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Autore: MusicDanceRomance    31/03/2020    28 recensioni
"Un esserino infagottato, generato nella colpa, partorito nella fretta.
La vergogna.
Ecco cos’era quella creatura biondina che le avevano posato sul cuore dopo un parto carico di sofferenze.
Madre.
Gabrielle aveva rifiutato di tenere in braccio troppo a lungo il frutto del suo peccato.
Era la figlia di lui."
Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2022 indetti sul Forum "Ferisce più la penna".
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Contessa di Polignac, Rosalie Lamorlière
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ieri


Un esserino infagottato, generato nella colpa, partorito nella fretta.
La vergogna.
Ecco cos’era quella creatura biondina che le avevano posato sul cuore dopo un parto carico di sofferenze.
Madre.
Gabrielle aveva rifiutato di tenere in braccio troppo a lungo il frutto del suo peccato.
Era la figlia di lui.
Le avevano detto che era una femmina.
“Peggio per lei, noi donne non abbiamo scelta.” aveva mormorato con rabbiosa convinzione.
Dopo avere stretto la bambina a sé neppure per un minuto, subito l’aveva affidata alle cure di una balia e aveva ordinato alla sua cameriera di fiducia che andassero a chiamare la povera donna alla quale l’avrebbero affidata.
Gabrielle si era raggomitolata nel letto. Aveva cercato di ignorare i primi strilli della piccina, che erano cominciati da quando era stata passata alla balia. Forse la neonata voleva ancora rimanere tra le braccia di Gabrielle perché l’aveva riconosciuta.
Le braccia di una madre.
“Portatela via, non voglio vederla!” aveva ordinato con voce quasi strozzata.
Le cameriere fidate, la levatrice e la balia, non appena era stato possibile, avevano obbedito a quel comando impenetrabile. Non riuscivano a comprendere se la contessina fosse profondamente pentita dello sbaglio carnale commesso o se fosse straziata al pensiero di dover dare via la sua bambina.
Rimasta sola, Gabrielle aveva affondato la testa nel cuscino e si era messa a urlare tutto il disgusto che provava verso la vita e verso la sua sete di ricchezza, che non l’avrebbero mai fermata, al costo di sacrificare l’amore, al costo di sacrificare la sua natura, perché ormai era una madre.
Aveva riempito le lenzuola di lacrime amare e aveva annientato il suo istinto con una rabbia di fuoco.


Yolande Martine Gabrielle De Polastron, chiamata Gabrielle come d’usanza tra gli aristocratici, era cresciuta a Noueilles, in un castello di famiglia tormentato dai debiti e minacciato dalle ombre della povertà.
Aveva vissuto senza madre, perché la sua era spirata quando lei non aveva che tre anni. Era stata allevata ed educata da un padre intransigente che le aveva inculcato la passione per il predominio e che aveva programmato fin dalla sua infanzia per lei un matrimonio adeguato.
“Impara, figlia mia, che nella vita il tuo unico amore dovrà essere il potere.”
A quindici anni Gabrielle non era stata in grado di concepire un’idea definita del potere, perché esso era un dettaglio sfuggente che necessitava di esperienza e piani elaborati per farsi raggiungere.
La ricchezza era un sogno fugace, quasi un estraneo da attendere al passo, mentre l’unica certezza di cui alimentarsi nell’estate dei suoi quindici anni rispondeva all’amore di Jules.
Jules, nient’altro che un contadino, un giovane che l’aveva inseguita senza mascherare i sentimenti che nutriva per lei, perché i sentimenti, come aveva ripetuto perennemente alla sua contessina, erano l’unica cosa a contare nella vita, e non il lusso spietato.
Un velo ipnotico aveva costretto Gabrielle a correre nelle stalle e ad incontrarsi col figlio del fattore per un’intera calda stagione. Si era fatta desiderare da Jules, ma non a sufficienza per impedirgli di ottenere il suo cuore e il suo corpo dopo due mesi di amicizia segreta.
Avevano trascorso un’estate intera trovando rifugi nel bosco che circoscriveva il castello, nel silenzio delle stalle isolate, nell’abbraccio di un prato fiorito.
Tre mesi in cui Gabrielle aveva compreso cosa significasse bruciare.
Bruciare d’amore, di desiderio, di voglia di assaporare la felicità. Aveva scoperto che i baci di Jules erano più delicati della seta dei suoi vestiti, e che preferiva rotolare nel fieno con lui piuttosto che sonnecchiare nelle sue raffinate stanze private. Aveva capito che le mani di Jules erano forti ed erano le uniche che avrebbe voluto su di sé e che preferiva fare l’amore col figlio del fattore piuttosto che ricevere in dono gioielli dal suo promesso sposo aristocratico.
Gabrielle aveva vissuto una calda stagione nell’intensità di un sentimento che pareva straripare d’infinito.
Fino a quando non aveva scoperto di essere incinta, e allora la furia del padre aveva soppresso i suoi sogni e l’avanzare di due donne con ferri di morte nelle mani l’aveva fatta impallidire al pensiero che le venisse estratto dal ventre il frutto di un amore proibito.
Lì Gabrielle aveva supplicato il padre di concederle una sola occasione: un matrimonio di prestigio sarebbe stato il primo lancio verso i loro scopi di ricchezza, così avrebbe consacrato l’intera esistenza a riottenere gli agi che gli antenati si erano mangiati con la stupidaggine e le sfortune. Avrebbe rinunciato ad ogni sogno, all’amore e ad un figlio, li avrebbe dimenticati per sempre. Soprattutto, aveva giurato in ginocchio che un giorno avrebbe ripagato il genitore con oro e proprietà per la sua tolleranza.
Il padre aveva ceduto, se non altro perché sua figlia era merce preziosa e i Polignac avrebbero potuto risanare le finanze disastrose in cui versavano i De Polastron.


Ora che Gabrielle aveva consegnato ad un’umile popolana il frutto dei suoi sogni, ora che Jules era scappato per evitare di venire ucciso dal nobile De Polastron, la contessina Martine Gabrielle fissava per l’ultima volta la creatura che strillava e che aveva mosso una minuscola mano verso di lei, quasi a volerle ricordare: “Tu sei mia madre, non mi abbandonare.”
No, Gabrielle non era una madre, né lo sarebbe mai stata per quella bambina, una macchia da cancellare.
Gabrielle avrebbe avuto altri figli, che sarebbero nati nel lusso e con privilegi. Bambini generati da un gelido contratto e non da un sentimento febbricitante.
Alla figlia ancora senza nome del contadino Jules non sarebbero spettati che miseria e dolore per l’intera esistenza.
“Ti auguro di sopravvivere in questo mondo spietato, bambina mia.” aveva sussurrato mentre lottava per trattenere le lacrime che volevano esploderle dagli occhi.
Forse mentre fissava quella neonata che strillava tra le braccia di un’altra e che aveva perduto per sempre senza permettersi di amarla, Gabrielle era consapevole che un pezzo del suo cuore si era ghiacciato e spezzettato definitivamente. La parte migliore di sé, la parte che aveva creduto nell’amore e nella libertà.
Ma lei non sarebbe stata una madre in quel modo.
Aveva una promessa da portare a termine. Avrebbe inseguito la ricchezza e il prestigio a costo di uccidere, sterminare e massacrare chiunque si fosse frapposto tra lei e il potere.
Non era tempo di essere madre.




 
Oggi


Rosalie scruta con biasimo la contessa di Polignac.
Si rifiuta di chiamarla madre.
Versailles è il diamante dell’Europa. Una corte che non risparmia intrighi, sembra vivere di sotterfugi e pettegolezzi, e Rosalie sa bene che i sussurri più vivaci non risparmiano il rapporto tanto invidiato tra la splendida regina Maria Antonietta e la sua più cara amica, la contessa di Polignac.
Rosalie si è trasferita a Versailles da poco tempo, ma ha già saputo distinguersi per la gentilezza che rivolge ai servitori. Li tratta come suoi pari e li ringrazia per il lavoro che svolgono.
Può vivere nel lusso sfrenato dopo aver conosciuto i crampi della fame, ma rimane col cuore a pezzi. È dovuta sottostare ad un ricatto tremendo per salvare madamigella Oscar.
È stata costretta a vivere con la sua vera madre.
Non sa cosa farsene degli sfarzi di Versailles, si considererà sempre una figlia del popolo ed è tra il suo popolo che vorrebbe tornare.
La contessa di Polignac sopraggiunge per fissarla in modo imperscrutabile, la studia tenendo il ventaglio chiuso in una mano e aprendolo di colpo in segno di approvazione, come se dovesse valutare il pregio della figlia che ha ritrovato dopo vent’anni.
“La tua condotta è poco consona alla tua posizione, mia cara.” le spiega la contessa “Non prestare attenzione a cameriere e servitori. Tu sei mia figlia.”
Rosalie stringe i pugni. Ha giurato, per proteggere madamigella Oscar, di non ribellarsi e di sopportare, ma non sa quanto ancora riuscirà a resistere a quella girandola di menzogne.
Perché la corte di Versailles non è che la cornice di una massiccia bugia, per lei.
La contessa di Polignac, la donna più potente della reggia, sorride all’unica figlia che le è sopravvissuta, quella che considerava perduta e che aveva dimenticato di amare:
“Sei bella. Come me. Tra due giorni conoscerai il tuo futuro marito.”
A quell’affermazione Rosalie non riesce a contenersi. Esplode, una furia cieca:
“Non voglio sposarmi così. Voglio sposarmi per amore!”
La contessa sfida lo sguardo della figlia ribelle:
“Il tuo unico amore, mi diceva tuo nonno, dovrà essere il potere.” scandisce lentamente.
“I sentimenti sono l’unica cosa a contare nella vita, non il vostro lusso!” esclama Rosalie.
In quel momento un ricordo lontano trafigge la contessa di Polignac.
La nobildonna corre indietro nel tempo, al sussurro di notti segrete, passate a consumarsi d’amore sotto un tetto di stelle, quando il suo primo amante, l’unico uomo che abbia mai amato, il padre di Rosalie, le ripeteva che l’amore era più forte del potere.
Ma è un istante rinnegato, la contessa non può cedere, intende rendere sua figlia esattamente come lei:
“Un giorno mi capirai e mi ringrazierai. Impara a non contraddire tua madre!”
Rosalie si morde le labbra e non riesce a trattenere tutto il rancore che prova verso quella che per lei è solamente un’assassina:
“Avevate detto le stesse parole a Charlotte? Per questo si è uccisa a undici anni? Non è così che si comporta una madre!”
Rosalie trema, vede la contessa di Polignac irrigidirsi. Si allontana da lei rivolgendole un ultimo sguardo, ma tutto quello che la contessa di Polignac legge nei suoi occhi è l’estrema consapevolezza che le rimane: disprezzo.
La contessa ascolta i singhiozzi sommessi di Rosalie e accetta di rimanere sola con sé stessa. Sola coi suoi rimorsi e i suoi fantasmi del passato.
È pronta a farsi giudicare dal tribunale peggiore, quello della maternità mai vissuta.
La sentenza la raggiunge con una rapidità spietata.
Lei ha già perso Rosalie molti anni prima, quando l’ha lasciata tra le braccia di quell’umile popolana. Capisce, da come la ragazza trattiene le lacrime, dalla sua infelicità profonda e dal disdegno che Rosalie non cerca neppure di nascondere, che il tempo delle possibilità tra loro due è scaduto.
Ormai la contessa di Polignac non potrà più essere sua madre.












Nda
Il rapporto tra la contessa e Rosalie non è mai stato molto approfondito nell’anime, ma la scena in cui la contessa scopre che Rosalie è sua figlia e piange per tutta la notte mi ha sempre colpita e mi ha fatto pensare: “Ma un briciolo di cuore di madre ce lo deve avere!”
Anche se poi Rosalie scapperà perché la sete di potere ha ormai distrutto la contessa. Rosalie, anche se non sembra, è un personaggio molto coraggioso, tanto è vero che fugge e torna tra il popolo e non è un caso che sposi un uomo valoroso come Bernard. Ce la vedo a ribellarsi alle imposizioni, se necessario.
Entrambe sono dei personaggi dalla psicologia molto interessante che possono offrire vari spunti. Spero che questa storia vi sia piaciuta!
   
 
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