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Autore: Freya_Melyor    02/04/2020    8 recensioni
Dal testo:
"[...] Era una sorta di fastidio, una specie di formicolio che a stento riuscivo a percepire ma che, sapevo, non era immaginario. Lo sentivo proprio al centro del petto, lì dove solo pochi minuti prima – o forse di più?, difficile a dirsi, il tempo viene percepito in modo strano quando muori – batteva il mio cuore colmo di solitudine e rabbia; quel cuore che, da quando avevo messo piede in quel dannato castello, ogni giorno era stato calpestato con noncuranza. Si trattava di una sensazione piacevole e spiacevole allo stesso tempo, di un contrasto tra ciò che era giusto fare e ciò che invece avrei realmente voluto fare. E lì, fluttuante in mezzo al nulla, circondata da nient'altro che luce e pronta per essere accolta in un posto dove avrei potuto finalmente trovare la pace, scelsi la vendetta. [...]"
- Questa storia ha partecipato a "Il contest delle prime volte" indetto da inzaghina.EFP sul Forum di EFP, vincitrice del premio "Best Angst".
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mirtilla Malcontenta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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FINCHÉ MORTE NON CI SEPARI, O QUASI!

 

 

Non era la prima volta che mi rintanavo nel bagno delle ragazze a piangere e non era la prima volta che Olive Hornby mi prendeva in giro per via degli occhiali. Anzi, ormai era diventata un'abitudine schernirmi; una specie di routine in cui la racchiona e lamentosa Mirtilla scappava via in lacrime dopo aver ricevuto la quotidiana dose di prese in giro. Non sapevo ancora, però, che quel giorno del 1943 sarebbe stato l'ultimo che avrei passato sulla Terra... beh, quanto meno da viva.

Come ogni volta, avevo trovato rifugio nella solitudine del mio gabinetto. Mio, sì. Ero solita nascondermi sempre nello stesso cubicolo, divenuto ormai un luogo familiare: di me ne sapeva più quel bagno che qualunque altra persona a Hogwarts. Tutti mi prendevano in giro, non avevo amici e nessuno – nessuno – aveva mai preso le mie difese o si era preoccupato per me. Ero sola in quella Scuola, in quella vita... e lo sarei stata anche nella morte.

Accadde tutto con una fretta e una stranezza tale che, se ci ripenso, ancora oggi non saprei ben dire cosa sia realmente successo o come io sia effettivamente morta: una voce maschile, strane parole, due enormi occhi gialli e tutto si fermò. Percepii il corpo diventare leggero, la pesantezza abbandonarmi; era come se galleggiassi verso l'ignoto, verso quello che sarebbe stato il luogo del mio riposo eterno. Non so per quanto rimasi in quello stato di astrattezza, mi sentivo intorpidita e, più avanzavo nel tunnel di luce, più l'intorpidimento diventava intenso. Ma c'era qualcosa... qualcosa che mi impediva di lasciarmi andare completamente, benché quel cammino all'apparenza infinito cominciasse ad allontanare la malinconia che da sempre era stata la mia migliore amica. Era una sorta di fastidio, una specie di formicolio che a stento riuscivo a percepire ma che, sapevo, non era immaginario. Lo sentivo proprio al centro del petto, lì dove solo pochi minuti prima – o forse di più?, difficile a dirsi, il tempo viene percepito in modo strano quando muori – batteva il mio cuore colmo di solitudine e rabbia; quel cuore che, da quando avevo messo piede in quel dannato castello, ogni giorno era stato calpestato con noncuranza. Si trattava di una sensazione piacevole e spiacevole allo stesso tempo, di un contrasto tra ciò che era giusto fare e ciò che invece avrei realmente voluto fare. E lì, fluttuante in mezzo al nulla, circondata da nient'altro che luce e pronta per essere accolta in un posto dove avrei potuto finalmente trovare la pace, scelsi la vendetta.

Impiegai uno sforzo enorme per distaccarmi da quella corrente che, aggraziata e tuttavia decisa, mi stava trasportando; ma lo volevo davvero, volevo a tutti i costi ritornare. Così divenni un fantasma, una pallida imitazione della vita, un'impronta lasciata sulla Terra da un'anima dipartita¹. Ero ignara del prezzo che avrei dovuto pagare per la scelta compiuta, per aver preferito un'esistenza a metà, un'esistenza che non è neanche degna di essere definita come tale: la solitudine e l'amarezza continuano a regnare sovrane, ad affliggermi anche ora che non sono altro che una sbiadita traccia di ciò che ero. Ma, per quanto le conseguenze mi tormenteranno per sempre, non importa: per una volta, per la prima volta, scelsi me stessa. Se la Mirtilla in carne e ossa non era stata in grado di difendersi dalle continue ingiurie che giornalmente le venivano rivolte, ci ha pensato lo spettro a vendicarsi. Giurai a Olive che l'avrei tormentata e perseguitata, e così feci. Ma la mia non fu una vendetta rivolta solamente a lei... oh no! Diedi il tormento fino all'ultimo studente che, durante quei brevi anni, si divertì a mie spese: li inseguii tutti, li colsi di soprassalto, li spaventai; infestai i loro incubi, tolsi loro il sonno e rovinai le loro giornate proprio com'erano state rovinate le mie.

Lo ammetto, è stato divertente prendermi la rivincita, ho provato l'ebrezza dell'avere il coltello dalla parte del manico e, al tempo stesso, la soddisfazione di far capire a quei bulli come ci si sente ad essere la vittima e non il carnefice. Ammetto anche che, così facendo, la gente cominciò ad evitarmi ancor più di quanto già non facesse mentre ero ancora in vita, ma d'altronde sono sempre stata un'anima solitaria; non per mia scelta, certo... almeno credo... beh, di sicuro non avrei avuto motivo di essere così indignata se le persone mi avessero trattata con rispetto!

Ma la cosa più importante di tutte fu che, oltre alla vendetta, diedi loro la Mirtilla che avevano voluto, quella che avevano plasmato con le continue cattiverie. Si erano tanto divertiti ad appellarmi come piagnona e frignona? Bene, li accontentai diventando Mirtilla Malcontenta. Lo scopo era quello di tormentare le coscienze, torturarli tutti col mio pianto, con la consapevolezza di essere stati l'unica causa del mio continuo turbamento e, soprattutto, della mia morte. Promisi a me stessa che non avrei mai perso occasione di rinfacciare l'accaduto; sì, perché se non fossi stata oggetto di spregevoli battute e prese in giro, probabilmente sarei ancora viva. Se avessi avuto un amico, anche solo uno, avrei avuto modo di confidarmi con lui piuttosto che con le mura di quel gabinetto. Se qualcuno mi avesse ascoltata e sostenuta, non sarei fuggita come al solito ritrovandomi in quel bagno proprio quella notte.

Nelle mie giornate senza tempo, quando la malinconia non è troppo forte e la mente non è impegnata a rimuginare sulla morte, uno dei mie passatempi preferiti consiste nel ripensare alle rivalse che mi sono presa e alle molteplici espressioni di panico che ho suscitato nei miei aguzzini. Fra tutti i ricordi che ho collezionato, nessuno potrà mai battere quello in cui l'insensibile Olive scoprì il mio cadavere e il mio fantasma per la prima volta: l'ho terrorizzata, eccome se l'ho terrorizzata! Entrò nel bagno parlando con quella sua voce odiosa che sapeva solamente offendermi e, non appena mi scorse esanime, divenne bianca come un lenzuolo. Si ammutolì, incapace di compiere il benché minimo movimento, sembrava quasi che avesse smesso persino di respirare. E poi, beh... poi ci pensai io a farle tornare l'aria nei polmoni: con una furia ed una lestezza che scoprii possedere solamente nella morte, mi avventai su di lei emettendo un cupo verso, simile allo straziante ululato di un mannaro ferito; la investii in pieno, urlandole contro i peggiori epiteti e guardandola con l'espressione più truce e spietata che mi riuscì di assumere. Ancora un attimo di stordimento, il tempo di rendersi conto che ero davvero io – anche se sotto forma di fantasma – e Olive recuperò tutto l'ossigeno perso, gettando un grido talmente acuto che mi stupii di come non si infransero gli specchi. Tentò di recuperare il controllo sui propri movimenti, di uscire a gambe levate dal bagno, ma glielo impedii: più lei cercava la fuga, più io la investivo col mio corpo inconsistente, continuando a emettere versi gutturali. E ancora: più io la travolgevo, più lei cadeva nella spirale della paura. Oh, quanto mi divertii e quanto godetti nell'assaporare la prima di tante vendette!

Da quel giorno sono passati anni; Olive ha lasciato la Scuola da un pezzo e, con lei, molti altri studenti. Il bagno in cui mi fu rubata la vita divenne, da quel momento, fuori uso; nessuna ragazza vi mise più piede² e la solitudine è rimasta, tuttora, l'unica ad affiancarmi. Spesso, presa dal malumore, mi domando se abbia fatto bene a ritornare o se la sete di vendetta non abbia offuscato il mio giudizio, intrappolandomi in questo mondo che non mi appartiene più, rendendomi il fantasma di un castello che è stato luogo di tormento e culla della mia morte. Ma poi, nonostante l'isolamento e la malinconia, non posso fare a meno di pensare che meritavo una vendetta tanto quanto tutti loro meritavano di essere perseguitati.

 

 

 

 

 

 

¹Queste non sono parole mie, ma parole che ho preso in prestito da Piton.

²La storia è ambientata prima dell'arrivo di Hermione a Hogwarts, quindi prima che potesse fare la conoscenza di Mirtilla e usare il suo bagno come luogo indisturbato per preparare la Pozione Polisucco.

 

NdA: Volevo precisare una cosa in merito a Mirtilla e al suo essere un fantasma.

Nel secondo libro, quando Mirtilla racconta a Harry com'è morta, gli dice che poi è ritornata per perseguitare Olive Hornby e farla pentire di averla presa in giro. Nel quarto libro, invece, quando dialoga con Harry nel bagno dei Prefetti, racconta che ci sono volute ore prima che scoprissero il suo corpo e che lei era lì, seduta ad aspettare.

Da ciò che riferisce Mirtilla, sono arrivata a due conclusioni:

  1. non sappiamo con certezza come si faccia a diventare fantasmi dato che non tutti quelli che muoiono lo diventano. Ho presunto che diventare un fantasma sia più che altro una scelta del defunto, il quale decide di restare sotto forma di spirito perché qualcosa accadutagli in vita lo trattiene al luogo in cui è morto;

  2. il tempo, nella morte, viene percepito in maniera differente in quanto, per un defunto, non rappresenta più un fattore di cui preoccuparsi.

    Quando ho deciso di scrivere su Mirtilla, sono andata a rileggere le pagine che la riguardavano proprio per non incappare in qualche errore, trovando però degli interrogativi. Ho cercato di documentarmi per dare una risposta alle domande che mi era posta, ma non ho trovato nulla; per cui ho fatto del mio meglio per rispondermi da sola! Spero di non essere andata eccessivamente fuoripista.

Inoltre, per quanto riguarda il carattere e il ragionamento un po' controversi di Mirtilla (a tratti la vediamo volenterosa di vendetta e convinta della scelta di essere divenuta uno spettro, a tratti invece continua a essere suscettibile riguardo la propria morte nonostante nessuno l'abbia costretta a rimanere nel castello sotto forma di fantasma), sono stati voluti: Mirtilla, divenuta fantasma a 13 anni, ha mantenuto i tratti caratteriali e immaturi di un'adolescente frustrata dagli atti di bullismo subiti; la sua indole non muterà mai. Mirtilla è il fantasma di una tredicenne che ragiona da tredicenne ferita e suscettibile, e lo rimarrà per sempre.

   
 
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