Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Moonlight_Tsukiko    01/04/2020    1 recensioni
Eren Jaeger sogna di vivere in un mondo dove sua sorella è ancora viva e di non dover usare le sue preziose strategie di adattamento per provare qualcosa che non sia dolore. Ma la vita ha il suo modo per distruggere tutto ciò che vi è sul suo cammino, ed Eren si ritrova in una spirale dalla quale non sembra uscirà molto presto.
Come capitano della squadra di football della scuola superiore Shiganshina, Levi Ackerman sembra essere la colonna portante per i suoi compagni di squadra. Ma quando non è in campo e non ha indosso la sua maglia sportiva, diventa semplicemente Levi. Levi Ackerman forse sarà anche in grado di aiutare le altre persone, ma Levi certamente non può difendersi dallo zio alcoldipendente.
Nessun altro ha provato il loro dolore, nessun altro ha vissuto ciò che hanno vissuto loro, e nessun altro potrà mai capirli. Ma tutto cambia una volta che si stabilisce una relazione non convenzionale che li forza a mettere a nudo tutte le loro cicatrici.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Berthold Huber, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Levi Ackerman, Marco Bodt
Note: AU, OOC, Traduzione | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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Go Ahead and Cry, Little boy
Capitolo 12

Levi

Kenny ha metà bottiglia di birra vuota quando torno a casa. Non la sta bevendo. È seduto sulla poltrona del salotto, fissando un punto imprecisato. Afferro le stringhe dello zaino e rimango fermo sulla soglia della porta.

La testa di Kenny crolla in avanti e il suo mento colpisce il petto. Attraverso la stanza, completamente consapevole di star camminando in territorio insidioso; lui allenta la presa sulla bottiglia per poi poggiarla sul tavolino.

“Bentornato,” gracchia, alzando a fatica la testa. Trattengo uno sbuffo e lo fisso dall’alto.

“Non cominciare con queste stronzate,” borbotto facendo scorrere le dita tra i miei capelli.

“Ho visto la tua partita oggi,” mormora trascinando le parole con fatica, ed aggrotto la fronte.

“Impossibile.”

“Sì, invece,” dice, parlando ancora pigramente e raggiungendo di nuovo la bottiglia di birra. Non cerco di fermarlo. “Non ti avevo mai visto giocare.”

“Lo so,” rispondo incrociando le braccia al petto. “Perché-”

“Hai giocato bene,” mi interrompe bevendo un sorso dalla bottiglia. Assottiglio di occhi.

“Mi stai prendendo per il culo?”

“No,” risponde pensieroso.

“Come sei venuto a sapere della partita? Non ricordo di averti detto nulla.”

“Alcuni giocatori sono figli dei miei colleghi,” risponde.

Deglutisco e guardo altrove.

“Ehi, ragazzino.”

Lo guardo reclutante.

“Tua madre sarebbe stata fiera,” constata. Non riesco a capire se mi sta prendendo in giro oppure no.

“Che importanza ha?” Chiedo, girandomi. “È morta.”

“Levi.”

“Cosa c’è ora?” Lo guardo di nuovo, facendo aumentare l’opprimente sensazione che sento al petto. Non riesco a ignorarlo nonostante gli sforzi e più rimango qui, più questa sensazione fa male.

“Mi dispiace.”

Lo scruto attentamente. I suoi occhi sono rossi con due bottiglie di birra vuote ai piedi. Sembra sia a cinque secondi dall’addormentarsi. Sembra… patetico.

Non mi azzardo a dirglielo, però. Non ho tendenze suicide. Stavolta non è il classico alcolista ostile e di certo non lo voglio provocare. Se vuole fare il depresso, certamente io non lo fermo.

“Okay,” dico semplicemente. Kenny non dice altro. Mi fissa con quegli occhi penetranti. “Bene.”

Lo lascio così, ubriaco e mezzo addormentato e io non provo alcuna emozione.
 
***
 
Come predetto da Eren, Reiner è intenzionato a far sapere a tutti quanti, comprese le nonne di chiunque, della vittoria della nostra squadra. Cerco di calmarlo, ma è difficile quando è davanti a me di tre banchi, con voce talmente alta da sembrare un megafono.

“Davvero lo sta facendo anche ora?” Sussurra Marco accanto a me. Sbuffo e scuoto la testa.

“Sai com’è fatto.”

“Già,” scrolla le spalle Marco e si piega sul banco, picchiettando la punta della matita. “Ehi, cosa ti è successo venerdì? Sei scomparso finita la partita o cosa?”

Deglutisco a fatica e sollevo le spalle, evitando di guardarlo negli occhi a ogni costo.

“O cosa,” mormoro, basso abbastanza da non permettergli di sentirmi. Alzo la voce. “Perché, vi sono mancato o cosa?”

“O cosa,” mi imita, sorridendo quando gli dedico uno sguardo sorpreso.

“Non ne avevo voglia,” ammetto. “Feste e roba varia non sono la mia definizione di divertimento. Lo sai.”

“Sì, lo so,” risponde Marco, annuendo solennemente. “Specialmente dopo l’ultima festa…”

“Ah, già,” annuisco lentamente. “Diciamo che Eren è un tipo selvaggio.”

“È un modo carino di dirlo,” sorride Marco. “Ehi, gli hai più parlato dopo quella volta? So che l’hai invitato, ma ho pensato che ti sentissi solo in colpa nei suoi confronti per l’incidente negli spogliatoi.”

“Uh, sì, hai ragione,” alzo le spalle. “Ehi, non ti è mancato Bertholdt alla partita?”

Gli occhi di Marco si assottigliano impercettibilmente, ma non dice nulla riguardo il cambio drastico di argomento. Trattengo un sospiro di sollievo.

“Sì, sembrava mancasse qualcosa,” scuote la testa. “Nessuno l’ha mai nemmeno nominato. Neanche Reiner.”

“Beh, ne sei sorpreso?” Osservo, sollevando un sopracciglio. “È… Reiner.”

“Giusto,” risponde lentamente Marco.

L’insegnate di matematica fa il suo ingresso in aula, quindi giro la testa per guardare la lavagna. Percepisco Marco osservarmi ed è irritante. Ma, per mia fortuna, non insiste. Non lo fa mai, e non ne sono mai stato così grato.

Quando la campanella suona la fine della lezione, afferro i libri uscendo immediatamente dall’aula.
 
***
 
“Ah, cazzo!”

Sto per prendere il pranzo quando uno stronzo inciampa e mi versa qualcosa di disgustoso sulla maglia. Stringo la presa sul vassoio e mi giro, pronto per imprecare contro il malcapitato, ma le parole mi muoiono in gola quando incrocio lo sguardo di Farlan.

“Merda,” mormora a voce talmente bassa che fatico a sentirlo. “Ehi, scusami. Credo di essermi distratto.”

“Lo credo anch’io,” borbotto. Non gli parlo da chissà quanto tempo. Ho parlato solamente con Isabel, ma da quando aveva deciso che non le importava più un cazzo di me alla festa di Reiner, non ho più parlato nemmeno con lei. E siccome Isabel non mi parla, non lo fa nemmeno Farlan.

“Vengo con te. A prendere un cambio di vestiti, intendo.”

“Sei sicuro? Isabel non ti spaccherà la testa quando lo verrà a sapere?” Chiedo, solo perché a volte sono fatto così. Rancoroso. Ma non è questo il punto.

Farlan trattiene un sorriso che riesco comunque a individuare, ma che non appartiene al suo viso. Capisco che mi sembra così perché quel sorriso è diretto a me. Di solito, sia lui che Isabel mi guardano come se volessero uccidermi. È… strano vederlo così amichevole. Sento il cuore stringersi dolorosamente e cerco di concentrarmi su qualcos’altro.

“Sopravvivrà. Andiamo. ”

Scrollo le spalle e mi dirigo verso il mio tavolo per poggiare il vassoio. Thomas è l’unico seduto, ma sta facendo un pisolino e non si rende conto della mia presenza. Vedo Farlan buttare via il suo pranzo e sollevo un sopracciglio.

“Non hai fame?”

“Non molta,” risponde scrollando le spalle. “Quei nachos sembrano avvelenati. A essere sinceri, mi hai fatto un favore.”

“Sei stato tu venirmi contro.”

“Ah, dettagli,” agita una mano sprezzante.

Sbuffo e controllo lo stato del resto dei miei vestiti. La maglia è sola cosa che si è bagnata, per fortuna. Scarpe e pantaloni sono asciutti e immagino di dover ringraziare il cielo per questo.

“Non è latte, vero?” Chiedo speranzoso. Non ne ha l’odore, ma non voglio avere un falso senso di sicurezza. L’ultima cosa di cui ho bisogno è puzzare di latte scaduto.

“Nah, è succo d’arancia. Profumerai dell’aroma piacevole dei cedri per il resto della giornata.”

“Wow, ti ringrazio.”

“Non c’è di che.”

Ridiamo e riscopro questa familiarità. Sono abituato a minuti di prolungato silenzio o battutine di Isabel ogni qualvolta dobbiamo lavorare insieme a un progetto di inglese.

“Ehi,” dico per attirare la sua attenzione. “Mi dispiace. Sai, per la questione di inglese. Credo sia imbarazzante per noi lavorare insieme. Ma per fortuna Isabel ha chiarito piuttosto sgarbatamente che non c’è più bisogno di lavorare insieme. Perciò-”

“Non voleva dire nulla di tutto quello che hai sentito,” mi interrompe Farlan e io sollevo un sopracciglio.

“Non eri nemmeno lì. Sono piuttosto sicuro che volesse dire tutto ciò che ha detto.”

“Assolutamente no,” scuote la testa. “Voglio dire, è Isabel. Tutto fumo e niente arrosto. L’ha detto solo per il gusto di dirlo.”

Arriccio le labbra e non dico nulla. Raggiungiamo l’infermeria e spiego la situazione. L’infermiera ride, ma mi allunga una maglietta a tinta unita con cui cambiarmi. La ringrazio cambiandomi nel bagno, tenendo in mano la maglia bagnata. La signorina mi passa un sacchetto di plastica e la ringrazio infilandoci dentro la maglia, per poi congedarci con un sorriso e un gesto della mano.

“Levi?”

Mi giro per guardarlo. Farlan sospira e si gratta il retro del collo.

“Che c’è?”

“Io… non importa,” Farlan scuote la testa. “Scusa ancora per la maglia.”

“Tranquillo,” rispondo infilando le mani nelle tasche dei pantaloni. “Ci vediamo. Credo.”

“Già, ci vediamo,” dice Farlan.

Mi volto e non guardo indietro.
 
***
 
Quando entro in spogliatoio, Eren e io incrociamo gli sguardi. Non so se dovrei salutarlo o meno. Ci facciamo solo un cenno con la testa? Non so come funziona. Non ho mai dovuto pensare a cose del genere prima d’ora. Venivano naturalmente, ma non so davvero cosa fare quando si tratta di Eren.

Per mia fortuna, però, Eren mi dedica un sorriso. Sorrido di rimando, ma sembra forzato e sono sicuro sembri più che altro un ghigno. Mi dirigo verso il mio armadietto e tiro fuori i vestiti prima di dirigermi verso la mia solita cabina.

I miei occhi finiscono involontariamente su Eren quando finisco di cambiarmi. Si sta mettendo un paio di pantaloni da tuta quando noto dei lividi scuri sulle sue cosce. La mia mente si svuota completamente e mi ritrovo bloccato nel mezzo dello spogliatoio.

“Yo, Ackerman! Togliti la testa da culo e spostati. Devo andare in bagno.”

Reagisco a malapena quando Reiner mi spinge. Franz ridacchia e Thomas mormora qualcosa che non riesco a sentire. Marco urla di tacere. Eren ormai si è infilato i pantaloni e si è girato per assistere alla scena.

Tengo la testa bassa e torno al mio armadietto, lanciando dentro i vestiti senza preoccuparmi di piegarli. Chiudo col lucchetto e appoggio le mani sul freddo metallo per alcuni secondi. La sensazione fredda mi distrae un po’. Quando il signor Zacharias ci dice di uscire, sento di riuscire a respirare.

“Ehi, che succede?”

Eren mi afferra il braccio e mi giro per guardarlo. Scuoto la testa ed evito il contatto diretto con gli occhi.

“Oh, quello? Reiner fa il solito idiota. Nulla di nuovo.”

“Ah,” ride Eren. “Avrei dovuto aspettarmelo, no?”

“Forse sì,” dico. La mia testa sta gridando di chiedere a Eren di quei lividi, ma non sono affari miei. Forse non si è fatto male. Forse…

Il pensiero, nonostante incompleto, mi gela sul posto. Eren smette di camminare e si gira per guardarmi, sollevando un sopracciglio.

“Uh… Terra chiama Levi? Dobbiamo andare.”

“Sì, lo so,” scuoto la testa velocemente e mi sforzo di muovere il corpo.

Eren sbuffa e mi guarda strano.

“Cos’hai che non va?”

“Nulla, sono solo stanco,” scrollo le spalle. “È stata una notte lunga.”

“Davvero?” Solleva un sopracciglio. “Sono offeso che tu pensi che io non riesca a capire quando stai raccontando cazzate. Non sei nemmeno un bugiardo convincente.”

“Fottiti,” dico nonostante manchi di qualsiasi cattiveria. Eren ruota gli occhi e mi colpisce rudemente con la spalla.

Premo le labbra in una linea sottile e fingo di non provare nulla. Ci rinuncia dopo alcuni secondi, sbuffando sonoramente e mettendosi le mani in tasca.

Ci riscaldiamo e facciamo stretching prima che il professor Zacharias ci divida in squadre per giocare a basket. Giochiamo fino a quando non rimangono dieci minuti alla fine dell’ora. Il professore ci spedisce in spogliatoio per rivestirci in fretta. La campanella suona e i ragazzi gioiscono. Ruoto gli occhi e metto via la mia roba con calma. Non tutti hanno il lusso di poter guidare fino a scuola e quindi di non avere autobus da prendere, ma per fortuna io questo lusso ce l’ho.

Stavo per uscire quando passo affianco a Eren. I lividi sulle sue cosce sono un contrasto non indifferente sulla sua pelle e non riesco a distogliere lo sguardo. Rimango fermo come una statua, pietrificato, fino a quando lui non alza la testa. Sta per infilarsi i jeans, ma si ferma con un sopracciglio alzato.

Evito il suo sguardo e deglutisco rumorosamente. Eren sposta lo sguardo sulle sue gambe e poi torna a guardare me.

“Così evidenti, huh?” Non suona per niente sconvolto. Gli dedico uno sguardo confuso.

“Sembra facciano male,” mormoro, ma lui solleva le spalle.

“Nah. Ti ci abitui dopo un po’.”

Sento lo stomaco torcersi alle sue parole. Non mi sono mai abituato a vedere botte e lividi sulla mia pelle. Sono un costante promemoria della mia inabilità di combattere, di una debolezza che fingo di non possedere, e lo odio.

“Non dovresti,” dico. “Esserci abituato, intendo. Non… non è normale, sai?”

Eren si infila i pantaloni e comincia a ridere. Spalanco la mascella e lo fisso intontito, troppo scioccato per capire cosa sta succedendo.

“Nessuno mi sta facendo del male,” dice scuotendo la testa. “Davvero, dico sul serio.”

“Tu dici? Perchè sembra qualcuno te le abbia suonate,” incrocio le braccia al petto e sollevo in sopracciglio, per niente divertito.

“Mi sono procurato questi lividi mentre facevo sesso,” spiega, ghignando lupescamente. Percepisco le orecchie incendiarsi. Deglutisco e mi concentro sulla fila di armadietti accanto a me così da non dover guardare Eren in viso. Mi sento male di nuovo e non ne conosco il motivo. “Non mi ha picchiato nessuno, se è quello che stai pensando.”

“Va… bene,” mi sforzo a dire, sentendomi uno stupido.

Non dice nulla e ne sono grato. Quando credo di avere meno voglia di buttarmi giù da un ponte, sollevo gli occhi. Lui sospira lentamente e chiude l’armadietto con il lucchetto.

“Grazie per esserti preoccupato, però,” continua. “Ti prometto che ne parlerò con qualcuno se succede qualcosa.”

“Okay,” rispondo sentendomi un fottuto ipocrita. Dovrei dire qualcosa, giusto? Dovrei dire a qualcuno che mio zio mi picchia quando è irritato, il che accade più spesso di quanto dovrebbe.

Ma forse non voglio affrontare tutta la roba legale che ne comporterebbe. Era stato difficile abbandonare la vita che avevo con mia madre e vivere con Kenny. Micheal è il mio unico altro parente, ma preferirei stare con Kenny piuttosto che vivere con il promemoria che mio padre, l’uomo che mi ha creato, non vuole avere nulla a che fare con me.

“…Levi?”

Eren sembra a disagio e realizzo di aver continuato a fissarlo per tutto il tempo che la mia mente aveva vagato. Mi schiarisco la gola e scuoto la testa.

“Scusa, tutto a posto,” dico. “Sono contento tu stia bene.”

“Già,” Eren scrolla le spalle e infila le mani nelle tasche. “Devo andare. Ci metterò un bel po’ a tornare a casa a piedi.”

Quasi gli offro un passaggio, ma ci ripenso.

“Ti accompagno,” dico ed Eren corruga la fronte.

“Non hai un’auto?”

“Beh, sì,” rispondo, percependo il petto stringersi. “Ma non è la prima volta che la lascio qui. Posso tornare a prenderla, in caso.”

“Non voglio causarti tanto disturbo.”

“Senti-”

“Starò bene,” dice infine Eren sorridendo, ma non riesco a fare lo stesso. “Te lo posso giurare. L’ho fatto un miliardo di volte.”

“D’accordo,” dico. “Allora ci vediamo domani.”

“Sì,” risponde Eren. “A domani.”

Mi supera e riesco a respirare solo quando sento la porta degli spogliatoi chiudersi.
 
***

Il professor Smith è seduto sul bordo della cattedra con le braccia incrociate, aspettando che la campanella suoni. Eren entra in aula e subito dopo solleva un sopracciglio. Lo sostituisce con un sorriso di scherno e si siede davanti a me, sistemando sul banco un quaderno e una matita.

Le mie orecchie diventano rosse al pensiero della conversazione che abbiamo avuto ieri. Mi mordo l’interno della guancia fino a quando un sapore metallico non mi invade il palato.

“Come tutti voi sapete, siete tenuti a scrivere un testo argomentativo di dieci pagine come requisito per il diploma,” il professor Smith spiega quando siamo tutti in silenzio e seduti ai nostri posti. “E considerando che sarà un progetto che porterà via molto tempo, ho pensato di fornirvi qualche spunto per degli argomenti che-”

“Argomenti?” Domanda Isabel, la mano sollevata per attirare l’attenzione dell’insegnante. Posso praticamente vedere le rotelle azionarsi nella sua testa e quasi mi viene voglia di sorridere. Ha sempre amato scrivere, quindi ha senso che sia così entusiasta per questo progetto. “Intende qualsiasi argomento?”

Incrocio lo sguardo di Farlan, il quale mi dedica un sorriso esitante. Sorrido di rimando e mi giro nuovamente verso la lavagna.

“Esatto,” il professore ride sommessamente. “Tutti gli insegnanti di inglese assegnano degli argomenti specifici, ma io invece ho pensato che sarebbe stato meglio lasciare scegliere a voi di cosa trattare. È il vostro tema, dopotutto. Se dovete scrivere dieci pagine di qualcosa, tanto vale sia qualcosa che vi piace.”

“Non siamo nemmeno a dicembre, però,” interviene Eren, appoggiandosi allo schienale della sedia così tanto che questa ha scricchiolato. “Non le sembra di correre troppo?”

“Può darsi,” risponde il professore. “Ma più tempo avete meglio è, no? Specialmente per coloro che tendono a procrastinare.”

Eren sbuffa scocciato e mi mordo il labbro per trattenere una risatina. Sarà un vero miracolo se Eren lo comincerà, considerando che non fa mai nulla, ma non è un mio problema.

“Vorrei mi consegnaste le prime idee per venerdì. Può essere qualsiasi argomento, come ho detto, ma assicuratevi sia appropriato.”

Si eleva un coro di borbottii. Dopo di che, il signor Smith inizia la lezione sedendosi sulla sedia. Scribacchio alcuni appunti, ma per la maggior parte del tempo lascio vagare la mente. Di cosa diavolo dovrei parlare? Inglese non è la materia in cui vado meglio, infatti la trovo una perdita di tempo. Come cazzo dovrei riuscire a scrivere la bellezza di dieci pagine?

La campanella interrompe i miei pensieri. Trattengo un respiro di sollievo e raccolgo le mie cose.

“Con quanta generosità ci diletta il professor Smith, eh?” Chiede Eren, facendomi sollevare lo sguardo. “Per lasciarci scegliere, intendo.”

“Immagino di sì,” rispondo con una scrollata di spalle. “Però mi piacerebbe avere qualche indicazione in più. Non ho idea di cosa potrei scrivere.”

“Dieci pagine sono troppe,” Eren stringe gli occhi. “Chi ha tempo per cose del genere?”

Alzo le spalle e fingo interesse verso il poster sul muro. Eren rigira la matita tra le mani e si schiarisce la gola.

“Ehi, siamo a posto, vero?” Domanda.

“Uh, certo,” rispondo anche se mi sento in imbarazzo senza saperne il motivo. “Perché non dovremmo?”

“Sai, per quello che è successo ieri,” Eren scrolla le spalle e scuote la testa. “È che sembravi piuttosto sconvolto. Come se dovessi vomitare o qualcosa del genere.”

“Ero solo sorpreso,” rispondo grattandomi il retro del collo e decido non dirgli che vomitare era esattamente quello che stavo per fare ieri.

“Giusto,” annuisce lui e scrolla di nuovo le spalle. “Voglio dire, non è poi una cosa così grave.”

Mi viene una mezza idea di fargli capire che a chiunque ragazzo lasci quel tipo di lividi su di lui dovrebbe venirgli amputato il cazzo, ma poi realizzo che se dovessi dirlo, sarebbe la prova definitiva che non siamo per niente a posto. E lo siamo, ovviamente, considerando che non sono affari miei chi decide di scoparsi.

“Sì, non me l’aspettavo, ecco tutto. Ma ehi, congratulazioni. Per aver scopato, intendo.”

Mi maledico mentalmente quando la frase lascia le mie labbra. È una frase idiota, ma la mia bocca sembra fregarsene e io non riesco a fermarla. Eren ghigna e fa sbattere le nostre spalle, girandosi per cominciare a camminare. Lo seguo, ricordandomi improvvisamente di avere una lezione a cui presenziare.

“Grazie, credo,” dice lentamente.

Resisto all’urgenza di annuire o aprire la bocca. Mi sento ancora più in imbarazzo di prima. Ci fissiamo e mi ritrovo a deglutire.

“Dovrei andare,” dico, indicando col pollice la porta dietro di me. “Ho scienze.”

“Già, dovresti,” continua Eren, ma nessuno dei due fa un passo.

La campanella suona e impreco. Non avevo realizzato che fossero già passati cinque minuti. Eren sembra indifferente alla cosa mentre osserva le persone cominciare a entrare.

“Cazzo,” sibilo, girandomi.

“Ehi, Levi!”

Mi fermo e mi giro per guardare di nuovo Eren. “Cosa c’è?”

“Non era…” si interrompe e scuote la testa. “Nulla. Scusami. Vai.”

Cerco di non pensare a quanto sprezzanti fossero le sue parole mentre mi giro e mi dirigo in classe. La professoressa Zoe non è ancora arrivata, quindi mi siedo al mio posto cercando di controllare il respiro. Marco si gira per dedicarmi uno sguardo sorpreso.

“Stai bene, amico?” Chiede, continuando a muovere la testa come se lo aiutasse a vedermi meglio in faccia. “Sembri un po’ spaesato.”

“Spaesato?” Ripeto e ripenso a pochi instanti fa. Cosa diavolo stava per dire Eren? Perché non l’ha semplicemente detto? “Nah, sto bene.”

“Va bene,” dice lentamente Marco, come se non mi credesse, ma non mi interessa minimamente. “Come vuoi, amico.”

Annuisco e guardo la porta aprirsi quando la professoressa Zoe entra in aula. Mette il film che avevamo cominciato venerdì scorso e concentro l’attenzione sulle immagini, ignorando sia lo sguardo preoccupato di Marco sia il tentativo della mia mente di tirare fuori Eren ancora e ancora.
   
 
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