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Autore: Itzi    02/04/2020    5 recensioni
[STORIA INTERATTIVA -ISCRIZIONI CHIUSE]
Il ragazzo si appoggiò alla vetrina, studiandosi le unghie corte con finta noncuranza. «Perché, abbiamo cose di cui preoccuparci?»
            «I nostri cari vecinos avranno di nuovo fatto casino…Ottanta anni fa se ne sono usciti con quella cosa degli imperatori; abbiamo avuto le comunicazioni bloccate per mesi, un incubo!» Gesticolò con una mano, ritirando i soldi che gli aveva poggiato vicino alla cassa «Convivenza civile un cazzo. Entro la fine di questo secolo finirò per prendere qualcuno a calci in culo, me lo sento!»
           «Uuh, quindi… Siamo di fronte a uno scontro tra Pantheon ? Ma davvero?»
*****
«Non è stata colpa mia.» Da come Olivia lo guardò, dedusse che non era per nulla credibile.
            «Allora perché sei scappato?»
         «Perché tutti saltano alle conclusioni! Senti, ieri sera, è successo qualcosa.» Si avvicinò leggermente allo schermo, con fare furtivo, quasi avesse paura di essere ascoltato. «Qualcosa che la Casa non può più ignorare.»
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Ecate, Gli Dèi, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VI
THE LOVERS
Parte Terza
 
 
 
Lorina di sogni strani ne faceva già abbastanza prima che la sua parte divina ci si mettesse in mezzo: il suo cervello, a quanto pareva, non era in grado di processare le informazioni della giornata senza assimilarle a una buona dose di cazzate e pensieri totalmente incoerenti tra loro. Di solito lasciava correre, ma la visione che stava avendo in quel momento – perché solo di quello poteva trattarsi - superava ogni soglia di stranezza a cui si era abituata negli anni.
            Si trovava a un banchetto, e una lunga tavolata si allungava alla sua destra carica di piatti sottili e frutta matura; satiri e ninfe sedevano sotto i pochi alberi impegnati a cantare e ridere. Ci mise un attimo a inquadrare il resto dei commensali, e si accorse che a tutti gli effetti le erano familiari perché erano i suoi compagni del Campo.
            Davanti a lei c’era Emma, ma al posto del giacchetto di jeans che si ostinava sempre a portare, indossava una tunica chiara fermata con spille dorate; in grembo un mazzo di papaveri rossissimi. Più in là riconobbe Maria con una corona a cingerle i capelli corti; e poi Callum, Lucas della cabina di Atena con un elmo finemente decorato al fianco, Ilia che invece della mazza da baseball sfoggiava un arco dorato lungo almeno due metri.
            Abbassò lo sguardo, e notò con orrore di essere vittima lei stessa della fantastica moda greca a cui mancavano solo pizzi e merletti per essere davvero scomoda. La stoffa del suo vestito era così sottile da risultare trasparente; le arrivava le caviglie ma un lungo spacco risaliva fino alla vita lasciandole le gambe scoperte. Braccialetti di ceramica e corallo le ricadevano sui polsi, e tra i capelli sentì il peso di spille che avrebbero dovuto tenerle indietro la frangia.
            Il piatto di fronte a lei conteneva un’unica mela rossa con la buccia liscia e scura pronta per essere addentata. Lori non si fece molte domande, allungò la mano e le diede un morso, girando appena la testa verso il resto della tavolata. Per un momento, l’idea che si trovasse a un matrimonio le era anche passata per la testa, ma non c’era nessuna coppia di sposi, o almeno nessuno che le desse quell’impressione.
            Mandò giù la mela, e quando si sporse di nuovo per poco non le andò di traverso il boccone: ognuno dei commensali era stato sostituito da enormi figure animalesche; elefanti, volpi, civette, tori. Provò a parlare ma si accorse che la sua voce non aveva suono.
            Un rumore stridente la fece sobbalzare sulla sedia, e dal fondo un enorme giaguaro si erse in piedi; gli occhi feroci del colore dell’oro fuso e macchie più scure che sfumavano sul pelo all’altezza della fronte. Le spalle erano cinte da un’armatura d’argento con mezzelune incise nel mezzo.
            «Alla più bella.» Disse, con lo sguardo fisso verso un punto non definito all’orizzonte, e tra le zampe gli comparve un pomo dorato. Lo lanciò e Lori osservò la traiettoria curva che tracciò a mezz’aria per un secondo, prima di chinarsi e strillare a pieni polmoni.
           
Cadde malamente dal letto, e la prima cosa che fece fu strizzare gli occhi, premendosi entrambe le mani su quello sinistro in un blando tentativo di alleviare il dolore allucinante che stava provando. Sembrava che qualcuno avesse deciso di cavarle un’orbita con un cucchiaino rovente, e nel delirio dei suoi pensieri sentì distintamente le dita umide di lacrime e probabilmente sangue.
            Aspettò rannicchiata per un tempo lunghissimo, rialzandosi a fatica e arrancando per la cabina a tentoni. Accese la luce, battè con il piede contro il cassettone dove teneva i vestiti evitando di sfracellarsi al suolo all’ultimo per grazia divina. Tenevano solo uno specchio e Lori fece fatica a metterlo a fuoco del tutto, tra lo stordimento per essersi svegliata così malamente e il sangue che continuava a colarle sul viso a fiotti, tanto da farla seriamente agitare.
            Si guardò. Il suo riflesso era pallido e ancora un po’ confuso; avvicinò il viso fino a sfiorare il vetro con il naso e, tremante, spostò le dita dalla palpebra.
            Si aspettava una ferita, e invece quello che vide furono le linee spesse di un segno inciso sulla sua pelle, che si allungavano sul sopracciglio e parte della guancia. Lentamente aprì l’occhio, e notò con orrore che il disegno proseguiva direttamente sulla sua sclera e la pupilla, in modo che gli intrecci fossero comunque visibili sia che tenesse gli occhi aperti o no.
            Non era opera umana, ovviamente, e si passò una mano sul viso cercando di pulirsi. Il dolore che l’aveva svegliata si era ridotto a una pulsazione sorda ma altrettanto fastidiosa, che le faceva battere le tempie; il sangue continuava a colarle sulla guancia senza sosta.
            Ci mise comunque del tempo prima di capire che il motivo per cui continuava a non vederci bene, era che aveva appena perso la vista da un occhio.
 
 
 
Il padiglione della mensa era ancora pieno, cosa su cui non contava moltissimo, in effetti. Era sicuro che si fosse addormentato perché aveva una guancia indolenzita e le dita intorpidite.
            Callum abbassò lo sguardo sulla sua colazione, e quasi facendosi violenza, si costrinse a tagliare due pezzi di wurstel lesso per mangiarli, nonostante la vista del cibo non facesse altro che alimentare la sua nausea.
            Sospirò. Aveva avuto notti migliori, il che era un paradosso considerato che dormiva solamente grazie alla narcolessia, che nella maggior parte delle volte lo costringeva a chiudere gli occhi. Sperimentare l’insonnia era stato disastroso; un’esperienza che avrebbe fatto volentieri a meno di replicare.
            Punzecchiò con poco interesse il bordo del suo uovo fritto, e si accorse di Blanca solo quando la ragazza si sedette sulla panca dall’altro lato del suo tavolo.
            «Mi sono perso qualcosa?»
         «Chirone ha detto di andare a sistemare l’armeria.»
            Non sembrava avere fretta, perciò non si scompose e ricominciò a mangiare. Blanca intrecciò le dita e si voltò verso la spiaggia e la baia che si apriva più lontano, come se nel mare invernale si nascondessero le risposte a tutti i suoi dubbi. Non la biasimava, perché in quel mese anche lui ne aveva sperimentate di tutti i colori, e persino viaggiare nei sogni degli altri – il suo passatempo preferito – non aveva fatto altro che inquietarlo ancora di più.
            «Lori? Ancora in infermeria?»
            «No.» Una pausa. Sospirò e tornò a voltarsi verso di lui. «È uscita prima.»
            Callum si riempì la bocca, aspettando che aggiungesse altro: era snervante cavarle le parole a forza, ed effettivamente era anche questo il motivo per cui non si erano mai parlati più di tanto. Blanca era troppo anonima, prudente e mai rumorosa; una triade perfetta per passare completamente inosservata.
            «Senti, lo sappiamo tutti e due perché Chirone ci ha relegato al giro delle pulizie, inutile girarci intorno: è per quello che è successo stanotte. Ora, non so che idea ti sia fatta, e non mi interessa nemmeno, ma potresti evitare di fare quella faccia? Sento la tua angoscia da qui!»
            Blanca strinse i denti, e una parvenza di fastidio le attraversò il viso indurendole lo sguardo.
            «Scusa se mi preoccupo per la missione suicida a cui ci stiamo preparando!» Sbottò, e per un momento Callum ebbe l’impressione che volesse colpirlo dritto in faccia. Sarebbe stato il suo secondo pugno nel giro di sei ore, un record.
            «Qualcuno è nervosetto.» Commentò, raccattando con la forchetta quello che restava nel piatto. «Dovresti dormire di più.»
            «E tu chiudere la bocca.»
            Glielo intimò sottovoce, sibilando come un serpente velenoso e, solo per questa volta, Callum lasciò perdere. Non era il momento adatto per mettersi a litigare, e fare una scenata non avrebbe attirato nemmeno l’attenzione di chissà chi, visto che tutti avevano finito di mangiare e le arpie avevano cominciato a passare in rassegna le tavolate.
            In secondo luogo, Blanca sarebbe stata comunque una sua compagna, e lui aveva altre priorità nella vita che vivere con l’ansia che gli potesse piantare un coltello nella schiena alla prima occasione utile, per ripicca.
            «Bah, non capisco cosa ti terrorizzi così tanto.»
            Blanca drizzò la schiena e scoppiò in una risata isterica.
            «Ah, beh, non lo so! Forse il fatto che sogni cose inquietanti? Che mi svegli nel pieno della notte con il tallone scorticato a sangue senza un motivo? Che stiamo per morire e nessuno ci dica nulla?»
            «Siamo semidei.»
            «Non è una giustificazione.» Incrociò le braccia. «Niente di quello che è successo può definirsi normale, nemmeno per i nostri standard; andiamo!»
            Callum si prese del tempo per masticare l’ennesimo boccone. Aveva appena vissuto, probabilmente, la notte più orribile della sua vita, e ancora non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di panico opprimente che aveva provato nell’affogare nei suoi stessi sogni. Si era sentito così impotente e smarrito che per un attimo, un lungo, lunghissimo attimo, aveva creduto di non svegliarsi più. Poi era comparso il marchio e il dolore era stato così forte da farlo urlare, costringendo Argo a trascinarlo in infermeria nel pieno di una crisi isterica.
            «Se nemmeno Chirone ne sa qualcosa non possiamo farci niente.» Ribadì lui, puntando i gomiti sul tavolo. Poi sospirò, e fu come se le sue spalle avessero appena ceduto a tutto il nervosismo che si portava dietro da settimane.
            «Perché Lorina ti ha dato un pugno?» Gli chiese dopo un po’. Callum storse la bocca in un sorriso davvero ironico.
            «Pensava fossi stato io a distorcere la sua visione. Purtroppo non sono in grado di influenzare così tanto i sogni di qualcuno, anche se sono lusingato dall’idea che vi siete fatte di me.»
            «Quindi non ne sai nulla?»
            «Negativo. Per la cronaca, questo Campo conta circa una cinquantina di semidei iperattivi con sogni abbastanza grotteschi, è un po’ difficile andarsene in giro per la mente di tutti. Di solito ci sono visioni più forti di altre, incubi, cose così; quindi la mia attenzione è automaticamente dirottata verso quelle. Stasera comunque a parte Lori c’eri anche tu e, beh, non so cosa sia successo ma stavo letteralmente affogando nel nulla della mia testa, quindi ho accantonato il resto.»
            Il suo tono era risultato più acido del necessario, ma non si curò della cosa. Blanca continuò ad osservarlo con la stessa espressione; se era infastidita non lo diede a vedere.
            «L’altro giorno stavo guardando i disegni di Alice.» Cominciò piano, e per un secondo i suoi occhi corsero di nuovo verso il mare. «E c’era anche Lorina, piena di sangue e accecata.»
            «Beh, tu hai avuto la fortuna di vedere un pastroccio su carta che rappresenta Lori. Io ho visto cosa ha sognato per davvero l’Oracolo, e senza scendere nei particolari, è stato disgustoso.»
            Non era stata una buona idea intrufolarsi in mezzo ai sogni divinatori della bambina, poco ma sicuro. Si era ritrovato sballottato da una parte all’altra, circondato da colori sgargianti, suoni, cantilene, e urla tutte dolorosamente intense il cui scopo era quello di fondergli il cervello. Lorina gli era apparsa all’improvviso, inginocchiata e curva con il mantello lacerato e i capelli incrostati di sangue, e più tempo passava più ferite le si aprivano sulla pelle; squarci profondi che lasciavano intravedere il biancore delle ossa.
            «Sono sorpreso che non sia ancora impazzita perché, beh, io al suo posto avrei già dato di matto.» Ci tenne a precisare, e Blanca incurvò la bocca come se il solo pensiero le desse il voltastomaco.
            «Va bene, ti sei spiegato.» Lo bloccò. C’erano altre cose di cui voleva parlare, Callum glielo leggeva in faccia, ma per quella mattina avevano già detto troppo.
            Chirone se ne era andato verso la Casa Grande e immaginò che, una volta che Lori fosse stata in grado di reggersi sulle sue gambe senza minacciare di svenire a ogni passo, probabilmente li avrebbe chiamati tutti e tre per discutere di tutto quel casino. Di solito adorava essere al centro dell’attenzione, ma questo era troppo persino per uno come lui.
            Si alzò, allontanando il suo piatto con un gesto della mano, e strascicò le scarpe in direzione dell’armeria con meno voglia possibile.
 
 
 
Di Gaio Verre Nora non sapeva nulla di più delle poche versioni che aveva tradotto durante il suo anno di apprendistato al Campo. Cicerone non le era mai interessato più di tanto, e aveva affrontato lo studio del latino con indolenza perché necessario; nonostante questo, la situazione stava prendendo una piega quasi scontata.
            Scese gli scalini del porticato e si diresse in strada, seguendo la folla urlante. Aveva le orecchie piene di pianti, proteste e singulti; accanto a lei una donna si afferrò la veste all’altezza del petto e strillò con il volto paonazzo e le guance rigate di lacrime finché la sua voce non si perse in mezzo a quella degli altri.
            Il suo sogno era iniziato con la notizia che il pretore era arrivato a Segesta, accampandosi ai piedi della città perché l’ingresso, preceduto da una salita abbastanza ripida, era troppo lontano. Aveva dato l’ordine di radunare ogni bene di valore di ciascun cittadino, e Nora aveva assistito a delle scene indecenti; mobili e suppellettili letteralmente strappate dalle mani dei proprietari, donne disperate pronte a gettarsi per terra supplicanti e prese a calci dai soldati.
            La rabbia aveva superato abbondantemente la sua pazienza da un pezzo, e l’unico motivo per cui non era corsa fuori dalla città, pronta a prendere a pugni un soggetto del genere, era che si trattava comunque di un sogno a cui non poteva porre rimedio. Verre sarebbe stato processato di lì a pochi anni, ma si trattava comunque di vicende avvenute più di duemila anni prima.
            Si fece spazio tra i bambini accalcati e allungò la testa verso la strada: quattro uomini in armatura erano impegnati a trasportare una statua d’oro e d’avorio sulle spalle, arrancavano puntando i piedi per non cadere e nel frattempo una miriade di mani e braccia si slanciavano per poterla toccare, lasciando baci o lanciando corone di fiori.
            La disperazione era opprimente. La statua le sfilò davanti e Nora vide il viso liscio della dea, i capelli raccolti e le pieghe della tunica finemente lavorata. Non si sarebbe stupita se, da un momento all’altro, avrebbe preso vita.
            Più si avvicinava alle porte, più le grida si facevano forti e quando i soldati varcarono l’uscita, l’intera città proruppe in un lamento sofferente che le fece scoppiare la testa. Cercò di allontanarsi per seguire il corteo di Verre, ma le persone continuavano a spingerla e a strattonarla ogni volta che provava a fare anche solo un passo, in un chiaro tentativo di farla desistere.
            Mentre si guardava attorno, notò una ragazza dall’altra parte della strada, con una tunica arancione che le copriva a stento le cosce e i pugni stretti lungo i fianchi. A differenza delle persone che le circondavano la sua espressione era tesa, furente, piena di sdegno e rabbia che le si riversarono addosso non appena voltò la testa nella sua direzione.
            Gli dei non piangono mai. Ma per ogni secondo di attesa, per ogni respiro smorzato di quella ragazza, la folla si agitava e lamentava e strillava sempre più forte, dando voce all’ira della stessa Diana.
            Condivideva quell’ingiustizia. Il fastidio si era trasformato in qualcosa di più affilato, una sensazione che continuava a schiacciarle il petto e che non riusciva a definire bene. Diana le dedicò un’ultima occhiata, poi il sognò terminò e Nora si svegliò sudata, con le guance piene di lacrime e la maglia sporca di sangue.
 
 
 
Willow aveva visto molte cose terrificanti, e assistito a una quantità innumerevole di incidenti e ferite da quando aveva messo piede al Campo; non era di certo la prima volta che osservava sua sorella sanguinare.
            Eppure c’era qualcosa che l’aveva scossa quando Nora le aveva chiesto di accompagnarla in infermeria, sottovoce perché era pur sempre notte fonda e non voleva svegliare le altre ragazze. Era sconvolta, con un’irrequietezza negli occhi scuri che non accennava a sparire, le tremavano le mani, faceva fatica a parlare. Willow aveva osservato il sangue sulla maglietta e poi il profilo sottile di un segno sulla pelle mentre si spogliava e Massimo, il guaritore di turno, si era limitato a scuotere la testa.
            «Vado a chiamare Crystal.»
            «A quest’ora?»
            «Non è così grave.» Ribatté Nora, stringendo le dita sul bordo della brandina dove era seduta. «Possiamo aspettare domani mattina.»
            L’uomo inclinò leggermente il viso ma non aggiunse altro, sospirò e si infilò un paio di guanti in lattice monouso.
            «Fammi vedere.»
            La ferita, se così si poteva chiamare, era chiaramente gonfia, ma nulla di più. Assomigliava a un’incisione, il disegno non le ricordava nulla in particolare e ben presto iniziò a trovare snervante anche il solo continuare ad osservarlo. Tra l’altro, era troppo stanca anche solo per pensare lucidamente, e Nora dovette chiamarla due volte prima che se ne accorgesse.
            «Andresti a prendermi un’altra maglia?»
            Annuì e uscì senza dire nulla. La strada per tornare indietro le sembrò surreale e davvero troppo lunga, senza un motivo preciso e, ancora, le bruciavano gli occhi per la stanchezza in maniera indicibile. Prese dal cassetto di sua sorella un cambio completo, immaginando che alla fine Massimo l’avrebbe tenuta a dormire lì, e tornò sui propri passi.
            La cosa che più la stava destabilizzando era un’angoscia costante che sembrava aumentare da quando si era svegliata, come se stesse per accadere una tragedia. Non era propriamente un pensiero positivo, né improbabile a dirla tutta, ma Willow dubitava che svoltato l’angolo una calamità si abbattesse sul Campo.
            L’unica persona che incontrò fu un ragazzo che stava smontando dal proprio turno di guardia, e che riconobbe solo dopo essersi avvicinata abbastanza alle luci sotto i portici.
            «Ehi.»
            «Ehi.» Ekanta la guardò con un cipiglio perplesso, sicuramente domandandosi che cosa ci facesse in giro in piena notte con dei vestiti. Si stringeva due dita con una mano e del sangue gli sgocciolava sulla pelle da una ferita che non riusciva a vedere. «…Tutto bene?»
            «Sì. Sì, tutto a posto!» Willow annuì con più energia di quanto realmente servisse. « E tu…?»
            Il ragazzo abbassò lo sguardo sulle sue mani; e se non fosse stato per la poca luce avrebbe giurato di vederlo arrossire.
            «Ah, nulla.» Liquidò subito. «Abbiamo sistemato il filo spinato di fronte all’ingresso della galleria. È solo un graffio.»
            Si ritrovarono a guardarsi in silenzio per dei secondi lunghissimi. Non si conoscevano così bene, certo, ma non erano nemmeno dei perfetti sconosciuti, e Willow non riusciva a giustificare quell’imbarazzo che tutto a un tratto stava diventando sempre più pesante. Alla fine gli accennò un sorriso sperando di alleggerire un poco quella sensazione.
            «Io stavo andando in Infermeria, comunque. Mia sorella non si è sentita molto bene e… Sì, insomma, non so se volevi passare anche tu da Massimo…»
            «L’idea era quella. Sì.»
            Ekanta fece una smorfia, ma non sapeva se fosse per quello che aveva detto o per la ferita. Cominciarono a camminare e Willow pensò a quanto ironica fosse quella situazione: lei, che era figlia di Venere, stava davvero facendo un’impressione così misera davanti a un ragazzo. Se avesse potuto vederla, sicuramente sua madre le avrebbe riso in faccia, poco ma sicuro.
            Nonostante non fosse un’immagine così positiva, le servì per distrarsi per il resto della strada. Ekanta salì i gradini prima di lei, indugiò appena sulla soglia e con un cenno le fece segno di entrare per prima; un gesto tanto fuori luogo quanto gentile.
            Il lettino dove prima era seduta Nora era vuoto, con la maglietta sporca abbandonata sulle lenzuola. Willow si avvicinò poggiando il cambio pulito sul cuscino, e prese la maglietta viola piegandola con cura. Dalle voci che sentiva, immaginò che Massimo si trovasse nell’altra stanza. Sospirò appena.
            «Puoi avvertire Nora che le ho portato i vestiti? E che domani passerò prima dell’adunata mattutina. Se ha bisogno di qualcosa mi trova in camerata.»
            Avrebbe voluto rimanere ma, per esperienza, sapeva che Massimo l’avrebbe cacciata a prescindere, anche a costo di prenderla di peso per buttarla fuori. Non si faceva problemi, e Willow non aveva forze per impuntarsi e mettersi a discutere; Nora sarebbe stata bene anche senza di lei. E poi, aveva assolutamente bisogno di dormire qualche ora possibilmente su un materasso.
            «Va bene.» Disse Ekanta.
            «Grazie. Ci vediamo allora, buonanotte.»
            «’Notte.»
 
 
 
Crys osservò per un momento il riflesso della ragazza prima di parlare. La sua figura aleggiava impalpabile nell’aria e i suoi vestiti erano un caleidoscopio di colori; la giacca di pelle, il maglione infilato nei jeans, gli anfibi.
            «Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro, la situazione mi pare abbastanza chiara.»
            Ekanta tossì di risposta, ma non contestò a parole il suo commento. La ragazza del riflesso non ci fece caso e con una mano si spostò i capelli di lato, mentre sulla fronte le brillava il simbolo della profezia. «Dovremo indire un’altra riunione in Senato entro stasera, e avvertire i ragazzi del Campo Mezzosangue.»
            « Pas de problème! Possiamo farlo noi. E, anzi, vi confermo che l’altro punto dove abbiamo registrato un notevole incremento della magia è proprio lungo la costa di Long Island. Ormai i valori si sono abbassati, ma probabilmente altri simboli sono comparsi tra la giornata di ieri e stanotte.»
            Crys annuì e fissò lo sguardo per terra, pensierosa. Si stava rivelando l’ennesima mattinata stancante, ma in Olivia aveva trovato un aiuto inaspettato. In un primo momento era stata sospettosa, ma Terminius aveva dissolto velocemente qualsiasi sua incertezza con un cipiglio esasperato; per quanto lo potesse essere visto che era un busto di marmo. Poi era venuta a sapere delle due ragazze della Terza Coorte, e a quel punto si era limitata a chiamare anche Malcom nella sua tenda per parlare.
            «Beh, questo è un buon segno, no?» Disse Willow in tono incoraggiante, rompendo il silenzio. Era ancora un po’ pallida ma sembrava essersi ripresa; il marchio le era comparso nemmeno un’ora prima lasciandola stordita e in preda alla nausea in infermeria. Meglio così che durante una campale, decisamente.
            «Bien sûr!» Rispose Olivia. «È importante perché per ogni manifestazione c’è un rilascio non indifferente di energia, e ci rende in grado di individuare con esattezza il luogo ma anche quante persone sono convolte. Attualmente molti dei nostri maghi fanno fatica ad utilizzare gli incantesimi perché l’intero sistema non è stabile, ma i simboli sono come strappi di potere che perforano la Duat, ed è impossibile non notarli.» Spiegò. Crys non aveva chissà quale competenza in ambito magico, ma la spiegazione le era abbastanza chiara. Ekanta aveva sicuramente intuito di più dal modo in cui storse la bocca.
            «Quindi adesso cosa dobbiamo fare; aspettare che questi segni siano comparsi e radunarci tutti insieme da qualche parte o cosa? Trivia ha detto che non ci sarà nessuna profezia, perciò siamo bloccati.» Fece notare Nora.
            «Aspettate una profezia per muovervi, solitamente?»
            «Sì.» Troncò bruscamente Malcom, serrando le braccia al petto. Crys alzò gli occhi al cielo e sospirò.
            «Non è un costume poi così insolito, ma in questo momento possiamo orientarci anche senza.» Risposte Olivia, e il suo ologramma scintillò mentre cambiava posizione e accavallava le gambe. «Per farla breve: la magia che opera su questo piano non è una manifestazione dei poteri degli dei, ma uno strumento, un mezzo che nasce in un altro piano di esistenza, parallelo al nostro e solitamente inaccessibile. La fonte della magia sta, per motivi a noi sconosciuti, andando incontro a un rapido deperimento, causando instabilità nel nostro mondo. Per risolvere il problema dobbiamo raggiungere la fonte primigenia, altrimenti qualsiasi soluzione risulterà presto o tardi inefficace.»
            Crys annuì appena, facendole cenno di continuare.
            «Il piano di nascita della magia non è disabitato però: ci sono delle entità chiamate Archetipi che stanno cercando il modo di mettersi in contatto con il nostro piano, e questo simbolo è uno dei modi che hanno adottato. Non possono manifestarsi nel nostro mondo direttamente perché, probabilmente, hanno bisogno di un ospite, un po’ come i nostri dei egizi; la loro essenza è troppo potente per varcare così un altro piano. Immagino, ma sono solo supposizioni, che i simboli stiano ad indicare all’Archetipo quale corpo è potenzialmente il più adatto ad ospitarlo.»
            «CHE!?»
            Ekanta alzò la testa di scatto e nella foga di aggiungere altro si strozzò con la sua stessa saliva, iniziando a tossire fino a diventare paonazzo. Quando riprese finalmente fiato Crys si rilassò appena; un mancato soffocamento sarebbe stato proprio il colmo per quella mattina.
            «Scusate…!» Borbottò.
            «Come dicevo, è solo una supposizione, magari il legame riguarda i poteri, o caratteristiche e fattori per noi irrilevanti.» Riprese la ragazza. «Finora i picchi che abbiamo registrato sono solo in aree dove c’è la presenza di semidei o persone connesse con il mondo divino; ma nulla vieta di coinvolgere anche le persone normali, in teoria. Stiamo tenendo d’occhio l’intero pianeta, perciò è solo questione di tempo prima di avere una risposta anche a questo.»
            «Coinvolgere i mortali è sempre una pessima idea.» Disse Malcom. Per quanto fosse discutibile, Crys gli dava pienamente ragione. Sperò che quell’eventualità rimanesse nella lista delle possibilità e non si realizzasse in sua presenza.
            «Tornando a noi, come dicevo, la comparsa di un simbolo scatena una forte reazione magica, ma solo temporaneamente: più il tempo passa, più l’equilibrio tende a ristabilirsi; è una delle leggi del nostro piano di esistenza, ovviamente nei limiti che questa situazione ci impone. Ma, abbiamo notato che da un po’ di tempo a questa parte si stanno formando dei punti nevralgici, luoghi dove la magia si addensa particolarmente. Restano comunque meno potenti come manifestazioni, ma è come se fossero passaggi pronti ad aprirsi per connettere il nostro piano a quello degli Archetipi
            «E visto che noi dobbiamo raggiungere questi Archetipi, la cosa migliore è raggiungere questi portali.» Concluse.
            «Esattamente!» Olivia le sorrise raggiante e il suo viso tremolò ancora una volta. «Ancora non siamo riusciti a mapparli tutti perché sono tuttora in formazione; a questo punto immagino bisognerà aspettare che tutti i simboli siano comparsi, non più di qualche settimana. A quel punto sapremmo con precisione quante persone sono coinvolte, la loro posizione, e la posizione di questi punti d’interesse. La cosa migliore e agire in gruppi visitando il luogo più vicino.»
            «Sarà difficile rimanere aggiornati però. Noi semidei non possiamo utilizzare telefoni, né qualsiasi apparecchiatura elettronica, o attireremmo troppo l’attenzione dei mostri. Senza considerare che potremmo imbatterci tra di noi e non riconoscerci, e non sempre i messaggi Iride funzionano.»
            «Mia cara, è una preoccupazione più che legittima, ma lì dove il tuo mondo ti penalizza, quello di qualcun altro ti fornisce una soluzione.» Ribatté Olivia, sorridendo divertita a Willow. «I maghi egizi si trovano in ogni angolo del globo, divisi tra i vari Nomi, e attraverso i portali possiamo coprire grandi distanze in poco tempo. Ogni presidio ha ricevuto istruzioni per aiutare durante la missione, che sia il combattere che semplicemente avere un posto sicuro dove riposare, perciò su questo fronte puoi stare tranquilla. Inoltre, il simbolo che abbiamo continua ad avere una carica magica che passa tutt’altro che inosservata; per i maghi è come essere di fronte a una maledizione.»
            «Rassicurante.» Mormorò Ekanta. «Quindi quello che dobbiamo fare è aspettare.»
            «Per ora sì. Sfrutteremo questa attesa per prepararci al meglio.» Gli rispose, poi si rivolse ad Olivia. «Direi che è meglio terminare qui. Olivia, grazie.»          «È stato un piacere, Crystal. Sarà un onore lavorare con tutti voi. Au revoir et à bientôt
            L’ologramma si dissolse in un istante così come era comparso. Crys osservò per qualche secondo il ripiano della sua scrivania prima di voltarsi verso Malcom e i tre legionari.
            «Andate a fare colazione.» Gli concesse. «E se volete discutere tra di voi, liberissimi di farlo ma, vi chiedo, di non parlarne con nessun altro. Nel pomeriggio faremmo una riunione in Senato per dare un quadro generale della situazione, possibilmente dopo aver sentito il Campo Mezzosangue al riguardo. Ma quello che è stato detto qui, rimane qui.»
            «Con la sfortuna che ho qualcuno ci avrà origliato.» Commentò Ekanta, con l’intendo di alleggerire l’atmosfera ma fallendo miseramente. Le due figlie di Venere lo trascinarono di fuori quasi a forza e Crys si voltò finalmente verso Malcom, che non si era ancora mosso dalla sua posizione.
            «Non è andata così male. Anzi, per una volta abbiamo effettivamente delle informazioni su cui lavorare, piuttosto che versi criptici in rima.»
            Malcom non reagì alla sua battuta. Socchiuse gli occhi e tese ancora di più le spalle sotto gli spallacci dell’armatura che si era blandamente allacciato una volta svegliatosi.
            «Hai altro da dirmi? O posso andare anche io?»
            «Non hai bisogno del mio congedo per andare, se vuoi.» Rispose con un mezzo sorriso.
            «Crystal.»
            «Non c’è nulla che non va, Malcom. Ti ho detto tutto quello che avevo bisogno di dirti.»
            Lo sentì serrare le nocche, avviandosi verso l’uscita con passo pesante.
            «Non sarò un buon Pretore.» Iniziò, bloccandosi sulla soglia, con la voce che gli tremava appena. «Ma non sono stupido.»
            Crys lo osservò stupita andare via, e una sgradevole sensazione cominciò a stringerle lo stomaco. Il marchio sul suo braccio, che aveva nascosto sotto la maglietta, sembrò tornare a bruciare.

 
 
 
ANGOLO AUTRICE
 
Allora! Eccoci di nuovo qui, chi non muore si rivede!
           Questo aggiornamento arriva con un ritardo madornale, vi dico solo che avevo iniziato a scriverlo a DICEMBRE; testimoni le mie tre veline dell'Apocalisse, ma poi è arrivata la sessione invernale, il covid, io che rimango bloccata in appartamento senza le mie coinquiline e non vi dico la solitudine che sto soffrendo sigghete. comunque, dopo mesi in cui sono rimasta bloccata sul paragrafo di Willow e quella benedetta infermeria, finalmente ieri a caso sono riuscita a finire tutto.
UN PARTO SIGNORI, UN PARTO.
Sono abbastanza soddisfatta però. Sì, lo so che questi capitoli si somigliano un po' tutti e mi spiace, ma spero che la spiegazione di Olivia sia stata sufficientemente esaustiva e abbia chiarito i dubbi che alcuni si sono, giustamente, posti durante il quinto capitolo. Mancano ancora tre parti e poi sto benedetto capitolo VI finisce, giuro, il VII sarà simile e poi tutto scorrerà più veloce, è una promessa.
Un bacione e grazie per tutte le recensioni e le visualizzazioni di questi mesi, sono una gioia per me!
A presto, e buona quarantena dai!
Itzi
   
 
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