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Autore: Melody_Pond    31/03/2020    1 recensioni
La strada era completamente buia.
Nemmeno un lampione solitario illuminava l'asfalto, e l'unico suono udibile era quello della pioggia che cadeva leggera. Tuttavia, se qualcuno si fosse soffermato per un attimo a tendere l'orecchio e ascoltare con estrema attenzione avrebbe sentito qualcos'altro.
Dei passi pesanti stavano lentamente incespicando sul bordo della strada.
Un uomo basso, tozzo, sulla settantina, si stava trascinando nel buio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un passaggio per New York


Un passaggio per New York

La strada era completamente buia.
Nemmeno un lampione solitario illuminava l'asfalto, e l'unico suono udibile era quello della pioggia che cadeva leggera. Tuttavia, se qualcuno si fosse soffermato per un attimo a tendere l'orecchio e ascoltare con estrema attenzione avrebbe sentito qualcos'altro.
Dei passi pesanti stavano lentamente incespicando sul bordo della strada.
Un uomo basso, tozzo, sulla settantina, si stava trascinando nel buio.
Avanzava tenendo stretto con una mano il colletto del pesante giaccone, mentre l'altra era premuta con forza sulla testa per impedire alla bombetta marrone di volare via.
Il suo nome era John Mill. Settantaquattro anni compiuti da poco, grandi baffi grigi, e con ormai pochissimi capelli a coprirgli la cute.
Portava abiti molto formali, un completo grigio con una camicia bianca, un panciotto e un piccolo papillon rigato che però al momento era coperto da una grossa sciarpa di lana.
Camminava puntando lo sguardo verso il terreno,le cespugliose sopracciglia contratte in un'espressione seccata.
Non aveva assolutamente idea di dove stesse andando.
Davanti a lui e alle sue spalle non c'era altro che nero; sarebbe potuto essere diretto verso un precipizio, ma non l'avrebbe saputo finché il suo piede non fosse sprofondato nel nulla.
Poi, d'un tratto, una luce intensa andò ad illuminargli le spalle, proiettando la sua silhouette in una pozzanghera.
Il suono di un veicolo in avvicinamento lo indusse a voltarsi, e in quel momento due grossi fanali per poco non lo accecarono.
La vettura frenò senza alcuna fretta, fermandosi dopo un breve cigolio. Era un piccolo autobus, lungo poco più di sette metri, colorato di un blu scuro e con una curiosa bizzarria: i finestrini avevano la forma tonda degli oblò.
La portiera accanto al guidatore slittò lateralmente, aprendosi.
Alla guida si trovava un ragazzo relativamente giovane, o almeno così pareva a John. Alto, slanciato e con grossi occhiali tondi.
<< Serve un passaggio? >> domandò, sorridendo cordialmente all'uomo.
Il signor Mill sbatté le palpebre confuso. Guardò davanti a sé e di nuovo in direzione della vettura.
<< Dove deve andare? >> insistette il giovane.
L'altro si premette una mano sulla gola e tossicchiò, come se si stesse preparando per un discorso estremamente importante.
<< New York. >>
<< Bè, non penso che ci possa arrivare a piedi, per di più con questo tempo. Salga su! >>. Il guidatore gli mostrò un sorriso gioviale, facendo un gesto concitato con la mano; pure John giunse alla conclusione che non fosse una cattiva idea accettare un aiuto.
Al massimo, se avesse cambiato idea, sarebbe potuto scendere.
Salì sull'autobus, reggendosi con la mano tozza all'asta di sostegno e apprezzando da subito il calore che lo invase quando le porte si furono chiuse.
Di norma lui detestava i mezzi pubblici; ci girava sopra brutta gente, specie dopo una certa ora. Inoltre avevano sempre uno strano olezzo di marcio. Ma in quel caso doveva ammettere di non sentire alcun cattivo odore; il mezzo era pulito, i sedili erano rivestiti in pelle e dall'aria nuova.
C'erano pochi passeggeri oltre a lui.
Una donna con i capelli lunghi e rovinati guardava fuori dal finestrino. Aveva il viso lungo e affusolato, la pelle chiara e delle leggere occhiaie che probabilmente la facevano sembrare più vecchia di quanto non fosse in realtà. Gli ricordava sua figlia.
Un uomo seduto in fondo al veicolo si tamburellava nervosamente sulle ginocchia con le dita, bisbigliando qualcosa di incomprensibile tra sé e sé.
Infine, un altro paio di nuche sbucavano da altri posti in parte nascosti allo sguardo.
L'anziano signore si sedette in seconda fila, piacevolmente sorpreso nel trovare un quotidiano abbandonato sul sedile accanto al finestrino.
Dopo essersi sistemato si scrollò dalle spalle il giaccone, piegandolo con cura e posandolo nel posto accanto insieme alla sciarpa. Con un rapido gesto raddrizzò i bordi del panciotto, per poi stringere il nodo del papillon.
Dalla velocità e sicurezza con cui eseguiva questa serie di gesti si poteva dedurre che fosse un rituale abitudinario.
Dal taschino estrasse un paio di occhiali sottili e li premette con delicatezza contro il naso. Quindi, mentre con una scossa l'autobus ripartiva, sollevò il quotidiano per prepararsi alla lettura.
Proprio in quel momento una voce acuta lo fece trasalire.
<< Che cosa fai? >>
John pizzicò con due dita i lati del giornale e lo abbassò, rivelando la fonte di quel suono sgradevole.
Una bambina lo stava osservando, sporgendosi dal sedile davanti al suo; teneva la testa appoggiata sulle braccia incrociate, con i grossi occhi azzurri spalancati e puntati su di lui.
Aveva una cascata di riccioli biondi che le incorniciavano il viso.
L'uomo strinse le labbra con irritazione.
<< Provo a leggere, signorina. >> disse piccato, tornando a guardare il titolo della prima pagina.
<< E cosa leggi? >> insistette la bambina, piegandosi di più verso di lui, al punto che dovette reggersi con le braccia per non cadere in avanti.
Mill sbuffò seccato.
<< Non dovresti dondolarti in quel modo, potresti farti male. >>
Come poteva il genitore di quella ragazzina rimanere lì seduto e non fare nulla?
Gli faceva venire voglia di alzarsi dal suo posto e fare un bel discorso alla madre o al padre.
La bambina rise cristallina.
<<  No che non mi faccio male! Sono un'equilibrista, guarda! >> e così dicendo allargò le braccia, restando in bilico con solo la pancia appoggiata contro la parte superiore della poltrona.
L'uomo strinse il bordo del giornale con più forza.
Per un attimo ebbe l'istinto di urlare contro a quella piccola molesta, ma d'improvviso quella scena gli riportò alla mente un ricordo.
Vide distintamente sua figlia andare sull'altalena. Si spingeva con forza, come se volesse raggiungere il cielo, e tra una spinta e l'altra lo guardava gioiosa.
<< Guardami papà, guardami! >>
Sorrise leggermente sotto i baffi.
<< Perché ridi? >> incalzò subito lei.
John scrollò le spalle, tornando serio.
<< Nulla, nulla >> bofonchiò.
Sollevò poi lo sguardo, cercando di spiare al di là dei sedili davanti. Ancora nessuna reazione da parte dei genitori della giovane.
<< Ascolta, piccola... >>
<< Gabi! >>
<< Gabi. Non ci sono altri bambini con i quali puoi giocare, qui sopra? >>
La bambina scrollò la testa a labbra strette, facendo danzare i riccioli.
<< Oggi non ci sono bambini. Siete pochi e nessuno vuole parlare con me. >> disse con tono lamentoso.
L'uomo fece un sorriso di circostanza.
<< Sai, non è obbligatorio parlare. >>
Gabi lo osservò con espressione improvvisamente seria. John ebbe come l'impressione che sembrasse molto più grande rispetto ad un attimo prima.
<< Immagino di no... >> fece con un filo di voce. Si abbassò, tornando seduta al suo posto e sparendo dalla vista.
L'altro rimase interdetto.
Non ci aveva mai saputo fare con i bambini.
Tornò ad osservare il giornale, guardando attentamente le lettere che componevano il titolo.
Le guardava ma non le leggeva.
La mente era altrove, inquieta.
Forse era per quella ragione che lui e Linda per tanto tempo non si erano parlati?
Forse in fondo, nonostante avesse passato anni a negarlo, era stata colpa sua.
Quella povera ragazza, così piccola e fragile, così simile a sua moglie. Quante volte l'aveva cercato, senza che lui se ne accorgesse?
Aveva attirato la sua attenzione solo il giorno in cui, varcando la soglia di casa, aveva semplicemente detto “papà, io me ne vado”.
Ancora si dava dello stupido per non aver tentato di fermarla.
<< Mi dici dove stai andando? >>
John trasalì, sentendo il cuore arrivargli fino in gola.
Gabi si era alzata dal suo posto e senza fare alcun tipo di rumore era andata a sedersi accanto a lui.
Il giaccone dell'uomo ora giaceva spiegazzato sotto la bambina, e al pari di un cuscinetto la rendeva un po' più alta.
<< Oh, per la miseria! >> sbottò lui ad alta voce.
<< Non hai nessun altro da infastidire?! >> e detto questo si alzò di botto, piegandosi verso i sedili davanti.
Nella sua testa stava prendendo forma il discorso che avrebbe fatto ai genitori della bambina, ma quel discorso si bloccò di colpo e andò rapidamente a sparire: i posti erano vuoti.
<< Dove...dove? >>
Si voltò verso di lei.
<< Io viaggio da sola. >> disse la piccola con tranquillità.
<< Da sola...ma, come può essere? >>
John era sprofondato nuovamente nel suo posto e si era tolto la bombetta, rivelando la nuca quasi del tutto priva di capelli.
Gabi si strinse nelle spalle.
<< So cavarmela, non ho bisogno di genitori. >>
Lui sospirò.
<< E' così, vero? >> sussurrò con un filo di voce, mentre osservava le gocce cadere rapide sul vetro dell'oblò.
<< Però fa male saperlo, sai? Per un genitore è doloroso. >>
Era seguita una lunga pausa.
Tutt'intorno a John era diventato estremamente silenzioso, sembrava che nemmeno l'autobus facesse più rumore mentre si muoveva.
<< Quindi dov'è che stai andando? >> chiese infine Gabi.
Lui sorrise malinconico.
<< New York. >>
<< E perché vai a New York? >>
Il sorriso dell'uomo si allargò.
<< Vado a passare il Natale con mia figlia e i miei nipoti. E' il primo Natale che passeremo insieme dopo tanto tempo. >>
La bambina inclinò la testa da un lato.
<< E perché? >>
Lo sguardo di John, che si era disteso poco prima, tornò ad indurirsi.
<< Questi non sono affari che riguardano una ragazzina! >> fece, alzando la voce.
Con mani tremanti chiuse definitivamente il quotidiano e indicò i posti vuoti.
<< Tornatene seduta là davanti, smetti di seccarmi! >>
L'uomo ebbe nuovamente l'impressione che Gabi fosse cambiata totalmente. Non era spaventata o triste di quella sua reazione. Solo seria.
Non gli disse nulla. Si alzò silenziosamente e sparì dalla sua visuale.
John emise un sospiro di frustrazione, tornando a guardare la pioggia che cadeva.
Maledetto il momento in cui aveva accettato di salire su quell'autobus; in fondo New York non era poi così lontana. Avrebbe potuto chiedere all'autista di fermarsi.
Quella ragazzina e le sue domande. Cosa si aspettava? Che lui le raccontasse le più grandi vergogne della sua vita?
Probabilmente non aveva nemmeno l'età per comprenderle.
Ancora una volta gli venne in mente Linda.
Ripensò a quanto fosse stata significativa, circa due anni prima, quella singola telefonata.
Poche parole, così difficili da pronunciare.

Voglio vederti, vorrei conoscere i miei nipoti. ”
Pareva buffo che una semplice frase potesse rimettere insieme i pezzi di qualcosa che sembrava perduto per sempre.
Con la coda dell'occhio John vide qualcosa muoversi alla sua destra. Si voltò di colpo pensando di ritrovarsi davanti la bambina, ma non fu così.
Magra, alta, ricurva, una donna si era avvicinata al suo posto.
Era la stessa ragazza che aveva visto appena era salito.
<< Mi scusi, posso...posso sedermi qui? >> chiese con un filo di voce. Teneva lo sguardo puntato verso il pavimento e si grattava l'avambraccio con nervosismo.
Mill si affrettò a togliere il giaccone stropicciato dal posto accanto al suo e se lo posò sulle gambe.
L'uomo la osservò attentamente.
Era sicuramente molto più giovane di lui, ma non si poteva certo definire una ragazzina: leggere rughe erano già spuntate intorno agli occhi, e vicino all'attaccatura dei capelli se ne poteva notare qualcuno bianco.
Era pallida, dall'aria stanca e confusa; si guardava intorno come se non avesse bene la percezione di dove si trovasse.
<< Tutto bene, signora? >>
Lei annuì, senza guardarlo.
Si sedette nel posto accanto, anche se i suoi movimenti sgraziati diedero all'uomo l'impressione che ci stesse cadendo sopra, più che sedercisi.
John continuò ad osservarla con preoccupazione, mentre lei lanciava occhiate verso l'esterno, mordicchiandosi le unghie di una mano.
In altre circostanze lui avrebbe evitato di conversare con il vicino di posto, specie se questo aveva l'aria di non starci troppo con la testa, ma quella donna aveva qualcosa di particolare.
Sentiva di volerla aiutare.
<< Dove sta andando? >> chiese, sforzandosi in un sorriso.
Finalmente lei lo guardò.
Aveva gli occhi azzurri, cerchiati come se non dormisse da settimane.
<< Cerco un meccanico. >> disse con un filo di voce.
John sollevò un sopracciglio.
<< Un meccanico? >>
<< Si...Si! Un meccanico! Perché... >> fece lei trafelata, indicando verso l'esterno.
<< La mia macchina...la mia macchina ha fatto un incidente. Non parte più. Ho bisogno...di un meccanico. >> continuò, ritornando con ogni parola sempre più nell'apatia.
L'uomo non seppe spiegare a sé stesso il gesto che compì subito dopo. Prese la mano tremante della donna tra le sue e la strinse.
Era molto fredda.
<< Non si preoccupi, ci sarà un meccanico appena arriveremo in città. >>
<< Io...non l'ho visto arrivare. E' spuntato fuori dal nulla... >> continuò lei, come se non l'avesse sentito.
<< Ho provato a frenare ma...non sono riuscita ad evitarlo....ora ho bisogno di un meccanico. >>
Detto questo si alzò di colpo, liberando la mano di scatto dalla presa di John.
<< Non posso aspettare! Si fermi! Si fermi! >> urlò, andando a picchiare con un pugno contro il vetro dell'autista.
L'autobus si fermò dopo un cigolio prolungato.
Il ragazzo alla guida guardò la donna con un'espressione indecifrabile.
<< E' sicura di voler scendere? >> domandò serio.
<< Questa linea non passa spesso, e con questo buio e la pioggia scrosciante...dubito che riuscirei a vederla o sentirla, anche se volesse risalire. >>
Seguì un lungo momento di silenzio. L'autista fisso la passeggera, ed ella lo fissò di rimando.
<< Si... >> rispose infine lei, roca.
<< Io devo scendere, devo trovare un dottore... >>
<< Un meccanico. >> la corresse lui, con un sorriso malinconico.
Lei trasalì.
<< Un meccanico! Si, devo trovare un meccanico. >>
Le porte dell'autobus si aprirono con uno scatto, facendo entrare un soffio di aria gelida.
La donna scese dalla vettura con passi lenti; e quando le porte si furono richiuse, giusto un istante prima di sparire dal campo visivo di John, lei si voltò a guardarlo.
<< Mi dispiace. >> mimò silenziosa con le labbra.
Poi la vettura ripartì.
L'uomo rimase con gli occhi incollati al punto in cui l'aveva vista per l'ultima volta.
Aveva avvertito come una forte fitta al petto, che gli aveva mozzato il respiro.
Un fischio, da prima leggero, poi sempre più forte, gli aveva riempito le orecchie. Era un suono acuto e sgraziato, doloroso, al punto da fargli serrare le palpebre.
Ricordava terribilmente il rumore che facevano gli pneumatici contro l'asfalto durante una frenata improvvisa.
John riaprì gli occhi.
Stava sudando freddo e tremava.
Nel posto accanto al suo, seduta comodamente sul suo giaccone con le gambe che penzolavano nel nulla, si trovava Gabi. Era come se non si fosse mai spostata da lì.
Guardava in direzione delle porte.
<< Ogni tanto capita, sai? >> disse la bambina.
Nel farlo si voltò verso di lui.
<< Le persone sono confuse, impaurite, e quindi decidono di scendere...quando iniziano a ricordare. >>
John Mill sentiva un dolore lancinante nelle tempie.
Le sue mani erano intorpidite come se fosse rimasto immobile per tantissimo tempo. Aveva freddo.
<< Quando iniziano a ricordare...cosa? >> chiese perplesso.
Gabi gli rivolse il medesimo sorriso malinconico che l'autista aveva mostrato alla donna.
<< Davvero non lo sai? >>
La bambina raccolse il quotidiano abbandonato tra i due sedili.
<< Voi spesso guardate le cose che vi circondano, ma vi rifiutate di vederle per come sono in realtà. Credo che vi spaventi troppo. >>
Con quelle parole lo porse a John.
L'uomo rimase interdetto da quel gesto. Prese il giornale tra le mani e provò, per l'ennesima volta, a leggere il titolo della prima pagina.
Inizialmente ebbe l'impressione di essere troppo preso dai suoi pensieri per concentrarsi sulla lettura, ma quando si soffermò con maggiore attenzione sulle parole si rese conto di come queste non avessero il minimo senso.
Erano semplicemente un'accozzaglia di lettere buttate a caso, impronunciabili, che non ricordavano assolutamente alcuna lingua conosciuta.
Pure le immagini allegate agli articoli non erano altro che forme stilizzate e astratte.
Mill avvertì la fitta alla testa farsi più forte.
<< No...non è possibile. >> balbettò.
Sentiva di essere spaventato, terribilmente spaventato.
Forse non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua, un terrore da togliere il fiato. In quel momento John Mill, settantaquattro anni compiuti da poco, non stava respirando.
<< ”Non è possibile”, “non può essere”, “non voglio”. Quando iniziate a capire dite tutti così. >> commentò Gabi, riprendendosi il quotidiano. Lui glielo lasciò prendere senza muovere un muscolo.
<< Alcuni, come quella donna, decidono di scendere dall'autobus. Pensano che, in qualche modo, riusciranno a ritrovare la strada di casa. Ma la maggior parte di loro finisce per perdersi. >>
La mente dell'uomo era affollata di domande, eppure al tempo stesso era come se non stesse pensando a nulla. Si sentiva bloccato, con i muscoli intorpiditi, gli arti congelati.
Con un enorme sforzo riuscì a formulare un pensiero, forse addirittura il pensiero che aveva tenuto nascosto a sé stesso.
Com'era finito in quella strada buia, a camminare sotto la pioggia?
Sentiva la sua mente andare a fuoco; il dolore alla testa si era propagato fin intorno agli occhi. Era come accecato, non vedeva più nulla.
Un'altra domanda si formò spontaneamente.
Accecato da cosa?
John ignorò il dolore, costringendosi ad andare fino al limite; era sicuro che questa cosa l'avrebbe distrutto.
Invece, contro ogni logica, non accadde.
Davanti ai suoi occhi apparve una forte luce, che lentamente perse intensità; man mano che il bagliore diminuiva davanti a lui si presentavano nuovi particolari.
Da prima apparvero due fanali, poi il cofano di un'auto, poi l'intera vettura con il conducente ben visibile dal parabrezza.
L'uomo la riconobbe: era la donna che si era seduta accanto a lui. Si trovava congelata in un istante, gli occhi sbarrati dalla sorpresa e la bocca spalancata in un urlo muto.
L'intero ambiente era come un video messo in pausa.
Poi, tutto ripartì.
La luce dei fanali lo accecò, tutta la scena sparì in un istante, accompagnata da un forte cigolio.
John Mill si ritrovò di nuovo sull'autobus.
<< Ora capisci, non è vero? >>
Gabi gli sorrise.
Lui guardò fuori dal finestrino dalla forma di oblò.
Continuava a piovere, tutta la strada era avvolta nel buio.
<< Ma io...devo andare a New York. >> sussurrò.
<< Mia figlia, i miei nipoti. Gli avevo promesso che sarei andato. >>
La bambina cercò il suo sguardo, piegandosi verso di lui.
<< Pensi che non capirebbero? Non ti perdonerebbero per non essere andato? >> domandò lei.
L'autobus frenò dolcemente e si fermò sul ciglio della strada.
L'autista aprì le porte.
<< Se vuoi scendere... >> continuò Gabi.
<< ...puoi farlo. Io non obbligo nessuno a rimanere, deve essere una tua scelta. >>
John guardò in direzione della porta per un lungo momento.
Magari, con un po' di fortuna, sarebbe riuscito ad arrivare a New York.
Avrebbe visto Linda e i ragazzi da lontano; e poi avrebbe continuato a camminare sotto la pioggia.
Era la scelta giusta, non era forse l'unica cosa che avrebbe potuto fare?
Tuttavia, nella sua testa, tornarono a farsi sentire le parole di quella telefonata.

<< Pronto? >>
<< Linda? Ciao...sono papà. >>
<< Oh. Ciao papà. Quanto tempo... >>
<< Mi fa piacere sentirti. Scusa se non ho chiamato...sai, dopo che tua madre se n'è andata...ecco...era lei a tenere insieme i pezzi e io...mi sentivo di troppo. >>
<< Di troppo? No, non è così. Mi dispiace che tu l'abbia pensato. >>
<< Comunque se ti chiamo è perché...Voglio vederti. Vorrei conoscere i miei nipoti. >>
La voce dall'altro capo cominciò a piangere.
<< Mi farebbe molto piacere. >>

<< Certo che capirebbero. >> disse John, con un sorriso sulle labbra e gli occhi lucidi.
<< Mi perdonerebbero senza nemmeno pensarci. Mia figlia l'ha già fatto. E i miei nipoti...oh, dovresti vederli. Sono proprio come lei. >>
Una risata gioviale gli uscì spontanea dalle labbra e una lacrima solitaria calò sulla sua guancia.
<< Sono così in gamba. Se la caveranno, se la caveranno alla grande. >>
Le porte si richiusero e l'autobus ripartì.
Gabi gli mostrò un grande sorriso. Appoggiò la testa bionda e piena di riccioli al petto dell'uomo e chiuse gli occhi.
<< Mettiamoci comodi allora, sarà un viaggio lungo. >>
Lui le circondò le spalle con un braccio, stringendola a sé.
<< Si lo so, il più lungo mai fatto. >>

Dedicato a Beppe Quaglia. Ti mando un bacio, nonno, ovunque tu sia.

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