Un
passaggio per New York
La
strada era completamente buia.
Nemmeno
un lampione solitario illuminava l'asfalto, e l'unico suono udibile
era quello della pioggia che cadeva leggera. Tuttavia, se qualcuno si
fosse soffermato per un attimo a tendere l'orecchio e ascoltare con
estrema attenzione avrebbe sentito qualcos'altro.
Dei
passi pesanti stavano lentamente incespicando sul bordo della strada.
Un
uomo basso, tozzo, sulla settantina, si stava trascinando nel buio.
Avanzava
tenendo stretto con una mano il colletto del pesante giaccone, mentre
l'altra era premuta con forza sulla testa per impedire alla bombetta
marrone di volare via.
Il
suo nome era John Mill. Settantaquattro anni compiuti da poco, grandi
baffi grigi, e con ormai pochissimi capelli a coprirgli la cute.
Portava
abiti molto formali, un completo grigio con una camicia bianca, un
panciotto e un piccolo papillon rigato che però al momento era
coperto da una grossa sciarpa di lana.
Camminava
puntando lo sguardo verso il terreno,le cespugliose sopracciglia
contratte in un'espressione seccata.
Non
aveva assolutamente idea di dove stesse andando.
Davanti
a lui e alle sue spalle non c'era altro che nero; sarebbe potuto
essere diretto verso un precipizio, ma non l'avrebbe saputo finché
il suo piede non fosse sprofondato nel nulla.
Poi,
d'un tratto, una luce intensa andò ad illuminargli le spalle,
proiettando la sua silhouette in una pozzanghera.
Il
suono di un veicolo in avvicinamento lo indusse a voltarsi, e in quel
momento due grossi fanali per poco non lo accecarono.
La
vettura frenò senza alcuna fretta, fermandosi dopo un breve cigolio.
Era un piccolo autobus, lungo poco più di sette metri, colorato di
un blu scuro e con una curiosa bizzarria: i finestrini avevano la
forma tonda degli oblò.
La
portiera accanto al guidatore slittò lateralmente, aprendosi.
Alla
guida si trovava un ragazzo relativamente giovane, o almeno così
pareva a John. Alto, slanciato e con grossi occhiali tondi.
<< Serve
un passaggio? >> domandò, sorridendo cordialmente all'uomo.
Il
signor Mill sbatté le palpebre confuso. Guardò davanti a sé e di
nuovo in direzione della vettura.
<< Dove
deve andare? >> insistette il giovane.
L'altro
si premette una mano sulla gola e tossicchiò, come se si stesse
preparando per un discorso estremamente importante.
<< New
York. >>
<< Bè,
non penso che ci possa arrivare a piedi, per di più con questo
tempo. Salga su! >>. Il guidatore gli mostrò un sorriso
gioviale, facendo un gesto concitato con la mano; pure John giunse
alla conclusione che non fosse una cattiva idea accettare un aiuto.
Al
massimo, se avesse cambiato idea, sarebbe potuto scendere.
Salì
sull'autobus, reggendosi con la mano tozza all'asta di sostegno e
apprezzando da subito il calore che lo invase quando le porte si
furono chiuse.
Di
norma lui detestava i mezzi pubblici; ci girava sopra brutta gente,
specie dopo una certa ora. Inoltre avevano sempre uno strano olezzo
di marcio. Ma in quel caso doveva ammettere di non sentire alcun
cattivo odore; il mezzo era pulito, i sedili erano rivestiti in pelle
e dall'aria nuova.
C'erano
pochi passeggeri oltre a lui.
Una
donna con i capelli lunghi e rovinati guardava fuori dal finestrino.
Aveva il viso lungo e affusolato, la pelle chiara e delle leggere
occhiaie che probabilmente la facevano sembrare più vecchia di
quanto non fosse in realtà. Gli ricordava sua figlia.
Un
uomo seduto in fondo al veicolo si tamburellava nervosamente sulle
ginocchia con le dita, bisbigliando qualcosa di incomprensibile tra
sé e sé.
Infine,
un altro paio di nuche sbucavano da altri posti in parte nascosti
allo sguardo.
L'anziano
signore si sedette in seconda fila, piacevolmente sorpreso nel
trovare un quotidiano abbandonato sul sedile accanto al finestrino.
Dopo
essersi sistemato si scrollò dalle spalle il giaccone, piegandolo
con cura e posandolo nel posto accanto insieme alla sciarpa. Con un
rapido gesto raddrizzò i bordi del panciotto, per poi stringere il
nodo del papillon.
Dalla
velocità e sicurezza con cui eseguiva questa serie di gesti si
poteva dedurre che fosse un rituale abitudinario.
Dal
taschino estrasse un paio di occhiali sottili e li premette con
delicatezza contro il naso. Quindi, mentre con una scossa l'autobus
ripartiva, sollevò il quotidiano per prepararsi alla lettura.
Proprio
in quel momento una voce acuta lo fece trasalire.
<< Che
cosa fai? >>
John
pizzicò con due dita i lati del giornale e lo abbassò, rivelando la
fonte di quel suono sgradevole.
Una
bambina lo stava osservando, sporgendosi dal sedile davanti al suo;
teneva la testa appoggiata sulle braccia incrociate, con i grossi
occhi azzurri spalancati e puntati su di lui.
Aveva
una cascata di riccioli biondi che le incorniciavano il viso.
L'uomo
strinse le labbra con irritazione.
<< Provo
a leggere, signorina. >> disse piccato, tornando a guardare il
titolo della prima pagina.
<< E
cosa leggi? >> insistette la bambina, piegandosi di più verso
di lui, al punto che dovette reggersi con le braccia per non cadere
in avanti.
Mill
sbuffò seccato.
<< Non
dovresti dondolarti in quel modo, potresti farti male. >>
Come
poteva il genitore di quella ragazzina rimanere lì seduto e non fare
nulla?
Gli
faceva venire voglia di alzarsi dal suo posto e fare un bel discorso
alla madre o al padre.
La
bambina rise cristallina.
<<
No che non mi faccio male! Sono un'equilibrista, guarda! >> e
così dicendo allargò le braccia, restando in bilico con solo la
pancia appoggiata contro la parte superiore della poltrona.
L'uomo
strinse il bordo del giornale con più forza.
Per
un attimo ebbe l'istinto di urlare contro a quella piccola molesta,
ma d'improvviso quella scena gli riportò alla mente un ricordo.
Vide
distintamente sua figlia andare sull'altalena. Si spingeva con forza,
come se volesse raggiungere il cielo, e tra una spinta e l'altra lo
guardava gioiosa.
<< Guardami
papà, guardami! >>
Sorrise
leggermente sotto i baffi.
<< Perché
ridi? >> incalzò subito lei.
John
scrollò le spalle, tornando serio.
<< Nulla,
nulla >> bofonchiò.
Sollevò
poi lo sguardo, cercando di spiare al di là dei sedili davanti.
Ancora nessuna reazione da parte dei genitori della giovane.
<< Ascolta,
piccola... >>
<< Gabi! >>
<< Gabi.
Non ci sono altri bambini con i quali puoi giocare, qui sopra? >>
La
bambina scrollò la testa a labbra strette, facendo danzare i
riccioli.
<< Oggi
non ci sono bambini. Siete pochi e nessuno vuole parlare con me. >>
disse con tono lamentoso.
L'uomo
fece un sorriso di circostanza.
<< Sai,
non è obbligatorio parlare. >>
Gabi
lo osservò con espressione improvvisamente seria. John ebbe come
l'impressione che sembrasse molto più grande rispetto ad un attimo
prima.
<< Immagino
di no... >> fece con un filo di voce. Si abbassò, tornando
seduta al suo posto e sparendo dalla vista.
L'altro
rimase interdetto.
Non
ci aveva mai saputo fare con i bambini.
Tornò
ad osservare il giornale, guardando attentamente le lettere che
componevano il titolo.
Le
guardava ma non le leggeva.
La
mente era altrove, inquieta.
Forse
era per quella ragione che lui e Linda per tanto tempo non si erano
parlati?
Forse
in fondo, nonostante avesse passato anni a negarlo, era stata colpa
sua.
Quella
povera ragazza, così piccola e fragile, così simile a sua moglie.
Quante volte l'aveva cercato, senza che lui se ne accorgesse?
Aveva
attirato la sua attenzione solo il giorno in cui, varcando la soglia
di casa, aveva semplicemente detto “papà, io me ne vado”.
Ancora
si dava dello stupido per non aver tentato di fermarla.
<<
Mi dici dove stai andando? >>
John
trasalì, sentendo il cuore arrivargli fino in gola.
Gabi
si era alzata dal suo posto e senza fare alcun tipo di rumore era
andata a sedersi accanto a lui.
Il
giaccone dell'uomo ora giaceva spiegazzato sotto la bambina, e al
pari di un cuscinetto la rendeva un po' più alta.
<< Oh,
per la miseria! >> sbottò lui ad alta voce.
<< Non
hai nessun altro da infastidire?! >> e detto questo si alzò di
botto, piegandosi verso i sedili davanti.
Nella
sua testa stava prendendo forma il discorso che avrebbe fatto ai
genitori della bambina, ma quel discorso si bloccò di colpo e andò
rapidamente a sparire: i posti erano vuoti.
<< Dove...dove? >>
Si
voltò verso di lei.
<< Io
viaggio da sola. >> disse la piccola con tranquillità.
<< Da
sola...ma, come può essere? >>
John
era sprofondato nuovamente nel suo posto e si era tolto la bombetta,
rivelando la nuca quasi del tutto priva di capelli.
Gabi
si strinse nelle spalle.
<< So
cavarmela, non ho bisogno di genitori. >>
Lui
sospirò.
<< E'
così, vero? >> sussurrò con un filo di voce, mentre osservava
le gocce cadere rapide sul vetro dell'oblò.
<< Però
fa male saperlo, sai? Per un genitore è doloroso. >>
Era
seguita una lunga pausa.
Tutt'intorno
a John era diventato estremamente silenzioso, sembrava che nemmeno
l'autobus facesse più rumore mentre si muoveva.
<< Quindi
dov'è che stai andando? >> chiese infine Gabi.
Lui
sorrise malinconico.
<< New
York. >>
<< E
perché vai a New York? >>
Il
sorriso dell'uomo si allargò.
<< Vado
a passare il Natale con mia figlia e i miei nipoti. E' il primo
Natale che passeremo insieme dopo tanto tempo. >>
La
bambina inclinò la testa da un lato.
<< E
perché? >>
Lo
sguardo di John, che si era disteso poco prima, tornò ad indurirsi.
<< Questi
non sono affari che riguardano una ragazzina! >> fece, alzando
la voce.
Con
mani tremanti chiuse definitivamente il quotidiano e indicò i posti
vuoti.
<< Tornatene
seduta là davanti, smetti di seccarmi! >>
L'uomo
ebbe nuovamente l'impressione che Gabi fosse cambiata totalmente. Non
era spaventata o triste di quella sua reazione. Solo seria.
Non
gli disse nulla. Si alzò silenziosamente e sparì dalla sua visuale.
John
emise un sospiro di frustrazione, tornando a guardare la pioggia che
cadeva.
Maledetto
il momento in cui aveva accettato di salire su quell'autobus; in
fondo New York non era poi così lontana. Avrebbe potuto chiedere
all'autista di fermarsi.
Quella
ragazzina e le sue domande. Cosa si aspettava? Che lui le raccontasse
le più grandi vergogne della sua vita?
Probabilmente
non aveva nemmeno l'età per comprenderle.
Ancora
una volta gli venne in mente Linda.
Ripensò
a quanto fosse stata significativa, circa due anni prima, quella
singola telefonata.
Poche
parole, così difficili da pronunciare.
“ Voglio
vederti, vorrei conoscere i miei nipoti. ”
Pareva
buffo che una semplice frase potesse rimettere insieme i pezzi di
qualcosa che sembrava perduto per sempre.
Con
la coda dell'occhio John vide qualcosa muoversi alla sua destra. Si
voltò di colpo pensando di ritrovarsi davanti la bambina, ma non fu
così.
Magra,
alta, ricurva, una donna si era avvicinata al suo posto.
Era
la stessa ragazza che aveva visto appena era salito.
<< Mi
scusi, posso...posso sedermi qui? >> chiese con un filo di voce.
Teneva lo sguardo puntato verso il pavimento e si grattava
l'avambraccio con nervosismo.
Mill
si affrettò a togliere il giaccone stropicciato dal posto accanto al
suo e se lo posò sulle gambe.
L'uomo
la osservò attentamente.
Era
sicuramente molto più giovane di lui, ma non si poteva certo
definire una ragazzina: leggere rughe erano già spuntate intorno
agli occhi, e vicino all'attaccatura dei capelli se ne poteva notare
qualcuno bianco.
Era
pallida, dall'aria stanca e confusa; si guardava intorno come se non
avesse bene la percezione di dove si trovasse.
<< Tutto
bene, signora? >>
Lei
annuì, senza guardarlo.
Si
sedette nel posto accanto, anche se i suoi movimenti sgraziati
diedero all'uomo l'impressione che ci stesse cadendo sopra, più che
sedercisi.
John
continuò ad osservarla con preoccupazione, mentre lei lanciava
occhiate verso l'esterno, mordicchiandosi le unghie di una mano.
In
altre circostanze lui avrebbe evitato di conversare con il vicino di
posto, specie se questo aveva l'aria di non starci troppo con la
testa, ma quella donna aveva qualcosa di particolare.
Sentiva
di volerla aiutare.
<< Dove
sta andando? >> chiese, sforzandosi in un sorriso.
Finalmente
lei lo guardò.
Aveva
gli occhi azzurri, cerchiati come se non dormisse da settimane.
<< Cerco
un meccanico. >> disse con un filo di voce.
John
sollevò un sopracciglio.
<< Un
meccanico? >>
<< Si...Si!
Un meccanico! Perché... >> fece lei trafelata, indicando verso
l'esterno.
<< La
mia macchina...la mia macchina ha fatto un incidente. Non parte più.
Ho bisogno...di un meccanico. >> continuò, ritornando con ogni
parola sempre più nell'apatia.
L'uomo
non seppe spiegare a sé stesso il gesto che compì subito dopo.
Prese la mano tremante della donna tra le sue e la strinse.
Era
molto fredda.
<< Non
si preoccupi, ci sarà un meccanico appena arriveremo in città. >>
<< Io...non
l'ho visto arrivare. E' spuntato fuori dal nulla... >> continuò
lei, come se non l'avesse sentito.
<< Ho
provato a frenare ma...non sono riuscita ad evitarlo....ora ho
bisogno di un meccanico. >>
Detto
questo si alzò di colpo, liberando la mano di scatto dalla presa di
John.
<< Non
posso aspettare! Si fermi! Si fermi! >> urlò, andando a
picchiare con un pugno contro il vetro dell'autista.
L'autobus
si fermò dopo un cigolio prolungato.
Il
ragazzo alla guida guardò la donna con un'espressione indecifrabile.
<< E'
sicura di voler scendere? >> domandò serio.
<< Questa
linea non passa spesso, e con questo buio e la pioggia
scrosciante...dubito che riuscirei a vederla o sentirla, anche se
volesse risalire. >>
Seguì
un lungo momento di silenzio. L'autista fisso la passeggera, ed ella
lo fissò di rimando.
<< Si... >>
rispose infine lei, roca.
<< Io
devo scendere, devo trovare un dottore... >>
<< Un
meccanico. >> la corresse lui, con un sorriso malinconico.
Lei
trasalì.
<< Un
meccanico! Si, devo trovare un meccanico. >>
Le
porte dell'autobus si aprirono con uno scatto, facendo entrare un
soffio di aria gelida.
La
donna scese dalla vettura con passi lenti; e quando le porte si
furono richiuse, giusto un istante prima di sparire dal campo visivo
di John, lei si voltò a guardarlo.
<< Mi
dispiace. >> mimò silenziosa con le labbra.
Poi
la vettura ripartì.
L'uomo
rimase con gli occhi incollati al punto in cui l'aveva vista per
l'ultima volta.
Aveva
avvertito come una forte fitta al petto, che gli aveva mozzato il
respiro.
Un
fischio, da prima leggero, poi sempre più forte, gli aveva riempito
le orecchie. Era un suono acuto e sgraziato, doloroso, al punto da
fargli serrare le palpebre.
Ricordava
terribilmente il rumore che facevano gli pneumatici contro l'asfalto
durante una frenata improvvisa.
John
riaprì gli occhi.
Stava
sudando freddo e tremava.
Nel
posto accanto al suo, seduta comodamente sul suo giaccone con le
gambe che penzolavano nel nulla, si trovava Gabi. Era come se non si
fosse mai spostata da lì.
Guardava
in direzione delle porte.
<< Ogni
tanto capita, sai? >> disse la bambina.
Nel
farlo si voltò verso di lui.
<< Le
persone sono confuse, impaurite, e quindi decidono di
scendere...quando iniziano a ricordare. >>
John
Mill sentiva un dolore lancinante nelle tempie.
Le
sue mani erano intorpidite come se fosse rimasto immobile per
tantissimo tempo. Aveva freddo.
<< Quando
iniziano a ricordare...cosa? >> chiese perplesso.
Gabi
gli rivolse il medesimo sorriso malinconico che l'autista aveva
mostrato alla donna.
<< Davvero
non lo sai? >>
La
bambina raccolse il quotidiano abbandonato tra i due sedili.
<< Voi
spesso guardate le cose che vi circondano, ma vi rifiutate di vederle
per come sono in realtà. Credo che vi spaventi troppo. >>
Con
quelle parole lo porse a John.
L'uomo
rimase interdetto da quel gesto. Prese il giornale tra le mani e
provò, per l'ennesima volta, a leggere il titolo della prima pagina.
Inizialmente
ebbe l'impressione di essere troppo preso dai suoi pensieri per
concentrarsi sulla lettura, ma quando si soffermò con maggiore
attenzione sulle parole si rese conto di come queste non avessero il
minimo senso.
Erano
semplicemente un'accozzaglia di lettere buttate a caso,
impronunciabili, che non ricordavano assolutamente alcuna lingua
conosciuta.
Pure
le immagini allegate agli articoli non erano altro che forme
stilizzate e astratte.
Mill
avvertì la fitta alla testa farsi più forte.
<< No...non
è possibile. >> balbettò.
Sentiva
di essere spaventato, terribilmente spaventato.
Forse
non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua, un terrore da
togliere il fiato. In quel momento John Mill, settantaquattro anni
compiuti da poco, non stava respirando.
<< ”Non
è possibile”, “non può essere”, “non voglio”. Quando
iniziate a capire dite tutti così. >> commentò Gabi,
riprendendosi il quotidiano. Lui glielo lasciò prendere senza
muovere un muscolo.
<< Alcuni,
come quella donna, decidono di scendere dall'autobus. Pensano che, in
qualche modo, riusciranno a ritrovare la strada di casa. Ma la
maggior parte di loro finisce per perdersi. >>
La
mente dell'uomo era affollata di domande, eppure al tempo stesso era
come se non stesse pensando a nulla. Si sentiva bloccato, con i
muscoli intorpiditi, gli arti congelati.
Con
un enorme sforzo riuscì a formulare un pensiero, forse addirittura
il pensiero che aveva tenuto nascosto a sé
stesso.
Com'era
finito in quella strada buia, a camminare sotto la pioggia?
Sentiva
la sua mente andare a fuoco; il dolore alla testa si era propagato
fin intorno agli occhi. Era come accecato, non vedeva più nulla.
Un'altra
domanda si formò spontaneamente.
Accecato
da cosa?
John
ignorò il dolore, costringendosi ad andare fino al limite; era
sicuro che questa cosa l'avrebbe distrutto.
Invece,
contro ogni logica, non accadde.
Davanti
ai suoi occhi apparve una forte luce, che lentamente perse intensità;
man mano che il bagliore diminuiva davanti a lui si presentavano
nuovi particolari.
Da
prima apparvero due fanali, poi il cofano di un'auto, poi l'intera
vettura con il conducente ben visibile dal parabrezza.
L'uomo
la riconobbe: era la donna che si era seduta accanto a lui. Si
trovava congelata in un istante, gli occhi sbarrati dalla sorpresa e
la bocca spalancata in un urlo muto.
L'intero
ambiente era come un video messo in pausa.
Poi,
tutto ripartì.
La
luce dei fanali lo accecò, tutta la scena sparì in un istante,
accompagnata da un forte cigolio.
John
Mill si ritrovò di nuovo sull'autobus.
<< Ora
capisci, non è vero? >>
Gabi
gli sorrise.
Lui
guardò fuori dal finestrino dalla forma di oblò.
Continuava
a piovere, tutta la strada era avvolta nel buio.
<< Ma
io...devo andare a New York. >> sussurrò.
<< Mia
figlia, i miei nipoti. Gli avevo promesso che sarei andato. >>
La
bambina cercò il suo sguardo, piegandosi verso di lui.
<< Pensi
che non capirebbero? Non ti perdonerebbero per non essere andato? >>
domandò lei.
L'autobus
frenò dolcemente e si fermò sul ciglio della strada.
L'autista
aprì le porte.
<< Se
vuoi scendere... >> continuò Gabi.
<< ...puoi
farlo. Io non obbligo nessuno a rimanere, deve essere una tua
scelta. >>
John
guardò in direzione della porta per un lungo momento.
Magari,
con un po' di fortuna, sarebbe riuscito ad arrivare a New York.
Avrebbe
visto Linda e i ragazzi da lontano; e poi avrebbe continuato a
camminare sotto la pioggia.
Era
la scelta giusta, non era forse l'unica cosa che avrebbe potuto fare?
Tuttavia,
nella sua testa, tornarono a farsi sentire le parole di quella
telefonata.
<< Pronto? >>
<< Linda?
Ciao...sono papà. >>
<< Oh.
Ciao papà. Quanto tempo... >>
<< Mi
fa piacere sentirti. Scusa se non ho chiamato...sai, dopo che tua
madre se n'è andata...ecco...era lei a tenere insieme i pezzi e
io...mi sentivo di troppo. >>
<< Di
troppo? No, non è così. Mi dispiace che tu l'abbia pensato. >>
<< Comunque
se ti chiamo è perché...Voglio vederti. Vorrei conoscere i miei
nipoti. >>
La
voce dall'altro capo cominciò a piangere.
<< Mi
farebbe molto piacere. >>
<< Certo
che capirebbero. >> disse John, con un sorriso sulle labbra e
gli occhi lucidi.
<< Mi
perdonerebbero senza nemmeno pensarci. Mia figlia l'ha già fatto. E
i miei nipoti...oh, dovresti vederli. Sono proprio come lei. >>
Una
risata gioviale gli uscì spontanea dalle labbra e una lacrima
solitaria calò sulla sua guancia.
<< Sono
così in gamba. Se la caveranno, se la caveranno alla grande. >>
Le
porte si richiusero e l'autobus ripartì.
Gabi
gli mostrò un grande sorriso. Appoggiò la testa bionda e piena di
riccioli al petto dell'uomo e chiuse gli occhi.
<< Mettiamoci
comodi allora, sarà un viaggio lungo. >>
Lui
le circondò le spalle con un braccio, stringendola a sé.
<< Si
lo so, il più lungo mai fatto. >>
Dedicato a Beppe Quaglia. Ti mando un bacio, nonno, ovunque tu sia.
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