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Autore: Lady Mnemosyne    01/04/2020    2 recensioni
– E va bene – si arrese – Monica mi ha lasciata […] Dice di aver trovato il suo vero amore e che io non la faccio sentire come la fa sentire lui. –
Così tu cerchi di raccogliere i pezzi e rimetterli insieme, ma forse non è il caso di riprovarci di nuovo, forse è meglio lasciar perdere, è più sicuro. Ma mentre tu cerchi di chiudere tutto in un forziere ventimila leghe sotto i mari, una dolce sirena, che ti incanta con quella stessa musica che tu ti vanti di saper cantare così bene, ti si fa vicina e ti distrae, è sul punto di farti cambiare idea…
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7. When I’m over You


Il tavolo rotondo del soggiorno era completamente coperto di fogli, spartiti e appunti di varia natura, in mezzo ai quali il computer portatile stava ormai per affondare. Fuori pioveva letteralmente a secchiate, con tanto di tuoni e fulmini, che stavano facendo uscire di testa Fifì, il gatto tigrato grigio di Enrico.
– Oh, povero micio – disse Lei prendendolo in braccio – Stai un po’ qui con la zia, vedrai che questi brutti rumori non ti faranno nulla. –
Fifì miagolava irrequieto, ma, dopo qualche carezza dietro le orecchie, decise che sulle gambe della ragazza non si stava poi troppo scomodi, così si acciambellò, mantenendo tuttavia le orecchie bene aperte.
– Sei davvero micidiale, non capisco come tu faccia – esclamò Enrico con una punta di indignazione.
– È semplice: sono un gatto anch’io! – rispose Lei, facendo ripartire la canzone sul portatile. Enrico sbuffò: – Ovvio, come ho fatto a non pensarci… –
Si trovavano a casa di Enrico per preparare gli arrangiamenti per la successiva esibizione, come sempre. Erano loro infatti ad occuparsi di trascrivere accordi e basi e verificare di volta in volta le versioni che reperivano su internet, spesso piene di errori o non del tutto soddisfacenti. Siccome si trattava di un lavoro faticoso e orrendamente noioso, Lei aveva preso l’abitudine, per rendere la cosa più piacevole, di chiedere una mano ad Enrico, che inoltre, pur non avendo mai realmente studiato musica, era dotato di un orecchio sopraffino e aveva spesso delle idee brillanti per rendere più originali gli arrangiamenti. Ecco perché era seduta nell’elegante soggiorno di Villa Chiara, sì: nella famiglia di Enrico erano affermati chirurghi da generazioni e di certo di soldi ne avevano. Potete immaginare la reazione di tutti quando il povero ragazzo si rifiutò di iscriversi a medicina… poco ci mancò che lo cacciassero di casa con tanto di diseredazione ed eliminazione dall’albero genealogico. Ragion per cui Enrico metteva a disposizione la villa per questi incontri solo quando tutti, ad eccezione di Fifì, erano fuori, visto che i componenti del Poker erano malvisti in quanto ritenuti colpevoli di aver traviato il promettente rampollo di famiglia.
– Questa parte non mi convince – disse lei poco dopo, brandendo una matita – C’è qualcosa che manca. –
Rimasero entrambi in silenzio per ascoltare attentamente le battute incriminate.
– Mmh, e se provassimo così? – disse Enrico, rubandole la matita dalle dita e correggendo un accordo sullo spartito che avevano di fronte.
– Potrebbe funzionare… – rispose Lei pensierosa e stava già per alzarsi per raggiungere il piano, quando realizzò che Fifì le era ancora acciambellato in braccio, una tiepida copertina in modalità fusa.
– Va bene se proviamo tutto insieme alla fine? – chiese con un sorrisino furbetto ed Enrico rise: – Certo, tranquilla. –
Lavorarono concentrati per qualche altro minuto, poi Enrico non riuscì proprio più a trattenersi:
– Senti ma... chi è quella ragazza che volevi evitare l’altra sera? –
Lei si voltò con aria perplessa: – E perché mai ti interessa –
– Beh, ho pensato che, se cercavi in tutti i modi di scappare, ci doveva pur essere un motivo. –
Lei si voltò di nuovo verso lo schermo per riavvolgere la canzone fino al punto che le interessava.
– È solo una che mi ha fermata una volta all’Accademia per chiedermi di collaborare al suo progetto – bofonchiò svogliatamente.
– Ah sì? Di che si tratta? – insistette Enrico sorridendo. Era evidente che l’argomento la metteva in qualche modo a disagio e non poteva resistere all’impulso di stuzzicarla.
– Un confronto tra fotografia e pittura o qualcosa del genere – rispose Lei, senza voltarsi a guardarlo ma continuando ad armeggiare con il portatile.
– Sembra interessante. –
– Sì, può darsi – minimizzò Lei, poi finalmente lasciò perdere lo schermo e si voltò – Scusa ma stai raccogliendo informazioni per Dado o cosa? – ora la sua voce tradiva un evidente fastidio. Enrico rise:
– No, non penso che abbia bisogno del mio aiuto: non le ha dato tregua per tutta la sera. –
– Poverina –
– Sembrava abbastanza giù quando è rientrata, le hai detto di no? –
– Sì, non ho proprio voglia di impelagarmi in una cosa del genere. –
– Ma dai! Suonava bene come idea… –
Lei sbuffò spazientita: – Senti, se stai cercando di farmi venire i sensi di colpa, sappi che non funzionerà. Li ho già messi a tacere di persona. –
– Okay okay, come vuoi – alzò le mani Enrico – Intendevo solo dire che mi sembra un peccato perdere questa occasione, tutto qui. –
A quel punto sbottò: – Si può sapere cosa ci trovate tutti di così interessante? Anche Anita non fa che insistere da quando ci ho palato la prima volta. Non ho bisogno di distrarmi con un’altra ragazza, chiaro? –
Era decisamente irritata, così Enrico cercò di rimediare: – In realtà io pensavo di più al lato artistico in sé che non alla ragazza. Non ho mai pensato che tu fossi così superficiale. –
Lei si voltò per guardarlo negli occhi e quello sguardo sincero, che sembrava quasi chiedere scusa, fece scivolare via l’espressione corrucciata dal suo viso.
– Le ho già detto di no e non ho intenzione di rimangiarmi la parola – disse ferma, senza distogliere lo sguardo.
– D’accordo, ma io non ho dato nessuna parola… – disse Enrico e con un balzo afferrò il telefono abbandonato sul tavolo e corse via. Lei scattò in piedi, lasciando cadere Fifì, che lanciò un acido miagolio di protesta, e tuonò, più minacciosa dei tuoni del temporale:
– Non ti azzardare. –
Lo rincorse su per le scale, ma la porta della camera le sbattè sul naso.
– Apri immediatamente questa porta. –
– Mmh… no! – fece con una vocina da femminuccia.
– Tanto è inutile, non ho il suo numero, non puoi fare nulla – disse più a se stessa che a lui.
– Ma io il suo numero ce l’ho… –
Una lista interminabile di imprecazioni le attraversò la mente.
– Oh andiamo, stai bluffando. E comunque non avresti il coraggio di farlo – disse, cercando di mantenere la calma. Da dentro intanto non giungeva nessun rumore, così picchiò forte sulla porta:
– Oh che fai? Apri o no? –
Poco dopo Enrico si decise ad uscire e le porse indietro il telefono, con lo schermo ancora acceso:
Ciao! Senti ci ho riflettuto su e ho cambiato idea: voglio partecipare al progetto, se sono ancora in tempo.
Impiegò qualche secondo a rendersi conto che ciò che stava leggendo era reale, ma quando finalmente elaborò il tutto, disse, con un filo di voce appena percepibile:
– Puoi considerarti morto, Enrico. –

Quando Federico si presentò ad aprire, Lei era letteralmente nera di rabbia.
– Tu sei un figlio di puttana – ringhiò. Federico si lasciò sfuggire una risata:
– Quindi l’ha fatto veramente? Non pensavo. –
Lei lanciava ancora saette dagli occhi, perciò cercò di contenere l’entusiasmo.
– Vuoi entrare o sei troppo incazzata per sopportare di stare nella mia stessa stanza? –
Lei continuò a guardarlo con occhi infuocati e fece qualche passo avanti, varcando la soglia.
– Esigo che tu mi racconti come vi è venuta questa cazzo di idea. – sibilò.
– D’accordo. Birretta fresca per raffreddare la situazione? – fece un tentativo, ma la sua espressione non accennava a cambiare neanche di un millimetro. Agguantò comunque due birre dal frigo e si accomodarono sul divano.
– Dalla gomitata che mi aveva rifilato Erri avevo capito che c’era qualcosa sotto, allora quando Ambra è tornata indietro dopo averti rincorsa, l’abbiamo messa un po’ in mezzo e ci siamo fatti raccontare . Avresti dovuto vedere come era giù, poretta. –
I suoi occhi ridotti a fessure gli scoccarono una freccia d’odio dritta in fronte, così si schiarì la voce e continuò.
– Abbiamo sguinzagliato Dado per rimediare il suo numero di telefono, poi Erri si è proposto per mettere in atto il piano. Dado ovviamente non era d’accordo a farsi soffiare la preda, però siamo riusciti a convincerlo che sarebbe stato un peccato perdere l’occasione di uno scherzo così bello, quindi ci ha dato il numero. Però non pensavo che Erri avrebbe avuto davvero le palle per farlo! – esclamò entusiasta. Lei gli piantò un pugno nel braccio.
– Brutti stronzi infami, tutti e tre – tuonò.
– Ahia! – protestò Federico.
– E adesso secondo voi io cosa dovrei fare?! –
Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e nascose la testa tra le mani.
– Impegnarti a fondo in questo fantastico progetto – rispose Federico, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Immediatamente un secondo pugno gli piombò sul braccio, sopra il precedente.
– Oh ma piantala! – protestò.
– Io devo piantarla?! Voi tre coglioni mi avete messo in ‘sto casino e io devo piantarla?! – gli urlò contro Lei.
– Guarda che la fai molto più grande di quello che è – le fece notare Federico, – È lei che deve fare il grosso del lavoro, visto che il progetto è suo; tu devi solo dipingere come fai sempre, nulla di più. –
– Sì, con un’estranea che mi fissa, scatta foto e magari fa pure domande – rispose Lei con tono funereo.
– È possibile. – si limitò a rispondere, in tutta semplicità.
Lo scontro si assestò per qualche secondo su un piatto silenzio, alquanto teso, finché Federico non riprese a parlare:
– Senti: non puoi continuare a fare la clausura e a uscire di casa solo per le prove e le lezioni. Hai bisogno di qualcosa che ti scuota un po’, che ti impegni e ti tenga attiva. Non puoi passare tutto il tuo tempo libero a fare l’ameba sul divano. –
– Non è vero, non.. – protestò Lei, ma Federico la mise a tacere con tono deciso:
– Ascoltami un attimo, non mi interrompere. –
Lei sbuffò, ma restò in silenzio a sorseggiare la sua birra, con un’espressione visibilmente imbronciata. Anche Federico bevve un sorso, poi continuò:
– Per una volta, fidati di me e lasciati aiutare: ti sei depressa abbastanza, ora è il momento giusto per ricominciare e questo progetto è l’ideale per rimetterti in moto. È ora di cacciare via Monica definitivamente. –
Quel nome la fece trasalire, come se pronunciarlo la rendesse reale e presente insieme a loro in quella stanza. Nonostante questo, le parole di Federico, pronunciate con quella voce maledettamente calma e convincente, avevano fatto sbollire all’improvviso buona parte della sua furia, così che si ritrovava a non sapere più come ribattere, perché il ragionamento era inattaccabile e lei sapeva perfettamente che il suo amico aveva ragione.
– Penso – disse senza guardarlo – che tu non abbia la più pallida idea di quanto tu sappia essere irritante, quando hai ragione. –
Solo quando ebbe pronunciato l’intera frase, si voltò, in tempo per vedere le labbra di Federico distendersi in un largo e compiaciuto sorriso:
– Ci voleva molto ad ammettere che era buna buona idea? – esclamò.
Lei gli fece la linguaccia, allora Federico la acciuffò e la strinse forte, spettinandole e capelli con la mano al grido di: – Vieni qui, maledetta testa dura! –
– Lasciami!! – urlò Lei divincolandosi, ma non poteva nulla contro la stazza di Federico, molto più alto e palestrato di lei. Quando finalmente allentò la presa e Lei riuscì a liberarsi, gli rivolse una cupa occhiata a sopraccigli aggrottati, sibilando un astioso: – Ti odio. –
Tuttavia bastò una risata di Federico a diradare definitivamente i residui di tempesta ancora impigliati sul suo viso e a convincerla a sua volta a sorridere.

Nonostante si fosse convinta e sopratutto rassegnata all’idea di collaborare al progetto, fu solo molto più tardi che riuscì a decidersi ad affrontare il fatto in prima persona, controllando la reazione di Ambra al messaggio.
Sdraiata sul proprio divano, con un’altra bottiglia di birra al fianco per darle man forte, sperò con tutto il cuore che avesse già trovato un sostituto e quindi non ci fosse più alcun bisogno del suo aiuto. Invocò così qualunque entità le venisse in mente, dalla fata madrina all’angelo custode, passando per la buona stella ed emanazioni annesse, finché la cruda realtà non eliminò qualunque speranza:
Ciao! Certo che sei ancora in tempo, assolutamente!
“Fantastico, un’altra patita dei punti esclamativi…”
Forse è più semplice vedersi per parlare del progetto, anzi che mandarsi messaggi. Che ne dici di prenderci un caffè?
In fin dei conti aveva senso, così accettò l’invito, e la risposta non tardò ad arrivare, cosa che le fece ricordare quell’atteggiamento febbrile che le aveva visto assumere anche di persona. Finirono per accordarsi per il giorno successivo a metà mattina in un bar del centro.
Mentre si rigirava tra le lenzuola si ritrovò a concludere che magari Enrico e Anita avevano ragione, che forse questo progetto poteva davvero essere stimolante e per la prima volta si scoprì persino curiosa di saperne di più, quasi ansiosa che l’indomani arrivasse. Tuttavia era piuttosto irritante dover ammettere che avevano ragione, dopo che si era tanto ostinata a sostenere il contrario, ma sicuramente il suo orgoglio sarebbe stato in grado di superare anche questo, con i suoi tempi.
Ciò che proprio non riusciva a togliersi dalla testa erano le parole di Federico, che continuavano a ronzarle nelle orecchie con una certa insistenza. Non si era mai resa conto fino in fondo di quanto fosse ancora legata a Monica finché Federico non ne aveva pronunciato il nome, al cui suono aveva reagito quasi come allo stridio delle unghie su una lavagna. Diamine… che illusa a credere di averla già quasi debellata, di averla ormai estirpata dal suo cuore come meritava, erbaccia malefica. Invece c’era ancora così tanta strada da fare che stava per perdere la determinazione e lasciar perdere. Ma no, dai, un passo alla volta si fa tutto, in fondo non c’era bisogno di correre. Tra l’altro sembrava proprio che quei bastardi dei suoi amici fossero tenacemente intenzionati ad aiutare…






 

Do the thing in a new way
Forget the words that I heard you saying
Tell myself it’s a new day, until it’s true








N.d.A. Mi scuso per l'imperdonabile ritardo nella publicazione, abbiate pazienza... Spero almeno che vi piaccia :)

 

   
 
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