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Autore: BeaterNightFury    31/03/2020    0 recensioni
«Tra un po' di tempo in stazione passerà il mio amico Sora...»
«Lo scemo?» Shiro rispose quasi di scatto.
Riku dovette trattenersi per non darsi una manata in testa.
«In effetti è un po' scemo.» Si costrinse a sorridere, poi si tolse un borsellino dal mantello. «Dagli questi soldi, e prendi assieme a lui e ai suoi compagni il treno che parte dal binario zero.»

Sora apre gli occhi dopo un anno di sonno, e si accorge immediatamente che qualcosa è cambiato.
Riku abbraccia il suo nuovo scopo e la sua missione, guardando ad essi per non vedere sé stesso.
Un Nessuno guarda negli occhi la sua vittima, e trova le risposte ad una tragedia di una vita prima.
Una studentessa di una città che non dorme mai incontra un ragazzo dai confini delle tenebre, e la scintilla tra i loro cuori prelude ad echi di una vita mai vissuta.
Viaggi cominciano, continuano, e si concludono, o forse non sono che piccole tappe di un'unica, grande avventura.
Ricominciare a viaggiare non è poi così difficile...
(Sequel di "Legacy" - ancora non sono riuscita a metterle come serie...)
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Axel, Kairi, Nuovo personaggio, Riku, Sora
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts, Kingdom Hearts II, Più contesti
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Prima che qualche lettore se lo chieda, sto bene! Ho soltanto subito un epocale blocco dello scrittore di cui si spera, non vedrete le conseguenze nel capitolo 6 (non pubblico un capitolo senza aver perlomeno scritto buona parte del successivo, come alcuni dei lettori sanno...)
Colgo la chance per ringraziare Shinca che mi ha suggerito come sbloccarmi dallo stallo, spero che voi lettori stiate tutti bene... e con questo capitolo arriviamo ad un traguardo importante: finalmente la scrittura in italiano e in inglese di questa serie sono arrivate ad essere parallele! A minuti caricherò anche il corrispondente anglofono di questo capitolo su AO3, e magari questa potrebbe essere una sciocchezza, ma per me non lo è!
 

Capitolo 5
Tutto è Lecito
 
«Non vedi che ha le gambe, idiota? Ha barattato la sua voce in cambio delle gambe con la strega del mare!»
«Cos…?» Sora scosse la testa e aprì gli occhi. Ariel era arrivata, ed era seduta nell’acqua bassa con Scuttle e Sebastian che litigavano tra loro.
«Oh, Sora, sei sveglio.» Paperino gli scosse via un po’ di sabbia dai vestiti. «Sei sempre il solito, sai? Russeresti anche nel bel mezzo di una tempesta!»
«Beh, questo è anche peggio di una tempesta!» Sebastian puntò una chela accusatrice contro Paperino.
«Cosa è successo?» Sora si stiracchiò. «Stavo iniziando a preoccuparmi…»
«È successo poco dopo che ve ne siete andati,» intervenne Flounder, che galleggiava nell’acqua bassa. «Re Tritone ha distrutto la statua nella grotta. Ariel allora è andata dalla strega del mare, e ha barattato la sua voce per una magia.»
«E io che credevo ce ne fossero pochi ai mondi tonti come te, Sora!» Paperino lanciò un’occhiataccia ai due adolescenti.
«E…?» Sora ignorò deliberatamente Paperino. Prima che Flounder o Sebastian potessero rispondere, Ariel alzò tre dita, poi portò la mano alla bocca e fece schioccare le labbra.
«Uhm… no, non capisco.» Sora scosse la testa.
«Deve farsi baciare dal principe entro tre giorni, o la sua voce non sarà la sola cosa a venire persa.» Fu Flounder a rispondere, di nuovo. «E non sappiamo come andare avanti da adesso!»
«Lo so io come andiamo avanti!» Sebastian uscì dall’acqua bassa e si arrampicò sullo scoglio. «Vado a parlare con Re Tritone! Questa follia deve finire ancora prima di iniziare!»
Sora gridò: «No, fermo!» e Ariel alzò la mano e aprì la bocca, e nonostante il ragazzo non sapesse leggere le labbra bene come ne era capace Riku, era certo che stesse dicendo la stessa cosa.
«Conosco il principe e la sta cercando. Posso portarla da lui. Abbiamo ancora la barca e io posso parlare. Non credo Ursula sappia che siamo qui.» Sora spiegò. «Ma per prima cosa, serve che Ariel si copra. Gli umani portano vestiti.» Si prese la giacca per i lati.
«Credo di avere qualcosa nel mio nido!» Scuttle il gabbiano annunciò in tono trionfale, scomparendo tra le due cime della roccia. Ne emerse appena dopo tenendo nelle zampe quella che sembrava una vela stracciata. «Può andar bene?»
«Meglio che niente.» Sora si strinse nelle spalle, rimpiangendo un poco di aver lasciato a Shiro la sua vecchia giacca. Prese la vela e la tese davanti a sé, porgendola ad Ariel. «Copriti per quanto puoi, vedo di trovare in giro qualcosa per tenertela addosso.»
Bastarono un paio di pezzi di corda, assieme alla vela, per improvvisare un vestito, e nonostante fosse visibilmente agitata, Ariel era sollevata quando Sora la aiutò a salire sulla barca.
«Sora, tu vai.» Pippo aiutò Sora a recuperare i remi. «Io e Paperino restiamo in acqua. Possiamo cercare Ursula e vedere di invalidare il contratto.»
«E credi accetterà?» Sora gli chiese.
«No, ma vale la pena tentare.» Pippo scosse la testa.
«Va bene. Ci vediamo alla spiaggia dove siamo atterrati!» Sora li salutò e prese i remi in mano.
La traversata fino alla spiaggia fu breve, ma a Sora sembrò terribilmente lunga perché era il solo a parlare. Aveva avvertito Eric la sera prima di aver trovato una sua amica che forse corrispondeva alla sua descrizione, e pensava l’avrebbe riconosciuta… ma l’afonia di Ariel sarebbe stata un problema. C’era da spiegarlo, e non era sicuro che il principe credesse alla magia.
Per come ne aveva parlato, persino Atlantica sulla superficie era alla stregua di una vecchia leggenda da comari.
«Non so se quella che hai fatto è stata la scelta giusta.» Sora ammise, mentre davanti a loro si avvicinava la riva. «Avremmo trovato un modo. Non so fino a quanto è potente la magia di Paperino, ma le trasformazioni sono qualcosa che sa fare. E a parte scordarsi di curarmi quando sono ferito perché deve difendere prima Shiro, non è mai realmente stato scorretto con me.»
Ariel cercò di dire qualcosa, ma si interruppe non appena si fu resa conto che nessuno poteva sentirla.
«Vorrei che Riku fosse qui, lui sa leggere le labbra.» Sora le disse.
Ariel lo guardò con aria interrogativa.
«Il mio amico Riku. Ha la tua età.» Sora sorrise e annuì. «L’anno scorso ha fatto un patto con uno Xehanort per vedere altri mondi. Sono riuscito a fargli capire che sbagliava e ho rimediato al suo casino, ma adesso è sparito e non so come farlo tornare.»
Ariel gli lanciò un’occhiata giudicatoria. Sora pensò che fosse irritata dal fatto che lui l’avesse – esplicitamente – paragonata al misfatto di Riku… ma la verità era che…
«Mi manca da pazzi.» Sora ammise.
Erano a pochi metri dalla riva quando Sora sentì Max il cane che abbaiava. Ariel si ritrasse in un angolo della barca, spaventata. Sora smise di remare e le tese una mano.
«È solo un cane,» le spiegò, cercando di tenerla tranquilla. «Il migliore amico dell’uomo. Se muove la coda vuol dire che gli stai simpatica. E sono in grado di capire chi sono le persone giuste per il loro umano, di solito.»
Ariel sembrò rilassarsi, e Sora ne approfittò per tirare i remi in barca, scendere nell’acqua bassa e tirare la barchetta in secco.
Max subito gli corse contro, senza dubbio per prendersi altre coccole.
«Max… sta’ buono, Max!» Eric arrivò qualche passo dietro di lui, pronto a trattenere il cane se fosse stato necessario. «Oh… ciao, Sora!»
«Vostra Alt… ahem, Eric.» Sora trattenne, o per meglio dire accarezzò il cane, e salutò il nuovo arrivato. Ariel scese dalla barca e si fece avanti a sua volta, quasi appoggiandosi a Sora su gambe instabili. Sora fece appena in tempo a intravedere che Sebastian si era aggrappato alla vela che Ariel aveva addosso.
«È una tua amica?» Eric chiese a Sora. «Ha una fisionomia familiare.»
«Sì, questa è Ariel. Ma…» Sora abbassò la testa. Dire che Ariel aveva perso la voce era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma era l’unico che poteva dirlo. «Fino a ieri sera parlava così tanto che credevo mi avrebbe fatto cadere le orecchie. E ora… quel che è peggio, io non ero lì per impedirlo.»
Quasi istintivamente, Eric andò verso Ariel e le prese le mani. Fu un bene che lo avesse fatto, perché la ragazza aveva ancora un po’ di difficoltà a rimanere in piedi.
«Cosa le è successo?» chiese a Sora.
Il ragazzo fece un sorriso amaro e scosse la testa. Quello era uno di quei momenti in cui avrebbe voluto che la regola sull’ordine dei mondi non esistesse.
«Non ne avresti idea.»
 


«Ti stai divertendo, eh?» Ravus camminò verso il divano e si sedette accanto a Luna.
La ragazza aveva il telefono acceso tra le mani. Noctis aveva appena caricato un’immagine su Kingstagram – un autoscatto in cui Cookie gli si era appollaiato sulla visiera del cappello, e si era sistemato in modo da rivolgere all’obiettivo il proprio sedere. Sul berretto del ragazzo c’era una macchia verdastra che lasciava poco spazio all’immaginazione, specialmente considerando che la didascalia della foto era “MALEDETTO PENNUTO”.
«Credo che al negozio mi abbiano lasciato il più monello dei cacatua,» Luna ammise, mostrando al fratello la fotografia.
«Beh, a qualcuno dovevano pur darlo.» Ravus sghignazzò. «E poi ha fatto bene, quel berretto mi da tanto di omaggio gratis da negozi di esca. E probabilmente lo è pure.»
Luna rise a sua volta, poi guardò di nuovo la foto. Ravus non aveva tutti i torti: cacca di cacatua a parte, quel cappello non solo doveva aver visto giorni migliori a giudicare da quanto fosse consumato, ma aveva anche l'aria di essere una di quelle cose insulse lasciate in omaggio da uno sponsor a casaccio.
«Gli devi un cappello nuovo adesso, lo sai?» Ravus le fece un sorrisetto e le diede un colpetto al gomito con la mano buona.
«Cosa?» Luna rivolse al fratello uno sguardo accusatorio.
«Che?» Ravus si strinse nelle spalle e le fece un sorriso stiracchiato, poi si appoggiò allo schienale del divano e tese le braccia sopra la testa. Luna non si sarebbe mai abituata alla vista della ragnatela di cicatrici che gli coprivano il braccio sinistro, sia per le ferite dell'attacco di anni prima che per gli interventi che erano stati necessari per salvargli il braccio. Tecnicamente, avrebbe ancora dovuto portare un tutore, ma l'uso della magia non glielo rendeva più necessario.
«È una vita che non fai più il finto tonto. Devi proprio riprendere adesso?»
Ravus abbassò le braccia e si fece serio.
«Sì… perché è una vita che non vedo la mia sorellina così felice.»
Cos…? Perché suo fratello pensava che non lo fossero stati? Stavano bene… avevano ancora la loro casa, abbastanza per vivere, per essere fiduciosi nel futuro. Erano insieme, avevano i suoi studi e stavano facendo qualcosa per il loro mondo.
Stavano…
«Luna, sul serio. Non ti ho mai vista affezionarti così a qualcuno, se escludiamo Umbra e Pryna.» I due cani, che sonnecchiavano su parte del divano, quasi uno sull’altra, alzarono la testa nel sentirsi nominati.
«No, puzzoni, non è ancora l’ora della pappa.» Luna grattò Pryna in mezzo alle orecchie. La cagnolina alzò la testa e prese a leccarle la mano. La ragazza cercò un modo per ribattere a Ravus, ma non trovava argomentazioni.
I ragazzi potevano anche venire da un altro mondo, ma era la compagnia più allegra e simpatica con cui Luna avesse avuto a che fare, Prompto condivideva il suo interesse per cani e pennuti, e Noctis… beh, Luna non aveva fatto a meno di notare quanto paonazzo potesse diventare in sua presenza.
«Dovresti invitarlo a uscire.» Ravus le suggerì. «Mister Cappello Lercio qui. Prendergli un cappello nuovo. Portarlo a mangiare la pizza. Prendetevi un gelato e sedetevi su una panchina. Non quello che fate in pattuglia, Strange sa il percorso della pattuglia e vi riempirà il tragitto di cupidi. Se pensi che lui ti piaccia e che tu piaccia a lui… beh, cerca di trovarti sola con lui in un momento inaspettato.»
«E come mi garantisci che Strange non riempirà il posto di cupidi comunque?» Luna fulminò Ravus con lo sguardo.
Ravus si strinse nelle spalle e ridacchiò.
«Semplice: non posso.» Ammise. «Ma tu e il tuo principe azzurro vi meritate una pizza.»

 
 
Topolino aprì la porta dello studio del mago e lasciò entrare Shiro. La bambina era visibilmente un fascio di nervi, ma probabilmente il suo intervento era la migliore speranza che avevano.
Dopo che Malefica aveva fatto sparire Sora e Riku gli aveva lasciato un’apparente via di uscita nel Corridoio Oscuro in cui la strega aveva relegato il ragazzo, di Sora si erano perse le tracce.
Non solo: la Gummiship di Paperino e Pippo era ancora dove la avevano parcheggiata, alla Fortezza Oscura.
Topolino aveva passato gli ultimi due giorni a pattugliare prima la Fortezza Oscura, e poi i mondi in cui aveva guardato Sora da lontano, senza giungere ad un solo indizio.
Poi, si era ricordato di un dettaglio che, durante le ore che avevano preceduto la battaglia, quasi aveva trascurato. C’era qualcuno che avrebbe potuto trovare Sora – Yen Sid e Shiro.
Topolino ricordava ancora di come, undici anni prima, Ventus e Aqua erano riusciti a salvarlo perché Yen Sid lo aveva divinato con qualcosa di appartenuto a lui. Aveva pensato che sarebbe stato impossibile localizzare Sora in quel modo – il ragazzo portava i suoi averi con sé – ma la giacca che aveva visto addosso a Shiro era familiare…
Il Re non voleva sperare troppo, ma Sora non era sparito in maniera troppo dissimile da Aqua… e se si fosse ritrovato là dove era lei… per Yen Sid, il ragazzino era troppo importante. Avrebbe smosso cieli e terra per riprenderlo.
Se si fosse ritrovato là dove era lei, Topolino avrebbe avuto il permesso di tornarci.
«Topolino ti ha spiegato perché abbiamo bisogno del tuo aiuto al momento?» Yen Sid chiese a Shiro.
«Volete che io vada in missione, vero?» Shiro, che fino a quel momento era rimasta con le mani in tasca e in silenzio, rispose con un filo di voce.
«Quello sarebbe già chiedere troppo da te.» Yen Sid si passò una mano sulla barba. «Per quanto è vero che potresti essere d’aiuto nel ritrovare Sora, per ora tutto ciò di cui abbiamo bisogno è che tu ci presti la tua giacca.»
«Uh, la giacca che mi ha dato Sora. Sì, subito...»  Shiro tolse l'indumento e si avvicinò alla scrivania posandola. Yen Sid alzò le braccia, poi tese le mani fino a tenerle appena sopra la giacca e rimase per qualche momento concentrato nell’invocare la magia necessaria.
Una nuvola di fumo si alzò sopra la giacca, aprendosi ad anello fino a mostrare uno scoglio che emergeva dall’acqua in una laguna. Il mondo era illuminato dalla luce del tramonto, e Sora era seduto sulla cima dello scoglio, con lo sguardo rivolto verso una barchetta poco lontano, occupata da un ragazzo e una ragazza.
«Se Re Tritone scopre cosa è successo, saremo nei guai.» Sora stava parlando con qualcuno – un granchio che galleggiava ai piedi dello scoglio? – sì, doveva essere quello.
Topolino notò che Shiro stava sforzandosi di non ridere.
«Non ci resta che un giorno di tempo, e quel ragazzo non si decide a baciarla!» Un gabbiano sorvolò lo scoglio e si posò accanto a Sora, visibilmente frustrato.
«È il Reame della Luce!» Yen Sid asserì, visibilmente sollevato. «Topolino, riconosci il posto?»
«Stando agli archivi che il Grillo ha condiviso con Leon, quello dovrebbe essere Atlantica. Sora ha parlato di un Re Tritone. Non avevo mai sentito che il mondo avesse anche una parte di superficie, ma deve essere lì che Sora è finito.» Topolino spiegò, cercando di celare il suo dispiacere. Se Sora era nel Reame della Luce, la spedizione per salvare Aqua era ancora lontana dall’attuazione. «Deve aver pensato di voler aiutare qualcuno, già che c’era. Tipico di Sora, non è mai con le mani in mano quando c’è da risolvere qualcosa.»
«Più che aiutare lo vedo abbastanza in difficoltà,» obiettò la bambina.
Topolino rimase in silenzio. Si sentiva quasi sporco a parlare ancora; Yen Sid e Shiro si sarebbero accorti della sua delusione. Probabilmente Shiro avrebbe chiesto perché, e sicuramente Yen Sid avrebbe capito.
Sarebbero bastati loro cinque minuti, e Sora, Paperino e Pippo sarebbero tornati in missione… il che da un lato era un bene. L’Organizzazione era una minaccia, Riku era l’unico di loro ad essere in grado di usare i Corridoi Oscuri per arrivare al Mondo che Non Esiste, non potevano attaccare direttamente ogni Heartless sul loro cammino perché sarebbe stato soltanto un favore a Xemnas, e ci sarebbero voluti almeno tre di loro per poter pensare di attaccare il Castello che Non Esiste e raccontare la storia.
Tre di loro. Con le abilità che Sora aveva recuperato, non importava chi.
«Hanno parlato di un giorno, per fare cosa, non saprei dirlo.» Yen Sid mormorò. «Ma se conosco il ragazzo, non vorrà tornare fino a quando le cose in quel mondo non saranno risolte. Domani, Topolino, tu e Shiro porterete la Gummiship in quel mondo, e riporterete Sora alla Fortezza Oscura. Nel mentre, rimarrete qui, ed entrambi avete il permesso di consultare la mia biblioteca, nei limiti che il vostro rango di maestro e di apprendista prevedono.»
 


«Qualcuno dovrebbe cercare di mettere fine alle sofferenze di quella povera bestia…» Sora sentì Eric commentare mentre sopra di loro Scuttle il gabbiano cercava di stridere peggio che poteva per “rendere l’aria romantica”.
Negli ultimi due giorni, il ragazzo aveva seguito Ariel ed Eric quasi dovunque, principalmente perché Eric aveva insistito, ma cercava di tenersi quanto più a distanza per fare in modo che i due riuscissero ad essere intimi abbastanza da iniziare a fare i piccioncini.
Non che fosse facile. Ricordava ancora quanto ci fosse voluto, a scuola, perché Wakka iniziasse ad essere lontanamente romantico con Lulu.
Ammesso e non concesso che Wakka avesse costantemente la testa nel pallone.
«Sono circondato da dilettanti!» Sebastian nuotò via e sparì sott’acqua, per poi riemergere con un filo di erba palustre nella chela. «Sora, sta’ pronto. Se riesci a fare qualche luce fluttuante con quella tua spada…» Fece gesto attorno a sé, radunando anatre, rane, grilli e tartarughe e muovendosi come il direttore d’orchestra che era.
Sora si chiese se ci sarebbe riuscito – non era la sua orchestra ad Atlantica, ma principalmente animali di palude, addirittura alcuni che vivevano interamente all’asciutto, e Sebastian si era mostrato piuttosto scettico riguardo al mondo di sopra, se la sua canzone di due giorni prima voleva essere una prova a riguardo.
«Primo…» il granchio esordì davanti alle anatre. «Bisogna creare l’atmosfera…»
 


«Tuo fratello è stato gentile a prendersi il nostro turno di guardia assieme a Ignis. Non avevo mai visto per bene New York senza doverla setacciare per gli Heartless.» Noctis confessò. «Di solito che fai per divertirti qui?»
«Non ho sempre molto tempo, ma in fondo a quella strada c’è un posto dove fanno la pizza, e so che a uno dei teatri hanno iniziato a mettere in scena un musical sulla leggenda di Ercole.» Luna si strinse nelle spalle. «Sai… un vecchio mito di questo mondo. Un ragazzo che scopre di discendere dagli dei e cerca di venire accettato dalla sua famiglia.»
Noctis si infilò le mani nelle tasche e continuò a camminare accanto a Luna. Le pattuglie erano state un conto, ma adesso che era in giro per New York per diletto, si sentiva quasi perso – anche dopo essere stato per più di un anno lontano da casa, era ancora abituato al paese piccolo dove persino l’unico cinema aveva finito per chiudere.
«Senti, è una vita che non vado a teatro, quindi magari…?»
Noctis si strinse nelle spalle.
«Una di queste sere, però, ti devo far vedere qualcuno dei miei videogiochi. Come si deve,» propose. La sera che lei e suo fratello erano stati a cena da loro, lo aveva “beccato” in disparte a giocare ad Assassin’s Creed, e non era stato un bello spettacolo fino a quando lei non gli aveva fatto notare la presenza di personaggi storici importanti del loro mondo nel gioco.
Luna non disse niente, ma abbozzò una risata. Noctis abbassò la testa, sentendo come non mai la mancanza del suo cappello. Gladio aveva giurato che lo avrebbe portato in lavanderia mentre lui era via, ma Noctis dubitava avrebbero fatto molto per la cacca di cacatua.
«Il berretto lo hai lasciato a casa?» Luna sembrò quasi leggergli nella mente.
«No, Gladio lo ha portato a lavare.» Noctis si strinse nelle spalle. «Ammesso che si riesca a lavare. Mi dispiacerebbe se non fosse possibile, era un regalo di mio padre.»
«Bene.» Luna sorrise, si tirò fuori qualcosa dal giubbotto, e con quel qualcosa diede a Noctis una lieve botta in testa. Una striscia scura invase la parte alta del campo visivo del ragazzo, e un peso familiare gli rimase in capo. Noctis alzò una mano e prese l’oggetto, e si ritrovò nelle mani un altro cappello. Un berretto blu scuro con il logo del videogioco che Luna gli aveva spiato sul davanti.
«Ma no, non dovevi…» Noctis scosse la testa.
«Tutto è lecito, suppongo.» La ragazza rise.
Erano ormai nella strada che ospitava i teatri, e stavano passando davanti ad uno di essi.
«Lei ti è accanto… se ne sta seduta lì… non sa cosa dirti ma i suoi occhi ti parlano…»
Quasi all’improvviso, mentre camminavano davanti alle porte, si sentì qualcuno – probabilmente qualche attore che faceva le prove – cantare da dentro.
«… e tu lo sai che vorresti darle un bacio, allora baciala
 


L’orchestra improvvisata nella laguna aveva attaccato una melodia talmente suggestiva che faceva quasi rizzare i capelli sulla nuca, eppure Ariel ed Eric erano ancora quasi fermi come due statue ai loro posti nella barca.
Sora non poté evitare di pensare che i due ragazzi fossero casi disperati. Nonostante si vedesse lontano un miglio che si piacessero – persino quel fossile di Grimsby sembrava aver notato qualcosa – nessuno dei due sembrava intenzionato a colmare il resto della distanza.
Se Sebastian poi era stato preciso com’era sempre nello spiegare le cose, ad iniziare il bacio avrebbe dovuto essere Eric… quella situazione era un macello, e Sora non credeva che Sebastian si sarebbe sforzato tanto di rendere tutto perfetto se non avesse voluto salvare la ragazza alla quale aveva finito per affezionarsi.
Sora non poté evitare di pensare che sarebbe stato bello se un amico avesse organizzato qualcosa del genere per lui. Le isole erano piene di lagune, barche e piante che calavano nel mare, e sarebbe stata una piccola avventura, uno dei loro giochi di una vita prima, la loro zattera, lui, Riku e Kairi…
Quando sarebbero stati a casa… quando tutto quel casino sarebbe finito…
Chissà dov’era Riku… e cosa poteva essere successo a Kairi…
 


Luna non poté evitare di mettersi a ridere. Noctis aveva impiegato gli ultimi venti minuti a letteralmente inalare la sua pizza, salvo alcuni rari momenti in cui si era lasciato scappare battute squallide con la bocca piena. La ragazza non sapeva per quale ragione non le fosse ancora uscita l’acqua dal naso per le risate, ma Clarence, un suo compagno di corso che lavorava lì per le consegne, si era girato a fissarli tutte le volte che era entrato o uscito dal retro con i cartoni in mano. Durante uno dei suoi viaggi di ritorno le aveva fatto l’occhiolino e alzato un pollice.
Noctis non sembrava essersi accorto di nulla, ma a parte le battute di tanto in tanto non sembrava molto disposto a parlare, e probabilmente il suo concentrarsi sul cibo era quasi una difesa… probabilmente lui pensava che Luna non se ne accorgesse, ma la ragazza aveva notato quanto si faceva rosso quando lei era vicina. E no, escludeva decisamente che fosse febbre.
Il suo collega rientrò per l’ennesima volta, lasciandosi sfuggire una risatina vedendoli ancora lì al tavolo a fare il gioco del silenzio.
«Il ragazzo è troppo timido,» Clarence commentò scuotendo la testa e stringendosi nelle spalle, poi diede un colpetto giocoso alla spalla a Noctis. «Coraggio, baciala
 


Sembrava che il piano di Sebastian stesse sortendo l’effetto voluto, perché Ariel ed Eric sembravano sempre più distratti dalla musica per pensare a quanto timidi fossero tutti e due. Sembrava si fosse unito anche un banco di pesci alla canzone, guidato da Flounder, e stavano mandando la barca alla deriva verso un salice piangente il cui fogliame sembrava quasi una tenda.
Quando la barca fu sotto l’albero, Scuttle fece un segnale a Sora, che malvolentieri lasciò lo scoglio e balzò sulla riva vicino all’albero. Il piano prevedeva che lui facesse apparire qualche luce magica al di fuori, ma il ragazzo non riusciva a togliere Riku e Kairi dalla sua testa.
Non lo avrebbe ammesso davanti ad Eric e Ariel, ma gli bruciava che loro avessero un’occasione del genere, anche se più che un’occasione era una corsa contro il tempo. E non era nemmeno un sentimento astratto, no… stavano iniziando a bruciargli gli occhi, e sentiva un dolore alla gola che sicuramente non era raffreddore.
Se avessero fallito, con che coraggio avrebbe chiesto a Re Tritone di segnalare la sua posizione nei mondi, in un qualche possibile modo?
 


Nonostante la gente, e le luci, e l’imbarazzo dovuto a tutte le situazioni scomode in cui si erano ritrovati quella sera, Luna poteva dire che fosse una bella serata, e a giudicare dal sorriso di Noctis, il ragazzo doveva pensarla allo stesso modo.
Avevano trovato una panchina sul lungofiume e si erano seduti lì, con un gelato in mano (Luna aveva imparato a non credere alle coincidenze, e il gusto preferito di entrambi era alle fragole, entrambi perché era legato a un ricordo, no, sul serio, la tesi di Strange era sempre più verosimile anche senza che una sciocchezza del genere la comprovasse…), e Noctis le stava raccontando di quando Prompto era riuscito a convincerlo, qualche mese prima, a vestirsi da pennuto per il Martedì Grasso a New Orleans.
Glielo aveva già raccontato quando si erano conosciuti, ma onestamente non le importava.
«… e c’era questa ragazza, a quanto pare la figlia di un industriale dello zucchero, che si era convinta che io fossi un principe e s’era presa una cotta per me perché credeva che io fossi un principe!» Noctis si appoggiò allo schienale della panchina. «Non ho mai capito perché lo avesse immaginato, ma dopo che le ho detto che non lo ero se l’è filata via come un missile!»
E per fortuna, Luna si trovò a pensare. In un qualche modo, comunque, Noctis non l’avrebbe fatta franca per aver raccontato per la quindicesima volta la stessa storia. Senza pensarci troppo, la ragazza strisciò due dita sul suo cono e spiaccicò la ditata di gelato sul naso di Noctis.
«Oh, no, questa la paghi!» Il ragazzo scattò in piedi e fece per rispondere gelato per gelato, ma qualcosa alle spalle di Luna lo fece smettere di ridere e irrigidirsi.
Luna girò la testa a sua volta… e per poco non emise un sonoro sbuffo. Il barbone di Broadway, quello che gli Heartless erano soliti attaccare, si stava avvicinando a loro con una bottiglia in mano (sidro? Sembrava quello, come se l’era procurato?) e incedendo barcollante.
«Shala-lala la la… ora vai… c’è l'atmosfera giusta… forza baciala… shala-lala la la stringila non puoi nascondere che l'ami… baciala…» il barbone si mise a cantare, prendendo molte più stecche che note. Se prima l’atmosfera giusta magari c’era stata, in quel momento quell’uomo rischiava di rovinare tutto.
Gli altoparlanti del teatro e l’intervento di Clarence in pizzeria erano stati sopportabili… ma lui? Sembrava decisamente più invadente di una cassa o di un collega. D’altra parte, mettere una traccia alle casse di un teatro, coinvolgere uno dei suoi colleghi di università e l’uomo che più volte avevano salvato… Strange quella sera magari era stato tenuto all’oscuro della loro uscita, ma Ravus proprio no.
Noctis era diventato più rosso delle fragole sul suo cono, e aveva iniziato ad aprire e chiudere la bocca senza dire nulla, in visibile imbarazzo. Luna si rese conto che c’era un solo modo per uscire da quella situazione imbarazzante, e se non fosse stato Noctis a sciogliere l’impasse, soltanto lei poteva.
Gli si avvicinò, gli mise una mano sulla spalla, e gli diede un bacio sulla bocca.
 


Scappa, Kairi! SCAPPA!
Lascia andare mio… !
Oh, guarda chi…
 
Qualcosa di duro, forse di plastica, rimbalzò sul pavimento.
Kairi aprì gli occhi. Era ancora sul materassino nella cella del posto dove l’avevano portata, ma qualcuno aveva buttato una torcia elettrica sul pavimento.
Una torcia?
Senza pensarci troppo, la ragazza prese la lampada e l’accese, il cerchio di luce sulla parete in un qualche modo le attenuava un poco la paura.
Non le avevano tolto il coltellino a serramanico che portava in tasca da quando le Isole erano sparite, e usava per contare i giorni sulla parete, ma gli esseri che le montavano la guardia sembravano essere impervi alle armi normali. Le davano da mangiare, c’era un angolo con un vaso da notte e i cosi di guardia si giravano sempre quando lei faceva gesto di recarvisi, ma erano alcuni giorni ormai che il suo solo mondo erano quelle pareti e quelle sbarre.
Si sentiva quasi inutile. Si era allenata con la spada da sempre, da quando Sora e Riku lo facevano, e aveva continuato a farlo dopo che loro erano spariti, riuscendo a disarmare Tidus e Selphie assieme una delle rare volte che gli altri ragazzi non erano stati impegnati con le loro vite. Eppure non era bastato.
Senza un’arma vera che non fosse una spada sportiva o un coltellino troppo corto, era stata impotente prima davanti ad Axel e poi davanti a Saïx, e comunque non aveva nemmeno avuto una chance di usare la spada – Henry le aveva detto che poteva sembrare paranoica, portandosela sempre addosso anche semplicemente per uscire di casa.
«Guarda, guarda. Chi non muore si rivede
Una voce rauca ruppe il silenzio, e apparve un uomo di mezza età, con le stesse cappe nere che portavano Axel e Saïx, un occhio coperto da una benda, il volto sfregiato da cicatrici, e dei capelli ingrigiti che sembravano essere stati malamente tagliati di recente. In certi punti, in particolar modo da un lato della testa, aveva persino delle chiazze glabre, punteggiate da bitorzoli neri e grigi che probabilmente un tempo erano stati capelli.
Qualcuno doveva aver tentato di bruciarlo vivo, e in tutta onestà, Kairi immaginava facilmente il perché. Non doveva essere bella gente.
Se mai fosse uscita da lì, avrebbe dovuto stringere forte la mano a chiunque ci fosse riuscito. Magari era persino stato Sora
«Avrei dovuto immaginare che saresti stata tu.» Il guercio fece un sogghigno stiracchiato. «Undici anni e guarda come siamo cambiati… o lo siamo davvero
Il suo unico occhio sembrava quasi scrutarle l’anima, scorgere qualcosa che a Kairi stessa sfuggiva, nonostante la vista limitata dell’uomo. La ragazza era quasi tentata di farglielo nero, quell’occhiaccio giallo da avvoltoio. Se non fosse stato per le sbarre e per la sua condizione inerme…
«Chi sei? Cosa volete da me?» Kairi alzò i pugni nell’istinto di difendersi.
«Oho! Stai calmina!» Il guercio alzò le braccia. «Non vorrai mica mordere come quando avevi cinque anni, Kai? Non si fa, sei cresciuta.»
Durante quell’anno, i ragazzi del liceo avevano messo in scena la tragedia di un re pazzo. Una battuta era rimasta nella mente di Kairi quando aveva assistito durante l’assemblea, quando il re aveva declamato di poter dare tutto quello che aveva per un cavallo che lo portasse al sicuro, o almeno colmasse il suo svantaggio nella battaglia.
In quel momento, Kairi si sentiva un po’ come il re pazzo. Cosa non avrebbe dato per una spada in quel preciso momento.
«Sora ha già sconfitto un pazzo furioso in passato.» La ragazza si sforzò di restare calma. «Verrà qui e vi pentirete di non essere rimasti in qualsiasi posto voi chiamiate letto.»
«Sì, magari.» L’unico occhio del vecchio matto fissò il soffitto. «Sora è perso, principessa. Sono quasi tre giorni che non si ha traccia di lui.»
Qualcosa si mosse in Kairi. Le sue dita si strinsero attorno ad un peso familiare, ma come poteva esserci la sua spada se era sotto al suo letto? Il guercio rise. Lo sguardo di Kairi si abbassò sulla sua mano.
C’era un’arma, ma non era la sua spada da allenamento.
Aveva una vaga somiglianza alla Catena Regale che Kairi aveva visto in mano a Sora, perlomeno per le forme, ma le due anse erano più tondeggianti e di colori diversi, una color sabbia e l’altra del blu dell’oceano, l’impugnatura si prolungava in una lunga asta che sfumava dal giallo al rosso della punta, quasi fosse il fusto di una strana pianta dalla quale, all’estremità, spuntavano vari tipi di fiori.
«Xigbar!»
Prima che Kairi potesse anche tentare di usare la sua nuova arma sulle sbarre, una voce fuori dal suo campo visivo chiamò dal corridoio. Non ne riconosceva il padrone, ma quindi quello era il nome del guercio?
Xigbar girò la testa verso chiunque lo avesse chiamato.
«Sora è stato localizzato!» L’uomo continuò a parlare. «Era ad Atlantica! Pare lo abbiano ritrovato tramite la bambina!»
«Beh, questo cambia tutto, suppongo.» Xigbar si strinse nelle spalle, poi schioccò le dita. Due figure biancastre con quelle che sembravano pistole apparvero dal nulla, fluttuando a mezz’aria con le loro armi puntate alla cella. «Presto il tuo principe azzurro verrà per te, tesoro, quindi cerca di non fare la furbetta con quel Keyblade
 


Il portellone della Gummiship si aprì, e la navetta venne invasa da una brezza che portava un odore che Shiro non aveva mai sentito in vita sua.
Il terreno davanti a lei era giallastro e granuloso, sabbia, come ad Agrabah, e questo almeno per qualche metro, poi poco più avanti non era più neanche sabbia. Era acqua. Un’immensa distesa blu che non si vedeva neanche dove finiva.
Era uno dei posti più belli che la ragazza aveva visto, e per un momento si dimenticò che erano lì per soccorrere Sora.
«Maestà, dove siamo?» Shiro si girò verso Re Topolino, che aveva lasciato i comandi e la stava raggiungendo al portello. «Che posto è questo?»
Fu certa di vedere le orecchie del Re abbassarsi, così come le sue spalle.
«Non avevi mai visto una spiaggia?»
Shiro scosse la testa.
«Axel mi ha raccontato qualcosa ma... papà… Xemnas… non mi ha mai lasciato andare su una spiaggia. O in qualsiasi altro posto che non fosse Crepuscopoli una volta o due per i suoi affari.»
Fece qualche passo sulla sabbia, fissando le onde del mare.
«Aveva promesso che ci saremmo andati un giorno. Axel. Un giorno libero.»
Il Re non disse nulla, ma la superò e prese a guardarsi attorno.
La spiaggia era il punto più basso di una costa di rocce, sulla quale un castello dominava il paesaggio assieme ad un paese di case arrampicate sul promontorio. A giudicare dal rumore, sembrava fosse accaduto qualcosa, e la gente locale doveva essere intenta a festeggiare.
«Avremmo potuto andare con loro!» una voce familiare gracchiò. Paperino!
«Nah, non mi andava.» La voce di Sora gli rispose. «Non me la sento.»
«Qualcosa non va, Sora? Sei stanco?» Stavolta fu Pippo a rispondere.
Topolino girò la testa e indicò a Shiro una direzione. Sora, Paperino e Pippo erano seduti su una roccia alla loro sinistra, e il ragazzo sembrava il più mesto dei tre.
«Non ho niente, è solo che… siamo riusciti ad aiutare Ariel ed Eric… e ho pensato anche a Riku e Kairi… a dove possono essere… se riusciremo a rimetterci sulle loro tracce ora che siamo precipitati qui…»
Shiro fece gesto al Re di rimanere in silenzio e si avvicinò ai tre da dietro, cercando di fare meno rumore possibile nonostante la sabbia.
«Ehi, signor eroe, perché quel muso lungo?» quasi gridò a Sora da dietro.
I tre si girarono, Paperino sbottando nel suo solito «UACK!», Pippo quasi cadendo dalla roccia, e Sora con un’espressione che sarebbe stata consona anche a un merluzzo.
«Come avete fatto a trovarci?» Sora fu il primo a ritrovare le parole.
«Yuk, credo che Shiro abbia usato la sua giacca.» Pippo scese dallo scoglio. «O meglio, la tua giacca. Come quando Ven ci aiutò a rintracciare il Re.»
«Me la dovete raccontare, questa storia, prima o poi.» Sora aggrottò le sopracciglia.
«Hah, se non era per me…!» Shiro fece un sorriso fino alle orecchie e mise i pugni sui fianchi, ma non poté fare a meno di chiedersi se quella storia avrebbe portato anche a rintracciare la sua famiglia. Non ci poteva essere, da qualche parte, un oggetto che apparteneva a Mamma? E perché aveva l’impressione di avere la risposta appena al di fuori della sua portata?
«Avanti, il Maestro Yen Sid era preoccupato a morte.» Topolino fece un gesto verso la navetta, e Shiro non poté fare a meno di notare una nota triste nella sua voce.
Credo sarà una lunga storia per un altro giorno, la coscienza le suggerì mentre camminavano verso la rampa di salita. Xemnas è il nemico, ora. Quando l’Organizzazione non sarà più un pericolo… allora sarà il momento. Il momento di cercare la tua mamma e il tuo papà.
Shiro prese un lembo della giacca nel pugno e strinse, cercando di non sentirsi triste, di non pensare a piangere.
Sora era di nuovo lì.
C’era speranza.
Fu proprio Sora a metterle una mano sulla spalla passandole vicino, per poi fermarsi davanti a lei e prenderle le mani. Fu guardandolo in faccia che la bambina si accorse…
che il ragazzo più grande aveva gli occhi lucidi.
Aveva pianto? E se sì, perché?
«Shiro…» mormorò il ragazzo. «Grazie
Lei non ci stette a pensare troppo. Gli lasciò le mani, fece un passo in avanti e lo strinse in un abbraccio.
Poteva essere anche lui l’eroe di quei giorni, ma aveva avuto bisogno di aiuto. E adesso erano un passo più avanti, sempre più vicini a vincere quella battaglia e a salvare i mondi e le loro famiglie…
… e Sora le aveva detto grazie.
Shiro sciolse l’abbraccio e gli sorrise.
«Tranquillo, signor eroe.» Gli diede un colpetto sul braccio e andò verso il suo sedile. «Ora vediamo di dare una lezione ai cattivi!»
 


Un applauso a chiunque abbia capito chi è la ragazza che ha descritto Noctis. 
 
   
 
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