta quel sentore di disagio latente che in linea teorica avrebbe dovuto fargli odiare la sua permanenza tra quelle mura… ma Tony non avvertiva nulla di strano, niente di diverso dal suo costante equilibrio precario tipico di quando si aggirava al di fuori della sua comfort-zone o dal suo più recente bisogno da genitore assillante di sapersi a meno di trenta metri da Morgan – obbligandosi ad ignorare per l’ennesima volta nel corso di quell’interminabile giornata di trovarsi invece a milioni di chilometri e a ben dodici ore di fuso orario rispetto a New York.

«Non così tanto.» mente stringendosi nelle spalle, scacciando quella sensazione pressante ed indesiderata di essere finito in mezzo ad una conversazione dai risvolti imprevedibili, mordendosi la lingua quando finalmente intuisce il brandello di verità che si celava dietro a quella semplice domanda retorica.

"Perchè tu no?" era una domanda retorica dalla risposta quasi stupida… semplicemente a lui Madripoor non ricordava “casa” – non gli riportava alla mente i fotogrammi raccapriccianti di uno stanzone che più a un laboratorio somigliava a un mattatoio, non gli ricordava il sangue, le siringhe e le celle –, ma riconosceva la medesima paura sedimentata nelle loro pance e l’agitazione di un sesto senso nefasto che si agitava sottopelle, ignorando a forza la consapevolezza che ora anche Steve aveva imparato a chiamare Madripoor “casa”, trovando uno spiraglio di conforto al pensiero che nonostante tutto aveva chiesto di Sharon. 

Steve aveva chiesto di Sharon... e la speranza dissolve il veleno dell’impotenza, riuscendo finalmente ad assimilare e concedere la pazienza richiesta, crogiolandosi nella fiducia cieca.

 

Upstate New York, 2016 - una bussola alla ricerca del Nord

 

Tony si stropiccia gli occhi accusando una vaga stanchezza distogliendo lo sguardo dal prato imbiancato dal nevischio di fine gennaio, allungando distrattamente una mano verso il bancone da lavoro in cerca della tazza di caffè per scacciare la sonnolenza, storcendo le labbra disgustato quando abbassa lo sguardo sui fondi freddi depositati sulla ceramica che lui aveva incautamente trangugiato, troppo preso dal studiare la traiettoria dei fiocchi di neve che precipitavano lenti al di fuori della finestra. 

«JARV-... FRIDAY, prepara altro caffè per favore.» proclama sollevando lo sguardo al soffitto, sospirando correggendosi appena in tempo, accusando una leggera resistenza alla nuova intelligenza artificiale che aveva installato per gestire il Complesso. 

«Sono finite le cialde qui in laboratorio Capo, ho avviato la macchinetta in cucina.» replica fredda ed efficiente la voce robotica, mentre Tony sbuffa sonoramente prendendo a morsi un ringraziamento in risposta, alzandosi dalla sedia girevole con una leggera spinta e trascinandosi fino in cucina a reperire il proprio carburante per riuscire a stare lontano dal proprio letto vuoto… seppellendo la punta di consapevolezza data dal fatto che JARVIS gli avrebbe consigliato di rivalutare la propria richiesta, rifilandogli una tazza di decaffeinato a tradimento in seguito alle sue sollecitazioni come pre-impostato da Pepper. Non aveva avuto tempo – o meglio, voglia – di programmare FRIDAY con i protocolli precedenti, scrollando le spalle lasciandosi scivolare l'intera situazione addosso. 

«Ciao Tony.» lo saluta Steve fornendogli una tacita spiegazione sul perché la luce della cucina fosse accesa, sollevando appena la testa dal blocco da disegno aperto in mezzo alle pile di fascicoli e documenti vari. «Insonnia?» 

«Inutile sottolineare l'ovvio.» lo liquida Tony arrancando fino al bancone del piano cottura, versandosi una generosa tazza di caffè fumante per poi puntellarsi al ripiano, incuriosito dalla presenza anomala del Capitano tra le mura del Complesso a notte fonda quando fino al giorno prima Steve soggiornava nell'appartamento a Brooklyn che Tony gli aveva appositamente ristrutturato per averci a che fare il meno possibile, posando lo sguardo sui fascicoli in cirillico non riuscendo a tenere a freno la lingua simulando educazione. «Come procedono le ricerche per stanare Barnes?» 

«Procedono… che non procedono, mi sta evitando.» sospira Steve eludendo il suo sguardo, passandosi una mano sul volto stropicciandosi gli occhi con fare esausto prima di chiudere definitivamente il blocco da disegno con uno scatto secco del polso, iniziando ad impilare i fascicoli per liberare in fretta il tavolo. «Dovrei dormire, ricaricare le batterie…» 

«Addestramento reclute all'alba?» lo interroga vagliando le varie possibilità che giustificassero la sua presenza sotto il suo stesso tetto, colmando il silenzio portandosi la tazza alle labbra concedendosi un sorso. 

«Si, ma non all'alba… è decaffeinato, comunque. Ho ricaricato le cialde prima.» afferma Steve indicando distrattamente la tazza che lui teneva tra le mani con il tono di chi gli stava facendo un favore, rifilandogli uno sguardo fintamente truce in risposta, manifestando il fatto che non gradiva particolarmente il suo spirito di iniziativa. «Non guardarmi così, sono ordini di Pepper.»

«Comunque.» scandisce infastidito posando nuovamente la tazza sul bancone sorvolando forzatamente sulla menzione di quel risvolto inaspettato, molleggiando sui talloni tradendo la volontà di rinchiudersi nuovamente in laboratorio, ma riscontrando il bisogno inespresso di ficcare il naso in mezzo agli affari di Steve nella speranza di tenere la propria mente occupata, evitando di pensare al proprio letto vuoto e alla bugia fresca di inventiva decantata un paio di giorni prima a pranzo per giustificare il rientro posticipato di Pepper da L.A… crogiolandosi nella falsa sicurezza che quella sia solo l'ennesima conversazione con Steve redatta ad orari improbabili della notte, avvertendone una mancanza improvvisa quando realizza che l'ultima risaliva ancora a settimane prima, notando come il Capitano stesse aspettando senza fretta un suo cenno per essere congedato. 

«Devi chiedermi qualcosa, Tony?» chiede Steve con gentilezza, evidentemente confuso dal vederlo fermo in contemplazione di una tazza di caffè sprovvista di caffeina, rimuginando sillabe sconnesse a bocca chiusa protendendo un'attesa inconcludente prima di essere espresse. «Perché in caso contrario salgo le scale e mi chiudo in camera…» 

«A questo proposito…» lo riprende all'istante sfruttando l'appiglio offertogli per fugare tutti i dubbi lasciati in sospeso nella sua testa – ritenendo uno spreco di materia grigia il dover risolvere un enigma che poteva essere evitato con una breve indagine, soprattutto se momentaneamente sprovvisto di caffeina in circolo con cui carburare –, voltando tuttavia le spalle a Steve ostentando nonchalance aprendo la dispensa, alzandosi sulle punte per afferrare le cialde contenenti caffeina. «Non perché non ti voglia qui, ma non hai un appartamento a Brooklyn?» 

«Non ho motivo di attraversare Manhattan per dormire e fare colazione da solo quando ho un alloggio qui, tanto vale ottimizzare i tempi.» replica Steve pacifico stringendosi nelle spalle, fornendogli subito ed in modo completamente involontario la risposta alla sua ricomparsa dopo settimane di assenza, andando ad istigare quella parte di Tony che godeva nel mettere Steve in imbarazzo, garantendogli una degna distrazione dai propri problemi ritrovandosi a trattenere un sorriso divertito di fronte a quel innocuo "da solo" espresso con così tanta leggerezza. 

«Giusto, Sharon è stata richiamata in missione ieri.» afferma innocente gettando benzina sul falò delle allusioni, avviando la macchinetta del caffè ripristinando i suoi intenti – attentando volutamente alla propria salute senza remora alcuna – versandosi nuovamente una tazza di caffeina fumante, voltandosi a fronteggiare Steve e le sue esilaranti orecchie rosse portandosi la ceramica alle labbra con rilassato divertimento. «Esci ancora con mia cugina, giusto? O mi sono perso qualcosa per strada?»

«Sai, la cosa non è ancora di dominio pubblico.» Steve cerca di tagliare il discorso fallendo miseramente nel tentativo di liquidarlo, rifilandogli un'occhiata alquanto scettica in risposta che non nascondeva l'intenzione di mettere in discussione la presunta segretezza con cui i due avevano gestito la faccenda, obbligandolo a cercare una labile giustifica su due piedi. «Non pensavo che Sharon te ne avesse parlato.»

«Non è servito, mi ha riconsegnato le chiavi del loft a Manhattan ancora un mese fa e quando si ferma in zona nessuno dei due dorme qui… non serve essere un genio per fare uno più uno.» afferma con tono ovvio indicandosi, ironizzando. «In pratica convivete, era questione di tempo prima che la notizia diventasse di dominio pubblico.»

«Non lo definirei convivere…» 

«No? E come lo definisci il fatto che Sharon abbia lasciato spazzolino e mutande a casa tua?» scherza Tony beandosi del rossore di Steve che si propaga dalle orecchie fino alle guance, desistendo dal infierire quando scorge un cipiglio pensieroso solcargli il volto. 

«Non lo definisco, Tony… ai miei tempi ci si sposava e basta, poi si passava il resto della vita a pregare che le cose funzionassero.» ribatte Steve con semplicità disarmante, sedando tutta la sua voglia di scherzare andando a sfiorare inconsapevolmente una sua corda sensibile… ritrovandosi a pensare che pregare non serviva assolutamente a niente, ammettendo almeno a sé stesso che i compromessi erano un equilibrio precario di difficile gestione. «È più facile viverlo. Poi non costa nulla definirlo un "punto fermo" a tempo debito.»

«E se il "punto fermo" si allontana?» chiede Tony prima di poter fermare la propria lingua, fingendo indifferenza annegando una disperata ricerca di risposte in un sorso di caffè che gli ustiona la gola, appurando che il rossore era scomparso completamente dal viso di Steve e al suo posto si era fatto avanti un sorriso incoraggiante… di quelli sereni e ottimisti, che in condizioni diverse Tony avrebbe voluto cancellargli a suon di pugni. 

«Si allontana sempre, Tony… nello specifico tre dei miei si trovano sottoterra a Brooklyn, due fanno fatica a riconoscermi e l'ultimo è in fuga [2].» elenca Steve con una scrollata di spalle ed un piede che scivolava già all'indietro, pretendendo una pausa tacitamente richiesta da entrambi dalla conversazione in corso. «Dipende tutto da che cosa puoi fare per non lasciarteli scivolare tra le dita, per ripristinare l'equilibrio e smettere di barcollare… e vorrei tanto che Sharon entrasse a far parte di quella lista, Tony. Per questo non ho nessun tipo di fretta nel metterci un etichetta.»

«Se non ti conoscessi direi che "aspettare troppo" sia il tuo più grande difetto.» ringrazia Tony tra le righe con tono sarcastico per la lezione di vita gratuita, girando i tacchi con la tazza in mano, spacciando l'affermazione per un "buonanotte" mancato. 

«Perché, ne ho di peggiori?» lo ferma Steve a ridosso della soglia, guadagnando una briciola di tempo mentre raccoglie il plico di fascicoli e se li stringe saldamente al petto, tendendo le labbra in un sorriso a metà tra il divertito e il colpevole. 

«Sono talmente tanti che non saprei da dove iniziare.» ironizza continuando a tenergli le spalle voltate, tradendo tuttavia una nota veritiera di fondo, salutandolo con un cenno della mano mentre si avvia in direzione del ballatoio che lo riporta al laboratorio. «'Notte, Steve.»

«'Notte, Tony.»


Erano anni che Tony non ripensava a quella conversazione, puntando lo sguardo sul cielo stellato chiedendosi se da lassù tutti i loro problemi potessero sembrare più piccoli.

«A cosa pensi?» lo interroga Natasha inarcando un sopracciglio, studiando curiosa il suo profilo che si staglia contro il cielo, malcelando un sorriso nascosto sull'angolo delle labbra. 

«Penso che dovremmo avere tutti più fiducia nei nostri "punti fermi".» afferma elusivo alzandosi dal muretto puntando ai dormitori da cui era arrivato, decidendosi a levare le tende quando lo sguardo di Natasha rincorre un rumore e si ferma sulla figura di Barnes appena atterrata sul tetto che si sporge dal cornicione per cercarla, affrettandosi a concludere la chiacchierata prima di sentirsi in dovere di scambiare due parole anche con l'ultimo arrivato quando la donna segnala la propria posizione facendogli cenno di raggiungerla. «… a conti fatti, a fine giornata ci restano solo quelli Nat.»

 

***

 

Alexei non capiva. 

Vedeva Steve Rogers – Capitan America, il fratello del Bastardo – che si aggirava tra le mura del Palazzo come se quel posto fosse suo di diritto, subiva e studiava in silenzio le moine di Elisa Sinclair erette in una salda impalcatura di fragili specchi intorno al "figlio", ma ciononostante non riusciva ancora a capire il perché diavolo Madame Hydra si fosse data così tanto da fare per demolire l'Impero attaccando direttamente il vertice se poi ne aveva ricavato un nulla di fatto. 

Alexei sapeva cosa comportava un cambiamento del genere all'interno di un gruppo come gli Avengers, la bionda segregata a cui aveva riconsegnato il cellulare di nascosto ne era una prova lampante, ma gli mancavano i dettagli fondamentali per comprendere i meccanismi azionati da Elisa nella scacchiera a larga scala in cui stava proiettando la partita in corso d'opera… qual era l'utilità di manipolare la persona al vertice se poi non veniva sfruttata per demolire immediatamente la base? Perché segregare la donna del Capitano invece di ucciderla? Perché limitarsi a proclamare un mandato di cattura per il Bastardo invece di piazzargli una pratica taglia sulla testa? Perché servirsi di un Mutante per far rinascere una ragazzina adulta priva di memoria? Perché manipolare una marionetta come Anya per rifocillare le fila dell'Accademia se poi non c'erano target da assegnare alle nuove reclute? Ma soprattutto, perché permettere ad una bambina di quattro anni di riscrivere le sorti del Cosmo senza puntare ad uno scopo preciso? 

Alexei si arrovellava il cervello da giorni su quei quesiti senza risposta, interpellando Mikhail alla disperata ricerca di un brandello di comprensione ed uno straccio di idea per scovare una chiave di interpretazione univoca, riuscendo solamente a dedurre che tutte quelle domande rappresentavano ognuna una diversa tessera del domino, ma il disegno che avrebbe formato ed il semplice ordine in cui sarebbero crollate continuava a rimanere un mistero. 

Probabilmente Elisa Sinclair aveva uno schema, sicuramente aveva un modus operandi, ma Alexei non aveva le capacità, i mezzi o i tempi per riuscire ad osservare il problema da un punto di vista esterno, analitico ed oggettivo… per questo aveva cercato, trovato e successivamente ceduto a terzi l'Archivio della Belinsky, confidando che la sua tanto adorata – quanto odiata – ex moglie riuscisse a cogliere quel dettaglio che continuava a sfuggirgli tra le dita, non potendo far molto altro se non prepararsi ad afferrare e tirare una cima quando gli verrà lanciata dall'esterno, limitandosi a preparare il campo di battaglia ai Traditori che avrebbero fatto irruzione al Palazzo nelle vesti di Salvatori. 

Forse ciò che dava più fastidio ad Alexei era il fatto di non poter più gestire la faccenda da solo, di essere dovuto scendere dal suo piedistallo per farci salire il Bastardo, restituendogli gradualmente tutto ciò di cui lui si era appropriato illegittimamente nelle ultime decadi. I Capi gli avevano permesso di privare il Soldato d'Inverno di Natalia e l'avevano obbligato a rubargli l'uniforme, per poi spingerlo ad odiarli per avergli incautamente acceso la scintilla della rivolta nel petto, quando non gli era rimasta altra soluzione se non quella di far scattare le manette intorno ai propri polsi… salvando Natalia da una condanna a morte annunciata, concedendole il divorzio immolandosi sul tavolo operatorio dopo aver inscenato la propria dipartita, rimanendo schiacciato sotto la beffarda ruota dentata del Cosmo – arrivando ad ammettere con il trascorrere dei decenni che in "piccola" parte doveva biasimare unicamente se stesso per la situazione in cui si era invischiato, assistendo impotente alla nascita della propria coscienza, la quale non aiutava minimamente nel rendere meno raccapriccianti gli scenari da incubo che lo circondavano giornalmente. 

Alexei odiava sentirsi in colpa – detestava quella sensazione orribile di avere della melma appiccicosa incollata addosso, impossibile da scrostarsi dalla pelle e che pian piano filtrava attraverso i muscoli e le ossa, raggiungendo il suo intestino corrodendogli le viscere –, ma non poteva farne a meno quando si ritrovava a supervisionare gli allenamenti di Anya, non poteva evitarlo quando Kobik gli poneva una domanda dalla risposta aberrante e, soprattutto, non poteva esternarlo quando recapitava i pasti alla donna del Capitano, consapevole che a discapito della mancanza di telecamere e microfoni in quella zona del Palazzo, gli occhi e le orecchie dei soldati di guardia erano sempre pronti a riferire ogni suo vago gesto o parola sbagliata a Madame Hydra.

Alexei ci prova davvero ad ignorare la faccenda, ma trova difficile contenere il fremito che gli percorre le spalle quando termina il turno di guardia al perimetro e trascina i piedi fino alla stanza di Kobik con l'intenzione di collassare sul materasso in piume d'oca e guardare con lei la VHS della Sirenetta, vedendo i propri piani andare in fumo quando apre la porta e si trova il letto occupato da Elisa, seduta composta sul bordo del copriletto nell'incarnazione di un avvoltoio mentre osserva Rogers e la piccola disegnare sdraiati sul tappeto in mezzo alle matite colorate. 

«Finalmente sei qui.» lo accoglie la donna alzandosi in piedi, spolverando i pantaloni con gesti distratti prima di camminargli incontro, dirigendosi a passo spedito verso la porta che lui stava ancora tenendo aperta. «Puoi occuparti tu di Kobik? Io e Steven abbiamo alcune faccende da sbrigare in vista del grande evento di domani.» 

«Certamente Madame.» si china a farle il baciamano calandosi nella parte del lecchino asservito, morsicando sillabe velenose che vorrebbero rinfacciarle il quando lui non si occupava della piccola, seguendo il fratello del Bastardo con lo sguardo mentre si issava dal pavimento e scodinzolava dietro ad Elisa con le fattezze di una marionetta di carne… ed Alexei doveva ammettere che vedere Capitan America ridotto a uno zerbino gli smuoveva qualcosa di freddo nella pancia, chiedendosi cosa diavolo gli avesse fatto vedere Kobik un paio di giorni prima nell'ultimo "aggiustamento" al punto da svuotarlo di qualunque cosa e trasformarlo in un automa. 

Steve Rogers era un guscio vuoto, un giunco solitario frustrato dal vento, privo di qualunque caratteristica in grado di identificarlo nella persona che era prima… fin dall'inizio di quella anomalia l'uomo aveva dimostrato una sorta di resistenza, vantando una testardaggine e una incoscienza che tradiva una familiarità con il fratello, dimostrandosi incauto nel chiedere di Sharon Carter per portare un po' di chiarezza nella propria mente. Alexei sapeva che era evaso per cercare tranquillità e risposte – dopotutto era stato lui a lasciare il cancello aperto –, ma era rientrato tra le mura del Palazzo con dei dubbi pericolosi per la testa che entro sera si erano manifestati nell'apparizione della donna alla porta, ritrovandosi obbligato a scortarla nelle celle lasciandosi alle spalle i capelli bianchi di Kobik che si agitavano come serpenti… e non era sicuro di voler sapere il cosa diavolo fosse successo al Capitano, ma era stato impossibile non notare che da quel giorno in poi Steve Rogers si comportava come se la bionda segregata non esistesse, spiccicando parola lo stretto indispensabile e rinunciando in principio a contraddire qualsiasi ordine. 

«Un altro piccolo favore.» lo richiama sorridente Elisa, guardandosi bene dal chiamarlo per nome o con un qualsiasi appellativo riconducibile – maniaca e paranoica fino alla fine –, sollevandosi in punta di piedi raggiungendo il suo orecchio. «Sbarazzati dei disegni… brucia tutto.» 

Alexei annuisce diligente continuando a tenere la porta aperta ai due mentre escono dalla stanza, chiudendosela alle spalle addossandocisi contro, fronteggiando lo sguardo della piccola che si illumina nel vederlo, saltando fisicamente quel paio di metri che li separano materializzandosi direttamente tra le sue braccia. 

«Mikhail ti saluta, piccola… dice che gli manchi tanto tanto.» riferisce Alexei stringendosela meglio tra le braccia, raggiungendo il tappeto crollando a terra. 

«Anche a me manca tanto… perché non può uscire dalla sua camera? Ha fatto i capricci ed è in punizione?» chiede Kobik replicando in lingua slava senza rendersene conto, mettendo su un broncio che spinge la verità a farsi strada tra le sue corde vocali, riducendola a brandelli sulla soglia dei denti. 

«No piccola, é che Elisa non vuole... spaventare i nostri ospiti mentre sono qui… non credo che Rogers o la Carter abbiano mai visto dal vivo un grizzly, figurati se scoprono che l'orso sa anche parlare.» la liquida celando la verità dietro una patina di menzogne rassicuranti, afferrando il blocco da disegno dal pavimento sotto il cipiglio confuso della bambina al suo fianco. 

«Perché, gli orsi non parlano?» 

«No, in realtà nessun animale comune parla, ma Mikhail fa parte di una specie molto rara.» spiega Alexei con una scrollata di spalle, affrettandosi a cercare un argomento leggero con cui distrarla, trovandone uno perfetto sui fogli sporcati di grafite che teneva tra le mani. «Avete disegnato oggi?»

«Sì, Steven fa dei disegni bellissimi!» esclama la piccola indicandogli i volti abbozzati sulla carta, puntando l'indice sul proprio ritratto con sguardo fiero. «Questa sono io, questa è Elisa… ma non conosco queste altre persone, nemmeno Steven sa perché le ha disegnate.»

Alexei scorre le pagine sporcandosi i polpastrelli di grafite, sfiorando i solchi arrabbiati impressi con forza sulla carta, incidendo volti con segni vibranti che tradivano una rivolta interna che poteva manifestarsi solo sui fogli, nella speranza recondita di smuovergli qualcosa nel cervello e costringerlo a scattare… sentendosi in soggezione di fronte agli occhi di grafite del Bastardo, seppellendo la punta di colpa di fronte alle iridi sconfinate di Natalia, svicolando con lo sguardo riconoscendo il profilo della Carter e di Stark ad un paio di centimetri di distanza ed interrogandosi su chi potevano essere le altre quattro donne abbozzate sulla carta, intuendone il ruolo nella vita di Rogers dalle fisionomie che le accomunavano con gli altri ritratti. 

«Questa dovrebbe essere sua madre.» ipotizza Alexei indicando una testa di tre quarti dai capelli chiari e lo stesso naso di Rogers, destando la curiosità di Kobik quando si sofferma con l'indice sulla donna tratteggiata affianco, picchiettando sui capelli nero pece trascinando accidentalmente una sbavatura sul medesimo taglio degli occhi della ragazzina abbozzata appena più sotto, dipingendo di nero con il polpastrello lo stesso sorriso sghembo del Soldato d'Inverno, sconfinando a ridosso dei boccoli di Natalia elencando i nomi man mano. «L’altra madre, la sorella… mentre questa è la Ballerina

«Quindi questo è il Soldatino…» ipotizza affascinata la piccola, sporcandosi a sua volta l'indice scorrendo il dito sui capelli nero pece di un ragazzino sui dieci anni abbozzato in un angolo del foglio, tracciando la curva morbida della mandibola che le era capitato di vedere già squadrata solo in TV. «È piccolo…»

«È stato un bambino anche lui, Kobik… con il tempo si cresce e si invecchia.» spiega scalfendo il bordo del foglio con l'unghia, ammettendo a sé stesso che a discapito dei soggetti il Capitano Rogers vantava un discreto talento artistico, dispiacendosi in piccola parte di dover ridurre i fogli in cenere… a meno che…

«Questo è l'Uomo di Latta! Guarda, c'è la lampadina… mentre loro due chi sono?» lo interpella Kobik interrompendo il suo flusso di pensieri, riconoscendo fiera il taglio del pizzetto di Stark mentre sporca di nero il piccolo tondino che sbuca dalle linee imprecise delineanti una camicia, per poi scivolare con il dito ad indicare un mezzobusto dagli occhi ammalianti e delle onde morbide tracciate con il piatto della matita simulando un caschetto di capelli castani, sporcando i centimetri immacolati che separano la figura misteriosa dal profilo della donna del Capitano, soffermandosi a studiare le bocche a forma di cuore curiosamente simili. 

«Lei non ne ho idea.» annuncia Alexei indicando il mezzobusto, correndo con l’indice al profilo della bionda sorridendo all’idea temeraria che si è appena affacciata nella sua mente. «Ma lei… lei è la Raperonzolo che Elisa tiene rinchiusa nella Torre.»

«E come ci è finita tra i disegni di Steven?» indaga la bambina con occhi curiosi, istigando il suo sorriso furbo con un’occhiata complice, mentre realizza che la Raperonzolo di cui parla si trova a Palazzo ed è rinchiusa in una Torre a lei accessibile, richiedendo una conferma prima di fantasticarci sopra con l’innocenza garantita solamente da una mente pura di quattro anni. «Alexei… tu è Mikhail avete sempre detto che Capitan America è il Principe Azzurro...»

«Io non l’ho mai detto… il Principe Azzurro è solo un idiota dalla nobile causa.» finge di smorzarle l’entusiasmo, picchiettando con l’indice sporco di nero sul profilo di Sharon Carter, regalando a Kobik un ghigno divertito che probabilmente a lui costerà molto caro, fregandosene di correre il rischio accarezzando l’idea di veder bruciare un bel po’ di pedine sulla scacchiera allestita da Elisa. «D’altro canto bisogna ammettere che Madre Gothel ha accecato il Principe facendolo precipitare sui rovi dopo un bel volo dalla Torre.»

«Non Madre Gothel… io.» afferma spaesata Kobik di punto in bianco iniziando finalmente a comprendere le conseguenze delle proprie azioni, ammettendolo con il morale fin sotto le scarpe e l’incapacità timorosa di affrontare le conseguenze della propria marachella… ed Alexei si rende conto dopo anni che Kobik sta finalmente crescendo, riuscendo a riconoscere da sola la sottile zona grigia che separava “giusto” e “sbagliato”. «Ho combinato un bel pasticcio.» 

«Ma puoi rimediare, no?» indaga tradendo un pizzico di fiducia mal riposta nella voce, abbandonando il suo inguaribile cinismo sforzandosi di sorriderle incoraggiante… perchè Alexei iniziava finalmente ad intravedere il disegno in cui erano state disposte le tessere del domino, ipotizzando l’ordine di crollo deducendone nulla di buono. «Puoi iniziare andando a chiedere scusa a Raperonzolo, le mostri i disegni e le spieghi che hai combinato.»

«Elisa e Candy si arrabbieranno un sacco.»

«Non sta scritto da nessuna parte che loro devono saperlo.» la rassicura mentre Kobik annuisce convinta, scoccandole uno sguardo complice alludendo alle celle di isolamento insonorizzate della Torre Nord. «A te non serve una chiave per aprire le serrature, piccola.»

«Vero.» sorride Kobik di rimando, issandosi dal pavimento con sguardo temerario pronta a scendere sul campo di battaglia, prelevando il blocco da disegno dalle sue mani. «Ci si augura buona fortuna per questo genere di cose, giusto?»

«Tu non ne hai bisogno, ti proteggo io.» afferma Alexei in risposta, ma Kobik si è già volatilizzata in un glitch veloce quanto un battito di ciglia.

 

***

 

Natasha lo sente arrivare, silenzioso come il vento, tradito dagli sguardi dei bambini che non riescono a mascherare l'ilarità nell'assistere allo scontro in diretta, scattando di lato all'ultimo secondo rispondendo all'attacco, finendo con un ginocchio al centro della schiena di James, storcendogli il braccio sano e costringendolo a baciare il ghiaino del cortile sotto il coro di esultanza del suo esercito di reclute in erba. 

«Ed ora lo rifacciamo a rallenty se qualcuno continua a collaborare, così vi spiego bene come si atterra un avversario.» annuncia sollevandosi in piedi ottenendo un mormorio rapito di assenso, allungando una mano in direzione di suo marito per raccoglierlo dal suolo. «Forza. In piedi, звезда моя [3].» 

«Secondo me te la stai godendo troppo a prendermi a calci nel sedere, любовь моя [4].» brontola James obbligandosi a filtrare le proprie parole per renderle adatte ad un pubblico di minori, issandosi da terra spolverando distrattamente i vestiti, alzando la guardia in posizione di difesa facendo apposta a rifilarle un sorriso smagliante che la disorienta. «Ma potrebbe essere solo una mia idea.»

«È a scopo educativo, non farne un dramma.» ghigna Natasha riparandosi dall'attacco, sbilanciandosi quando schiva il colpo e non ritira la mano, sentendosi afferrare per un polso e piroettare incontro al petto di James, sporgendo il gomito nella manovra piazzando un colpo d'effetto tra lo stomaco e le costole, ottenendo una pacca sul sedere in ripicca, rispondendo all'affronto facendo cozzare il proprio tallone contro l'alluce dell'uomo costringendolo ad imprecare tra i denti. «Collabora, poi ti premio.»

«Niente pareti insonorizzate.» le ricorda suo marito sussurrandole all'orecchio, sollevando lo sguardo sull'esercito di pargoli per assicurarsi di non aver attirato attenzioni indesiderate, ghignando al pubblico sordo alle loro parole, ma completamente rapito dalle loro movenze. «Come la mettiamo?» 

«Un modo lo troviamo, non preoccuparti.» sorride Natasha maliziosa, ritirando gomito e tallone lasciandolo libero, ritrovandosi a dover piegare la schiena all'improvviso assecondando il movimento quando James si tuffa sulle sue labbra d'impulso pretendendo un piccolo assaggio della nottata, infilando nel bacio più lingua di quanto fosse comunemente lecito ed ottenendo in cambio un coro unanime di "bleah" e "che schifo" da parte dei marmocchi, che istiga la risata della donna e collateralmente quella del pubblico adulto che assisteva all'addestramento. «Non avresti dovuto.»

«Cosa sono quelle facce schifate? Aspettate qualche anno e vedrete come cambierete idea.» scherza James sordo al richiamo della donna, puntando lo sguardo teatralmente risentito al loro pubblico, lasciandola libera, ottenendo in cambio uno scappellotto sonoro sulla nuca a cui risponde con un lamento perso in una risata ed uno sguardo vagamente truce. «Non ho intenzione di rimangiarmelo, любовь моя

«Avete finito di dare spettacolo? Perché in caso contrario mi intrometto io.» li riprende Yelena Belova avvicinandosi ancheggiando per non essere da meno, divertita dal rovinare il loro momento al punto da tradire un microscopico sorriso all'angolo delle labbra, mettendo piede nel cerchio tracciato nel ghiaino che delimitava il perimetro di lotta. «Ci divertiamo Barnes, vuoi?» 

«Guastafeste.» sibila l'uomo assecondando tuttavia l'iniziativa senza troppa resistenza, ritornando ad alzare la guardia in posizione di difesa mentre Yelena si lancia in spiegazioni concise ed efficaci sull'auto-difesa, preparando i bambini ad uno scontro nel caso si fossero imbattuti in Anya e darsela a gambe non sarebbe bastato, nella speranza che prenderla in contropiede con un minimo di doti nell'arte del combattimento bastasse a garantire una finestra per la fuga. 

«La prossima volta anche meno.» la riprende Jessàn Hoan appena Natasha arriva a portata d'orecchio, soppesandola dall'alto in basso puntellata ad una colonna del chiostro, tradendo una punta di insofferenza nella voce. «Vi ho chiesto qualche lezione, non una dimostrazi-...»

«Non guardare me, è lui quello delle iniziative vietate ai minori.» ironizza Natasha interrompendola sul nascere puntando un dito alla cieca alle sue spalle contro James, dipingendosi un'espressione innocente sul volto che faticava a mantenere a causa dello sguardo palesemente allusivo di Tony, il quale mima con le labbra un temerario "tu non sei da meno" che gli garantisce un'occhiata di fuoco e l'esplicita richiesta di lasciarle il posto affianco a Clint sul muretto, cambiando prontamente discorso per evitare che la discussione degenerasse in una qualche scenata, indicando con il mento il marito e la sorella che spiegavano ai pargoli come prendersi amorevolmente a botte. «Sbaglio o si tollerano di più rispetto a prima?» 

«Yelena ha scoperto che in confronto a me Bucky non è poi così male come guardia carceraria.» interviene Clint stringendosi le spalle in una vaga giustifica, ammettendo di avere uno spirito molto più invadente ed apprensivo di quello del Soldato d'Inverno, due fattori che se combinati insieme gli garantivano il primo posto assoluto nella lista di persone altamente indigeste alla sorella. 

Natasha sopprime un sorriso, sbilanciandosi contro la spalla di Clint concedendosi un momento di quiete, staccando la spina mentre segue con lo sguardo i movimenti sul cortile con aria assente, dissociandosi dalle chiacchiere di Tony che riempiva il silenzio dissipando il malumore di Jessàn, la quale si trovava nella posizione precaria di non aver altra soluzione se non quella di ospitare soggetti ad alto rischio come loro che minavano la sicurezza dell’orfanotrofio nonostante la loro presenza nasceva come una garanzia per proteggerlo. 

Natasha da un paio di giorni cercava di sdrammatizzare e tenere impegnati tutti i compagni d’armi – conservando un occhio di riguardo nei confronti di James e Yelena –, spezzando lance e mitigando gli animi per rendere meno pesante l’assenza di aggiornamenti esterni da parte di Sharon o la mancata comparsa di una qualsiasi notizia diramata direttamente dal Palazzo del Leader Supremo, ma dopo aver vagliato qualsiasi altra possibilità che poteva portarli in vantaggio non restava loro molto altro da fare se non improvvisare le attività più disparate, come fornire le basi del combattimento corpo a corpo agli orfani con cui si erano ritrovati a dividere il tetto… distraendosi quando la voce di Tony cola a picco e si spegne, sollevando lo sguardo allarmato su di lui contemplando la sua immobilità di fronte allo schermo del cellulare, strappandogli il dispositivo di mano leggendo la chat aperta sulla conversazione con Sharon. 

«Niente panico.» ordina Natasha perentoria schizzando con lo sguardo in direzione del marito e della sorella, appurando che non si erano accorti del cambio di scenario in corso, riconsegnando il cellulare al proprietario e facendo cenno a Clint di alzarsi in piedi e seguirla. «Devo controllare un paio di cose, mi mancano informazioni.»

«Non glielo diciamo?» chiede Tony arrischiandosi a proferire parola, indicando con il mento i due insegnanti che dal prendersi a pugni tra loro erano passati al spiegare la tecnica ai marmocchi allestendo una mini-arena di addestramento.

«Non ancora, controllali che non facciano seriamente male a qualcuno… al resto ci penso io.» lo liquida la donna partendo in folata dirigendosi all’interno dell’edificio, puntando alle scale che conducevano alla propria camera da letto mentre Clint la segue come un’ombra lungo il tragitto.

«Cosa dobbiamo cercare?» chiede l’arciere senza perdere tempo, bloccandosi a ridosso della soglia della camera da letto che la donna divideva con James in una tacita richiesta di permesso, sorvolando sul disordine generalizzato evitando di commentare, limitandosi ad afferrare il tablet che Natasha sfila da un borsone da viaggio nascosto sotto il letto. «Questo che cos’è?»

«La copia digitale dell’Archivio di Tania, trovami qualunque cosa riguardi Madame Hydra.» ordina la donna tornando a frugare nel borsone alla ricerca di qualcos’altro. «Voglio sapere se è semplicemente una donna con deliri di onnipotenza o se devo preoccuparmi anche di possibili fattori “super”.»

«Tu che fai invece?» indaga Clint sbloccando lo schermo ed eseguendo il richiesto, inoltrando la ricerca ed attendendo il caricamento dati, sollevando lo sguardo quando Natasha pesca dal fondo del borsone un cercapersone con aria vittoriosa attivando il segnale. «Chi hai appena chiamato?» 

«Il genio della lampada.» afferma recuperando il proprio cellulare appena in tempo per vederlo squillare, mostrandogli il nome del contatto prima di accettare la chiamata. «Nick? Mi serve un favore… il nome “Kobik” ti dice qualcosa?»





 

Note:

1. Riferimento ad Iron Man 3.
2. Rispettivamente Sarah Rogers, Winifred e George Barnes sepolti a Brooklyn, Peggy ricoverata a Washington e Rebecca in un ospizio in Connecticut, mentre Bucky (stando alla datazione del flashback) è ancora in fuga.

3. Traduzione dal russo: "stella mia".
4. Traduzione dal russo: "amore mio".

   
 
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